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I MERCANTI DEL TEMPO

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di Michele De Sanctis

C’era una volta una strana bambina che, scappata dall’orfanotrofio, era andata a vivere da sola tra le rovine di un anfiteatro di una grande città. Agli abitanti dei dintorni, che la guardavano incuriositi, diceva di chiamarsi Momo e di non conoscere la sua età. Subito dopo il suo arrivo, però, si era già conquistata la fiducia e la simpatia di tutti: chiunque avesse un problema andava da Momo che non dava consigli e non esprimeva opinioni. Semplicemente si limitava ad ascoltare l’interlocutore, che, da solo, trovava la risposta ai suoi quesiti. Era l’ascolto, che Momo offriva. Era il suo tempo. Un giorno, però, giunsero in città gli agenti della Cassa di Risparmio del Tempo, signori grigi che miravano ad impadronirsi del tempo degli uomini, indispensabile per la loro sopravvivenza. Al di là della storia, che in molti conoscono, il tema centrale del libro è quello del tempo, anzi, del modo in cui esso viene impiegato nella moderna società occidentale. Ed è del tempo che oggi voglio parlarvi. Del tempo, come bene economico.

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I signori grigi sono tra noi, siamo noi stessi, vivendo della frenesia contemporanea, a quel ritmo consumistico e compulsivo che Ende criticava, simbolicamente, nella storia di Momo. Il progresso tecnologico e produttivo ci ha, infatti, lasciato perdere di vista l’obiettivo della qualità della vita, del piacere di assaporare, nell’attimo, le piccole cose belle della vita. Se poi ai ritmi frenetici con cui ai tempi della crisi si rincorre la meta della competitività, aggiungiamo salari inadeguati, precarietà e, in generale, l’umana necessità di sopravvivere nelle jungle urbane del XXI secolo, il tempo da dedicare alla felicità è davvero poco, forse non ne abbiamo proprio. Ma c’è un modo per recuperare le ore perdute? In effetti, non sarebbe male se, ad un prezzo alla portata delle tasche di tutti, potessimo comprare il tempo che altrove ci viene sottratto.

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Anche il lavoro che svolgiamo è, in realtà, misurato in ore ed è per quelle ore lavorate che si percepisce un salario. Ma il tempo retribuito è tempo sottratto a noi stessi, alla nostra felicità personale. Comprare del tempo, pertanto, sarebbe come acquistare la possibilità di essere felici. Pensate se, ad esempio, una volta usciti dai vostri uffici, poteste passeggiare liberamente nel parco, scambiare quattro chiacchiere con i vostri amici davanti a un Apertas o a uno Spritz, piuttosto che andare alle poste e mettervi in fila per ore, dedicarvi alla cura della famiglia o a quei piccoli lavoretti che in ogni casa ci sono sempre da fare. Immaginate se ci fosse qualcuno disposto a farlo per voi a un prezzo forfettario. Qualcuno disposto a vendervi il proprio tempo. Sigori grigi, Momo è entrata nel mercato ed è disposta ad ascoltarvi, anzi, di più, a darvi una mano. E siccome è una lavoratrice autonoma, non vi chiederà altro che il giusto corrispettivo per ogni singola prestazione, come da tariffario. La sua è un’obbligazione di risultato.

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Ma a Momo conviene? Certo, perché se Momo lavora solo sei ore al giorno per dieci euro all’ora, ogni giorno avrà guadagnato 60 euro, se lo fa per cinque giornate lavorative a settimana arriverà a 1200 euro lordi in un mese, che è molto più di quanto avrebbe percepito restando per otto ore al giorno in un call center. Momo avrà ottenuto una mensilità dignitosa, ma, nel contempo, non avrà rinunciato alle sue ‘orefiori’. Ma anche il manager, l’impiegato e perfino la casalinga, che si sono avvantaggiati delle prestazioni offerte da Momo avranno guadagnato un’ora di vita al ragionevole prezzo di dieci euro. La segretaria che si è rivolta a Momo affinché questa si recasse al supermercato al posto suo, oggi è potuta andare alla recita dei suoi figli e quanto vale un’ora con vostro figlio? Dieci euro? O di più?

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La storia raccontata da Ende è qualcosa di più di una semplice fiaba, è un libro sul valore del tempo, il tempo da dedicare agli altri, a noi stessi, alle cose che ci fanno star bene e ai nostri pensieri. Ma se questo tempo viene sottratto da ritmi lavorativi sempre più frenetici, cercare di risparmiar tempo adesso, per essere felici poi, altro non fa che spegnere la vita, distruggendo così il tempo stesso. Diversamente, vivere consuma sì il tempo, ma ne conserva la qualità vitale. La fiaba di Ende racconta l’antico conflitto tra la vita e la morte in termini più sottili e moderni: a Momo, la bambina capace di ascoltare tanto da udire e fare udire le musiche, i silenzi e le avventure della vita interiore, si oppongono i signori grigi, nebbiosi, freddi e insinuanti che possono trasformare la vita in un vuoto insensato e ripetitivo e il cuore umano in un luogo sterile e chiassoso. Se non è possibile, al giorno d’oggi, opporsi a questi signori, possiamo, però, sconfiggerli, pur continuando a giocare alle loro regole, posto che riuscire a volare tra i petali e ridare agli uomini il tempo perduto è pressoché improbabile.

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Se, quindi, pensavate che l’unica cosa che il denaro non potesse comprare fosse proprio il tempo, vi sbagliavate. La mia non era solo teoria. C’è, infatti, gente che offre di ‘vendere’ il proprio tempo agli altri. La settimana tra scuola o lavoro, impegni vari, sport, imprevisti, hobby disparati si riempie subito e con molta facilità, tant’è che diventa praticamente impossibile realizzare tutto. Avremmo bisogno di un clone per farcela.

Pioniera in questa fetta di mercato finora ignorata è stata qualche anno fa una donna cinese, Chen Xiao, che, dopo aver perso il lavoro e aver sofferto per il terremoto del Sichuan, ha avuto l’idea di vendere il suo tempo alle altre persone. Molto semplicemente, ha iniziato a fare quello che gli altri le chiedevano, vendendo la propria vita secondo un tariffario ben preciso: otto minuti per un euro. Non parliamo di proposte indecenti o ai margini della legalità, ma di impegni quotidiani. Le richieste per Chen Xiao variavano dalla consegna di un libro a una persona che lo aveva dimenticato all’università, al portare un caffè, al ritirare lettere presso l’ufficio postale o altro. Sempre per conto di terzi. Vi dirò di più, la donna ha svolto anche occupazioni in cui davvero sembrava immedesimarsi nell’altra persona: leggere un libro, vedere un film, comunicare un messaggio, e così via. E ancora, richieste di andare a svegliare una persona ad una determinata ora, incoraggiare qualcuno, chiedere scusa a un altro. Il risultato? La sua idea non è andata per nulla male: nel primo mese accumulò una cifra che corrispondeva a circa 1250 euro. Aveva inventato un lavoro.

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Anche in Italia la crisi ha portato qualcuno a scoprirsi ‘tuttofare’, vendendo, appunto, il proprio tempo e riuscendo a sopravvivere alla disoccupazione. E’ solo di qualche mese fa la notizia di un meridionale trapiantato a Milano che per dieci euro all’ora si offriva di svolgere le nostre piccole e noiose commissioni quotidiane. Ed oggi è sempre più frequente trovare in rete annunci simili, provenienti da ogni regione.

A ciò si aggiungano, inoltre, le Banche del Tempo, associazioni no profit, nate in Gran Bretagna ed oggi molto diffuse anche da noi, che, in cambio di tempo e di un eventuale rimborso spese, offrono ai soci lezioni di cucina, di manutenzione casalinga, accompagnamenti e ospitalità, baby sitting, cura di piante e animali, scambio, prestito o baratto di attrezzature varie, ripetizioni scolastiche e italiano per stranieri. Anche il tempo dedicato all’organizzazione, all’accoglienza, e alle riunioni o feste viene in genere valutato come tempo scambiato e quindi accreditato o addebitato nel conto personale del socio. Il tempo viene, praticamente, ‘conferito’ nel patrimonio della Banca: ciascun socio, infatti, mette a disposizione qualche ora per dare ad un altro socio una certa competenza. Le “ore” date vengono “calcolate” e “accreditate” ovvero “addebitate” nella Banca. Può succedere, così, che non sia la stessa persona a “rimborsarle”, ma un’altra. Impropriamente, dunque, potremmo dire che il conferimento delle ore sostituisce quello dei beni nel capitale societario.

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Siete ancora sicuri che il tempo non sia un bene economico? Sebbene l’idea possa sembrarvi eccentrica e particolare, bisogna, però, pensare come il limite del tempo sia uno dei più grandi freni a cui è ancorato l’uomo dei nostri tempi. Negli ultimi anni il progresso ha fatto passi da gigante, ma nulla è ancora riuscito né a renderci immortali, né a permetterci di fare più cose contemporaneamente. La clonazione umana esiste solo nei film e, d’altra parte, il nostro cervello non è capace di gestire consciamente pensieri diversi nello stesso momento; oltretutto, è impossibile trovarsi fisicamente in posti diversi, la bilocazione appartiene ai santi, non agli uomini. Per giunta, sebbene da Adam Smith in poi nei processi produttivi sia divenuta prassi quella di suddividere un’operazione tra diversi individui, ognuno atto ad uno specifico compito, ciò, tuttavia, non è possibile per quanto riguarda strettamente la persona in sé: non possiamo domandare a qualcuno di imparare qualcosa per noi, come non possiamo chiedere che magari esca al posto nostro con i nostri amici. Questi soggetti, che ho chiamato ‘mercanti del tempo’, servono proprio a consentirci di fare ciò che non possiamo delegare ad altri: vivere. E noi stessi possiamo entrare in questo business. O, più modestamente, contribuire, su base volontaria, alla Banca del Tempo più vicina alla nostra comunità. Il nostro tempo ha un valore!

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Siete ancora scettici? Pensate che un’ora sola non basti? Ovviamente, questo dipende da voi. Di una cosa io sono certo: se il tempo è suscettibile di valutazione economica, il prezzo della felicità che deriverà da questo acquisto non è stimabile. La felicità appartiene, infatti, ad ognuno di noi ed è soltanto nostra, come nostra ne è la percezione. La felicità non ha prezzo perché è soggettiva (quanto effimera), perciò, se domani qualcuno suonerà al vostro campanello, proponendovi l’acquisto di un’ora di felicità, chiudetegli la porta in faccia: è soltanto un ciarlatano!

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La riforma delle Province è stata approvata dal Senato con il voto di fiducia.

 

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di Germano De Sanctis

Il voto di fiducia al Senato

Ieri sera, dopo un serrato e sofferto confronto, il Senato ha approvato il Disegno di Legge “Delrio” avente ad oggetto la riforma delle Province. Adesso, il testo modificato dal Senato tornerà all’esame della Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva.

Tale risultato è stato raggiunto, dopo che il Governo ha deciso di sottoporre al voto di fiducia un maxiemendamento, contenente il testo già approvato dalla Camera dei Deputati, le modifiche apportate dalla Commissione Affari Costituzionali ed alcuni emendamenti proposti dalla Commissione Bilancio.
La presentazione di tale maxiemendamento è stata ufficializzata nell’aula del Senato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, la quale ha anche comunicato la volontà da parte del Governo di porre la questione di fiducia.
La decisione di blindare con il voto di fiducia il testo di riforma delle Province è stata presa durante un breve Consiglio dei Ministri tenutosi ieri mattina ed è stata assunta a causa delle difficoltà sorte nel corso della giornata del 24 marzo, quando la maggioranza è risultata sconfitta in due occasioni, prima in Commissione Affari Costitituzionali, durante la votazione dei singoli emendamenti, e, poi, in Aula, durante la votazione delle pregiudiziali di costituzionalità bocciate per tre soli voti di differenza. Pertanto, al fine di evitare ulteriori e sgradite sorprese, la maggioranza ha optato per porre la questione di fiducia sul testo che dovrebbe riformare radicalmente le Province.

La fiducia all’esecutivo è passata con 160 voti a favore e 133 voti contrari. Per la prima volta il Governo Renzi. già al suo quarto voto di fiducia, rimane sotto l’asticella della maggioranza assoluta. Si evidenzia che, al momento del suo insediamento, il Governo Renzi aveva ottenuto 169 voti a favore e 139 voti contrari. Secondo alcuni commentatori politici, tale risultato è il prodotto dei malumori che serpeggiano nella maggioranza.

Nonostante l’avvenuta approvazione del predetto maxiemendamento, continuano a permanere i dubbi concernenti gli effettivi risparmi garantiti dalla riforma in questione. Secondo le stime governative, una volta messa a regime, la riforma dovrebbe generare un risparmio di 111 milioni di indennità non più erogate e di 318 milioni di euro per mancati turni elettorali, in virtù dell’eliminazione degli assessori e delle elezioni provinciali. Invece, in sede di dibattito sul maxiemendamento in Commissione Bilancio del Senato, qualcuno non ha nascosto le proprie riserve sui reali risparmi, che potrebbero derivare dal testo finale del disegno di legge “Delrio”, alimentando, anzi, lo spettro di un aggravio di costi. Soltanto l’esame del Decreto del Presidente della Repubblica attuativo di tale riforma (ed espressamente previsto dal maxiemendamento) potrà sciogliere siffatti dubbi.

Fatte queste dovute considerazioni, passiamo all’esame delle novità più rilevanti contenute nel testo di legge approvato.

La trasformazione delle Province in enti territoriali di area vasta.

Nell’attesa della riforma costituzionale avente ad oggetto l’abolizione delle Province, quest’ultime sono trasformate in “enti territoriali di area vasta”, amministrati da organi di secondo livello e con specifiche competenze residuali soltanto in materia di edilizia scolastica, pianificazione dei trasporti e tutela dell’ambiente.
Le restanti funzioni esercitate dalle Province saranno trasferite alle Regioni e/o ai Comuni secondo quanto verrà disposto da un apposito Decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, a seguito di specifico confronto in seno alla Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.
Nessun problema per il mantenimento in servizio degli impiegati pubblici alle dipendenze delle Province, i quali continueranno a lavorare nelle strutture che li vedono attualmente occupati, mantenendo il medesimo stipendio.

Per quanto riguarda gli organi di rappresentanza delle nuove Province, sono previsti un Presidente eletto fra i Sindaci dei Comuni che fanno parte della Provincia, un Consiglio Provinciale (composto da un numero ristretto di Sindaci e Consiglieri Comunali) ed un’Assemblea dei Sindaci. Costoro percepiranno soltanto l’indennità loro spettante come Sindaco o come Consigliere Comunale.

L’entrata in funzione del nuovo assetto provinciale dovrebbe avvenire il 1° gennaio 2015. Nel frattempo, non saranno più celebrate le votazioni per il rinnovo di Presidenti e Consigli Provinciali. Si ricorda che, il 25 maggio prossimo, si sarebbero dovuti rinnovare gli organi di rappresentanza di ben 52 Province, le quali, saranno commissariate come già avvenuto ad altre 23 Province nel corso del biennio 2012-2013. Tutte le Province commissariate saranno amministrate fino a gennaio 2015 dall’attuale Presidente in veste di commissario.

La creazione delle città metropolitane.

Una delle novità più importanti contenute nel testo di legge approvato consiste nella creazione di dieci città metropolitane. Il territorio di ogni singola città metropolitana coinciderà con quella della omonima Provincia soppressa. Il testo ne prevede nove: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria. Accanto a tali città metropolitane, bisogna tenere conto del fatto che Roma assume lo status di Capitale.

Inoltre, il testo prevede la facoltà di creare ulteriori città metropolitane nelle Regioni a Statuto Speciale. Ne sono state già create cinque: Palermo, Messina, Catania, Cagliari e Trieste. Le modifiche apportate dal Senato rispetto al testo licenziato dalla Camera dei Deputati hanno escluso la sussistenza dello status di città metropolitana rispetto a Brescia, Bergamo, Salerno, Varese e Monza.
Il testo dispone che la città metropolitana venga gestita da un Sindaco Metropolitano e da due assemblee, entrambe presiedute da Sindaco medesimo. Si tratta del Consiglio Metropolitano e della Conferenza Metropolitana. Ovviamente, siffatti organi collegiali subentrano in seguito alla soppressione della Giunta Provinciale e del Consiglio Provinciale.
Le Città metropolitane dovrebbero anch’esse entrare in funzione il 1° gennaio del 2015. Il Sindaco del Comune capoluogo dovrà indire entro il 30 settembre del 2014 le elezioni, di secondo grado, per la creazione di una conferenza statuaria. Nelle more del varo dello statuto rimane in carica, fino al 31 dicembre 2014, il Presidente della Provincia (il quale sarà retribuito) e la Giunta in carica (con l’avvertenza che i suoi componenti non percepiranno alcuna indennità).

Le Unioni di Comuni.

Il testo di legge approvato prevede la possibilità di realizzare più Unioni di Comuni nell’ottica di ottimizzare e semplificare i servizi resi alla cittadinanza. Tutti gli organi di rappresentanza delle Unioni di Comuni svolgeranno le loro funzioni a titolo gratuito.
Anche in tal caso, il testo approvato dal Senato ha introdotto alcune modifiche rispetto al testo approvato dalla Camera dei Deputati. Ad esempio, il nuovo articolato dispone che, nei Comuni con una popolazione inferiore a 3.000 abitanti, il Sindaco possa restare in carica per tre mandati, invece di due. Inoltre, è stata reintrodotta la presenza dei Consiglieri Comunali nei piccoli Comuni, con un numero crescente legato alla popolazione. Tali modifiche hanno suscitato non poche polemiche durante il dibattito in Aula. Infatti, le opposizioni hanno eccepito che tale previsione introduce ulteriori 26.000 cariche elettive, mentre il Governo e la sua maggioranza hanno risposto che la modifica non comporterà nuove spese aggiuntive.
Infine, il testo ha introdotto anche una norma per la democrazia paritaria con un rapporto fra il 60% ed il 40% per cento fra i generi, ma soltanto a far data dall’anno 2017.

La riduzione dei costi.

Uno degli temi centrali della riforma in questione concerne il risparmio economico sulle indennità che oggi ricevono i Presidenti, gli Assessori ed i Consiglieri Provinciali. Su tale aspetto sono sorti dubbi in Commissione Bilancio del Senato.
A tal proposito, la riforma ha ricevuto il parere positivo da parte della Ragioneria dello Stato, la quale ha evidenziato che, nonostante i rilievi della Commissione Bilancio circa un possibile aumento delle spese future, il costo di 1774 amministratori provinciali, per il solo anno 2011, è stato di 111 milioni di euro. Inoltre, bisogna tenere conto del risparmio generato dalle mancate nuove elezioni provinciali, il cui costo è stato stimato in 318, 7 milioni di euro, di cui circa 118,4 milioni di euro a carico dello Stato.
Ovviamente, l’approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati del testo modificato ieri al Senato taglierebbe ulteriormente i costi ancora previsti per gli amministratori provinciali. Secondo le stime governative, se il provvedimento sarà approvato velocemente e, di conseguenza, non vi sarà più l’obbligo di celebrare le elezioni amministrative provinciali previste per il 25 maggio prossimo, il risparmio totale dovrebbe essere di oltre 400 milioni di euro.

Il trasferimento delle competenze.

Il Governo ha l’intenzione di avviare un percorso, sia legislativo, che amministrativo, capace di non generare disagi in capo ai cittadini interessati dalla riforma dell’amministrazione provinciale. Il testo approvato dal Senato dispone che, in attesa che la riforma del Titolo V elimini la previsione costituzionale in materia di Province e ridefinisca i rapporti tra lo Stato e le Regioni, unitamente alle competenze legislative di Camera dei Deputati e Senato, l’assetto amministrativo vigente non verrà stravolto.

Infatti, le Città metropolitane e gli “enti territoriali di area vasta” continueranno a ricevere i finanziamenti attualmente loro spettanti e rimarranno titolari degli immobili di loro proprietà, relativamente alle funzioni che rimarranno in capo alle nuove Province.
Inoltre, relativamente al trasferimento di funzioni, gli dipendenti provinciali occupati nell’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento, conserveranno il posto di lavoro e continueranno a svolgere i loro compiti presso le amministrazioni riceventi le funzioni, le quali ne cureranno il corretto esercizio del rapporto di lavoro, sotto ogni profilo (ovviamente, anche retributivo e contributivo), senza soluzione di continuità.

Le funzioni fondamentali che permarranno in capo alle nuove Province riguarderanno la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, l’ambiente, il trasporto e l’edilizia scolastica. Inoltre, i nuovi organismi avranno il compito di assistenza amministrativa ai Comuni, il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, le pari opportunità sul territorio provinciale. D’intesa con i Comuni, le nuove Province potranno esercitare anche le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive.

Infine, come già accennato, il trasferimento di tutte le altre funzioni attualmente ricadenti nella sfera di competenza delle Province, sarà oggetto di un apposito Decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro sei mesi dall’approvazione della presente legge, d’intesa con la Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.

 

La figlia di Salvador Allende, la prima donna alla Presidenza del Senato cileno

 

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di Luigia Belli

Isabel Allende Bussi, la minore delle tre figlie del deposto presidente cileno Salvador Allende, morto suicida l’11 settembre 1973 durante il sanguinoso colpo di stato guidato da Augusto Pinochet, è stata eletta Presidente del Senato l’11 marzo scorso. La senatrice socialista, con il suo nuovo incarico, ha scritto una pagina importante nella storia della politica cilena: è la prima donna a rivestire l’incarico di Presidente da quando il Senato venne fondato, nel 1812, ai tem pi della “Patria Vieja”. Il suo primo pensiero da Presidente è andato direttamente al padre: “É per me un grande onore essere qui, perché a questo stesso tavolo presidenziale è stato seduto mio padre, Salvador Allende Gossens, prima di diventare il Presidente del Cile. (…). Ha poi aggiunto, con la voce rotta dall’emozione: “So che lui sarebbe molto orgoglioso di vedermi qui”.
La Allende, eletta senatrice nella regione di Atacama, la più settentrionale del Cile, è stata candidata alla presidenza del Senato dalla coalizione di centro sinistra, che sostiene la neo eletta Presidente Michelle Bachelet.

Poche ore dopo, la Allende ha realizzato il suo primo atto ufficiale, conferendo a Michelle Bachelet il secondo mandato.
La celebrazione, che ha avuto luogo nella città di Valparaiso, a poco più di 100 km dalla capitale, Santiago, ha rappresentato un momento pregno di simbolismo e altamente significativo nella storia politica del Cile: due donne alla testa del paese, due socialiste, due vittime della violenza impunita del pinochetismo (entrambe hanno perso i propri padri, assassinati durante il colpo di stato del 1973) che, a distanza di 40 anni, giungono al vertice del paese, dimostrando che il Cile ha superato la terribile fase della “sospensione di ogni democrazia” ed è tornato, seppur con fatica, a percorrere i binari della sua vita repubblicana.
La celebrazione si è conclusa con l’abbraccio fraterno ed emozionato delle due leader che, a sua volta, si è sciolto nelle parole della Allende: “Ora, finalmente, i nostri padri sono al nostro fianco”.

Rocío Montes, inviata della testata spagnola El País in Cile, intervista Isabelle Allende.

R.M.: La scena in cui Lei conferisce il mandato alla Bachelet ha fatto il giro del mondo …
I.A.: E’ stata una scena inedita e densa di emozioni. Ho ricevuto una quantità impressionante di congratulazioni che provenivano dal Cile, ma anche da tanti altri paesi … dal Belgio, per esempio, dall’Olanda, dalla Spagna, dalla Svezia, dal Brasile, dall’Ecuador … La vita non è unilineare, sembra piuttosto un circolo.
R.M.: Si riferisce al fatto che suo padre è stato Presidente del Senato tra il 1966 e il 1969, prima di diventare il Presidente del Cile al quarto tentativo?
I.A.: Mio padre è arrivato a rivestire la carica più alta del paese perché la gente lo aveva visto portare avanti il suo incarico con grande dignità e offrire garanzie a tutti i diversi gruppi politici. Perciò, per molte persone, vedere una Allende sedere al tavolo presidenziale del Senato ha rappresentato una specie di ricompensa. E poi, nessuna donna aveva mai rivestito questo incarico prima.
R.M.: La cerimonia di passaggio di consegne dal leader della destra, Sebastián Piñera, a Michelle Bachelet è stata vista come un riflesso della maturità democratica raggiunta dal Cile. Lei crede che davvero il paese abbia raggiunto questa meta?
I.A.: Abbiamo dato un esempio di vita profondamente repubblicana e ciò è stato per me fonte di grande orgoglio. È importante che un presidente uscente, di un altro colore politico, riceva l’applauso che è stato dato a Piñera nella sala d’onore del Congresso. Ciò ci fa veramente onore.
R.M.: Lei riesce ad immaginarsi nel Palazzo presidenziale de La Moneda?
I.A.: In politica è difficile affermare “non berrò da questa fonte”, però, in effetti, non mi sono mai posta l’obiettivo di arrivare alla presidenza della Repubblica del Cile. Sto bene così, bisogna fare spazio alle nuove generazioni.
R.M.: Cosa ha provato quando ha presieduto la prima seduta del Senato? Tra i 37 senatori, ci sono solo 6 donne …
I.A.: È stato un momento bello e impressionante. Le racconto un aneddoto. C’era un senatore che, ogni volta che finiva un suo intervento, si rivolgeva alla mia persona dicendo “signor presidente”. Lo ha detto due volte; poi, quando ha terminato, gli ho detto: “comprendo perfettamente che è una situazione nuova e che è anche una questione culturale, comprendo che dopo così tanti anni si faccia fatica, ma le chiedo la gentilezza, in futuro, di rivolgersi alla mia persona chiamandomi “signora presidente”. Quindi, mi ha chiesto scusa, aggiungendo che non si era reso conto dell’errore e ha chiesto che la sua espressione venisse cancellata dai verbali.
R.M.: La visibilità data alle donne dal suo incarico e da quello della Bachelet non trova una giusta corrispondenza nel resto del mondo politico. In tutte e due le Camere del Congresso, per esempio, la presenza di parlamentari donne si attesta solo al 15,9%.
I.A.: È simbolico che le due principali cariche dello stato siano in mano a delle donne, la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Senato. Tuttavia, le donne hanno una rappresentanza in politica quasi insignificante. È molto faticoso. Per una donna, fare politica è davvero molto difficile e la stessa Bachelet non è riuscita ad ottenere una assoluta parità al Governo.
R.M.: Anche nel suo partito, il partito socialista, è così complesso fare politica per una donna, pur essendo la figlia dell’icona della sinistra cilena?
I.A.: All’interno del nostro partito c’è molto maschilismo.
R.M.: Farà valere la sua autorità, considerando anche che le forze di governo hanno la maggioranza al Senato?
I.A.: Passare sugli altri come un rullo compressore credo che sia sempre un esempio di cattiva politica. Il Parlamento è, per antonomasia, il luogo dove si sanciscono accordi, dove di instaura il dialogo e si discute democraticamente. Tuttavia, abbiamo preso degli impegni e intendiamo portare avanti i progetti scritti nel programma di governo di Michelle Bachelet. Se i parlamentari che non fanno parte della nostra coalizione vogliono accompagnarci in questo percorso, saranno i benvenuti.
R.M.: Che analisi propone della situazione politica della regione?
I.A.: Ogni paese vive la propria realtà ed è difficile generalizzare. Però chiaramente hanno avuto luogo cambiamenti importanti e non mi riferisco solo alla presenza di donne in Costa Rica, Brasile, Argentina e Cile. Mi riferisco soprattutto a quel processo di sviluppo che ha avuto luogo in tutta la regione e che ha permesso a Governi progressisti di promuovere politiche sociali e combattere le disuguaglianze.
R.M.: Lei crede che la figura di suo padre è ancora d’attualità nella sinistra latinoamericana?
I.A.: L’eredità che Salvador Allende ha lasciato al Latino America è ancora viva. E lo è più che mai in alcuni settori. Oggi nessuno può ignorare il fatto che la disuguaglianza impedisce la coesione e non permette la governabilità. Sono trascorsi 40 anni e le persone lo ricordano ancora con grande forza.
R.M.: La prima crisi all’interno della coalizione di governo, che va dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista, è sorta intorno a ciò che sta accadendo in Venezuela. Lei cosa pensa del Governo di Maduro?
R.M.: Che sia chiaro che la Nueva Mayoría (n.d.t. coalizione al governo) si è formata su un programma di governo la cui colonna vertebrale – un’educazione di qualità e gradualmente gratuita, la riforma fiscale e una nuova Costituzione – può essere in grado di cambiare per sempre la nostra società. La politica estera è appannaggio della nostra Presidente della Repubblica.
R.M.: Ma qual è la sua posizione in merito?
I.A.: Come ha già spiegato la Bachelet, sono i venezuelani che devono risolvere la questione e non riteniamo che sia necessario programmare un intervento. I venezuelani devono trovare la propria strada, considerando che hanno al potere un Governo democraticamente eletto. In Cile, nel 2011, abbiamo avuto migliaia di studenti nelle strade, i quali, però, reclamavano un sistema educativo gratuito e di buona qualità e non, come accade in Venezuela, che il Governo venisse rimosso.
R.M.: E di Cuba? Cosa ne pensa?
I.A.: Cuba sta passando attraverso una fase di cambiamenti che, a mio avviso, sono, però, ancora troppo timidi. Preferirei vedere una Cuba più aperta, che non abbia un solo partito, ma che garantisca multiple espressioni. Un Governo, ovviamente, che eserciti le proprie funzioni, ma anche una Opposizione che abbia diritto ad esprimersi.
R.M.: Lei ha vissuto momenti molto difficili: suo padre morì a La Moneda nel 1973, sua sorella e suo figlio si sono suicidati rispettivamente nel 1977 e nel 2010. Come si è ripresa da questi duri colpi?
I.A.: Non si apprende solo dalle sconfitte, si apprende anche dai grandi dolori.

Traduzione alla lingua italiana a cura di Luigia Belli

Pillole di Jobs Act. Le semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC)

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di Germano De Sanctis

Il dato normativo.

Il Jobs Act inizia a compiere i suoi primi passi. Come è noto, il Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2014 ha suddiviso tale iniziativa governativa in due atti, un decreto legge ed una legge delega. Orbene, sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20-03-2014, è stato emanato il D.L., 20-03-2014, n. 34 ”Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Tale decreto legge è in vigore dal 21-03-2014.
In particolare, L’art. 4, D.L. n. 34/2014 si occupa delle semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), uno strumento ormai indispensabile in tutti i rapporti con la Pubblica Amministrazione e nell’edilizia privata, oltre che nei rapporti tra privati. Si tratta di una riforma “a costo zero”, in quanto, l’art. 4, comma 6, D.L. n. 34/2014, dispone che, all’attuazione di quanto previsto dell’articolo in questione, le Pubbliche Amministrazioni provvederanno con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

La non immediata applicabilità della norma in questione.

Bisogna subito evidenziare che tale norma non è di immediata applicazione, in quanto, l’art. 4, comma 2, D.L. n. 34/2014 dispone che la sua effettiva operatività è subordinata all’emanazione di un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e, per i profili di competenza, con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, sentiti INPS e INAIL, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

I criteri che ispireranno le semplificazioni in materia di DURC.

L’esame dell’art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014 rende evidente la volontà del legislatore d’introdurre importanti semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC). Infatti, attraverso il decreto ministeriale in questione, saranno definiti i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica nonché le specifiche ipotesi di esclusione. Il decreto in questione sarà ispirato ai seguenti criteri:
a) la verifica della regolarità in tempo reale riguarderà i pagamenti scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica dovrà essere effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive e comprenderà anche le posizioni dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto operanti nell’impresa (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
b) la verifica dovrà avvenire tramite un’unica interrogazione negli archivi dell’INPS, dell’INAIL e delle Casse Edili che, anche in cooperazione applicativa, opereranno in integrazione e riconoscimento reciproco, indicando esclusivamente il codice fiscale del soggetto da verificare (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
c) nelle ipotesi di godimento di benefici normativi e contributivi saranno individuate le tipologie di pregresse irregolarità di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro, verranno evidenziate gli elementi da considerare ostativi alla regolarità (trattasi del c.d. DURC interno), ai sensi dell’art. 1, comma 1175, Legge, 27-12-2006, n. 296 (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
d) ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38 (requisiti di ordine generale), comma 1, lett. i) (esclusione dall’appalto o dall’affidamento o dalla fornitura, chi ha commesso violazioni grave definitivamente accertate in materia contributiva), D.Lgs., 12-04-2006, n. 163 (c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”) ed in tutti i casi in cui in luogo del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è prevista l’acquisizione della dichiarazione sostitutiva, non dovrà rilevare la data alla quale l’interessato ha dichiarato di essere in regola ai fini contributivi e assicurativi ovvero la data in cui la dichiarazione è stata resa dall’interessato. In altri termini, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, cesserà l’obbligo di verificare la sussistenza del “requisito di carattere generale” presso la banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dall’art. 62-bis, D.Lgs., 07-03-2005, n. 82. Inoltre, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al secondo comma, saranno abrogate tutte le disposizioni di legge incompatibili con i contenuti dell’art. 4 D.L. n. 34/2014 (cfr., art. 4, comma 3, D.L. n. 34/2014);
e) al fine di garantire l’effettiva operatività delle norme in questione, il predetto decreto ministeriale potrà esere aggiornato annualmente, sulla base delle modifiche normative, o della evoluzione dei sistemi telematici di verifica della regolarità contributiva (cfr., art. 4, comma 4, D.L., n. 34/2014).

La smaterializzazione del DURC.

Secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 1, D.L. n. 34/2014, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, chiunque vi abbia interesse potrà verificare con modalità esclusivamente telematiche ed in tempo reale la regolarità contributiva nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell’edilizia, nei confronti delle Casse Edili. L’esito dell’interrogazione avrà validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituirà ad ogni effetto il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), ovunque previsto, fatta eccezione per le ipotesi di esclusione individuate dal citato decreto ministeriale.

In altri termini, l’art. 4 D.L. n. 34/2014 prevede la smaterializzazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), il quale, come visto, sarà possibile ottenere in tempo reale. In particolare, la verifica della regolarità in tempo reale riguarderà i pagamenti scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive e comprenderà anche le posizioni dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto che operano nell’impresa.

Nell’attesa di conoscere il contenuto del decreto ministeriale, appare evidente la necessità di coordinare le disposizioni operative con le norme che regolano la “compensazione”, ai fini della regolarità, dei debiti contributivi con i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati, dal soggetto destinatario del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), nei confronti della Pubblica Amministrazione. Infatti, resta insoluta la questione relativamente alla permanenza o meno dell’obbligo di attivarsi in capo al soggetto che vanta il credito, così come pare probabile.

Analogo ragionamento è riscontrabile per quanto concerne il c.d. DURC interno, ai fini dell’applicazione di eventuali benefici contributi e normativi, con la particolarità che, per tale ipotesi, i criteri per l’emanazione del decreto ministeriale attuativo prevedono che dovranno essere individuate le irregolarità pregresse che costituiranno cause ostative alla regolarità.

Infine, resta oscuro con quale modalità s’inserirà la procedura che prevede, prima di dichiarare lo stato di irregolarità (c.d. DURC negativo), l’invito al soggetto inadempiente, da parte dell’ente interessato, di sanare il debito entro il termine massimo di 15 giorni o, in mancanza, di accedere alla richiesta del documento che attesti uno p più crediti certi d’importo almeno pari al debito contributivo complessivo.

Sovvenzioni, contributi e sussidi.

L’art., 4, comma 5, D.L. n. 34/2014, modificando l’art. 31, comma 8-bis, D.L., 21-06-2013, n. 69 (c.d. Decreto del Fare), convertito, con modificazioni, dalla Legge, 09-08-2013, n. 98, ha precisato che, per quanto concerne l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, vantaggi economici, di qualunque genere:
a) deve essere sempre richiesta dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, dal 21-02-2014) l’acquisizione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC);
b) risulta sempre applicabile la disposizione che regola l’intervento diretto del committente pubblico a sanare le inadempienze contributive del suo appaltatore/subappaltatore, trattenendo dal certificato di pagamento l’importo corrispondente alle citate inadempienze.

Cottarelli: tagli alle invalidità civili

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di Michele De Sanctis

«Se sarà necessario non è da escludere una mobilitazione nazionale, tale da esprimere, con tutta la forza possibile, la disperazione che tali misure generano in una già grave situazione per le persone con disabilità e le loro famiglie». 
La società civile all’attacco del piano Cottarelli. Queste sono state, infatti, le prime dichiarazioni a caldo rilasciate da Pietro Barbieri e Giovanni Pagano, presidenti rispettivamente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), le due organizzazioni che rappresentano la quasi totalità delle Associazioni impegnate sul fronte della disabilità, dopo la diffusione delle Proposte di revisione della spesa pubblica, elaborate da Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la Spending Review, fra le cui ipotesi sono contemplati anche alcuni interventi sulla spesa per le invalidità civili «particolarmente preoccupanti».

Parliamo di 500 euro per 12 mensilità che l’INPS corrisponde, spesso dopo mesi di attesa, a famiglie sull’orlo della disperazione, che si trovano in casa una persona non più autosufficiente, gravemente malata e che necessita di un accudimento costante. Accudimento, rispetto al quale quel misero forfait è poco o nulla, tant’è che spesso non è neanche sufficiente a coprire quanto previsto dal contratto nazionale delle collaboratrici familiari e le famiglie si ritrovano costrette a ricorrere al lavoro nero o a dichiarare nel contratto con la badante un numero di ore di assistenza inferiori a quelle effettivamente prestate. Ad ogni buon conto, la stretta sulle pensioni di invalidità e accompagnamento si aggira intorno ai 30.000 euro individuali e ai 45.000 euro di reddito familiare: oltre questa soglia di reddito le stesse potrebbero essere negate.

«Le nostre Federazioni – dichiarano i Presidenti di FISH e FAND – rigettano ogni ipotesi di intervento sulle uniche provvidenze certe a favore delle gravi disabilità e intendono intervenire in tutte le sedi istituzionali, senza escludere il ricorso a una mobilitazione nazionale, per contrastare questa previsione».

La principale critica mossa ai rilievi di Cottarelli è quella circa la rilevata disomogeneità del territorio che non corrisponderebbe alla distribuzione demografica dei disabili; sul punto, le associazioni fanno notare che il «Commissario non ha incrociato i dati con la spesa per i non autosufficienti in quelle stesse Regioni». Diversamente, avrebbe scoperto che, «laddove le Regioni (esempio Calabria) spendono pochissimo per i disabili gravi, il numero delle indennità di accompagnamento lievita proporzionalmente. E soprattutto non ha presente i tagli massicci che la spesa sociale ha subito nell’ultimo decennio che spingono gli stessi Comuni a consigliare i propri cittadini ad avviare le procedure di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento».

E’ come dire che, dove ci sono più servizi a livello locale, meno si ricorre al parastato che, nelle realtà prive di assistenza alla persona a livello sanitario, quindi regionale, viene visto come l’ultima (e forse la sola) spiaggia, cui far ricorso per chiedere un aiuto.

Il cuore della questione è quindi il grafico, presentato da Cottarelli, che visualizza la distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, dimostrandone lo squilibrio interregionale: i numeri, riferiti solo alle persone con 65 e più anni, evidenziano che per 100 prestazioni di accompagnamento riconosciute in Piemonte (regione con il numero più basso) ce ne sono oltre 200 in Calabria (regione con il numero più alto) e picchi evidenti anche in Campania, Umbria e Sardegna, seguite da Puglia e Sicilia. All’estremo opposto, con il Piemonte, anche Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana. Le altre, chi più chi meno, nel mezzo. “Tale andamento – scrive la FISH – dimostra sicuramente una differente distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, ma nulla ci dice rispetto alle motivazioni che potrebbero stare alla base degli squilibri evidenziati”.

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«Il documento del Commissario Straordinario – dichiarano Barbieri e Pagano – ripropone vetuste e discutibili proiezioni, evidenziando come in alcune Regioni vi siano percentuali maggiori di indennità di accompagnamento rispetto ad altre. Abusi, quindi, che sarebbero dimostrati appunto dai “picchi territoriali” e da un aumento della spesa non dimostrata da “flussi demografici”. Ma, come appena evidenziato, è “piuttosto semplicistico” affermare che il maggior numero di indennità di accompagnamento concesse in alcune regioni rispetto ad altre derivi da una serie di “abusi” che andrebbero contrastati. Lo si legge anche su una fonte autorevole in questo campo come Superabile, il portale che INAIL ha dedicato alle tematiche della disabilità. E’, perciò, diventata una guerra di numeri quella che in queste ore vede contrapposti da un lato chi spinge per una stretta sulle pensioni di invalidità e sulle indennità di accompagnamento e dall’altro chi invece quegli stessi interventi vorrebbe evitarli.

La FISH sul suo portale Condicio.it critica aspramente questi dati apparentemente incomprensibili e incontrovertibili rispondendo con altri numeri e tabelle, usando elaborazioni ISTAT che provano a dare una spiegazione al fenomeno, rilevato da supercommissario. Senza mancare di far notare che le indennità di accompagnamento sono concesse soprattutto agli ultra65enni (a loro va il 73% del totale, dati Istat al 1° gennaio 2012) e che la stessa presenza di “picchi territoriali” risulta alquanto strana sia in considerazione del ruolo che, nella validazione dei verbali di invalidità, hanno i medici INPS (che agiscono secondo criteri omogenei in tutta Italia), e sia considerando il fatto che fra il 2009 e il 2014 oltre un milione di posizioni è stato sottoposto a controllo. Evidente il riferimento alle azioni contro i cosiddetti “falsi invalidi”, da sempre criticate dalla Fish per gli scarsi risultati raggiunti. Lo stesso neo Presidente dell’Istituto di previdenza sociale, Vittorio Conti, ha, peraltro, ribadito che i controlli contro i falsi invalidi sono già stati fatti e che, comunque, se davvero si volessero ottenere tagli consistenti, occorrerebbe abbassare ancora di più la soglia degli aventi diritto all’indennità di accompagnamento. 

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Come dire che il programmato taglio non sarebbe, evidentemente, sufficiente. La sperequazione a livello regionale tra aree virtuose e meno, d’altro canto, ne risulterebbe incrementata, con il solo risultato che i disabili residenti in quelle zone prive di una sanità pubblica efficiente resterebbero di fatto senza una tutela garantita, peraltro, dalla Costituzione. Secondo chi scrive, c’è poi da considerare un ultimo aspetto: discriminare la concessione dell’accompagnamento con una simile soglia di reddito, non porterebbe questo beneficio a perdere la sua natura previdenziale, divenendo quasi un contributo assistenziale per disabili non abbienti? Previdenza e assistenza: sono concetti di legislazione sociale su cui si basa la differenza di taluni interventi che il nostro stato sociale ha previsto in situazioni diverse di bisogno. E mi viene anche un sospetto, a breve si tornerà a parlare di assoggettamento a IRPEF delle pensioni di invalidità civile? Questa spending che è stata presentata come la cura che ci salverà dalla lunga malattia che avvilisce la nostra economia, necesssaria per finanziare le promesse riforme del jobs act, millantato dal premier col fare di un teleimbonitore che illustra le caratteristiche del prodotto del giorno, mi sembra una specie di ‘fake’. E alla fine mi resta un dubbio: era così indispensabile colpire di nuovo questa categoria di soggetti, che è già stata nel mirino di tutti gli ultimi governi?

Turchia, luna calante su Twitter

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Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso

La Turchia ha bloccato giovedì sera l’accesso a Twitter. Solo poche ore prima, il premier Recep Tayyip Erdoğan aveva pronunciato in un comizio elettorale a Bursa – in vista delle ormai prossime amministrative – parole minacciose verso il social network: “Elimineremo Twitter e simili alla radice. Non m’interessa quello che potrà dire comunità internazionale”.
La “misura di protezione” invocata da Erdoğan è stata quindi subito adottata dalle autorità giudiziarie turche che hanno chiuso l’accesso a Twitter tramite DNS di default in Turchia.
Twitter in Turchia ha avuto un particolare ruolo durante le proteste di Gezi Park del giugno scorso. In quel periodo si è visto crescere il numero di utenti attivi fino a oltre 9,5 milioni.
La rabbia del premier contro Twitter, ha origine dalle proteste di Gezi Park ma ora Erdoğan si è scagliato anche contro i falsi profili Twitter che sarebbero stati creati negli ultimi mesi per prendere di mira il governo, con intenti a suo avviso “manipolativi”.
Immediata la reazione del popolo di Twitter che ha cercato di ripristinare il servizio, tentando di aggirare il blocco modificando i DNS.
Suggerimenti per aggirare il blocco attraverso il semplice espediente di passare a server DNS esterni alla Turchia sono addirittura apparsi con scritte spray sui cartelloni pubblicitari esposti per la campagna elettorale delle amministrative.

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Pillole di Jobs Act. La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

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di Germano De Sanctis

 Il dato normativo.

Dopo tante indiscrezioni ed anticipazioni a mezzo stampa, cominciano a trapelare le prime bozze del decreto legge e del disegno di legge delega che costituiranno l’ormai famoso Jobs Act. In particolare, l’articolo 2 del disegno di legge in questione concentra la sua attenzione sulla delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

Il primo comma della norma in questione, persegue lo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, previa intesa in sede di Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’art. 3 D.Lgs. 28-08-1997, n. 281, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive. In mancanza della predetta intesa nel termine di cui all’art. 3 del citato D.Lgs. n. 281/1997, il Consiglio dei Ministri provvederà con deliberazione motivata ai sensi del medesimo articolo 3.

Invece, il secondo comma della norma in esame, specifica che, nell’esercizio della delega di cui al primo comma, il Governo si deve attenere ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;

b) razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome;

c) istituzione, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. 30-07-1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provveda con le risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente;

d) coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione;

e) attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione delle competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI;

f) razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle regioni e delle province, operano in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali, allo scopo di evitare sovrapposizioni e di consentire l’invarianza di spesa, mediante l’utilizzo delle risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente;

g) possibilità di far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonché di altre Amministrazioni Pubbliche;

h) rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;

i) valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, a tal fine, la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;

l) introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle esperienze più significative realizzate a livello regionale;

m) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e l’INPS, sia a livello centrale che a livello territoriale;

n) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;

o) mantenimento in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale;

p) mantenimento in capo alle Regioni e Province Autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;

q) attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica;

r) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate;

s) completamento della semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’ausilio delle tecnologie informatiche, allo scopo di reindirizzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive.

Innanzi tutto, la norma in esame si caratterizza per aver concesso al Governo soltanto sei mesi, per l’esercizio della delega ad emanare, su proposta del Ministro del Lavoro, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive, allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale ed assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine, è stata anche prevista una intesa preventiva “debole” in Conferenza Stato- Regioni ex D.Lgs. 281/1997.

 Abbiamo visto poc’anzi come, il secondo comma dell’art. 2 abbia individuato analiticamente i criteri e i principi identificati per l’esercizio della delega. In particolare, alcuni di essi merito qualche ulteriore considerazione specifica.

La razionalizzazione degli incentivi all’assunzione.

La lettera a) del secondo comma in questione prevede la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione, con l’intento di collegarli e/o modularli, sulla base di parametri statistici, alle caratteristiche del soggetto in relazione alla distanza ed al suo grado di difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro. Tale previsione normativa sembra richiamare, anche se in modo indiretto, le attività di profilazione dell’utenza previste dalla c.d. “Garanzia Giovani”, nell’ambito del sistema dei servizi per il lavoro, le quali sono, tuttavia, ancora in corso di definizione. Appare evidente come il successo di questa norma sia strettamente legato alla espressa previsione di un ampio margine di flessibilità e di adattabilità in relazione al contesto territoriale di riferimento. In altri termini, in sede di esercizio della delega, appare necessario concedere alle Regioni il maggior livello possibile di discrezionalità, nello spirito di una sana sussidiarietà verticale. Siffatta ultima considerazione trova conforto nell’ulteriore richiamo operato verso il sistema di profilazione riscontrabile nel disposto della lettera q), dove viene ribadito il principio, già codificato nella normativa vigente (cfr., D.Lgs. n. 181/2000 ss.mm.ii.) e, di recente, confermato dalle Linee Guida condivise per la regolazione e la gestione dello stato di disoccupazione approvate in Conferenza Stato- Regioni in data 05-12-2013, dell’attivazione del soggetto disoccupato/inoccupato (beneficiario o non di ammortizzatori sociali) per la ricerca attiva di una nuova occupazione, nell’ambito di una presa in carico personalizzata.

La razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità.

La lettera b) prevede espressamente la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale quale riferimento anche per l’attuazione degli interventi regionali. A tal proposito, si evidenzia che, già nell’ambito dell’istruttoria realizzata dalla IX Commissione sul D.L. n. 76/2013, in relazione agli incentivi ivi previsti, le Regioni avevano evidenziato in generale la necessità di prevedere delle forme di raccordo, in merito al campo di applicazione degli incentivi con gli altri esistenti a livello statale e regionale. La norma in questione pare recepire questa istanza, tanto è vero che, la lettera n) dispone l’introduzione di meccanismi di raccordo tra gli enti che, a livello nazionale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e autoimprenditorialità e la costituenda Agenzia Nazionale per l’Occupazione.

L’Agenzia Nazionale per l’Occupazione.

Proprio relativamente ai meccanismi di raccordo, appare particolarmente rilevante la previsione contenuta nella lettera c), la quale statuisce l’istituzione di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione. Si tratta di un organismo posto sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e partecipato da Stato, Regioni e Province Autonome. La norma si inserisce nell’alveo di una linea di intervento sovente ventilata dal legislatore nazionale sin dalla legislatura precedente e, da tempo, oggetto di confronto anche con le Regioni. Infatti, si ricorda che l’ipotesi di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione era fugacemente apparsa anche nelle bozze intermedie del D.L. n. 76/2013 (cfr., articolo 5).

D’altro canto, si sottolinea la scelta legislativa di annoverare nella composizione dell’Agenzia i soli soggetti istituzionali Stato, Regioni e Province Autonome, limitando, alla lettera d), il ruolo delle parti sociali alla sola definizione delle linee di indirizzo. Si tratta di una differenza sostanziale con i precedenti tentativi di analogo tenore, ove erano state previste forme più allargate di partecipazione , relativamente alle quali erano state sollevate molte critiche da parte delle Regioni.

Per quanto concerne l’organico da far confluire nell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, si ricorda che la lettera c) ha specificato il fatto che il nuovo organismo debba essere istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che al suo funzionamento si debba provvedere tramite le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente. A tal proposito, il combinato disposto della lettera f) e della lettera g), prevede una razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del Lavoro, delle Regioni e delle Province, operano in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali.

Appare evidente come la costituzione di tale Agenzia Nazionale per l’Occupazione possa comportare una invasione di competenze , con particolare riguardo alla possibilità di un intervento sugli uffici regionali. Pertanto, sarà fondamentale che il legislatore nazionale, nell’esercizio della delega, preveda adeguate forme di raccordo con la parallela attività di revisione costituzionale dell’assetto delle Province. Tale necessità appare ancor più necessaria se si considera il fatto che la lettera e) statuisce l’unificazione in capo all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione delle funzioni relative alle politiche attive del lavoro, ai servizi per l’impiego ed agli ammortizzatori sociali e la successiva lettera m) rinvia a meccanismi di raccordo tra Agenzia Nazionale per l’Occupazione ed INPS.

Abbiamo appena detto che la lettera e) dispone l’attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI. Si tratta di una previsione normativa particolarmente rilevante, sia per la sua portata operativa, sia per gli effetti che essa produrrà nei confronti dei rapporti istituzionali esistenti tra Stato, Regioni e Province Autonome. Tale considerazione appare ancor più evidente se si considera quanto previsto alla lettera o), la quale stabilisce il mantenimento in capo al Ministero del Lavoro delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale. Siffatta rilevanza della lettera e) emerge ancor di più se la si raccorda con la previsione contenuta nella lettera p), la quale prevede il mantenimento in capo alle Regioni e Province Autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro. In altri termini, siamo di fronte ad un complesso sistema di delega al legislatore, in virtù del quale varierà significativamente il sistema dei rapporti istituzionali sul versante delle materie afferenti al lavoro. Si ricorda che tali materie sono attualmente ricomprese nella potestà legislativa concorrente ed, al netto dei possibili scenari di evoluzione istituzionale legati alle ipotesi di modifica della Carta Costituzionale, il quadro delineato dalla legge delega appare sostanzialmente in linea con la normativa vigente, seppur modificando significativamente il baricentro decisionale a favore dell’Amministrazione Statale. Pertanto, sarà fondamentale che, nella individuazione dei compiti attribuiti all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, venga preservato il ruolo delle Regioni nella definizione, programmazione e attuazione delle politiche attive aventi dirette ricadute sul territorio, nonché nella gestione degli interventi in materia di occupazione nei confronti dei cittadini. Infatti, tali compiti istituzionali rappresentano una competenza prioritaria regionale, rispetto al quale lo Stato, nell’ambito di linee condivise e nel rispetto dei LEP, può ben svolgere una funzione di supporto e di sostegno, ma non sostitutiva delle Regioni stesse. In particolare, con riferimento alla formazione professionale, quale materia a potestà legislativa esclusiva delle Regioni e che sembrerebbe non essere coinvolta dagli attuali progetti di revisione della Costituzione, si rileva nella formulazione della delega al Governo il rischio latente di un’invasione di competenze regionali da parte dello Stato.

La definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per l’impiego.

Nell’ambito della valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e servizi privati, la lettera i) prevede la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per l’impiego. Rispetto a tale principio, si ricorda che nella normativa vigente contenuta nel D.Lgs. n. 276/2003, il regime di accreditamento degli operatori per lo svolgimento dei servizi per il lavoro risulta essere una competenza regionale, accanto al regime di autorizzazione nazionale. Appare, quindi, evidente la necessità che l’attuazione di tale criterio avvenga secondo linee condivise e in modo non invasivo rispetto a quanto già disciplinato sul territorio. Si tratta di una materia delicata che, dopo, quasi dieci anni di “messa a regime”, comincia a dare i primi segnali di definizione normativa ed istituzionale. Un intervento non rispettoso delle discipline approvate dalle singole Amministrazioni Regionali comporterebbe soltanto confusione in capo ai cittadini che accedono ai servizi per il lavoro.

La valorizzazione del sistema informativo del lavoro, in un’ottica di completamento della semplificazione amministrativa.

Il combinato disposto della lettera r) e della lettera s) dispone espressamente la valorizzazione del sistema informativo del lavoro, in un’ottica di completamento della semplificazione amministrativa, attraverso l’ausilio ed il reindirizzo dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e nel monitoraggio delle prestazioni erogate. Tale principio, da una parte, si pone in continuità con il lavoro svolto, da tempo, dalle Regioni e dalle Province Autonome nell’ambito del Tavolo tecnico interistituzionale SIL, anche con particolare riferimento alle ultime attività sviluppate sul versante dell’attuazione della c.d. “Garanzia Giovani”, in relazione agli aspetti gestionali ed all’aggiornamento della scheda anagrafico-professionale dell’utente dei servizi. D’altra parte, il principio in questione si collega ai profili di attuazione della Banca Dati delle Politiche Attive e Passive del Lavoro, prevista dall’art. 8 D.L. n. 76/2013, la quale, tuttavia, non è ancora stata realizzata. In altri termini, appare necessario procedere ad una immediata ed efficace implementazione degli strumenti in questione, affinché la previsione contenuta nella delega in questione non si trasformi, di fatto, in una mera affermazione programmatica.

 

Coltiva funghi dagli scarti del caffè: il business green di Daniele

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Fonte: Millionaire di Giancarlo Donadio

Produrre funghi dallo scarto del caffè. Questa l’idea sostenibile di una coppia lucana, Daniele Gioia e Annarita Marchionna:

I bar buttano via una quantità impressionante di fondi del caffè che possono anche essere usati come ammendanti (fertilizzanti che migliorano il suolo, ndr). Allora abbiamo fatto qualche esperimento per far crescere funghi. Ho frequentato la facoltà di agraria e sapevo come fare. Risultato: un prodotto che si cucina più facilmente, che dura nel tempo e dalle forti proprietà aromatiche» spiega Daniele.

Dopo la scoperta hanno iniziato le prime coltivazioni domestiche e a partecipare a competizioni del settore. Finalisti degli Oscar Green (la competizione per startup sostenibili promossa da Coldiretti, ndr) hanno ricevuto un finanziamento bancario di 50mila euro grazie all’aiuto di Coldiretti, affittato un capannone e sono partiti:

La nostra filiera è cortissima. Vendiamo a ristoranti che condividono la nostra filosofia del km zero. Oggi produciamo 800 chili al mese di alcune varietà di funghi (cardoncello, pennella, pioppino…) e li vendiamo a un prezzo che va dai 7 ai 10 euro al chilo.

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Il materiale lo recuperano da una quindicina di bar con cui hanno preso accordi:

Passiamo a prenderlo ogni due settimane per far partire la produzione nel capannone. Coltiviamo anche a campo aperto su tre ettari di terreno».

Ancora piccoli non hanno la forza di esportare il prodotto in altre regioni. Ci sarebbe poi il rischio di far perdere al fungo la sua freschezza. Allora Daniele si è inventato un modo originale per riuscirci:

Abbiamo ideato dei kit: chi li compra può, seguendo poche istruzioni, produrre funghi freschi a casa sua e mangiarli come se giungessero direttamente dai campi.

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Ai giovani che vogliono avvicinarsi alla campagna Daniele consiglia di: scegliere coltivazioni di nicchia. Mantenere una filiera corta senza fare il passo più lungo della gamba. I risultati ci sono anche perché la qualità ti permette di aumentare i prezzi. Poi tanta passione: l’agricoltura non deve essere un ripiego, ma una scelta sentita. Per ultimo prepararsi alle tante sfide e difficoltà (burocrazia, reperimento fondi, promozione…). Ce ne saranno tante e bisognerà saperle affrontare.

Info: http://www.recofunghi.com/

Filoeuropeo o euroscettico? Sono i fatti che contano

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Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso

Per orientarsi nel mare delle informazioni e dei dati in vista delle elezioni europee di maggio, la Rete ci offre un interessante strumento di controllo della veridicità delle dichiarazioni espresse dai politici europei: FactchechEU, la prima piattaforma europea di crowd-checking.
Nato dal lavoro di un gruppo di giovani professionisti italiani che avevano già creato una piattaforma di fact-checking operativa a livello nazionale (Pagella Politica), FactcheckEU è uno strumento online con cui è possibile verificare e monitorare le dichiarazioni dei candidati in corsa alle elezioni europee e valutarne la veridicità confrontando le parole con numeri e fonti di riferimento.
La piattaforma è concepita in modo interattivo e gli utenti hanno un ruolo chiave: possono caricare dichiarazioni e verificarle insieme al team di FactcheckEU, oppure navigare alla ricerca di dati già verificati suddivisi nelle principali policy area dell’UE e corredati da grafici e tabelle.
Loggandosi sul sito, si può partecipare in quattro modi diversi: verificando direttamente una dichiarazione impugnando studi e tabelle; traducendo per rendere un’affermazione disponibile in altre lingue europee; dando un voto ad una dichiarazione in una scala graduata da “Vero” a “Panzana pazzesca”, oppure caricando un’affermazione che suona sospetta e che si vuole controllare.
Per capire meglio come funziona il Fact-checking, prendiamo l’ultimo caso riportato sulla piattaforma: l’affermazione di Jean-Claude Junker, candidato alla presidenza della Commissione dal Partito Popolare Europeo, che afferma che tra trent’anni nessun paese europeo preso singolarmente rientrerà nel club dei sette paesi più ricchi del mondo.
FactcheckEU ha verificato, fonti alla mano, ed ha concluso che la validità di questa frase dipende dall’indicatore economico a cui si fa riferimento.
La Germania e la Gran Bretagna avrebbero un posto in un ipotetico G7 nel 2050 (rispettivamente al 5° e al 6° posto in una classifica che vedrebbe la Cina, gli USA e l’India ai primi tre posti) nel caso in cui l’indicatore economico di riferimento è il valore in dollari USA delle economie considerate. Al contrario, se l’indicatore del Pil usato è corretto rispetto al costo della vita (tecnicamente, parità del potere d’acquisto) nel 2050 nessun paese europeo comparirebbe nella classifica dei primi sette al mondo, con la Germania, la più forte, al nono posto dopo Messico e Indonesia. FactCheckEU conclude: “Junker non sbaglia a denunciare il collasso relativo del peso delle singole economie europee a livello mondiale. La scelta di un indicatore piuttosto che un altro non è sbagliata, ma rende la sua dichiarazione in qualche modo incompleta”.
Il factchecking è una forma di partecipazione civica e dal basso all’informazione. Aiuta a rendere il dibattito pubblico più trasparente, e a ridare fiducia alle parole e alla possibilità dei cittadini di comprendere i fenomeni, anche i più complessi. Come si legge sul sito, “nasce dalla convinzione che con la crescente integrazione europea diventa sempre più importante avere dei watchdogs in grado di monitorare il dibattito pubblico”. Perché dopo tutto i fatti sono fatti, e le bugie hanno le gambe corte.

Pillole di Jobs Act. L’apprendistato.

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di Germano De Sanctis

La finalità dell’intervento riformatore in materia di apprendistato.

Nel corso del Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, il Governo ha varato il tanto atteso provvedimento in materia di riforma del lavoro, meglio conosciuto come Jobs Act. Come è noto, si tratta della combinata emanazione di un decreto legge e di un disegno di legge delega.

In particolare, il decreto legge interviene anche sul contratto di apprendistato, con l’intento di attenuare le rigidità introdotte all’istituto dell’apprendistato dalla Legge. n. 92/2012 (c.d “Riforma Fornero”), le quali lo hanno reso meno facilmente utilizzabile rispetto alla sua originaria formulazione contenuta nel D.Lgs. n. 167/2011 (c.d. “Testo Unico dell’Apprendistato”).

Lo scorso 15 marzo, le anticipazioni governative sull’apprendistato, divulgate subito dopo il Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, sono state oggetto di un comunicato del Ministero del Lavoro, il quale ha ulteriormente specificato alcuni passaggi che sono risultati essere particolarmente controversi.

L’abrogazione dell’obbligo della forma scritta per il piano formativo.

Il decreto legge prevede l’abrogazione della necessità di redigere in forma scritta il piano formativo individuale. La forma scritta permane esclusivamente per il contratto di apprendistato tout court e per il patto di prova.

L’abrogazione dell’obbligo di forma scritta per il piano formativo individuale rischia di snaturare il rapporto di apprendistato stesso, in quanto una sua assenza potrebbe comportare una più facile elusione del suo momento formativo.

L’abrogazione della quota percentuale di apprendisti da stabilizzare.

Inoltre, è prevista l’abrogazione dell’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, D.Lgs. n. 167/2011, introdotti dalla Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), con la conseguenza che vengono eliminate le previsioni normative, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è condizionata alla conferma in servizio di una ben determinata quota percentuale di precedenti apprendisti al termine del loro percorso formativo (fissata al 30% fino al 2015, per, poi, salire al 50%).

Tale previsione normativa non è stata coordinata con la disciplina di settore prevista dalla contrattazione collettiva, la quale non risulta essere minimamente condizionata dalla novella in questione. In altri termini, fin quando permarranno i vincoli di stabilizzazione contenuti nei contratti collettivi, tale norma rischia di rimanere una mera affermazione di principio.

Gli interventi in materia di apprendistato di primo livello.

Il decreto legge interviene anche in materia di apprendistato di primo livello, cioè quella forma di apprendistato finalizzata al conseguimento di un diploma o di una qualifica.

Infatti, in vista dell’ormai prossima sperimentazione biennale (anni 2013-2015) dell’apprendistato a scuola contenuto nel c.d. “Decreto Carrozza”, è stata prevista una norma a favore delle imprese, la quale stabilisce che la parte di retribuzione dell’apprendista concernente le ore di formazione, debba essere pari al 35% della retribuzione del livello di inquadramento.

Gli interventi in materia di apprendistato di secondo livello.

Per quanto concerne l’apprendistato di secondo livello, il decreto legge elimina l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione professionalizzante, con la formazione trasversale e di base contenuta nell’offerta formativa pubblica, diventando quest’ultima un mero elemento discrezionale.

Di conseguenza, scompare l’obbligatorietà, per il datore di lavoro, di assicurare all’apprendista di secondo livello una formazione «pubblica» avente carattere trasversale e di base, ovvero di garantirgli la frequenza dei corsi regionali, qualora essi risultino istituiti, oppure di organizzarglieli ad hoc. L’immediata conseguenza di tale previsione normativa consisterà nel fatto che la formazione trasversale e di base, perdendo la sua natura obbligatoria, smetterà di essere oggetto di sanzioni cospicue (anche in termini di contributi versati).

Tale eliminazione dell’obbligatorietà della formazione pubblica può creare seri problemi con l’Unione Europea, atteso che l’apprendistato gode di sgravi contributivi proprio in virtù della sua valenza formativa. In altri termini, rendere la formazione pubblica soltanto eventuale comporta il rischio fondato che i predetti sgravi siano ritenuti dall’Unione Europea non più giustificabili, alla luce della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.