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LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE IN SINTESI.

È stato pubblicato in G.U.R.I. dello scorso 12 settembre il d.l. 123/2014, con cui il Governo intende smaltire l’arretrato degli Uffici Giudiziari italiani. A distanza di due settimane dal via libera del Consiglio dei Ministri, è arrivato, dunque, il primo testo della riforma della giustizia civile, sotto forma di decreto legge, che dovrà adesso seguire il normale iter parlamentare di conversione. In realtà, il decreto in questione costituisce solo una parte della riforma della giustizia voluta dal Governo Renzi. L’intero pacchetto prevede, infatti, ulteriori interventi, alcuni regolati con decreto legge e altri con disegno di legge delega, in materia penale, oltreché una serie di disposizioni relative all’ordinamento giudiziario. Analizziamo in questa sede i punti principali degli interventi sul processo civile previsti dal d.l. 123/2014.

di Michele De Sanctis

POSSIBILITÀ DI SPOSTARE IL PROCEDIMENTO DAL CONTENZIOSO CIVILE A QUELLO ARBITRALE. Nelle cause civili pendenti sia in primo che secondo grado, le parti potranno richiedere congiuntamente di promuovere un procedimento arbitrale (già regolato dalle disposizioni ordinarie contenute nel codice di procedura civile ed espressamente richiamate dal decreto). Facoltà esclusa, tuttavia, per due materie di una certa rilevanza: le liti sui diritti indisponibili e le cause del lavoro. Quanto agli effetti, il lodo arbitrale avrà la stessa forza di una sentenza.

PROCEDURA NEGOZIALE ASSISTITA. Si tratta di una procedura di conciliazione tra le parti effettuata con l’assistenza di un avvocato e volta al raggiungimento di un accordo che eviti il giudizio, consentendo, peraltro, una rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale. La relativa convenzione dovrà avere forma scritta perché sia efficace. Non si tratta solo di una facoltà, poiché in taluni casi (liti in materia di risarcimento danni da circolazione stradale e nautica o nelle richieste di pagamento fino a € 50.000) il preventivo tentativo di conciliazione viene previsto come condizione di procedibilità, senza cui non sarà, pertanto, possibile adire il giudice.

NEGOZIAZIONE ASSISTITA NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO. La procedura di conciliazione appena illustrata ha una forte ricaduta nel diritto di famiglia, dal momento che, anche in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, il decreto prevede la facoltà di ricorrere alla negoziazione, assistita da un avvocato o meno. I coniugi, infatti, oltre ad avere la facoltà di ricorrere alla procedura di conciliazione co-gestita con l’assistenza di un legale, potranno, in alternativa, recarsi semplicemente al cospetto di un ufficiale dello stato civile per formalizzare l’intesa raggiunta. Si tratta, dunque, di un’importante semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio, che renderà l’Italia uno dei Paesi europei, in cui lo scioglimento del matrimonio sarà più rapido.

DICHIARAZIONI RESE AL DIFENSORE. La riforma prevede la possibilità di raccogliere direttamente da terzi dichiarazioni utili sul procedimento giudiziario in corso per accelerare e razionalizzare la fase istruttoria. Il legale potrà, infatti, sentire testimoni al di fuori del processo. L’intervento in parola risulta, peraltro, complementare all’ampio spazio concesso dalla riforma alla risoluzione stragiudiziale delle controversie. In pratica, si introduce una specifica norma mediante cui si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l’onere di provare.

PASSAGGIO DAL RITO ORDINARIO AL RITO SOMMARIO. Nelle cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, si affida al giudice unico, nelle materie di sua competenza, la possibilità di convertire d’ufficio il procedimento dal rito ordinario di cognizione al rito sommario, con ordinanza non impugnabile – e previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta.

RIDUZIONE DEI TERMINI DI SOSPENSIONE FERIALE DEI PROCEDIMENTI. Nonostante l’opposizione ricevuta dalla magistratura sul punto, il decreto stabilisce che il periodo interlocutorio di sospensione feriale nei Tribunali sia compreso dal 6 agosto al 31 agosto (anziché dal 1 agosto al 15 settembre). Mentre si prevede la riduzione delle ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni.

MODIFICA AL REGIME DELLA COMPENSAZIONE DELLE SPESE E INTERESSI SULLE SPESE DI LITE. Chi perde è tenuto a rimborsare le spese del processo. Il decreto se da una parte tenta di scoraggiare le cd. liti temerarie, dall’altra appronta una limitazione a certe condotte processuali meramente dilatorie. Nel primo caso, riduce i margini di discrezionalità delle Autorità Giudiziarie in ordine alla compensazione delle spese di lite, di cui, nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica si continuava a fare larghissimo uso, specie se una delle parti in causa era un’Amministrazione Pubblica. La soccombenza, adesso, assume un suo naturale e rilevante costo, incrementato, peraltro, dall’attribuzione di un tasso d’interesse nel corso dei procedimenti di cognizione pari a quello per i ritardi nelle transazioni commerciali. Quest’ultima disposizione dovrebbe, peraltro, disincentivare le pratiche dilatorie.

ESECUZIONE FORZATA. In fase esecutiva si consente l’accesso telematico degli Uffici Giudiziari alle banche dati delle P.A. per individuare con esattezza l’ammontare dei beni aggredibili del debitore soccombente in giudizio. L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è finalizzato a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei. La via seguita è evidentemente quella di implementare i poteri di ricerca dei beni da parte dell’Ufficiale Giudiziario, colmando così la ‘asimmetria informativa’ tra creditore e debitore in riferimento agli asset patrimoniali di quest’ultimo. Al creditore spetta trasmettere in Cancelleria per via telematica la nota di iscrizione a ruolo, unitamente all’atto di pignoramento, al titolo esecutivo e al precetto. Ulteriori provvedimenti in materia di esecuzione sono l’eliminazione dei casi in cui la dichiarazione del terzo debitore sia resa in udienza e l’obbligo di ordinare la liberazione dell’immobile con la pronuncia di ordinanza di vendita.

COMPETENZA TERRITORIALE DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE. Il decreto stabilisce che, per tutti i soggetti diversi dalle Pubbliche Amministrazioni, la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti verrà radicata presso il Tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

INFRUTTUOSITÀ DELL’ESECUZIONE. Viene, infine, introdotta una fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (art. 164-bis disp. att. c.p.c.) nel caso in cui risulti che le pretese dei creditori non possano più conseguire un ragionevole soddisfacimento, tenuto altresì conto dei costi necessari ai fini della prosecuzione della procedura di esecuzione forzata, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo.

Clicca qui per leggere il testo del Decreto legge

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SÌ DEL SENATO ALLA FIDUCIA: IL DECRETO DROGA È LEGGE.

Dopo l’ok della Camera, via libera anche da Palazzo Madama al decreto legge Lorenzin sulle droghe leggere.

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di Michele De Sanctis

Lo scorso 14 maggio, il Senato ha votato, senza modifiche al testo, la fiducia richiesta dal Governo sul d.l. 36/2014. Con 155 voti a favore, 105 contrari e nessun astenuto, il provvedimento è ora legge e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Precedentemente il decreto era stato approvato il 30 aprile alla Camera, anche in quell’occasione dopo voto di fiducia.

Il d.l. 36/2014 sostituisce la cd. ‘legge Fini-Giovanardi’, già dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 32/2014, e la ‘legge Iervolino-Vassalli’, rientrata in vigore dopo la predetta declaratoria di illegittimità costituzionale. Con il Decreto Droga tornano le tabelle che distinguono tra droghe pesanti (Tab. 1) e droghe leggere (Tab. 2), in base agli effetti prodotti dall’assunzione e il relativo regime sanzionatorio.

In particolare, nella Tabella 1, insieme agli oppiacei, alla cocaina, all’eroina e alle anfetamine, troviamo altresì la cannabis di derivazione sintetica, mentre quella di origine naturale è classificata come droga leggera e, pertanto, ricompresa nella Tabella 2. Le Tabelle delle sostanze psicotrope, inoltre, ricomprendono tutti i nuovi stupefacenti identificati e classificati a partire dal 2006, anno di entrata in vigore della ‘Fini-Giovanardi’.

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Sebbene sia la vendita che la coltivazione di tali sostanze costituiscano tuttora condotta penalmente rilevante, la sanzione, in caso di spaccio di modiche quantità, viene ridotta a quattro anni nel suo massimo edittale, escludendo di fatto la reclusione, mentre, in caso di consumo personale, la sanzione non è penale, bensì amministrativa. Tuttavia, poiché in caso di piccolo spaccio non vi è differenziazione tra droghe pesanti e leggere, la graduazione dell’entità della pena spetta al giudice che dovrà valutare, di volta in volta, qualità e quantità della sostanza. In caso di condanna, infine, sono previste anche misure alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova al servizio sociale.

Ulteriori disposizioni, poi, vengono dedicate ai farmaci cd. off label, ossia quei medicinali registrati ma impiegati per patologie diverse da quelle per le quali sono previsti. La norma sugli off label, contenuta nel decreto, si è resa necessaria dopo la condanna da parte dell’Antitrust di Roche e Novartis a una multa di oltre 180 milioni di euro. L’accusa era stata quella di aver creato un cartello per favorire l’uso contro la maculopatia del farmaco Lucentis, più caro, rispetto all’Avastin, che avrebbe, però, avuto gli stessi effetti curativi dell’altro. Tuttavia, mentre il primo era nato apposta per affrontare il problema oculistico in questione, per il secondo, invece, trattandosi di un medicinale oncologico, Roche non aveva mai chiesto l’estensione delle indicazioni alla patologia che porta alla cecità di molte persone, soprattutto anziane.

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La legge finora non permetteva l’utilizzo di farmaci off label, nel caso in cui ne esistessero di on label. Per questo motivo in Italia non si poteva utilizzare l’Avastin per curare la maculopatia. Con il d.l. 36/14, adesso, l’impiego di tali farmaci viene, invece, consentito, anche in presenza di un farmaco concorrente specifico, a condizione che l’efficacia del medicinale off label per la patologia non inclusa risulti comprovata a livello scientifico. La condizione è, pertanto, che l’efficacia del primo farmaco sia nota e conforme a ricerche condotte dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale: vale a dire che devono esserci degli studi che ne provino l’efficacia per quella determinata patologia, che, pure, non rientra nelle sue indicazioni. Una volta concluso l’iter delle predette ricerche l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) potrà avviare la procedura di autorizzazione, valutando anche le condizioni di sicurezza concernenti la relativa assunzione del farmaco off label da parte dell’utenza finale. Soltanto nel caso in cui l’istruttoria dell’AIFA dovesse avere esito positivo, il prodotto off label potrà allora essere usato e dispensato, peraltro, dal Servizio Sanitario Nazionale.

Vai al testo del Decreto Droga d.l. 36/2014
Vedi anche il Testo Unico Stupefacenti DPR 309/90 (aggiornato alle modifiche introdotte dal d.l. 36/2014)

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Rivoluzione canone Rai: diventerà flessibile e lo pagheremo in base ai consumi.

Il sottosegretario Giacomelli: pronta la riforma, “Cancelleremo l’evasione dell’imposta nel 2015”.

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di Aldo Fontanarosa da La Repubblica del 4 maggio 2014

ROMA – Qualcuno ci ha provato, fallendo miseramente. Qualcun altro ha promesso di farlo, poi ha desistito per non perdere voti. Ora il governo Renzi annuncia la missione impossibile: ridurre, anzi azzerare l’evasione del canone Rai già nel 2015. “Non lo paga il 27% delle famiglie – ricorda Antonello Giacomelli, nuovo sottosegretario alle Comunicazioni, uomo del Pd – con un danno che la tv di Stato stima in 1,7 miliardi tra il 2010 e il 2015. Una cosa imbarazzante, che noi fermeremo”.

Il nuovo canone non si pagherà con la bolletta elettrica (“il governo prevede il taglio netto della bolletta, per aiutare le persone e le aziende, e non il suo aumento”). E neanche si tramuterà in una gabella legata alla casa come in Francia o in Germania (“se qualcuno vuole proporre questa soluzione a Matteo Renzi, pago il biglietto per assistere alla reazione”). “Al di là della modalità di versamento, che troveremo d’intesa con il ministero dell’Economia, quel che conta sarà la logica, del tutto nuova: pagheremo tutti, pagheremo con più equità”. Il governo cancellerà il canone unico di 113 euro e mezzo che ogni famiglia dovrebbe versare oggi (unica eccezione gli anziani sotto i 6.714 euro di reddito; nuclei in povertà che sono esentati).

Al posto del canone unico arriverà un’imposta flessibile ad importo variabile legata ad un nuovo indicatore che fotograferà i consumi, cioè la capacita di spesa delle persone. “L’effetto è che avremo un canone più basso che in passato, almeno per le famiglie in difficoltà, e molto meno impopolare. Lavoriamo per rinsaldare un patto di fiducia tra la Rai e il suo pubblico”, aggiunge Giacomelli.

Parole molto belle, che potrebbero suonare beffarde a Viale Mazzini. La Rai – ricordiamolo – ha appena perso 150 milioni del canone 2014 per mano del Documento di economia e finanza del governo Renzi. Una botta mai vista. “Dietro la nostra decisione non c’è alcuna volontà punitiva – assicura Giacomelli – da tempo il direttore generale della Rai Gubitosi ci parlava della vendita di RaiWay (la società dei ripetitori, ndr). Il progetto c’era già, dunque. Noi invitiamo Viale Mazzini ad accelerare nella valorizzazione dell’asset. Servono soldi. La tv di Stato li cerchi come e dove sa”.

E questo dove si chiama Borsa. Il governo suggerisce di quotare una fetta minoritaria di Rai Way, con un duplice obiettivo. Conservare in mano pubblica il controllo della società e della rete. Ma ricavare comunque tante risorse (“sicuramente più dei 150 milioni che il Def chiede a Rai come contributo”, calcola Giacomelli). Ma RaiWay si potrà quotare un anno. E nel 2015? Dove trovare altri 150 milioni? “Serve un nuovo Piano editoriale. Oggi la Rai ha ancora tre tg e tre reti, le principali, figlie della tripartizione decisa dai partiti nel 1975. L’effetto è una moltiplicazione dei centri di spesa. Suggerisco il massimo delle sinergie nella produzione dei servizi, nell’impiego delle troupe anche esterne, nell’uso degli impianti”. Poi andranno chiuse alcune sedi regionali, che Palazzo Chigi considera un bene statico, inerme. Questo colosso da 700 dipendenti di cui 200 giornalisti “deve produrre di più”.

Azzerare l’evasione del canone. Quotare RaiWay. Varare un nuovo Piano editoriale che assicuri risparmi tra giornalisti e sedi regionali. Trasformare Viale Mazzini in una media company capace di competere nell’era di Google e Youtube. Quest’insieme di mosse – nei piani dell’esecutivo – permetterà alla tv di Stato di reggere l’urto dei 150 milioni persi e di conservare inalterata l’offerta. Non mancheranno i fondi, ad esempio, per comprare i diritti della Nazionale. Un programma simbolo.

In questo quadro, il nuovo sottosegretario lavora e si dà da fare, malgrado Palazzo Chigi non abbia ancora formalizzato, a lui e ad altri sottosegretari e vice ministri, le deleghe che definiranno il perimetro della loro azione. “E’ una situazione singolare. Per me vale di più la parola del premier dell’atto scritto. Renzi mi invita a procedere come se ci fosse la delega ed io procedo. Certo, prima si colma questo vuoto e meglio è per tutti. L’8 maggio, incontrerò il commissario Ue all’Agenda Digitale, Neelie Kroes”. Ha avuto problemi? “Abbiamo dovuto spiegare a che titolo la incontrerò, non avendo io la delega. Peraltro, alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, esporrò la nostra posizione su temi non banali. Dirò alla Kroes, ad esempio, che ci teniamo alla net neutrality. Non vogliamo un Internet veloce e un altro meno, un Internet di serie A e uno di serie B. Questa sarà la linea e vorrei motivarla con la dovuta efficacia”.

Fonte: La Repubblica

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Voto di scambio: 416ter e gli opportunisti 5 stelle

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dal Blog di Giovanni Favia su Il Fatto Quotidiano – Blog. Post del 16 aprile 2014

Da qualche giorno l’M5s è sulle barricate (dorate) per bloccare un vergognoso regalo che la casta, come già con le banche (semi bufala) vuole fare alla mafia. Il tutto condito con Berlusconi che incontra Napolitano, l’ombra del massone Verdini e la loro solita epica del complotto e dell’indignazione. Lord Blog ha quindi mobilitato due milioni di utenti che capendo poco o niente della questione hanno fatto influencing e inondato le mail di alcuni parlamentari Pd, tra cui Lumia e Casson, due persone che si sono sempre battute contro criminalità e malaffare di cui la prima sotto scorta. Lo scandalo macroscopico pro mafia? Il reato votato prevede pene ridicole secondo i 5s, ridotte dai 4 ai 10 anni su preciso input esterno. Detta così come non reagire?
Ma la storia è diversa e seguendo la diretta del Senato ho avuto un conato di vomito dalla diarrea di retorica. Ma vediamo i fatti.

1. In Italia manca una norma seria per contrastare lo scambio politico mafioso. Quel po’ che si trova nell’ormai rottamato 416ter lo dobbiamo a Giovanni Falcone.

2. Per vent’anni nessun parlamento ha mai fatto nulla. Nel 2013 sotto elezioni Libera, Gruppo Abele, Avviso Pubblico, Mafia Nein Danke, Libera France e Anticor decidono di attivarsi e lanciano la campagna “riparte il futuro” raccogliendo 470.000 firme per riscrivere il 416ter. Molti parlamentari all’epoca candidati aderiscono all’iniziativa. Inciso: il M5s che oggi scopre l’importanza vitale della questione, nei venti punti del programma non gli aveva dedicato nemmeno una riga.

3. Le associazioni dopo le elezioni iniziano un lavoro assiduo con i parlamentari che avevano aderito alla campagna per riformulare il testo dell’articolo.

4. Il testo viene steso ed arriva in discussione (1) alla commissione della Camera. Il M5s ha tutto il tempo per dibattere, studiare e capire se è scritto bene o male. Lo licenzia per la discussione (2) in Aula. Il testo prevede pene dai 4 ai 10 anni (quelle che oggi sarebbero l’oggetto dello scandalo e di un accordo sottobanco). Viene votato all’unanimità e col sostegno convinto del M5s. E’ luglio 2013: 503 favorevoli su 503 presenti.

5. Il 20 dicembre il testo arriva in discussione (3) in commissione al Senato dove il Pd con l’appoggio di M5S e Sel si fa del male da solo (da qui infatti si origina tutto) presentando un emendamento che alza le pene a 7-12 anni invece di 4-12. L’errore di Casson e colleghi sta nel dimenticarsi ad esempio che la Commissione Garofoli, di cui faceva parte anche il procuratore antimafia Gratteri, nella sua relazione (cap 6 pag 120) spiegava chiaramente che la sanzione per un 416ter dovesse essere inferiore a quella del 416bis (il reato di associazione mafiosa che prevede appunto pene di 7-12 anni ma che però Pd-M5S-Sel non hanno modificato). Questa differenziazione risponde ad un giusto principio costituzionale che prevede pene diverse in relazione alla diversa gravità dei reati. Il testo arriva nell’Aula del Senato per un’altra (forza che siamo ancora all’inizio) discussione (4). Viene approvato emendato con pena 7-12 anni.

6. Il 12 febbraio 2014 il nuovo testo torna alla Commissione della Camera per un’altra discussione (5). La Commissione si accorge che l’innalzamento di pena voluto al Senato è sbagliato perché sproporzionato e non in armonia con il resto delle pene del Codice Penale in tema di mafia. E mettere mano al Codice è sempre cosa delicata, non da slogan di campagna elettorale. Nessun complotto, nessun Verdini piduista, nessun incontro Berlusconi Napolitano. Mi raccomando seguite sempre le date. Qui viene il bello.

In Commissione il deputato M5S Colletti come prova questo documento parlando a nome del M5S non si oppone alla riduzione delle pene, anzi comprende la fondatezza giuridica dei rilievi anche sulla scarsa tipizzazione del reato (altra cosa su cui oggi fanno polemica). Infatti sono gli esponenti dell’associazione nazionale magistrati a chiedere che la norma venga modificata specificando meglio il fatto del reato altrimenti, dando per buona la versione del Senato il rischio sarebbero tante inchieste e poche condanne. Fin qui siamo alla buona fede, il rappresentante 5s dei cittadini sta infatti votando secondo la propria coscienza e non fa sceneggiate. Poi succede che il testo viene licenziato dalla Commissione e che qualche sito online inizia a rilanciare il tema della riduzione della pena come una porcheria. Infatti si presta benissimo ad essere strumentalizzato. Perdere un’occasione del genere per fare populismo? Non scherziamo. Qui l’M5s si trova servita una torta già fatta. Piatto ricco mi ci ficco. Ne intravede tutto il potenziale per stimolare il marketing dell’indignazione popolare.

7. Il 3 aprile il testo arriva in aula alla Camera per l’ennesima discussione (6). Parliamo di un articolo di 3 righe, non di una legge strutturata. l’M5S intanto ha già imbracciato i mitra, urlando che la legge (stanno parlando di ciò che loro stessi qualche mese prima avevano con entusiasmo sostenuto e votato tal quale e non gli può essere sfuggito nulla, sono tre righe) è in realtà un vergognoso ed indecente regalo alla mafia. Che la modifica in commissione, prima ritenuta fondata da loro stessi, è originata dal “governo delle larghe intese sulla mafia” e dal disegno criminale di Verdini-Renzi. Keep calm. Siamo alla terza lettura e alla sesta discussione ma non è finita. Comincia lo show. Prima Nuti (M5S) poi non ci crederete proprio lui, Colletti “Giano-bifronte” fa un carpiato di 360 gradi e interviene dichiarando senza pudore “…dovremmo cambiare il titolo del ddl e chiamarlo ‘Voto di scambio politico elettorale tra Renzi, Verdini e Berlusconi’” E vi risparmio il resto. E’ un classico. In Commissione dove si lavora veramente, restano cheti o fanno spesso per impreparazione, scena muta (mi viene detto da degli ex). In Aula al Senato o a Montecitorio partono invece col teatro a favore di Youtube, perché la loro folla li possa adorare condividere e retwittare. E’ uno sport ormai. Come mai non fanno una battaglia per la diretta dei lavori della Commissioni? Ma questo è un’altro articolo.

Poi si arriva ai giorni recenti con la mediocre pagliacciata al Senato, e poi la bagarre alla Camera alla votazione che approva il testo. L’allarmismo diffuso attraverso tutte le trasmissioni Tv in cui urlano paonazzi che con quelle pene i politici condannati non prenderebbero l’interdizione dai pubblici uffici (idiota esiste comunque la legge Severino che sospende i condannati dalle cariche pubbliche) che gli anni di carcere sarebbero pochi (furbetto non racconti che la pena del 416ter si può cumulare con il 416bis quindi anche ventidueanni) che Falcone si starà rivoltando nella tomba perché nella sua norma la pena era più alta e che è diminuita del 40% (sveglia! era un reato diverso, qui si colpisce anche solo la promessa non l’avvenuto scambio di favori) oppure: “Anche Emiliano del Pd ha confessato a La7 l’inciucio!!” (si ma Emiliano quando vi fa comodo è l’oracolo di Delfi? Non è parlamentare e mi pare facesse un ragionamento di apertura al dialogo evidenziando la difficoltà generale di trovare accordi con la destra).

Diciamo anche che Roberti (procuratore nazionale antimafia da sempre in prima linea e per nulla tenero con Renzi), Cantone (anticorruzione), Don Ciotti, Libera e la stragrande maggioranza delle personalità e delle associazioni operanti nel settore sono entusiasti di questa norma che finalmente arriva come un duro colpo agli intrecci tra politica e mafia, fino ad oggi non sanzionabili. E parliamo di persone che la mafia la combattono non a parole o per prendere voti (giocando sull’ignoranza dei cittadini), ma ogni giorno e con i fatti. I 5 stelle spesso citano Gratteri come un esponente autorevole schierato dalla loro parte contro questo 416ter. Sono in malafede, è falso.

Gratteri non ha parlato negativamente della norma, anzi ha detto che è un importante passo davanti. Ha solo evidenziato una criticità che condivido pienamente anch’io: rimodulare ed alzare tutte le sanzioni per i reati di mafia, a cominciare dal 416 bis perché i mafiosi non sono spaventati da pene di breve durata. Questo però, per il principio costituzionale della proporzionalità è sbagliato farlo intervenendo solo sul 416ter, senza un’armonizzazione generale e ponderata delle pene per mafia. “Ma hai letto cosa ha scritto Ingroia!” Aggiungono. Si l’ho letto, ma Antonio con cui avevo già parlato è il primo a ribadire come questa del M5s sia una pagliacciata per fare “campagnetta elettorale” (ormai è permanente). Un conto poi è avere un’opinione personale che può essere giusta o sbagliata, un altro manipolare i fatti e far credere che si sia gli unici difensori dell’antimafia o che con questa legge si facciano regali ai politici collusi, quando la stessa legge in prima lettura la si è votata. Quanto meno moderate i toni altrimenti fate come il Pdl quando se la prende con il Fiscal Compact.

Ho scritto tutto questo per quei due milioni di cittadini che in buona fede hanno fatto mailbombing ai parlamentari. Capite cosa può provocare una suggestione di massa ben instradata? Avete il diritto di sapere come in realtà sono andata le cose. Libera ha dichiarato testualmente “Il vero regalo che si farebbe oggi a mafiosi e politici collusi sarebbe la mancata approvazione della riforma prima della prossima campagna elettorale”. Urlare al golpe della ghigliottina quando si fa dolosamente ostruzionismo mentre c’è l’urgenza di votare e quando un articolo di tre righe è stato discusso tra commissione ed aula otto volte e nel corso di ben 400 giorni, è ridicolo e strumentale.

E’ legittimo politicamente sostenere una pena più alta uguale a quella di un capomafia. Come è altrettanto legittimo e di buon senso, avere la convinzione che pur essendo gravissima, la condotta del politico che promette favori al mafioso sia una condotta differente da quella di chi la mafia la fa e la comanda. Basta non prendere in giro i cittadini gettando fango con accuse pesanti su una legge importante e nata dal basso, come se la stessa fosse un regalo alle cosche.

Ieri al Tg ho sentito Grillo dire in conferenza “Chi gli ha telefonato, Totò Riina?” Parlando dei parlamentari che hanno votato la legge. Siamo a quel livello. C’è chi per un voto in più venderebbe anche sua madre. Come partitocrazia insegna, vecchia e nuova, la menzogna è diventata garanzia di successo per il politico e la manipolazione dei fatti la sua prima occupazione. Informatevi in rete possibilmente andando oltre le prime due pagine di ricerca di Google. Non prendete per oro colato quello che leggete sul Sacro Blog. Non credete nemmeno a me ma verificate di persona. Vogliono la vostra obbedienza, la vostra fedeltà, il vostro voto. Non la vostra libertà.

Fonte: I blog de Il FattoQuotidiano.it

Piano casa, da fondo affitti a cedolare al 10%

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Fonte: ANSA

Arriva il decreto da 1,6 miliardi. Stretta sulle occupazioni abusive

ROMA – Meno tasse sugli affitti a canone concordato, abitazioni a riscatto, forti stimoli all’edilizia sociale, finanziamenti per le ristrutturazioni, fondo affitti, agenzie per la casa: approda sul tavolo del Consiglio dei ministri il piano casa da 1,6 miliardi di interventi messo a punto dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, la cui ossatura era già definita ma che ha preso ora una forma compiuta nel decreto legge che dovrà essere varato in giornata. Ecco, in sintesi, i punti principali del provvedimento che si muove su alcuni cardini principali: agevolare gli affitti, facilitare l’acquisto e stimolare l’edilizia sociale.

– Fondo affitti e morosità incolpevole: lo stanziamento per il Fondo nazionale per l’accesso alle abitazioni passa da 100 a 200 milioni di euro (100 quest’anno e 100 per il 2015); il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli aumenta tra il 2014 e il 2020 di 241, 4 milioni di euro (19,6 mln quest’anno).

– Affitti agevolati: i comuni e le regioni potranno attivare agenzie che dovranno favorire il reperimento di alloggi da offrire a canone concordato e favorire l’incontro tra domanda e offerta anche fornendo garanzie ai proprietari che affitteranno; scende al 10%, ma limitatamente al quadriennio 2014-2017 la cedolare secca per chi vorrà affittare a canone concordato. Restano inoltre in vigore le procedure di sfratto per morosità. Saranno infine previste detrazioni per gli inquilini di alloggi sociali, pari a 900 euro per i redditi sotto i 15.500 euro che si dimezzano a 450 euro per quelli invece sotto i 31.000 euro l’anno.

– Case occupate abusivamente: stretta su questo punto con l’impossibilità per chi occupa abusivamente un immobile non possa chiedere né la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi.

– Acquisto di immobili: il piano prevede la conclusione di accordi con regioni ed enti locali per l’alienazione a favore degli inquilini degli immobili ex Iacp; il ricavato sarà destinato a realizzare nuovi alloggi e a conservare gli esistenti. Fino ad un massimo di 18,9 mln anno dal 2015 al 2020 la dotazione del fondo che dovrà agevolare i finanziamenti per gli acquisti. Nel decreto anche la norma che consente di utilizzare fino a 10 mila euro di detrazioni per l’acquisto di mobili anche se le spese per le ristrutturazioni agevolate sono state di importo inferiore.

– Case a riscatto: per agevolare l’accesso alla proprietà, si prevede che il conduttore possa imputare in tutto o in parte fino alla data del riscatto i canoni di locazione in conto del prezzo di futuro acquisto dell’alloggio sociale. Il riscatto è possibile dopo 7 anni di locazione.

– Stimoli all’edilizia sociale: si prevede di aumentare l’offerta attraverso interventi di ristrutturazione ma anche di sostituzione del patrimonio e cambi di destinazione d’uso anche senza opere.

Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all’attacco del premier per paura di diventare irrilevanti

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Fonte: Huffington Post
di Giacomo Galanti

Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n’è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all’angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l’antica concertazione.

Allora viene quasi automatico chiamare “nuovo” Pd il partito guidato da Renzi come il new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.

Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l’unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. “Il perire della Cgil – ha detto – corrisponde al perire nostro”. Il segretario della Cisl attacca “i populisti della politica” e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono “essere diversi sì, ma non avere l’esigenza di staccarsi – ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato”.

E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: “Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri”. Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l’austero Mario Monti – che comunque li convocava anche se a cose già fatte – piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.

Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione ‘privilegiata’, è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.

Tanto che Camusso rispedisce al mittente l’accusa di “antichità”: “Devo dire – ha spiegato – che per chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria”. “Nella nostra memoria – ha aggiunto il segretario della Cgil – penso che di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse”. “Ma in realtà – ha continuato – con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni”. La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.

Governo-Sindacati: dialogo tra sordi?

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di Michele De Sanctis

Il braccio di ferro tra Renzi e Susanna Camusso, che negli ultimi giorni ha esacerbato le polemiche scaturite dalla divulgazione del Jobs Act, merita alcune brevi osservazioni, nell’imminenza della presentazione ufficiale del ddl lavoro.
Sebbene i rapporti tra sinistra e CGIL siano sempre stati ispirati da un tacito principio collaborazionista, negli ultimi anni, complice la crisi e le pressanti richieste della trojka, abbiamo assistito a un decisivo cambiamento di rotta fino ad arrivare all’attuale premier che non si fa scrupolo nel dichiarare le sue intenzioni di procedere nel cammino delle riforme promesse con o senza l’approvazione delle principali sigle sindacali. Anche perché è opinione di Renzi che i sindacati, così come storicamente si sono configurati nella società italiana, siano forze più conservative che progressiste. Posizione opinabile e facilmente confutabile, a mio avviso. Eppure si tratta di un Presidente del Consiglio espressione di un partito che, nella sua duplice natura, conserva non solo la matrice d’ispirazione socialdemocratica e, quindi, di cooperazione con i sindacati, ma che, pure nella sua matrice centrista, non è comunque avulso dallo spirito associazionista dei trait d’union.

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Del resto, la cd. concertazione, siglata dagli accordi del luglio ’93 tra sindacati e politica, ha dato frutti importanti e duraturi per l’economia italiana. E’ solo con il secondo governo Berlusconi e lo scellerato Patto per l’Italia del 2002 che si assiste a un progressivo deterioramento dei rapporti tra istituzioni e parti sociali. Il tentativo dei governi di centrodestra è stato, infatti, quello di mettere fuori gioco la CGIL, pur trattandosi del sindacato maggiormente rappresentativo del Paese, al fine di creare una frattura tra questa Confederazione e le altre sigle. Di tale situazione, radicatasi nel corso dell’ultimo decennio, Confindustria e i rappresentanti delle parti datoriali sono stati i principali beneficiari. L’esautoramento della forza rappresentativa della CGIL si è protratto fino al caso Pomigliano, quando nel 2010 FIAT riuscì a tagliarla fuori del tutto dagli accordi decentrati.

Lavoratori-sospesi

Ma l’esclusione della CGIL dai tavoli di trattativa ha portato ad accordi impopolari, quanto iniqui e, successivamente, all’indebolimento di tutto il movimento sindacale nel suo complesso. Tant’è vero che, nel governo Monti, il ministro Fornero, ignorando i suggerimenti delle parti sociali, ha varato la sua riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale seguendo le sole linee governative, le raccomandazioni di Bruxelles, quelle di Berlino e, soprattutto, quelle delle principali banche d’affari, creando più di 100.000 esodati, problema a tutt’oggi irrisolto. Considerando un tale precedente ed il danno sociale che ne è stato determinato, sarebbe buona regola riprendere la prassi degli accordi concertati, anche perché un uomo solo, per quanto si proclami risolutivo, non può, in un sistema democratico, mettere mano da solo a nessun tipo di riforma, tanto più a quelle che impattano sensibilmente la società civile. Ci auspichiamo, dunque, un’immediata ripresa del dialogo, lasciando da parte atteggiamenti di sufficienza nei confronti di quelle associazioni che rappresentano i diretti destinatari della riforma che il Governo si appresta a varare.

Annunciata per domani la presentazione del Piano Casa.

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di Michele De Sanctis

Rinviato alle 10.00 di domani mattina il pre-Consiglio, già in programma per oggi, cui seguirà la riunione del Governo durante la quale verrà ufficialmente presentato il Piano Casa del Governo Renzi.

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La relazione tecnica al decreto legge che sarà esaminato domani dall’esecutivo indica un recupero fino a 68.000 alloggi in quattro anni, vale a dire 12.000 alloggi all’anno. Ciò sarà possibile tramite «il ripristino di quelli di risulta», più altri 5.000 «attraverso il finanziamento della pregressa manutenzione straordinaria».

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Il d.l., peraltro, ridurrà dal 15% al 10% la misura della cedolare secca sugli immobili locati a canone concordato, determinando, secondo quanto stimato dal Governo, un aumento del 5% almeno di adesioni a questo regime. La valutazione è stata effettuata su una base imponibile interessata pari a 540.000.000 Euro (prendendo a riferimento la dichiarazione dei redditi anno 2012).
La copertura prevista sarà pari a 1,35 miliardi in 4 anni. Nella relazione tecnica leggiamo che tale finanziamento avrà «un notevole impatto occupazionale sul settore dell’edilizia attualmente in crisi».

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Verranno, inoltre, stanziati 568.000.000 per il recupero degli alloggi ex IACP. Ma il finanziamento riguarderà soltanto i conduttori con reddito annuo lordo familiare inferiore a € 27.000 e che abbiano nel proprio nucleo persone di oltre 65 anni, malati terminali ovvero portatori di handicap con invalidità superiore al 66%. La relazione stima che «il costo di intervento per ciascun alloggio da recuperare si può ragionevolmente stimare in 30-40 mila euro».

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Il Piano Casa del Governo Renzi prevede, inoltre, una detrazione media IRPEF di 530 euro per gli inquilini che prenderanno in locazione alloggi popolari a canone concordato. La detrazione sarà di un massimo di € 900 per redditi complessivi fino a 15.493,71 Euro e un minimo di € 450 per redditi tra i 15.493,71 e i 30.987,41 Euro. Il numero di alloggi interessati é calcolato nella misura di 40.000 unità. In termini di competenza la relazione tecnica stima una perdita di gettito di 21,2 milioni l’anno, mentre in termini di cassa, se quest’anno non ci sarà aggravio, dal 2015 la perdita di gettito passerà dai 37,1 milioni ai 21,2 dei prossimi anni, fino al 2018 quando il conto dovrebbe tornare positivo con +15,9 milioni.

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La riforma del settore in parola sarà presentata insieme al ddl lavoro.
BlogNomos, che ha già esaminato i punti del Jobs Act e con oggi la relazione tecnica al Piano Casa, vi terrà informati sulle novità ufficializzate dalla squadra di Governo non appena si renderanno disponibili.
Continuate a seguirci…

MDS

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA

Riflessioni di un pendolare qualunque

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Il vero metro è la ferrovia che come la CIA te può insegnà che una differenza sostanziale e profonda tra prima e seconda ci deve stà, così cantava il dissacrante Rino Gaetano tanti anni fa. Ed è ancora quello il metro. Per noi viaggiatori dei giorni feriali lo è sempre. Ma al sabato e alla domenica torniamo gente normale che, nel conforto delle proprie dimore, prova a non sentirsi in seconda classe. E per due giorni ci concediamo il lusso di essere cittadini. Punto.

di Michele De Sanctis

È notizia recente: due treni si sono scontrati in un tratto a binario unico tra Gimigliano e Cicala, nei pressi di Catanzaro. È  solo l’ultimo di una serie di incidenti ferroviari, che sebbene in diminuzione negli ultimi tempi, restano comunque un fenomeno preoccupante per chi sul treno sale ogni giorno per andare a lavorare e per tutti quelli che, anche se sporadicamente, scelgono di viaggiare con Trenitalia. Anche il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, in seguito a quest’ultimo fatto di cronaca ha sottolineato l’emergenza del sistema ferroviario italiano, segnalando che gli incidenti ferroviari in Italia sono ancora troppi e che è necessario intervenire per incrementare la sicurezza sulle rotaie del nostro Paese, aggiungendo, inoltre, che è assolutamente necessario migliorare controlli e manutenzione.

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È vero. Serve manutenzione. Soprattutto sui trasporti locali in tutta Italia, sulle Frecce della tratta adriatica, dove la Freccia Bianca “corre” su binari insufficienti, nelle giornate di pioggia quasi lambiti dalle onde del mare in tempesta nel tratto fermano ed ascolano e quasi sommersi tra San Benedetto e Pescara da innocui fiumi secondari che l’imperizia, la negligenza e la connivenza dei nostri amministratori hanno trasformato in bombe ad orologeria. Treni regionali cancellati, Eurostar che viaggiano con 30, a volte anche 60 minuti di ritardo a causa di un guasto ai motori. E il ritardo non è un avvenimento così raro, così come la cancellazione dei treni regionali, quando il ritardo non è più recuperabile. La scorsa settimana l’Intercity per Rimini, con partenza da Ancona Marittima, ha impiegato quasi venti minuti per arrivare ad Ancona Centrale. Io ero su quel treno. Non so come sia proseguita la corsa, perché alla stazione centrale ho effettuato il cambio per salire sulla Freccia per Taranto, che, per fortuna, era in ritardo di dieci minuti, ma vi giuro che venti minuti sono quelli che avrei impiegato dal porto alla stazione se avessi scelto di muovermi sulle mie gambe.

E che dire del tratto ligure dove a gennaio un treno Intercity è deragliato, a causa di una frana, sulla linea Genova-Ventimiglia, in un tratto a binario unico, bloccando tutto il traffico ferroviario, anche quello con la Francia? Lo sapete che quel treno è rimasto lì fino a metà febbraio, quando finalmente è stata portata a termine la demolizione della  terrazza parcheggio franata per lo smottamento? Le foto che circolavano in rete con quel treno in bilico tra terra e mare sembravano quasi simboleggiare l’immobilismo in cui versa attualmente il nostro Paese tra crollo e ripresa e nessuna azione per rimetterlo sui binari. Un’istantanea di questi anni terribili di crisi. La tempistica per ripristinare il tratto ferroviario non sarà breve e nel frattempo la viabilità di questa linea resterà un inferno. E a pagarne il prezzo saranno principalmente i pendolari, cui verrà intanto negato (o quanto meno diminuito) un servizio essenziale. Per non parlare, poi, dei danni sotto il profilo commerciale e turistico. Merci provenienti dalla vicina Francia che non potranno transitare verso il porto di Genova per settimane, la provincia di Imperia isolata, il timore che a inizio stagione la Riviera sarà ancora interrotta con pesanti ripercussioni sul settore alberghiero.

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Ma i disagi che i pendolari italiani devono affrontare non sono solo quelli dovuti alla scarsa manutenzione dei binari. Anche i treni lasciano un po’ a desiderare. Quando c’è un guasto ai motori, non solo il treno non riparte, nemmeno l’aria condizionata funziona. Sapete che vuol dire stare per più di mezz’ora in pieno inverno alle sei di mattina in un treno fermo e al buio? Vi auguro di non scoprirlo mai, non è una bella esperienza. Ma è sicuramente meglio che viaggiare in agosto con l’aria condizionata fuori servizio, quando la temperatura percepita dai viaggiatori si avvicina a quella di termofusione. E vogliamo parlare di ciò che è accaduto lo scorso 21 novembre ai viaggiatori del treno Pisa-Aulla? Fuori pioveva e anche nel treno le condizioni meteo non erano delle migliori: i pendolari sono stati costretti a viaggiare con l’ombrello aperto per ripararsi dall’acqua. La scena è stata immortalata in una foto scattata e pubblicata su Facebook da uno degli utenti del gruppo ‘I problemi della Linea Fs Pisa-Aulla’ che commenta ”i pendolari ormai ci sono abituati… è bello vedere le facce delle persone che usano la nostra linea per la prima volta”. Un altro utente del gruppo aggiunge che ”era già successo! Ed era successo d’estate per giunta quando si era rotto il condizionatore e gocciolava in testa alla gente. Mamma mia… ridiamo per non piangere”. La foto ha fatto il giro della rete fino a diventare virale tra i pendolari di tutto il Paese.

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Intanto si spera che a Roma vengano prese delle iniziative immediate per trovare soluzioni. Invece no. È il solito scaricabarile all’italiana, con Trenitalia che punta il dito contro Governo e Regioni, Regioni che accusano Trenitalia e chiedono iniziative al Governo, il Governo che promette e i cittadini, intanto, trattati come merci, le bestie forse viaggiano con confort maggiori sui treni italiani. Lupi prometteva un tavolo di incontro (o scontro?), ma non ne sono riuscito a reperire notizia alcuna in rete. C’è mai stato?

E poi e poi…e poi ci sono tutti quei treni soppressi per carenza di fondi nel corso del 2013. A ottobre varie Regioni hanno deciso di usare le forbici. In Piemonte tagli per 5 milioni con la soppressione di 18 treni che collegano la regione con la Liguria e disagi per oltre duemila pendolari. Gli interregionali Milano-Venezia sono diventati una barzelletta: a luglio la Regione Veneto ne aveva soppressi 8, sostituendoli con i più lenti regionali, causando disagio per circa diecimila utenti. A dicembre la Lombardia ha ripristinato la tratta, ma solo fino a Verona senza, peraltro, garantire le coincidenze. Così per andare a Venezia ed evitare il trasbordo a Verona, i quattromila pendolari giornalieri tra le due regioni sono ora costretti a servirsi dei Frecciabianca, che costano dal doppio al triplo di un interregionale. Un favore all’Alta Velocità. A settembre in Calabria 14 sono stati i treni locali soppressi, decisione che aveva spinto il Pd a presentare un’interrogazione alla Camera. La scure si è poi abbattuta anche sugli Intercity: a fine ottobre Trenitalia ha deciso di tagliarne 12 tra la Toscana e altre 8 Regioni, dal Friuli alla Campania. I pendolari sono scesi sul piede di guerra e la politica si è mossa: il 24 ottobre i governatori interessati hanno scritto al presidente del Consiglio Enrico Letta e il Pd ha presentato un’interpellanza alla Camera.

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Intanto, il 20 novembre 2013 l’Italia è finita nel mirino della Commissione UE per lo scarso interesse mostrato verso le condizioni di vita dei suoi 3 milioni di pendolari. Bruxelles ha inviato a Roma un parere motivato (secondo stadio della procedura di infrazione) perché lo Stato, a 4 anni dal regolamento che avrebbe dovuto essere attuato entro il 3 dicembre 2009, non ha ancora istituito un’agenzia nazionale permanente per vigilare sulla corretta applicazione dei diritti dei passeggeri nelle ferrovie, né stabilito norme volte a sanzionare le violazioni della legislazione comunitaria. Se l’Italia non avesse provveduto entro 2 mesi, la Commissione avrebbe avuto facoltà di deferire lo Stato alla Corte di Giustizia del Lussemburgo. Cosa aspetta la Commissione a deferirci. Che sia la volta buona per i pendolari d’Italia.

Da Trenitalia, poi, Mauro Moretti, amministratore delegato della società, che da tempo sostiene che il trasporto locale è un problema, perché non si ripaga con i biglietti, ha prima minacciato, a fine 2012, di interrompere il servizio, mentre nel 2013 ha proposto di tassare i pendolari per fare cassa e svuotare i treni locali, istituendo fasce tariffarie differenziate, con sistemi di incentivazione e disincentivazione di certi orari. Per l’a.d. di Trenitalia i biglietti dei treni più affollati dovrebbero costare più degli altri. A novembre ha inoltre dichiarato: “Stiamo investendo 3 miliardi per comprare treni locali, peccato che dalla politica non abbiamo visto un centesimo”.

Per gennaio il gruppo aveva annunciato l’arrivo di 70 nuovi treni per il trasporto locale in Piemonte, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo e Calabria, per un investimento di 450 milioni di euro. Utili, peccato per le quotidiane inefficienze. Sapevate che per andare da Ancona a Fabriano, provincia di Ancona, con un regionale, ci vuole circa mezz’ora in più che per arrivare a Pescara sulla Frecciabianca? Treno nuovo, ma stessi binari.

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Vero è che ai nostri politici il trasporto ferroviario sta particolarmente a cuore. Ma negli ultimi anni, il trasporto che più attira il loro interesse è quello sulle Frecce e Italo. A fine anno, il Ministro Lupi aveva persino annunciato sconti sull’alta velocità, per incentivarne lo sviluppo. Sembra quasi che sul fronte trasporti il nostro Paese abbia sposato il concetto europeista delle due velocità. C’è chi viaggia lento e male sui treni locali e gli utenti dell’Alta Velocità, che, come recita lo slogan, viaggiano sulla metropolitana d’Italia. Sulla tratta tirrenica e al Nord. Provate a farvi Taranto Milano sulla Frecciabianca: tranquilli, non va così veloce, anche se siete deboli di cuore, sarà come un viaggio in calesse.

La verità è che i treni ad alta velocità stanno uccidendo la rete ferroviaria italiana. Se la storia ci insegna che ogni volta che la società è avanzata economicamente, la velocità dei trasporti è aumentata, per facilitare gli scambi commerciali è, altresì, vero che questa volta è arrivata l’onda lunga di una rete ferroviaria che prima di essere completata era già stata investita da una crisi economico-finanziaria senza precedenti. Il risultato è che per incentivare l’uso dei treni ad alta velocità vengono meno i servizi ferroviari essenziali, il tempo di percorrenza finisce per essere più o meno lo stesso ma con costi tre volte superiori. E s’inverte la parabola per cui il trasporto ferroviario giocherebbe un ruolo chiave nel contenimento delle emissioni dannose all’ambiente, poiché il suo diretto concorrente, il trasporto aereo, paradossalmente prolifica. L’aumento di linee ferroviarie ad alta velocità produce un aumento di compagnie aeree low-cost, così che invece di sottrarre viaggiatori al trasporto aereo lo favoriscono, cambiando di fatto la tipologia stessa dei viaggiatori: mentre prima a utilizzare l’aereo era il benestante mentre il treno risultava accessibile a tutti, oggi il treno ad alta velocità diventa prerogativa di pochi e i molti approfittano di tariffe aeree competitive.

Restano, infine, quei pendolari qualunque che ogni giorno affrontano la sfida dei trasporti locali, sperando ogni mattina di riuscire a smarcare il cartellino a un orario decente. E magari di riuscire anche a tornare a casa.

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