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L’ITALIA PUÒ TORNARE COMPETITIVA?

di Germano De Sanctis

L’economia italiana, al pari di gran parte delle altre economie degli Stati Membri della Unione Europea, non riesce ad uscire dalla crisi economica e finanziaria. Infatti, siamo quotidianamente “bombardati” dagli allarmanti dati sulla costante recessione e dalle costanti previsioni sulla permanente deflazione.

Questa incapacità di uscire dalla crisi è principalmente cagionata dall’assenza di una reale ripresa dell’economia nazionale, la quale, a sua volta, è determinata da una perdurante assenza di competitività.

Per comprendere meglio questa affermazione, basta considerare il fatto che la crisi finanziaria del 2007 ha colpito in modo differente i singoli Paesi europei. Infatti, gli Stati europei che avevano investito nei decenni precedenti nelle aree fondamentali per la crescita economica (come, ad esempio, l’istruzione, la formazione del capitale umano, la ricerca e lo sviluppo etc.) hanno saputo gestire meglio questa difficile fase. Invece, i Paesi denominati dalla poco edificante etichetta di “Pigs” (cioè, Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) hanno subito maggiormente gli effetti negativi della crisi, proprio perché avevano in precedenza dedicato pochissime risorse a questo genere di investimenti. Inoltre, in Italia, la crisi economica è accompagnata anche dalla difficile gestione del proprio debito sovrano. Appare evidente come un simile quadro produca una seria crisi di competitività.

Inoltre, le generiche politiche di austerità finora adottate hanno contribuito ad aggravare i fenomeni recessivi in atto, in quanto, l’Italia, al pari dei Paesi europei che versano nelle sue medesime condizioni, necessita prioritariamente di riforme “strutturali”, capaci di stimolare la crescita.

Tuttavia, in un quadro di così profonda crisi, la crescita non può essere prodotta soltanto facendo ricorso agli investimenti privati in un’ottica di loro autoregolamentazione neoliberista.

Forse è il caso di ragionare sull’utilità di nuove politiche di stampo keynesiano, dove lo Stato interviene nell’aumentare gli investimenti in quei settori capaci di aumentare la produttività e di generare la crescita. In altri termini, lo Stato deve investire sull’istruzione, sulla formazione e sulla ricerca.

Tuttavia, simili politiche d’intervento necessitano di istituzioni pubbliche dinamiche, capaci di assicurare un efficace collegamento tra il mondo scientifico, i settori industriali ed il sistema finanziario. Soltanto in tal modo, si potrà garantire la ricaduta tecnologica della migliore ricerca scientifica, attraverso l’avvio di politiche industriali innovative e supportate da investimenti finanziari a lungo termine.

Personalmente, ritengo che lo sforzo che la BCE intende compiere attraverso il c.d. il “Quantitative Easing” sia un’operazione necessaria, ma non sufficiente. Infatti, tale operazione fallirebbe se la sua iniezione di denaro fosse destinata solo al sostegno del credito. Invece, bisogna dirottare questo futuro aumento di liquidità monetaria verso i settori produttivi dell’economia reale. Però, per raggiungere un simile risultato, è imprescindibile l’intervento delle istituzioni pubbliche, così come l’esperienza passata ha già avuto modo di insegnare. Basti pensare, ad esempio, all’operazione compiuta recentemente negli USA con il programma di misure di stimolo promosso da Barak Obama.

Appare, quindi, evidente che l’Eurozona deve immediatamente elaborare politiche d’intervento unitarie, se non vuole attraversare l’intero 2015, inseguendo un ripresa che, altrimenti, non arriverà mai. Le istituzioni comunitarie ed i Singoli Stati Membri devono avere il coraggio di avviare politiche “solidali” di crescita e sviluppo, capaci di eliminare gli squilibri macroeconomici attualmente esistenti tra le singole economie nazionali. Anche la “locomotiva tedesca” ne beneficerebbe, godendo del maggiore potere di acquisto dei cittadini dell’intero continente europeo, il quale rappresenta, tuttora, il suo principale mercato d’esportazione.

Tuttavia, la competitività non si raggiunge abbattendo i costi della manodopera, ma acquisendo la capacità di produrre in maniera competitiva prodotti di alta qualità, che il resto mondo intende acquistare, ma che non è ancora capace di produrre, o di realizzare con i medesimi standard di fabbricazione.

Pertanto, bisognerebbe ricercare subito le risorse per avviare un simile genere di investimenti, partendo dai fondi strutturali comunitari, che dovrebbero essere prioritariamente destinati all’avvio di progetti innovativi, fattibili e con forti ricadute sociali. Risulta chiaro il fatto che una simile politica comporterebbe anche un necessario ripensamento del ruolo della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Inoltre, bisognerebbe contestualmente rivedere il sistema dei controlli legati a tali finanziamenti. Le Pubbliche Amministrazioni e le imprese degli Stati Membri che ricevono risorse comunitarie devono garantire modalità gestionali adeguate per prevenire ed evitare ogni forma di truffa, nonché per garantire un utilizzo efficace delle medesime. Non sto alludendo all’imposizione di mere politiche di austerity, capaci solo di provocare circoli viziosi di assenza di crescita. Sto alludendo a politiche capaci di verificare ex ante il reale raggiungimento dei risultati attesi.

Tengo a precisare che l’assenza di crescita in Italia non è condizionata soltanto da una Pubblica Amministrazione eccessivamente burocratizzata, ma è anche limitata da un settore privato che da troppo tempo non si distingue più (salvo rare e felici eccezioni) per essere adeguatamente dinamico e innovativo.

Ciò detto, non si può pretendere che il settore privato sia dinamico ed innovativo, in assenza di un settore pubblico altrettanto dinamico e innovativo. Il problema della Pubblica Amministrazione non risiede principalmente nel suo eccesso di burocratizzazione, ma nella sua incapacità (a differenza di molti altri Stati europei) di finanziare adeguatamente l’istruzione, la ricerca e l’innovazione, allo scopo di incrementare lo sviluppo del capitale umano. In altri termini, la Pubblica Amministrazione italiana non è stata finora in grado di favorire l’implementazione di quei settori che determinano la crescita e la produttività.

Ovviamente, il settore pubblico non può determinare da solo l’avvio di una nuova fase di crescita, in quanto necessita di un settore privato capace di raccogliere una simile sfida. Affinché si riesca a garantire una efficace ricaduta tecnologica degli investimenti pubblici in materia di ricerca ed innovazione, vi deve essere un settore privato capace di comprendere e sfruttare le opportunità di profitto offerte dall’innovazione tecnologica, introducendo nuove tipologie di prodotti, la cui utilità marginale è insita nel valore aggiunto del prodotto in sé, e non nel suo basso costo di produzione.

In estrema sintesi, il settore pubblico ed il settore privato devono assumere insieme i rischi della ricerca, per, poi, goderne insieme dei benefici conseguenti.

Questa sinergia tra pubblico e privato in materia di ricerca ed innovazione deve divenire una sorta di cooperazione allargata tra imprese private e Pubbliche Amministrazioni, capace di produrre ricchezza attraverso la crescita della società italiana.

Si tiene a precisare che non si sta delineando un politica economica statalista e/o assistenziale. Si sta solo evidenziando che un sistema di imprese private, per quanto innovativo e dinamico voglia e possa essere, non ha la forza di affrontare da solo alcune tipologie di investimenti aventi ad oggetto ricerche con ricadute tecnologiche ed economiche soltanto di lungo periodo. Invece, tali tipi di investimento devono essere supportati dal settore pubblico, il quale deve avere la forza e la lungimiranza di garantire alla propria economia nazionale una riserva di risorse all’uopo dedicate. Soltanto operando in tal modo, si potrà garantire la crescita necessaria per garantire uno sviluppo sostenibile della società.

L’assenza di un ruolo dello Stato nel promuovere l’innovazione e la ricerca è la ragione dell’entropia di un sistema economico nazionale ed è, altresì, la base di un costante ed irreversibile fenomeno d’impoverimento per assenza di crescita. Pertanto, lo Stato deve svolgere un ruolo essenziale nel sostenere i primi passi dei grandi processi di innovazione, in quanto, di fronte a progetti d’investimento molto ampi ed a lunga gittata, il settore privato non è disposto a correre rischi giudicati troppo alti.

Chiaramente, un simile ragionamento impone un totale ripensamento “culturale” della Pubblica Amministrazione italiana, la quale, fin quanto sarà ritenuta una macchina burocratica inefficiente e parassitaria, difficilmente riuscirà ad attrarre al suo interno figure professionali capaci realmente di innovare.

In estrema sintesi, l’Italia ha smesso di essere competitiva e non riesce ad avere un’economia in crescita, in quanto lo Stato ha smesso di svolgere da troppo tempo il suo ruolo di promotore dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico, supportando adeguatamente le risorse intellettuali disponibili.

Bisogna, quindi, abbandonare le concezioni che vedono l’intervento diretto dello Stato, solo come evento sussidiario di ultima istanza in caso di fallimento del mercato. Infatti, tutte le grandi scoperte tecnologiche hanno sempre visto protagonista lo Stato, nel ruolo di finanziatore iniziale della ricerca scientifica pura, per, poi, “trasferire” le ricadute tecnologiche di tale ricerca finanziata al sistema imprenditoriale privato.

Non è possibile supportare l’innovazione, soltanto attraverso l’abbattimento dell’imponibile fiscale e mediante la riduzione della regolamentazione giuslavoristica. Un prodotto industriale non diventerà mai competitivo, soltanto riducendone i costi di produzione, ma rendendolo appetibile per il mercato, in modo tale che il suo costo di produzione sia rilevante solo relativamente alla quantificazione dei ricavi ottenuti dalla sua vendita. Tale affermazione trova riscontro nell’analisi dei fatti, la quale dimostra esattamente il contrario e, cioè, che l’aumento del costo unitario del lavoro è il diretto risultato del calo della produttività dovuto alla diminuzione degli investimenti pubblici e privati e pubblici in tutti i settori capaci d’incrementare la crescita del capitale umano e lo sviluppo dell’innovazione.

In conclusione l’Italia tornerà a crescere soltanto se il settore pubblico sarà capace di avviare una politica industriale, capace di promuovere lo sviluppo di imprese (anche piccole) innovative, attraverso investimenti a medio e lungo termine.

L’intervento pubblico dovrà essere comunque d’ausilio (e non sostitutivo) dei  pur sempre necessari investimenti privati, i quali dovranno essere, a loro volta, supportati da un settore finanziario finalmente riformato. In tal modo, si potrà ottenere un felice ricongiungimento tra la finanza e l’economia reale, in grado di garantire un lungo periodo di crescita stabile e costante. In altri termini, necessita un intervento del settore finanziario a favore degli investimenti di lungo termine e a supporto dei processi d’innovazione tecnologici e produttivi.

Inoltre, l’economia reale dovrà anche beneficiare di una politica fiscale progressiva (e non regressiva) a lungo termine, posta a sostegno del processo d’innovazione e che esuli da meri tagli orizzontali della tassazione, i quali sono capaci soltanto di favorire gli speculatori.

Infine, lo Stato dovrà attivarsi per costruire un nuovo sistema di dinamiche relazionali con le parti sociali. Soltanto in tal modo, sarà possibile negoziare condizioni migliori per tutti i lavoratori, senza pregiudicare la redditività delle singole produzioni, in un periodo in cui i profitti continuano a crescere in rapporto ai salari. Il mondo sindacale non deve essere confinato in un ruolo di strenuo difensore di diritti acquisiti dalle precedenti generazioni di lavoratori, ma, al contempo, incapace di proporre un modello condiviso di sviluppo. Esso deve essere coinvolto dal settore pubblico nel processo d’innovazione, fino a trasformarlo in un soggetto che contribuisce attivamente all’avvio di una nuova fase di crescita nazionale, trainata dall’innovazione tecnologica e dai nuovi cicli produttivi.

Questa sinergia di interventi dovrebbe infondere al settore privato quel necessario coraggio ad investire nell’innovazione che è ormai assente in Italia da troppo tempo.

In estrema sintesi, l’Italia tornerà a crescere, soltanto se si riscontrerà la presenza congiunta delle politiche pubbliche per l’innovazione, della riforma del settore finanziario e del riconoscimento delle ruolo delle organizzazioni sindacali nella creazione di un nuovo dialogo sociale.

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La disciplina del contratto “a tutele crescenti” contenuta nel primo decreto legislativo attuativo del Jobs Act

di Germano De Sanctis
Premessa

Il Consiglio dei Ministri tenutosi il giorno della vigilia di Natale ha approvato i primi due decreti attuativi della Legge delega n. 183/2014, meglio nota come “Jobs Act”. Tali decreti sono in attesa di essere pubblicati sulla Gazzetta Uficiale.
Il primo decreto legislativo disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”, mentre il secondo prevede l’estensione dell’Aspi a 24 mesi.

In tale sede, esaminiamo, il decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”. Si tratta di una delle novità più rilevanti del Jobs Act, che, tra l’altro, è stata, nei mesi scorso, oggetto di un accesso dibattito politico e sindacale.
Tale nuova tipologia contrattuale si caratterizza per il fatto che le tutele riconosciute in capo ai lavoratori che firmeranno un simile contratto aumenteranno con il passare del tempo. Tuttavia, i nuovi assunti, se verranno licenziati, avranno un indennizzo soltanto di natura economica, il quale aumenterà in base all’anzianità di servizio maturata. In pratica, si esclude la possibilità del reintegro del lavoratore, fatta eccezione per i licenziamenti nulli e discriminatori.
Il contratto a tutele crescenti si applica soltanto nei confronti dei nuovi assunti. Infati, chi è già titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato continuerà a vedere disciplinato il proprio rapporto di lavoro dalle norme previgenti. Pertanto, il contratto “a tutele crescenti” sarà effettivamente vantaggioso soltanto per chi attualmente è disoccupato, ovvero è titolare di lavoro a tempo determinato, o di un contratto di collaborazione, in quanto la nuova tipologia contrattuale in esame abbatte il costo del lavoro di circa trenta punti percentuali.

Fata questa premessa, come già accennato, passiamo all’esame, articolo per articolo, del decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato “a tutele crescenti”.

Articolo 1 – Il campo di applicazione.

A far data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo da esso dettato deve essere applicato nei confronti di tutti i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo in questione, integri il requisito occupazionale di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, occupi più di quindici dipendenti), il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del decreto legislativo in esame.

Articolo 2 – Il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale.

Qualora venga emanata una sentenza che dichiari la nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio o riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, il giudice deve ordinare al datore di lavoro (imprenditore o non imprenditore) di procedere alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito del predetto ordine giudiziale di reintegrazione, il rapporto di lavoro s’intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’apposita indennità prevista dal decreto legislativo in esame. Tale regime si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace, in quanto intimato in forma orale.
Con la predetta sentenza, il giudice condanna il datore di lavoro anche al risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito del licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia. A tal fine, il giudice deve stabilire un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è, altresì, condannato, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando tale diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Articolo 3 – Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa.

Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Soltanto in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento), il giudice deve annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, fatto salvo quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 181/2000. In ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Anche in questo caso, al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
Tale disciplina applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, Legge, n. 68/1999.
Infine, si evidenzia che nei confronti del licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 del decreto legislativo in esame non trova applicazione l’art. 7, Legge n. 604/1966, così come modificato dall’art. 1, comma 40, Legge n. 92/2012. Tale norma prevede che, nelle imprese con più di quindici dipendenti (nel settore agricolo, con oltre i cinque dipendenti), il ricorso ad un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione provinciale istituita in ogni Direzione Territoriale del Lavoro, attivabile attraverso una procedura che inizia con una comunicazione inviata a tale organo periferico del Ministero del Lavoro, nonché, per conoscenza, all’interessato, con la quale il datore di lavoro comunica la propria intenzione di procedere al recesso, indicando, sia le motivazioni, sia le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione.

Articolo 4 – I vizi formali e procedurali.

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato violando il requisito di motivazione previsto dall’art. 2, comma 2, Legge n. 604/1966, ovvero non rispettando la procedura disciplinare ex art. 7, Legge n. 300/1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle poc’anzi esaminate tutele previste dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo in questione.

Articolo 5 – La revoca del licenziamento.

In caso di revoca del licenziamento effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro s’intende ripristinato senza soluzione di continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca. In tale ipotesi, non si applicano i regimi sanzionatori previsti dal decreto legislativo in esame.

Articolo 6 – L’offerta di conciliazione.

In caso di licenziamento dei lavoratori di cui al già esaminato articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all’art. 2113 c.c. (che disciplina le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge) ed all’art. 82, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 (che disciplina le rinunce e transazioni in sede di certificazione dei contrati di lavoro), un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e che non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L’ammontare di tale importo è pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Articolo 7 – Il computo dell’anzianità negli appalti.

Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa che subentra in un appalto si deve computare tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Articolo 8 – Il computo e la misura delle indennità per frazioni di anno.

Per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità e l’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, devono essere riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si devono computare come mese intero.

Articolo 9 – Le piccole imprese e le organizzazioni di tendenza.

Qualora il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, non occupi più di quindici dipendenti), non trova applicazione la disciplina prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3 e l’ammontare delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4 e di offerta di conciliazione ex articolo 6 deve essere dimezzato e non può, in ogni caso, superare il limite di sei mensilità.
Inoltre, la disciplina contenuta nel decreto legislativo in questione trova applicazione anche nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto.

Articolo 10 – Il licenziamento collettivo.

In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24, Legge n. 223/1991 intimato senza l’osservanza della forma scritta, si deve applicare il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo in esame. In caso di violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, comma 12, Legge n. 223/1991 o dei criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, Legge n. 233/1991, si deve applicare il regime contenuto nell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo in questione.

Articolo 11 – Il contratto di ricollocazione.

È istituito, presso l’INPS, il Fondo per le Politiche Attive per la Ricollocazione dei Lavoratori in Stato di Disoccupazione Involontaria, al quale affluisce la dotazione finanziaria del Fondo istituito dall’art. 1, comma 215, Legge n. 147/2013, il quale era stato costituito per avviare alcune sperimentazioni in sede regionale del contratto di ricollocazione, al fine di favorire il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in regime di deroga e di lavoratori in stato di disoccupazione.
Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24 Legge n. 223/1991, ha il diritto di ricevere dal Centro per l’Impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione che egli effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, ai sensi dell’emanando decreto legislativo attuativo della delega contenuta nella Legge n. 183/2014 ( meglio nota come “Jobs Act”), in materia di politiche attive per l’impiego.
Inoltre, presentando il voucher ad una Agenzia per il Lavoro pubblica o privata accreditata secondo quanto previsto dal predetto emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego, il lavoratore interessato ha diritto a sottoscrivere con essa un contratto di ricollocazione che deve, a sua volta, prevedere:

  • il diritto del lavoratore a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’Agenzia per il Lavoro;
  • il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’Agenzia per il Lavoro di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
  • il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’Agenzia per il Lavoro nelle iniziative da essa predisposte.

L’ammontare del voucher è proporzionato in relazione al predetto profilo personale di occupabilità e l’Agenzia per il Lavoro ha diritto ad incassarlo soltanto a risultato ottenuto secondo quanto stabilito dall’emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego.

Articolo 12 – Il rito applicabile.

Infine, i licenziamenti disciplinati dal decreto legislativo in esame non sono sottoposti alle disposizioni contenute dall’art. 1, commi da 48 a 68, Legge n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”).

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LE DELEGHE LEGISLATIVE CONTENUTE NEL JOBS ACT

di Germano De Sanctis

Premessa.

Nel corso della giornata del 3 dicembre scorso, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge delega di riforma del lavoro, meglio nota come “Jobs Act”. Entro entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, dovranno essere emanati i suoi Decreti Legislativi attuativi.

Esaminiamo nel dettaglio il contenuto delle deleghe conferite al Governo, evidenziando che esse interessano le seguenti cinque importanti aree tematiche:

  1. gli ammortizzatori sociali;
  2. i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro;
  3. le procedure e gli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro;
  4. la disciplina dei rapporti di lavoro e l’attività ispettiva;
  5. la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

La delega in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, contiene una specifica delega al Governo per la riforma degli di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi e senza produrre nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (cfr., art 1, comma 12).

In particolare, tale delega interviene nella materia della disoccupazione involontaria, prevedendo l’introduzione di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, attraverso:

  • la razionalizzazione della normativa in materia di integrazione salariale;
  • il coinvolgimento attivo di quanti siano stati espulsi dal mercato del lavoro, ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali;
  • la semplificazione delle procedure amministrative;
  • la riduzione degli oneri non salariali del lavoro.

L‘art. 1, comma 2, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega in esame.

In primo luogo, con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, la legge delega prevede:

  • l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa;
  • la semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati a livello nazionale di concessione dei trattamenti prevedendo strumenti certi ed esigibili;
  • la necessità di regolare l’accesso alla CIG solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
  • la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della CIG ordinaria e della CIG straordinaria;
  • la previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
  • la riduzione degli oneri contributivi ordinari e la rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
  • la revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà ex art. 3 Legge n. 92/2012, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi, anche attraverso l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione;
  • la revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà ex Legge n. 863/1984;

Invece, per quanto concerne gli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, la legge delega dispone:

  • la rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
  • l’incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
  • l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
  • l’introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • l’eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale.

Inoltre, i beneficiari degli ammortizzatori sociali dovranno essere destinatari di meccanismi ed interventi che incentivino la ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati (di cui all’art. 1, comma 4, lett. v)) d’istruzione, formazione professionale e lavoro, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica. Coerentemente, viene previsto l’adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, o a programmi di formazione.

La delega in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro.

L’art. 1, comma 3, contiene la delega al Governo in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro. L’attività riformatrice oggetto di siffatta delega legislativa intende garantire un’effettiva fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva per il lavoro su tutto il territorio nazionale, unitamente all’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

L’art. 1, comma 4, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega cui il Governo deve attenersi. Essi sono:

  • la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti;
  • la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, anche nella forma dell’acquisizione delle imprese in crisi da parte dei dipendenti;
  • l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (qui, di seguito, denominata “Agenzia”), partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente;
    il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
  • l’attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro e ASpI;
  • la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
  • la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità ex Legge n. 68/1999;
  • l’individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
  • la determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
  • il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
  • la valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, nonché operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
  • la valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia;
  • l’introduzione di principi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
  • l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
  • la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS (sia a livello centrale, che territoriale), al fine di favorire una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito;
  • la previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che (a livello centrale e territoriale) esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
  • il mantenimento in capo alle Regioni ed alle Province Autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
  • l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati di istruzione, formazione professionale e lavoro.

La delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro.

La delega legislativa contenuta nell’art. 1, comma 5, concerne il conseguimento di obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure in materia di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

I principi ed i criteri direttivi da osservare durante l’esercizio della delega legislativa in esame sono contenuti nell’art. 1, comma 6. Essi sono:

  • la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
  • la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
    l’unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse Amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
  • l’introduzione del divieto per le Pubbliche Amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
  • il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
  • la revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
    la previsione di modalità semplificate per garantire data certa, nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
  • l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
  • la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, anche con riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
  • la promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).

La delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti e per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

L’art. 1, comma 7, reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti, nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, l’art. 1, comma 7, ha delegato il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi. Uno di tali decreti legislativi deve contenere un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro.

L’esercizio della delega legislativa avverrà nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, in funzione dei predetti interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
  • la promozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
  • la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento;
  • il rafforzamento degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro;
  • la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando gli interessi dei datori di lavori con gli interessi dei lavoratori, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento;
  • la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
  • l’introduzione (anche in via sperimentale) del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • la previsione, nel rispetto dell’art. 70 D.Lgs. n. 276/2003, della possibilità di estendere, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi;
    l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
  • la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia Unica per le Ispezioni del Lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, prevedendo, altresì, strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

La delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare le cure parentali, la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

L‘art. 1, comma 8, prevede una specifica delega al Governo, finalizzata a garantire un adeguato sostegno alle cure parentali, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici, nonché a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. Tale delega sarà attuata entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla revisione e all’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

I principi ed i criteri direttivi di tale delega sono rinvenibili nell’art. 1, comma 9. Essi sono:

  • la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
  • la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
  • l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici (anche autonome) con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo;
  • l’armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
  • l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
  • l’eventuale riconoscimento (compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite) della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al CCNL in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
  • l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle imprese e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative;
  • la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • l’introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza.

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La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act

di Germano De Sanctis

Premessa

Come è noto, dopo l’approvazione da parte della della Camera dei Deputati avvenuta lo scorso 25 novembre, il Jobs Act è ritornato al Senato per la terza lettura. Il disegno di legge sarà discusso in aula il 2 dicembre con l’obiettivo di giungere alla sua approvazione entro il 4 dicembre senza ulteriori modifiche.

Con l’entrata in vigore del Jobs Act (cioè, il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), inizieranno a decorrere i sei mesi che il Governo avrà a disposizione per emanare i vari decreti legislativi attuativi della legge delega.

In particolare, il Jobs Act interviene in materia di ammortizzatori sociali. Esaminiamo come tali istituti giuridici muteranno con l’approvazione del disegno di legge in questione, ricordando velocemente come sono attualmente disciplinati.

La disciplina vigente degli ammortizzatori sociali.

La normativa in vigore (cioè, la Legge n. 92/2012, c.d. “Riforma Fornero”), prevede che, in caso di licenziamento, al lavoratore debbano essere erogate due indennità: l’ASpI e la Mini ASpI.

L’ASpI viene riconosciuta alle seguenti tipologie di lavoratori che risultano aver perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà:

  • i lavoratori dipendenti del settore privato;
  • i lavoratori assunti con contratto di apprendistato;
  • i lavoratori di cooperativa.

Sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’AspI:

  • i dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche Amministrazioni;
  • gli operai agricoli;
  • i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale.

Per poter essere beneficiari dell’ASpI, bisogna possedere due requisiti:

  • essere assicurati all’INPS da minimo due anni;
  • aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

I lavoratori che non possiedono i predetti requisiti possono beneficiare della Mini ASpI, a condizione che abbiano versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi. In tale ipotesi, costoro riceveranno un’indennità per un lasso di tempo pari alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act.

Il Jobs Act riforma interamente il poc’anzi descritto sistema degli ammortizzatori sociali contenuto nella Riforma Fornero. L’AspI e la Mini ASpI vengono radicalmente trasformate con lo scopo di tutelare una platea più ampia di lavoratori e, di conseguenza, aumentare il livello di equità dei sussidi garantiti dal Governo.
In particolare, l’ASpI verrà estesa ed universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro senza possibilità di reintegro ed estenderà il suo ambito di applicazione anche a favore dei co.co.pro. (però, con l’esclusione degli amministratori e dei sindaci), mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, nonché attraverso l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e dell’automaticità delle prestazioni. A tal fine, è previsto, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite.
In estrema sintesi, l’AspI e la Mini AspI saranno unificate in un’unica indennità, la cui durata sarà direttamente proporzionale al periodo contributivo maturato dal lavoratore. Pertanto, in virtù di tale stretto rapporto con la pregressa storia contributiva del lavoratore, coloro che hanno lavorato per molti anni, saranno beneficiari del sussidio di disoccupazione per un tempo maggiore.

L’universalizzazione dell’AspI comporterà le seguenti modifiche sostanziali all’intero sistema contributivo vigente:

  • introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
  • attivazione a favore del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali di meccanismi ed interventi finalizzati all’incentivazione della ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati;
  • previsione di un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali, tale da consistere anche nello svolgimento di attività a beneficio delle comunità locali, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alla Pubblica Amministrazione;
  • adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito, che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione, o ad attività a beneficio di comunità locali.

Vista la chiara volontà d’introdurre un sistema di garanzia universale, sarebbe auspicabile che i decreti legislativi prevedano, in caso di disoccupazione involontaria, la costituzione di un sistema di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché una riduzione adeguata della severità dei criteri di accesso per l’AspI, al fine di garantire un effettivo ampliamento della platea dei lavoratori tutelati. Ovviamente, una operazione del genere manterrebbe una sua equità, a condizione che la durata del sostegno al reddito sia modulato in relazione alla anzianità contributiva del lavoratore interessato ed, nel rispetto della delega legislativa, incrementando l’attuale durata a favore di quei lavoratori che posseggono una importante anzianità contributiva.

Gli interventi del Jobs Act in materia di cassa integrazione.

In primo luogo, il Jobs Act prevede che l’erogazione della CIGS venga sospesa in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo della stessa. Inoltre, è stato specificato che i meccanismi standardizzati per la concessione di ammortizzatori saranno definiti a livello nazionale.
Il Jobs Act ha, altresì, previsto che l’accesso alla cassa integrazione guadagni può avvenire soltanto a seguito dell’esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà. Appare evidente l’intenzione contenuta in tale previsione di responsabilizzare le imprese, obbligandole a farsi direttamente carico della situazione, prima di poter accedere alle nuove tutele previste dal sistema previdenziale.
In altri termini, le previsioni di carattere generale poc’anzi indicate rendono evidente che siamo di fronte ad un totale cambio di prospettiva, caratterizzato dall’idea di rivedere i limiti di durata dell’integrazione salariale in stretta correlazione ai singoli lavoratori e non, come attualmente accade, alla condizioni in cui si trova l’impresa ed alle circostanze che ne rendono necessario l’utilizzo.

A fronte di tale affermazioni di carattere generale, il disegno di legge in esame fornisce la delega al Governo per:

  • operare la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
  • prevedere una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
    ridurre gli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo.

Per quanto concerne le risorse finanziare disponibili, stante la permanenza in vigore nel 2015 della cassa integrazione, l’ASpI e la Mini ASpI eroderanno la quantità di risorse finora esclusivamente destinate alla CIG ed alla CIGS, pari a circa 1,5 miliardi di euro, a cui si dovrebbero aggiungere i circa 400 milioni di euro stanziati dal Governo Renzi per il biennio 2015/2016. Poi, come noto, la cassa integrazione e la mobilità in deroga scompariranno a partire dall’anno 2016.

Il ruolo attribuito all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione in materia di ammortizzatori sociali.

Il Jobs Act attribuisce all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (di seguito, denominata Agenzia) la competenza gestionale in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI.
Tale Agenzia si occuperà anche di servizi per il lavoro e di politiche attive e sarà partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali e meccanismi di raccordo con l’INPS.
In un ottica di diritto comparato, appaiono evidenti le assonanze con l’agenzia federale per il lavoro tedesca.
L’intenzione del legislatore delegato è quella di creare un’Agenzia capace di coordinare e gestire il collocamento, le politiche del lavoro, la formazione e gli ammortizzatori sociali, realizzando un autentico raccordo tra le politiche attive e le politiche passive del lavoro, finalizzato all’inserimento e/o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori inoccupati e/o disoccupati. Sarà interessante analizzare come il decreto attuativo in materia declinerà tali indicazioni contenute nella delega legislativa.

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L’APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONE E RICERCA

di Germano De Sancits

La definizione

L’apprendistato di alta formazione e ricerca è attualmente disciplinato l’art. 5, D.Lgs., 14 settembre 2011, n. 167. L’istituto in questione non è una novità per l’ordinamento giuslavoristico italiano, in quanto era stato precedentemente previsto dall’ormai abrogato art. 50, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, anche se diversamente denominato come apprendistato per l’acquisizione di un diploma e per percorsi di alta formazione.

Similmente a tutte le forme di apprendistato, l’ordinamento vigente definisce, all’art. 1, D.Lgs. n.167/2011, l’apprendistato di alta formazione e ricerca come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.

L’ambito di applicazione

L’art. 5, comma 1 D.Lgs., n. 167/2011, prevede l’utilizzo di tale forma di apprendistato in tutti i settori di attività, sia pubblici, che privati, purché venga perseguita una delle seguenti finalità:

  • l’attività di ricerca;
  • il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore;
  • il conseguimento di un titolo di studio universitario e/o di alta formazione, ivi compreso il dottorato di ricerca;
  • la specializzazione tecnica superiore di ex art. 69, Legge 17 maggio 1999, n. 144, con particolare riferimento al conseguimento del diploma afferente ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori previsti dall’art. 7, D.P.C.M. 25 gennaio 2008;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso ad esperienze professionali.

I destinatari

Il contratto di alta formazione e ricerca è riservato a soggetti di età compresa tra i 18 anni (compiuti) ed i 29 anni (e 364 giorni). È possibile anticipare la stipulazione del contratto in questione a partire dal diciassettesimo anno di età (compiuto) nei confronti di coloro che risultano essere già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226.

Sempre per quanto concerne i limiti minimi di età richiesti per la stipulazione, l’art. 8-bis, comma 2, D.L., 12 settembre 2013, n. 104 (convertito in Legge, 8 novembre 2013, n. 128) ha previsto una specifica deroga. Infatti, tale norma ha statuito che, con apposito decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, è avviato un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016. Il programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Tale decreto ministeriale deve definire la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.

La durata

L’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 167/2011 non ha stabilito alcun limite minimo o massimo alla durata dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, limitandosi, invece, a prevedere un rinvio alla disciplina delle singole Regioni relativamente alla regolamentazione ed alla durata, relativamente, però, ai soli profili che attengono alla formazione,

Si evidenzia che tale regolamentazione regionale deve essere effettuata in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico.

In assenza di regolamentazioni regionali per l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca, l’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 167/2011 rinvia ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

A tal fine, la Circ. Min. Lav. 11 novembre 2011, n. 29 ha chiarito che tale forma di apprendistato può essere immediatamente attivata, anche quando le singole Regioni e/o la contrattazione collettiva non abbiano disciplinato gli aspetti di rispettiva competenza, facendo ad apposite intese stipulate tra il datore di lavoro e l’istituzione formativa e/o di ricerca prescelta. La Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha specificato che, in presenza di siffatte intese, il personale ispettivo, nell’individuare eventuali responsabilità datoriali, deve tenere esclusivamente conto dei seguenti elementi di valutazione:

  • la formazione esterna, rispetto alla quale il datore di lavoro rimane responsabile, qualora essa sia stata effettivamente attivata da parte dell’ente competente;
  • la quantità, i contenuti e le modalità di svolgimento della formazione interna, rispetto alla quale il personale ispettivo deve valutare come sono stati declinati nel piano formativo individuale la qualità, i contenuti e le modalità di svolgimento previsti dal contratto collettivo di riferimento.

L’alternanza scuola e lavoro

La già citata Legge, 8 novembre 2013, n. 128 (c.d. Decreto Carrozza) ha previsto diverse misure mirate ad intensificare i contatti tra il sistema dell’istruzione scolastica ed mercato del lavoro. In particolare, tale atto legislativo si è soffermato anche sulle potenzialità che il contratto di apprendistato ha sotto questo peculiare aspetto. In estrema sintesi, è stato previsto quanto segue:

  • gli studenti egli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado impegnati nei percorsi di formazione, senza pregiudizio per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e nei laboratori, sono oggetto di nuove misure finalizzate ad implementare l’alternanza scuola-lavoro, gli stage e i tirocini, la didattica in laboratorio. L’ativazione di tali misure necessita dell’emanazione di un apposito regolamento disciplinante i diritti ed i doveri dei predetti studenti (cfr., art. 5, comma 4-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • è stata prevista l’attivazione di percorsi di orientamento e di piani di intervento. Tali percorsi contengono specifiche misure miraste alla diffusione della conoscenza del valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di formazione presso un datore di lavoro. I percorsi in questione sono riservati agli studenti della scuola secondaria di secondo grado (in particolare, quelli iscritti agli istituti tecnici e professionali). Per di più, la norma in esame chiarisce che il suo intento consiste nel favorire la diffusione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca nei percorsi degli istituti tecnici superiori. Come già detto, l’inserimento preso una compagine produttiva degli studenti interessati a seguito di stipulazione di un contratto di apprendistato può avvenire anche in deroga al limite di età (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • l’emanazione, nel corso del triennio 2014-2016, di un apposito decreto ministeriale avente ad ogetto l’attivazione di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado mediante la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese. Tale decreto ministeriale definirà anche i requisiti delle imprese ammesse, il contenuto delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti, il numero minimo di ore di didattica curriculare, nonché i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • la previsione che tutte le università (fatta eccezione per quelle telematiche) possano stipulare convenzioni con singole imprese o gruppi di imprese, finalizzate alla promozione di un’esperienza lavorativa diretta degli studenti durante la formazione post-secondaria. Nello specifico è prevista la realizzazione di progetti formativi congiunti che vedano il coinvolgimento dello studente, nell’ambito del proprio curriculum di studi, in un adeguato periodo di formazione presso le imprese aderenti al progetto mediante la stipulazione di un contratto di apprendistato (cfr., art. 14, comma 1-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128).

Le conseguenze della violazione dell’obbligo formativo

L’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 167/2011 dispone che, qualora venga riscontrata l’esclusiva responsabilità dell’inadempimento nella erogazione della formazione in capo al datore di lavoro e che tale inadempimento impedisca l’effettiva realizzazione delle finalità di cui al predetto art. 5, D.Lgs., n. 167/2011, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con l’esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione. Qualora a seguito dell’attività di vigilanza sul contratto di apprendistato in corso di esecuzione emerga un inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale deve adottare il provvedimento di disposizione previsto dall’art. 14 D.Lgs.., 23 aprile 2004, n. 124, assegnando un congruo termine al datore di lavoro per adempiere.

A tal proposito, la Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha chiarito che è possibile applicare la sanzione in esame soltanto in presenza della contemporanea sussistenza, sia della esclusiva responsabilità del datore di lavoro, sia di una gravità della violazione, tale da impedire il raggiungimento dell’obiettivo formativo.

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Jobs Act, ecco il testo del maximendamento approvato dal Senato

Il Senato ha approvato con 165 “si”, 111 “no” e 2 astenuti il maxiemendamento del Governo che ha completamente sostituito il testo della legge delega sulla riforma del lavoro e sul quale, lo si ricorda, il Governo ha posto la fiducia.

Di seguito, si riporta il testo del predetto maxiemendamento.

Gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sono sostituiti dal seguente:
ART. 1
(Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro)
1. Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo si attiene, rispettivamente, ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro:
1) impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa;
2) semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati di concessione prevedendo strumenti certi ed esigibili;
3) necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione guadagni solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
4) revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
5) previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
6) riduzione degli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
7) revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà di cui all’articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi e previsione della possibilità di vincolare destinare gli eventuali risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente lettera al finanziamento delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4;
8) revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riferimento all’articolo 2 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, nonchè alla messa a regime dei contratti di solidarietà di cui all’articolo 5, commi 5 e 8, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
b) con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria:
1) rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
2) incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
3) universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
4) introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
5) eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
6) eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
c) con riferimento agli strumenti di cui alle lettere a) e b), individuazione di meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario dei trattamenti di cui alle lettere a) e b), al fine di favorirne l’attività a beneficio delle comunità locali, tenuto conto della finalità di incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione da parte del medesimo soggetto secondo percorsi personalizzati, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alle amministrazioni pubbliche;
d) adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione o alle attività a beneficio di comunità locali di cui alla lettera c).
3. Allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. In mancanza dell’intesa nel termine di cui all’articolo 3 del citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata ai sensi del medesimo articolo 3. Le disposizioni del presente comma e quelle dei decreti legislativi emanati in attuazione dello stesso si applicano nelle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità a quanto previsto dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione nonché dal decreto legislativo 21 settembre 1995, n. 430.
4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 3 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione, e a criteri di valutazione e di verifica dell’efficacia e dell’impatto;
b) razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome;
c) istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, di seguito denominata “Agenzia”, partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e mediante quanto previsto dalla lettera f);
d) coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
e) attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI;
f) razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
g) razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, al fine di favorirne l’inserimento e l’integrazione nel mercato del lavoro;
h) possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonché di altre amministrazioni;
i) individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
l) determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
m) rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
n) valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, a tal fine, la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
o) valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, flessibilità e prossimità anche al fine di definire un sistema di monitoraggio e controllo sui risultati dei servizi di welfare erogati;
p) introduzione di princìpi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
q) introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
r) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sia a livello centrale che a livello territoriale;
s) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
t) attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale;
u) mantenimento in capo alle regioni e alle province autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
v) attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica;
z) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate, anche attraverso l’istituzione del fascicolo elettronico unico contenente le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche ed ai versamenti contributivi;
aa) integrazione del sistema informativo di cui alla lettera z) con la raccolta sistematica dei dati disponibili nel collocamento mirato nonché di dati relativi alle buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e agli ausili ed adattamenti utilizzati sui luoghi di lavoro;
bb) semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’impiego delle tecnologie informatiche, secondo le regole tecniche in materia di interoperabilità e scambio dei dati definite dal codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, allo scopo di rafforzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e favorire la cooperazione con i servizi privati, anche mediante la previsione di strumenti atti a favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti.
5. Allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonch← in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
6. Nell’esercizio della delega di cui al comma 5 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
e) rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
f) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
g) previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore;
h) individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
i) revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
l) promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).
7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:
a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio;
d) revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera;
e) revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
f) introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale;
g) previsione, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, della possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva di cui all’articolo 72, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
h) abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.
8. Allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, il Governo │ delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o pi decreti legislativi per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternit¢ e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
9. Nell’esercizio della delega di cui al comma 8 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
b) garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
c) introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
d) incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
e) eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
f) integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
g) ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all’interno delle imprese;
h) estensione dei principi di cui al presente comma, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
10. I decreti legislativi di cui ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 della presente legge sono adottati nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
11. Gli schemi dei decreti legislativi, corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza dei termini previsti ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 ovvero al comma 13, questi ultimi sono prorogati di tre mesi.
12. Dall’attuazione delle deleghe recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, per gli adempimenti dei decreti attuativi della presente legge, le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni. In conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di stabilità, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
13. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 10, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la medesima procedura di cui ai commi 10 e 11, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
14. Sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, le competenze delegate in materia di lavoro e quelle comunque riconducibili all’articolo 116 della Costituzione e all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.”.

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Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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Il futuro del pianeta…

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Il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l’accesso all’istruzione e alla leadership. È alle donne, infatti, che spetta il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace.

Rita Levi Montalcini

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Sull’istruzione.

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Approvate le linee guida per la disciplina per il contratto di apprendistato professionalizzante

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Lo scorso 20 febbraio, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato le “Linee guida per la disciplina per il contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere”. Tale accordo prevede alcune modifiche al percorso formativo, tali da garantire un’effettiva formazione, durante la durata del contratto di apprendistato.

Inoltre, si semplifica la procedura che deve essere seguita dalle imprese e viene stabilito che l’offerta formativa pubblica degli apprendisti è obbligatoria ed è disciplinata dalla regolamentazione regionale.

Uno degli elementi più qualificanti delle linee guida è la previsione che la durata ed i contenuti dell’offerta formativa pubblica devono essere correlati alle competenze acquisite nella pregressa formazione scolastica. Infatti, si prevedono le seguenti ore di formazione:

  1. 120 ore per gli apprendisti muniti di sola licenza di scuola secondaria di primo grado;

  2. 80 ore per gli apprendisti muniti di un diploma di scuola secondaria di secondo grado;

  3. 40 ore per gli apprendisti muniti di diploma di laurea.

La formazione pubblica deve garantire l’acquisizione delle competenze di base e trasversali, con particolare riferimento ai comportamenti idonei a garantire la sicurezza sul lavoro alla organizzazione aziendale, alle comunicazioni nell’ambito lavorativo alla legislazione del lavoro, alla conoscenza digitale ed alla sensibilità sociale e civica.

Qualora l’impresa intendaerogare direttamente l’offerta formativa di base, essa deve assicurare specifici requisiti di qualità, sia per quanto concerne i luoghi deputati alla formazione, che la docenza.

In estrema sintesi, gli aspetti peculiari delle linee guida per la disciplina per il contratto di apprendistato professionalizzante sono i seguenti:

  1. la formazione per tutta la durata del contratto di apprendistato è di commisurata al titolo di studio posseduto, passando da un massimo di 120 ore per gli apprendisti privi di titolo, a 80 ore per gli apprendisti in possesso di diploma di scuola secondaria o di qualifica o diploma, fino ad un minimo di 40 ore per gli apprendisti laureati o muniti di titolo equivalente;

  2. la durata dei moduli formativi può essere ridotta, qualora risulti chegli apprendisti interessati abbiano già frequentato corsi di formazione in precedenti rapporti di apprendistato;

  3. la formazione deve prevedere specifici moduli aventi come oggetto la sicurezza sul lavoro, l’organizzazione aziendale, i diritti ed i doveri, la competenza digitale e gli elementi della professione;

  4. il percorso formativo deve, di norma, essere avviato all’inizio del rapporto, ma può anche essere svolto anche “a distanza”;

  5. la formazione pubblica di base può essere effettuata direttamente anche dalle imprese, a condizione che esse siano in possesso di locali con “standard minimi” e garantiscano un determinato livello qualitativo della docenza;

  6. il piano formativo individuale deve intendersi come obbligatorio, soltanto limitatamente alla parte tecnico-professionale;

  7. le imprese con più sedi operative possono avvalersi della formazione di base e trasversale delle Regioni nelle quali insistono le loro sedi legali.

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