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SANITÀ. LA SVOLTA DIGITALE E LE AZIONI DI SISTEMA PER LO SVILUPPO DELL’E-HEALTH.

di Michele De Sanctis

Il Patto per la Sanità Digitale, contenuto all’interno del nuovo Patto per la Salute 2014-2016, si propone la riorganizzazione della rete assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale, al fine di conciliare la crescente domanda di salute con i vincoli di bilancio esistenti, ottimizzando, così, il rapporto tra costi e risultati ottenuti, in termini di prestazioni rese. In linea con il più ampio disegno di informatizzazione della Pubblica Amministrazione, l’innovazione digitale in ambito sanitario può svolgere un ruolo chiave come fattore abilitante e, in taluni casi, determinante per la realizzazione di una nuova rete organizzativa. Se concretamente attuato, dunque, il Patto potrà diventare punto di svolta decisivo del SSN, sia in termini di sostenibilità sia per un’offerta di prestazioni più efficiente ed efficace. Si tratta, pertanto, di un’azione formale necessaria per riuscire a compiere un fondamentale passo avanti e, più in generale, di una spinta necessaria all’innovazione del Paese, tanto più importante in un momento particolare come quello del semestre italiano di Presidenza UE.

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Se, da una parte, il Patto costituisce un cambiamento di prospettiva e di approccio alla sanità, dall’altra è pur vero che, affinché sia produttivo di effetti concreti, è necessario che l’innovazione digitale venga sdoganata da un ambito prettamente tecnologico, per farsi strumento strategico di governo per le Aziende Sanitarie. Il canale telematico, perciò, deve divenire la prassi nei consueti rapporti col cittadino e la digitalizzazione della documentazione sanitaria, che, peraltro, comporterà una cospicua opera di reingegnerizzazione di molte strutture territoriali, dovrà estendersi in tutta Italia, o continueremo a parlare delle best practices di alcune isolate realtà, contro la cattiva gestione della maggioranza dei presidi: in altre parole di una sanità pubblica di serie A per alcune Regioni e di un’altra sanità che non merita neppure la serie C. Per promuovere in modo sistematico questo nuovo modello e non lasciarlo, quindi, realizzato in modo sporadico, parziale e comunque non conforme alle esigenze della sanità pubblica, è, altresì, necessario predisporre un piano strategico che contenga interventi normativi idonei a rimuovere alcuni ostacoli che ne rallentano o, in alcuni casi, ne impediscono la diffusione. Un piano strategico di sanità elettronica che richiede una significativa quantità di risorse economiche dedicate: l’adozione di piattaforme e di soluzioni capaci di supportare un nuovo modello di servizio sanitario basato sui pilastri della continuità assistenziale, del care management, della deospedalizzazione e della piena cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti nella filiera della salute e del well‐being. Questo piano è, appunto, il Patto per la Sanità Digitale.

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Per capire in cosa effettivamente consista, bisogna prima chiarire cosa sia la sanità elettronica o e-Health. Con questa espressione ci riferiamo, in particolar modo, ad un complesso insieme di azioni e di interventi orientati all’innovazione, che, però, necessitano di una governance consapevole e di indicazioni di orientamento il più possibile chiare, lineari e programmatiche. Sviluppo digitale della sanità non significa, infatti, solo introduzione di tecnologie, che, seppur mature, risulterebbero del tutto nuove ed estranee alla maggior parte delle realtà ospedaliere del territorio nazionale. Sanità digitale significa, piuttosto, creazione di un fattore capace di consentire la contemporanea evoluzione dei modelli assistenziali e di quelli organizzativi. In particolare, i principali interventi per realizzare questi nuovi modelli consistono nella digitalizzazione del ciclo prescrittivo, con l’introduzione della trasmissione delle certificazioni di malattia online e la sostituzione delle prescrizioni cartacee con l’equivalente documento digitale, nella realizzazione e diffusione di una soluzione federata di Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino e nell’aumento del tasso di innovazione digitale nelle aziende sanitarie, sia nei processi di organizzazione interna, sia nell’erogazione dei servizi ai cittadini. Gli strumenti per attuarli sono: il progressivo assorbimento della Tessera Sanitaria nella Carta di Identità Elettronica o nella Carta Nazionale dei Servizi (CNS); lo sviluppo di un Centro Unico di Prenotazione unificato a livello nazionale, in cui far confluire i sistemi CUP, oggi presenti a livello provinciale e regionale, che operano spesso in modalità isolata e con canali differenziati; il collegamento in rete delle strutture di erogazione dei servizi sanitari, dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta alle Aziende Sanitarie Locali e a quelle Ospedaliere, fino alle farmacie, sia pubbliche che private; l’accesso da parte del cittadino ai servizi sanitari on-line; il pagamento online delle prestazioni erogate, nonché la consegna, tramite web (posta elettronica certificata o altre modalità digitali) dei referti medici; la creazione di adeguati sistemi di sorveglianza e di registri in ambito sanitario.

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Il primo caposaldo per il conseguimento di questi risultati è quello di rispettare il principio che il Patto introduce relativamente alla necessità di procedere ad uno sviluppo congiunto delle reciproche sinergie tra e con stakeholder e fornitori di soluzioni ICT, aspetto cui il Patto riconosce una certa importanza per quanto concerne il know-how sull’IT in sanità, quale, ad esempio, quella di divenire un possibile motore di sviluppo, attraverso specifiche iniziative di investimento. Infatti, un problema rilevante che il Patto per la Sanità Digitale pone in ordine allo sviluppo dell’e-Health è quello dei finanziamenti stimati in 3,5-4 miliardi di euro nel triennio 2014-2016. Al riguardo, il documento in parola propone una serie di azioni di sistema per l’acquisizione dei capitali necessari, che vede, appunto, l’intervento congiunto di diversi attori, non solo pubblici. È, ad esempio, prevista la costituzione di fondi strutturali nell’ambito delle azioni di procurement pre-commerciale (PCP) e di sviluppo dell’Agenda Digitale e si ipotizza, altresì, la possibilità per le Regioni di stanziare fondi ad hoc per la costituzione di modelli di partenariato pubblico-privato. Viene, inoltre, ammessa l’introduzione di iniziative private attraverso modelli di project financing e o di performance based contracting (una sorta di remunerazione dei fornitori in base ad obiettivi predefiniti e misurabili, in termini di condivisione dei ricavi e/o dei minori costi conseguiti). Infine, si evidenzia l’opportunità di porre una quota a carico dei cittadini, quale corrispettivo di specifici servizi e-Health a valore aggiunto offerti (si tratterebbe, però, di servizi resi su adesione volontaria da parte del cittadino e caratterizzati, pertanto, da standard superiori rispetto a quelli degli altri servizi gratuitamente ed equamente distribuiti all’utenza nel suo complesso). Per incrementare l’efficacia di queste azioni, il Patto suggerisce di definire ex-ante una specifica metodologia di misurazione multidimensionale dei risultati conseguiti con verifiche periodiche da effettuare durante e alla fine dei progetti, con lo scopo di attivare già in corso d’opera eventuali azioni correttive e di riorientamento dei progetti stessi.

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È, dunque, evidente quale sia l’attività propedeutica che il Patto antepone alla reingegnerizzazione del Servizio Sanitario: quella, cioè, di avviare un processo che veda la collaborazione tra stakeholder, Regioni e ASL, perché intraprendano le opportune iniziative di sistema, avviando anche un circuito di riuso delle soluzioni sviluppate, in un’ottica di condivisione ed integrazione. L’azione sarà guidata da un Comitato di Coordinamento, che entro la fine dell’anno produrrà un Master Plan per le iniziative della Sanità Digitale, contenente le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria prevista. Contestualmente, il Ministero della Salute, da parte sua, avvierà un tavolo di studio con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (l’ANAC che per effetto del DL 90/2014 assorbe le funzioni della soppressa AVCP) e la Corte dei Conti per divulgare modelli di applicazione delle norme che già oggi regolano forme contrattuali di partenariato pubblico-privato, rendendole facilmente accessibili alle stazioni appaltanti anche attraverso la pubblicazione di linee guida, contratti tipo, casi d’uso immediatamente applicabili al contesto specifico. Resta ora da attendere – e si spera non invano – l’effettiva (e celere) digitalizzazione del SSN.

Clicca QUI per scaricare il Patto per la sanità Digitale.

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TAR LOMBARDIA: LEGITTIMO IL TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETÀ DI UNA FARMACIA TRAMITE L’ISTITUTO DEL TRUST.

Con un recente provvedimento, il Tar Lombardia, Sezione II di Brescia, ha dichiarato l’illegittimità del negato riconoscimento da parte di un’Azienda Sanitaria Locale del trasferimento della titolarità di una farmacia mediante l’istituto del trust, mettendo in parte in discussione una prassi amministrativa ben consolidata nel settore delle farmacie private. Secondo la sentenza in parola (n. 890 del 30 luglio 2014), il ricorso al trust non sarebbe, infatti, alla stregua di un negozio elusivo della normativa di riferimento, quella, cioè, dettata dalla L. 475/78, ma si tratterebbe piuttosto di uno strumento necessario a garantire il subentro generazionale in un’attività di famiglia in presenza di eredi che, tuttavia, risultino ancora privi dei requisiti richiesti dalla legge. Analizziamo insieme gli aspetti più rilevanti di questa sentenza, che potremmo definire ‘storica’.

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di Michele De Sanctis

La questione di fondo alla pronuncia dei giudici bresciani sull’argomento è che la L. 475/78 (e successive modifiche e integrazioni) prevede solo sei mesi di tempo dalla presentazione della denuncia di successione, quale termine concesso all’erede per trasferire la farmacia in capo a un soggetto professionalmente idoneo. Seppur breve, il termine di sei mesi risponde ad un principio coerente con la regola di diritto pubblico, in base alla quale la proprietà della farmacia deve coincidere con la titolarità della relativa concessione amministrativa. Sussiste, però, un problema di non coincidenza tra proprietà e titolarità nel caso in cui l’erede non sia ancora farmacista idoneo o addirittura sia minorenne, col conseguente rischio che l’attività di famiglia vada perduta. Una soluzione non convenzionale potrebbe essere quella offerta da una prassi di derivazione anglosassone, con cui è possibile regolare una molteplicità di rapporti giuridici di natura patrimoniale (isolamento e protezione di patrimoni, gestioni patrimoniali controllate ed in materia di successioni, pensionistica, diritto societario e fiscale). Si fa riferimento a quel contratto atipico per il diritto civile italiano, poiché non ancora disciplinato/tipizzato dal legislatore, che va sotto il nome di trust. Il trust è rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o mortis causa, con cui un soggetto (settlor o disponente) trasferisce ad un altro soggetto (trustee) beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o di altro soggetto (beneficiario), ovvero per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal disponente nell’atto istitutivo del trust. Tuttavia, sia per la sua atipicità, sia per la sua complessità ed estrema flessibilità, potrebbe dubitarsi circa la reale esperibilità dell’uso di questo istituto per il passaggio generazionale della farmacia o per affrontarne le questioni alla relativa successione ereditaria. Soprattutto per le norme di carattere imperativo alla base del provvedimento amministrativo di concessione.

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Ebbene, la sentenza del TAR in esame affronta la questione fornendo una risposta chiara e precisa: dichiarando, infatti, l’illegittimità del negato riconoscimento da parte dell’ASL del trasferimento della titolarità di una farmacia mediante trust, il Giudice Amministrativo ha ritenuto quest’istituto – e ogni altro negozio fiduciario con cui si disponga l’effettivo trasferimento di una proprietà aziendale – compatibile con la disciplina speciale in materia di farmacie. Il trust, quindi, non solo non confligge con la norma che impone di non dissociare la titolarità della farmacie e il relativo esercizio dell’impresa dalla proprietà piena dell’azienda, ma garantisce, altresì, il pieno perseguimento delle finalità d’interesse pubblico tutelate dalla L. 475/78.

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Secondo il G.A., il trasferimento della proprietà al trustee integra il rispetto delle condizioni di legge, poiché la norma che prescrive il trasferimento in proprietà a un soggetto legittimato al subentro, in quanto farmacista ammette altresì che, successivamente, tale proprietà possa essere nuovamente trasferita, purché rispettando la condizione che ciò avvenga a favore di un farmacista qualificato. Ora, il caso del trasferimento della proprietà a un trustee comporta che tale successione sia già programmata, in quanto alla scadenza del termine del trust, la proprietà dovrà essere necessariamente trasferita o ai beneficiari, se titolati, oppure ad un terzo, da individuarsi da parte del disponente entro il termine di legge di sei mesi. “In tutti i casi e in tutti i momenti (con la sola esclusione dell’eventuale fase di transizione alla scadenza del trust senza che si sia verificata la condizione per il trasferimento ai beneficiari) sono sempre garantiti sia la coincidenza tra proprietà e gestione, che la qualifica di farmacista del proprietario. Ne consegue che né le singole disposizioni, né la ratio della norma possano ritenersi frustrate dal ricorso al particolare istituto del trust, una volta chiarito, come si è fatto nella parte che precede, che il trustee è a tutti gli effetti proprietario, ancorché temporaneamente, e che i vincoli ad esso imposti non possono, di per sé, precludere il raggiungimento dello scopo della norma”. Il Tar di Brescia ritiene, peraltro, che non rappresenti un problema neppure “il fatto che la farmacia, la cui proprietà è trasferita al trustee, non entri nel patrimonio di quest’ultimo (essendo ciò espressamente escluso dalla disciplina dell’istituto): al contrario, ciò pare fornire maggiore garanzia al sistema sanitario, in quanto la farmacia e i suoi beni non potranno essere aggrediti dai creditori personali del trustee, diversamente da quanto accade in situazioni di ordinaria titolarità”.

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Si tratta, inoltre, di una conclusione assolutamente coerente con i principi e le regole del diritto farmaceutico, anche alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia dell’UE, che “ha ritenuto compatibile con i principi comunitari la particolare disciplina del sistema farmaceutico nazionale, ma solo entro il limite del garantire che le farmacie siano gestite da farmacisti professionisti, in quanto proprio la professionalità degli stessi può rappresentare la garanzia contro il rischio, per la sanità pubblica, che la finalità di lucro prevalga sulla sicurezza e qualità della distribuzione dei medicinali. Data l’ontologica tendenza al perseguimento del lucro, il contemperamento con il perseguimento del fine pubblico può essere garantito solo dalla deontologia del farmacista professionista e dal fatto che della violazione di essa il professionista deve rispondere compromettendo “non soltanto il valore del suo investimento, ma altresì la propria vita professionale” (cfr. Quarta Sezione della CGUE, sentenza del 5 dicembre 2013 nelle cause riunite da C-159/12 a C-161/12).

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Tale obiettivo primario, il cui perseguimento è, peraltro, ritenuto legittimo a livello comunitario, risulta, dunque, ampiamente garantito nel caso di specie, in cui la gestione della farmacia è pacificamente affidata ad un farmacista professionista, anche se costituito, coerentemente con le previsioni di legge, nella forma della società di persone.

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Vale, allora, la pena di leggere attentamente l’intera sentenza fin qui esaminata, in attesa di conoscere l’eventuale seguito che avrà la vicenda, in caso di ricorso dell’Azienda Sanitaria dinanzi al Consiglio di Stato, e di analizzarne, fin da adesso, le logiche conseguenze che potrebbe avere sul piano negoziale. Siamo, infatti, di fronte a un primo precedente in materia, che costituirà probabilmente anche un punto di riferimento per casi analoghi, aprendo, altresì, scenari contrattuali del tutto inediti nell’esperienza giuridica italiana, ove sarà possibile trasferire la proprietà di una farmacia ad un’entità esterna, nondimeno senza i requisiti richiesti dalla L. 475/78, purché la stessa farmacia venga gestita da un trustee, ovvero da una figura equiparabile all’attuale direttore responsabile, che ne detenga a tutti gli effetti la piena titolarità.

Clicca QUI per leggere la sentenza TAR Lombardia, Brescia sez. II, 30/7/2014 n. 890

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Ticket sanitari legati al reddito, tagli alle cliniche.

Finalmente sta per cambiare l’assurdo regime secondo cui anche i più ricchi usufruiscono dell’esenzione. Proposta dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

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Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Revisione dei ticket sanitari entro la fine dell’anno con criteri più improntati al reddito.

da WSI, pubblicato il 18 giugno 2014

ROMA – Revisione dei ticket sanitari entro la fine dell’anno con criteri più improntati al reddito, anche per le patologie croniche. Nell’arco di tre anni le mini-cliniche, cioè quelle con meno di 60 posti letto, non saranno più accreditabili con il Sistema sanitario nazionale.

È questo, secondo quanto appreso, l’orientamento del gruppo di lavoro sul Patto della salute, formato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, da otto assessori regionali e da un rappresentante del ministero dell’Economia. Il gruppo sta procedendo con l’esame di 28 articoli.

Ieri la discussione della riunione fiume che si è svolta al ministero della Salute si è incentrata sul contenuto del fondo per il 2014 che il ministero ha confermato, legandolo all’ andamento del pil per il 2015 e 2016. Le parti hanno anche analizzato il piano degli investimenti: le risorse sarebbero ancora considerate insufficienti anche se dal ministro dell’ Economia dovrebbero arrivare indicazioni più precise nei prossimi giorni.

Le Regioni si sono confrontate anche sui criteri di mobilità dei pazienti. Domani la discussione proseguirà affrontando i problemi dell’assistenza territoriale. I livelli essenziali di assistenza (Lea) dovrebbero essere rivisti entro la fine dell’anno. Ad integrare le risorse per gli investimenti dovrebbe poi andare una quota consistente dei risparmi che il ministro Lorenzin aveva indicato in circa 10 miliardi in tre anni.

Gli interventi sulle mini-cliniche, che penalizzerebbero quelle con meno di 60 posti letto, escluderebbero le strutture in grado di aggregarsi raggiungendo almeno gli 80 posti letto. Da questi limiti sarebbero invece salvate le cliniche private mono specialistiche. Domani il ministro della Salute riferirà in Commissione Affari Sociali della Camera gli orientamenti che stanno emergendo per il Patto.

«Stiamo lavorando ad oltranza e con le Regioni abbiamo già esaminato vari articoli. Il lavoro procede bene», ha detto oggi il ministro Lorenzin. Infine il Patto interverrà anche riformando l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, con lo scopo di avere un raccordo più stretto, più forte e più sinergico tra Regioni e ministero della Salute.

Obiettivo di Regioni e Governo è quello di chiudere i lavori entro la settimana anche se resteranno poi alcuni mesi di tempo, fino a dicembre 2014, per completare l’operazione intervenendo sulla ridefinizione dei tanto attesi Lea (Livelli essenziali di assistenza).

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ROMA – Entro sei mesi i ticket sanitari saranno rivisti. La tassa su visite, farmaci ed esami, dunque, potrebbe subire dei ritocchi. Che saranno decisi in base al reddito. Anche per le patologie croniche. Oggi, infatti, tutte le persone, quelle più abbienti e quelle meno abbienti che soffrono di malattie che accompagnano per tutta la vita, usufruiscono dell’esenzione dal ticket. Per le prestazioni, dalla radiografia all’analisi del sangue, che riguardano la patologia.

La decisione è stata presa ieri in tarda serata dal gruppo di lavoro sul Patto per la salute a cui sta lavorando da settimane il ministro Beatrice Lorenzin con otto assessori regionali e un rappresentante del ministero dell’Economia.
Una sorpresa per gli addetti ai lavori dal momento che proprio dall’incontro di ieri era uscita una notizia confortante per il servizio sanitario nazionale: confermato il finanziamento 2014-2017.

Le risorse dovrebbero essere “arricchite” da una quota consistente dei risparmi che il ministro Lorenzin ha indicato in dieci miliardi in tre anni. L’obiettivo è quello di chiudere in questa settimana.

Le notizie sui ticket erano state annunciate e smentite più di una volta. Proprio pochi giorni fa il ministro della Salute aveva detto: «Il patto per la salute sta lavorando sull’esenzione da una parte mentre dall’altra dobbiamo cercare di recuperare laddove ci sono persone che sono esenti per reddito ma, in realtà, non ne avrebbero diritto». Una sorta di risposta alla Corte dei Conti che ha evidenziato come gli italiani paghino sempre di più per i ticket. Riferendosi al dato del 2012: le famiglie italiane hanno speso in media 900 euro per la tassa sanitaria.

Un’inversione di rotta ancora da quantificare che sarà accompagnata da un altro aggiornamento. Quello dei livelli di assistenza, l’elenco delle prestazioni che vengono effettuate negli ospedali.

Stretta anche per l’accreditamento: in tre anni le mini-cliniche, quelle che hanno meno 60 posti letto, saranno cancellate dal servizio sanitario nazionale. Un provvedimento che il privato riuscirà ad evitare se la dotazione dei posti salirà ad 80 aggregando altre strutture. «Il lavoro procede bene», ha sentenziato ieri sera il ministro Lorenzin che, con il gruppo, deve esaminare 28 articoli. Oggi è la volta dell’assistenza territoriale.

Decisioni parallele ieri al ministero della Salute. Oltre alla discussione sulla revisione dei ticket anche l’ipotesi di commissariamento dell’Istituto superiore di sanità, l’organo tecnico dello stesso ministero. Sono state avviate le procedure ma l’ultima parola l’avrà il Consiglio dei ministri.
Motivo: buchi di bilancio relativi agli anni 2011 e 2012. In tutto un buco da 30 milioni su oltre 300milioni movimento finanziario l’anno già contestati dalla Corte dei conti.

Da mesi all’interno dell’Istituto era cresciuta la preoccupazione per il bilancio tanto da ostacolare e in alcuni casi fermare il rinnovo dei contratti per chi sta seguendo o deve iniziare progetti di ricerca. Anche internazionali.

Fonte: WALL STREET ITALIA

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RIFORME: ECCO COME CAMBIERÀ LA SANITÀ.

«Abbiamo fatto un importante passo in avanti nel segno della semplificazione, delle regole a vantaggio di cittadini ed operatori sanitari. Abbiamo prolungato la validità delle ricette per i malati cronici, superato l’obbligo di assicurazione per i medici del SSN, semplificato le procedure per le autorizzazioni necessarie per l’apertura di nuove strutture sanitarie e introdotto una rivoluzione sulla governance delle aziende sanitarie introducendo la selezione unica nazionale per la nomina dei direttori generali», così, in una sua nota, spiega le prossime novità in materia di semplificazione e Sanità pubblica il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

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Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

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RICETTE PER MALATI CRONICI

Avranno 180 giorni di validità le ricette per i malati cronici, contro gli attuali 60. Il provvedimento coinvolge più di 14 milioni di persone, vale a dire circa il 24% degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale.

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La proposta, inserita nel decreto legge Semplificazioni, allungando i tempi di validità, consentirà al malato di recarsi dal proprio medico per le ricette una sola volta ogni 6 mesi: il medico potrà prescrivere fino a sei scatole a ricetta (salvo naturalmente indicazioni diverse).

ASSICURAZIONE PER I MEDICI

L’assicurazione obbligatoria che scatterà il prossimo 14 agosto per chi esercita la professione sanitaria non si applicherà ai medici dipendenti pubblici del Sistema Sanitario Nazionale.

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Verranno, d’altro canto, introdotte misure atte ad istituire un fondo che supporterà i professionisti sanitari nel pagamento dei premio, in particolare, nei casi in cui questo risulti elevato a causa dell’alto livello di rischio dell’attività svolta.

PERMESSI PER STRUTTURE SANITARIE

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Sono state, inoltre, semplificate le procedure ai fini del rilascio delle autorizzazioni necessarie per aprire nuove strutture sanitarie, eliminando il parere regionale sulla verifica di compatibilità con il fabbisogno sanitario.

SELEZIONE UNICA NAZIONALE PER DIRIGERE AZIENDE SANITARIE

Con il DDL delega è stata introdotta una selezione unica nazionale per i direttori generali delle aziende sanitarie. Potranno, infatti, essere nominati soltanto coloro i quali, al termine del positivo esperimento di una selezione pubblica nazionale, saranno iscritti in un elenco tenuto presso il Ministero della Salute e aggiornato con cadenza biennale. I direttori dovranno possedere titoli professionali specifici ed aver frequentato un apposito corso universitario di formazione in gestione sanitaria.

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Tra i doveri dei direttori nominati ci sarà il conseguimento degli obiettivi di gestione, la garanzia dei LEA (livelli essenziali di assistenza), l’equilibrio di bilancio e il raggiungimento dei risultati del programma nazionale valutazione esiti. Il direttore generale potrà essere dichiarato decaduto dall’incarico se fallirà gli obiettivi o se commetterà gravi violazioni di legge o di regolamento, o se contravverrà ai principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione. Il direttore generale dichiarato decaduto sarà, quindi, cancellato dall’elenco e non potrà più essere nominato.

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Prevista, altresì, l’istituzione, su base regionale, degli elenchi dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari. Per essere nominato direttore amministrativo o direttore sanitario di un’azienda, non basterà essere iscritto nell’elenco ministeriale, ma occorrerà superare un’ulteriore selezione pubblica per titoli e colloquio, contrariamente a quanto avviene attualmente con la nomina di queste figure di vertice in modo strettamente fiduciario (in base al sistema dello spoil system), prescindendo, tra l’altro, da qualsiasi forma meritocratica. Gli idonei verranno iscritti nell’elenco pubblico tenuto dalla Regione.

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Le commissioni di concorso saranno composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche. Anche nel caso degli elenchi regionali, coloro che non raggiungeranno gli obiettivi prefissati verranno cancellati dall’elenco e non potranno più essere rinominati.

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REDAZIONE
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I PAESI IN CUI I GIOVANI VIVONO MEGLIO.

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di Michele De Sanctis

Attualmente i giovani, non solo in Italia, sono spesso al centro dell’attenzione generale soprattutto a causa della situazione economica e sociale che stiamo attraversando e, nel nostro Paese in particolare, per via della ‘fuga di cervelli’, un fenomeno purtroppo sempre più persistente.
Tuttavia, si parla poco di salute pubblica in riferimento a questa categoria. È come se gli unici problemi dei giovani fossero di natura economica. Ma come stanno fisicamente? È l’interrogativo a cui cerca di rispondere l’‘Indice del benessere giovanile’, di cui si è avvalso il website newyorkese Business Insider per stilare la classifica “Qual è il Paese in cui la gioventù vive più beata?”. Si tratta di una ricerca condotta su trenta Paesi realizzata dalla ‘International youth foundation’, il ‘Center for strategic and international studies’ e l’azienda ‘Hilton Worldwide’.
Nel parlare di “salute pubblica”, infatti, non si possono non calcolare tutte quelle persone, i giovani per l’appunto, che si trovano a metà tra le due fasce generazionali estreme ovvero, i bambini e gli anziani, cui normalmente ci si riferisce quando si parla di salute pubblica.
Per creare l’indice, i ricercatori hanno usato 40 indicatori tra cui “la partecipazione alla vita sociale e politica, le opportunità economiche, l’istruzione, la sanità, l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza”.

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Secondo questo studio, i primi posti dell’elenco sono occupati da Australia (1°), Svezia (2°) e Corea del Sud (3°). Agli ultimi posti troviamo, invece: Tanzania, Uganda e Nigeria. Non si tratta, tuttavia, dei primi trenta Paesi al mondo, ma solo di quelli presi in esame dai ricercatori dell”International youth foundation’ e che per “giovani” è stata intesa la fascia di popolazione compresa tra 12 e 24 anni. Va considerato, tra l’altro, che le prime nove posizioni sono occupate dai Paesi più ricchi della lista, ad eccezione della sola Russia e che, sebbene nei Paesi ad alto reddito ci siano tassi di mortalità giovanile più bassi, ad essere più diffusi in questi posti sono, paradossalmente, stress ed autolesionismo.

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Nonostante i limiti dell’analisi qui riportata, i dati analizzati sono comunque interessanti per tutti in quanto, lo si legge nel rapporto, “le società che sono inclusive nei confronti dei giovani sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di crescere ed arricchirsi, mentre l’esclusione aumenta il rischio di recessione, criminalità e violenza diffusa”.
Uno spunto di riflessione per i Governi dei Paesi che occupano le ultime posizioni e anche per quelli non inclusi nella ricerca, al fine di procedere ad una revisione di alcuni capisaldi del proprio welfare.

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Fecondazione eterologa, cade il divieto. La Consulta: legge 40 incostituzionale

I giudici bocciano la norma che proibiva il ricorso a un donatore esterno
di Flavia Amabile, da La Stampa, 9 aprile 2014

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La Consulta ha deciso: il divieto di eterologa nella legge 40 è incostituzionale. Ora anche le coppie sterili potranno accedere alla fecondazione. Si tratta dell’ennesimo provvedimento che ridisegna la legge 40 modificandola in una sua parte essenziale rispetto alla formulazione originaria del 2004.

CHE COSA CAMBIA
Da questo momento, quindi, sarà possibile ricorrere a donatori di ovociti e spermatozoi quando uno dei due partner è sterile. Come prima del 2004 sarà lecita l’ovodonazione; mentre qualsiasi uomo fertile potrà donare il proprio seme.

LE ASSOCIAZIONI
«La sentenza di oggi della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto di eterologa previsto dalla legge 40 del 2004 ha valore di legge e non è oppugnabile. Da oggi non potrà mai più essere emanata dal Parlamento una legge che prevede il divieto di fecondazione di tipo eterologa. Tale decisione vale per tutti i cittadini italiani che hanno problemi di sterilità. nessun vuoto normativo, ma con la legge 40 così modificata garanzie per i nati e per le coppie», dichiarano l’ avvocato Filomena Gallo e Gianni Baldini, legali del procedimento di Firenze, i primi a sollevare il dubbio di legittimità costituzionale sull’eterologa, che hanno seguito 17 casi su 29, e rispettivamente segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente dell’università di Firenze. Ma la battaglia contro la legge 40 non è ancora terminata. «Il prossimo obiettivo è quello dell’abolizione del divieto di ricerca sugli embrioni», annuncia Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni.

GOVERNO IN CAMPO
Sembra di diverso avviso il ministro della salute Beatrice Lorenzin: «Una legge svuotata. Richiede un intervento parlamentare», ha detto a margine degli Stati Generali della Salute. «Aspettiamo di poter leggere le motivazioni» della sentenza, che ovviamente recepiamo – ha aggiunto – anche se dobbiamo capire tutte le implicazioni che ne derivano». La ministro ha inoltre osservato che «in Italia non siamo ancora a attrezzati dal punto di vista normativo». Ad esempio per quello che riguarda «l’anonimato di coloro che cedono i gameti», «il diritto dei bimbi che nasceranno ad essere informati di chi sono i loro genitori», «il tipo di le analisi da fare per chi cede i gameti». Queste, per il ministro, «sono materie complesse che non possiamo risolvere con una cosa amministrativa». Pertanto, «è giusto che il parlamento faccia la sua parte e dia delle scelte di fondo su questi temi». Come ministero della Salute, «quello che possiamo fare sul piano parlamentare lo facciamo, quello che richiede una riflessione più profonda, perché la legge 40 è stata del tutto svuotata, necessita di un intervento parlamentare».

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LE REAZIONI DELLA POLITICA
Le resistenze sono ancora tante. E le reazioni alla notizia lo dimostrano. Il mondo cattolico è salito immediatamente sulle barricate. Famiglia Cristiana parla di «fecondazione selvaggia per tutti», di «ultima follia italiana». L’Accademia Pontificia per la Vita manifesta «sconcerto e dispiacere» e teme riflessi sia sulla coppia sia sul nascituro. Anche gli esponenti politici di area cattolica recalcitrano. Per Eugenia Roccella, di Ncd, «si apre una deriva molto pericolosa: cade il diritto di ogni nato a crescere con i genitori naturali», mentre secondo Paola Binetti, dell’Udc, si consuma una «grave attacco alla famiglia». Sel si colloca ovviamente sul fronte opposto. Positivi anche i commenti che arrivano dal Pd, dove però emerge anche la richiesta, avanzata da Maria Spilabotte e Donata Lenzi, di un intervento per aggiornare la normativa nel suo complesso. Un punto, questo, toccato con accenti ben più netti dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «La legge è stata svuotata, serve un intervento del Parlamento. In Italia non siamo ancora a attrezzati dal punto di vista normativo», aggiunge. Ed enumera una serie di nodi: «l’anonimato di coloro che cedono i gameti», «il diritto dei bimbi che nasceranno ad essere informati di chi sono i loro genitori», «il tipo di analisi da fare per chi cede i gameti».

LA CORTE DIVISA
Anche all’interno del collegio di 15 giudici costituzionali, comunque, la decisione non è stata unanime, né facile, a riprova del fatto che il tema è complesso. I rumors dicono che al momento di andare ai voti, il sì all’eterologa ha trovato una maggioranza risicata. Alla conta il risultato sarebbe stato 8 a 7, e questo segnala una spaccatura. Ma la Corte è un organo collegiale e conta la decisione conclusiva, una «decisione coraggiosa», secondo molti osservatori, che «fa cadere una discriminazione», sottolineano i legali delle coppie e le organizzazioni che le rappresentano, come le associazioni Luca Coscioni e Sos Infertilità, perché mette fine alla distinzione tra coppie di serie A e coppie di serie B. Le motivazioni della sentenza spiegheranno nel dettaglio perché la Corte ha deciso in questa direzione. Ma certamente il cardine della decisione è la difesa del diritto di uguaglianza.

Fonte: La Stampa