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CIVIL PARTNERSHIP ALLA TEDESCA. ANZI NO, ALL’ITALIANA.

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di Andrea Serpieri

“A settembre, dopo la riforma della legge elettorale, realizzeremo un impegno preso durante le primarie, un impegno vincolante: quello sui diritti civili“. A dirlo è stato il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. La promessa giunge direttamente dall’Assemblea Nazionale del Partito Democratico. Renzi è tornato a parlare di diritti civili e all’assise Dem ha illustrato il suo progetto sulla civil partnership alla tedesca, già annunciata durante la campagna elettorale per le primarie, ma finora rimasta sostanzialmente fuori dall’agenda politica dell’esecutivo. Ricordiamo che a tutt’oggi la legge contro l’omofobia stagna al Senato da settembre scorso. E a un anno da quell’ultimo (debole) step, il prossimo mese di settembre sarà quello della riforma copernicana della società italiana.

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Riforma difficile, comunque: il premier sarà infatti costretto a trattare con la destra di Alfano e Giovanardi (sic!) e il centro di Monti, ma forse l’apertura di Grillo sulla legge elettorale, potrebbe portare esiti insperati anche su altri temi importanti come questo e magari i grillini si sporcheranno le mani con quelli del PD. Magari. La speranza, si sa, è l’ultima a morire, ma, come si dice, chi di speranza vive, disperato muore: il M5S è lo stesso non-partito che nel PE è alleato di un’orda di xenofobi della peggior specie e di omofobi convinti guidati da Capitan Farage.

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Non sarà, quindi, una proposta indolore, anzi. Francesco Clementi come altri dello staff di Renzi, alla fine del 2013 aveva avanzato proposte alternative, come il riconoscimento delle Coppie di fatto, ottime proposte, animate dai migliori intenti (nessuno vuol metterlo in dubbio), ma pur sempre insufficienti per un vero salto di qualità. Perché? Perché innanzitutto bisogna sgomberare il campo da strumentalizzazioni e contrapposizioni ideologiche, operando in maniera davvero laica ma pragmatica, dando dignità ‘giuridica’ all’amore che lega due persone dello stesso sesso. Il semplice riconoscimento di fatto verrebbe a creare un istituto di serie B. In pratica, ciò che verrebbe a riconoscersi sarebbe solo il valore della diversità naturale del rapporto rispetto a quello tradizionalmente matrimoniale. Ma affinché l’Italia riparta, perché sia davvero l’Italia della svolta buona, c’è bisogno di riforme profonde, non solo in campo istituzionale ed economico. Serve un terremoto come lo fu per la famiglia tradizionale quando vennero introdotti il divorzio e in seguito l’aborto.

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Ad un Paese come il nostro abituato a stanche contrapposizioni tra laici e cattolici che da trent’anni bloccano qualsiasi processo di riforma civile serve una rivoluzione, come detto prima, copernicana della società. La colpa di questo stato paludoso delle riforme, tuttavia, non è solo della Chiesa e della destra. Sul blocco delle riforme civili ci hanno lucrato in tanti, troppi forse. Anche tra coloro che si stracciavano le vesti proclamando o matrimonio o niente, nella sinistra radicale, che raccoglieva il consenso dei gay insoddisfatti, ma anche in certe associazioni gay che sostenevano quella sinistra. Di fatto fermando il cammino verso un’evoluzione del dialogo. Anzi del non-dialogo. È un Paese strano il nostro: si afferma con forza per negare, infine, ciò per cui si lotta.

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Finora solo alcuni sindaci e consigli comunali (a Grosseto, Latina, Fano e ora Napoli) si sono mossi per ordinare la trascrizione dei matrimoni conclusi all’estero da coppie gay e lesbiche italiane. Un piccolo passo, che insieme al recente convegno romano organizzato il 30 maggio scorso da Magistratura Democratica, Rete Lenford e Articolo 29 sulla discriminazione matrimoniale di gay e lesbiche, dimostra l’insofferenza della società civile e giuridica per una discriminazione sofferta quotidianamente dalle persone omosessuali, e che significativamente si muove ‘dal basso’, dalle aule di giustizia dei tribunali di periferia, dalle università e dai comuni, per rimuovere l’assordante silenzio del Parlamento.

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Ma torniamo all’attualità: all’annuncio di Renzi. Il Governo italiano sta lavorando su un disegno di legge che introduca entro la fine di quest’anno una forma di unioni civili, peraltro, già sperimentate in altre realtà come Germania e Regno Unito. Non parliamo di matrimonio, quindi. Ma di civil partnership. Vediamo di cosa si tratta. Dal punto di vista dei diritti e dei doveri acquisiti non c’è nessuna differenza tra il matrimonio civile e la civil partnership: eredità, pensione, visite in ospedale, protezione contro la violenza domestica. Nel caso delle civil partnership britanniche, inoltre, l’adozione è ammessa sia a singoli che a coppie, senza distinzione di orientamento sessuale e le responsabilità sono le medesime che per una coppia etero sposata con il rito del civil marriage. Ma le nostre unioni saranno di ispirazione teutonica: per cui tranquilli, moralisti italiani, ché in programma non c’è la corruzione di anime innocenti, la cui sorte verrà lasciata alla follia omicida dei loro stimati padri biologici, nell’intervallo di tempo tra un amplesso consumato con la moglie già uccisa al piano di sotto e una partita di calcio in TV con gli amici del bar.
Tornando al tema del post, se i diritti e i doveri della civil partnership sono gli stessi che scaturiscono dal matrimonio, dobbiamo, allora, chiederci qual è la differenza tra i due istituti. Quella principale è che la civil partnership non può avere nessuna connotazione o riferimento alla religione, mentre la parola ‘matrimonio’ nell’immaginario collettivo ha già, di per sé, una connotazione religiosa. L’altra differenza è invece di natura tecnica: una civil partnership per essere valida deve solo essere firmata dai coniugi e quindi non è obbligatoria una cerimonia. Per un matrimonio, invece, è obbligatorio che vengano scambiate alcune formule rituali prima della firma da parte dei coniugi.

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Rispetto al riconoscimento delle coppie di fatto, d’altro canto, che registrano a posteriori un rapporto già consolidato, fornendogli diritti e doveri, che dovrebbe essere disciplina aggiuntiva estesa a tutte le coppie, le civil partnership sono un contratto pubblico che fa sorgere diritti e doveri della coppia che dichiara di voler condividere un progetto di vita comune per il proprio futuro.

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Alla luce della recentissima sentenza della Corte Europea che ha equiparato il trattamento delle coppie sposate con unioni civili rispetto a quelle che hanno contratto matrimonio, il Governo è ormai investito di un’urgente richiesta di sanare quel vuoto legislativo, già denunciato dal Presidente della Corte Costituzionale Gallo, solo un anno fa, che costituisce la prima e più inaccettabile delle discriminazioni che esistono in Italia. Ha senso disporre una strategia antidiscriminazione senza affrontare la più importante tra queste? Ha senso che ancora una volta la politica se ne lavi le mani delegando quel che può alle associazioni gay oppure ad un Parlamento che non ha ancora avuto neanche la forza di far diventare legge una proposta contro l’omofobia? Oggi, dall’Europa, siamo ancora clamorosamente fuori. Fuori luogo, fuori tempo massimo, fuori tutto.

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UNA BRUTTA STORIA DI POLITICA E TRANSFOBIA.

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di Andrea Serpieri

Fino a quando (e fino a che punto) la più becera politica italiana dovrà somministrarci altri episodi di intolleranza, di cui, francamente, faremmo volentieri a meno? Questa è la storia di Laura Matrone, una splendida quarantenne, operatrice sociale, attualmente in lizza per le elezioni a Castel Volturno, provincia di Caserta, con il candidato sindaco PD Dimitri Russo. Russo si presenta con cinque donne nella lista civica “Cento volti per la svolta” e sei donne nel PD. Ma per qualcuno le donne sono di meno, perché Laura è nata uomo e pertanto non sarebbe “donna abbastanza” da soddisfare le quote rosa. Insomma, Laura non sarebbe una “vera” donna! A rivelare questa ‘verità nascosta’ all’elettorato di Castel Volturno è stato il candidato sindaco per Forza Italia (il partito delle libertà) Cesare Diana, il quale sostiene che la candidatura di Laura violi le norme sulla parità e quindi le liste di Russo andrebbero escluse dalla competizione politica.
In realtà, non c’è alcuno scoop, perché Laura non nasconde a nessuno il suo passato e soprattutto perché giuridicamente Laura Matrone è una donna “vera”, uso questo aggettivo per farmi comprendere anche da quelle persone che proprio non riescono a vedere il mondo in modo più fluido delle definizioni che usano: gay, etero, maschio, femmina…è così importante? È importante sapere se una trans abbia subito un’operazione o meno? A parte il fatto, poi, che sarebbero affari suoi, anche quando si mette in politica, perché l’essere stata uomo incide sulla sua condotta morale solo per le menti più bigotte. E ipocrite.

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In ogni caso, la candidata del PD non c’è stata a questo linciaggio pubblico e su La Repubblica, rivolgendosi all’avversario forzista, precisa: “L’hanno informato male. Sono una donna a tutti gli effetti dal 2002”.
Nell’intervista Laura Matrone si racconta, descrive i punti del suo gruppo in vista delle prossime elezioni e, sull’episodio di transfobia di cui è stata vittima, dice: “Volevano tentare di far ricusare la lista per mancanza di quote femminili, poi si sono accorti in tempo dell’errore e hanno desistito”.
“Sono Laura, sono una persona. Non c’è bisogno di mettere continuamente un timbro dietro le spalle per dire chi ero. Sono una persona. Con una faccia, con due gambe, due braccia. Mi sono sposata e separata legalmente. Sono una donna normalissima che non ha mai avuto nessuna difficoltà di inserimento nella vita sociale. Ho insegnato arti marziali alla Nato. Sono stata due volte campionessa mondiale di taekwondo e undici volte campionessa europea. Ma dal 1990 faccio spettacolo, mi occupo di canto, teatro, televisione, di pubbliche relazioni”.
Sulla sua vicenda personale che l’ha portata ad essere la donna bellissima che è oggi, riferisce: “Sono originaria di Napoli, ma vivo a Castel Volturno da quando avevo 14 anni. Nel 2002 mi sono operata e ho cambiato i connotati all’anagrafe. Ho fatto il primo intervento per cambiare sesso a Napoli tramite l’Asl, gratuitamente. Lo consente una legge del 1984. La mia famiglia all’inizio è stata un po’ titubante. I miei genitori all’inizio non capivano. Appartengono ad un’altra generazione. Però poi i miei familiari me li sono ritrovati sempre al mio fianco, specie mia sorella, mio fratello e i miei nipoti”.

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A questo punto, io mi chiedo: ma se per esempio Laura non fosse stata operata – o avesse deciso di non farlo proprio – non sarebbe stato, comunque, etico considerarla una donna a tutti gli effetti? In fondo, lei è così che si sentiva, anche prima dell’operazione. Eppure, lo Stato italiano, che nella Costituzione riconosce i diritti e l’uguaglianza di tutti e si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, con la L. 164/82 ha stabilito che si possa chiedere il cambio di sesso all’anagrafe solo dopo la riassegnazione genitale. Forse sarebbe il caso di cambiare questa norma, giusto per riconoscere il terzo sesso anche qui? Che piaccia o no, esiste e non può essere semplicemente negato sulla carta, per continuare a far finta che non ci sia. Cosa che, peraltro, certi benpensanti potrebbero fare tranquillamente, se magari smettessero di interessarsi delle altrui preferenze sessuali e ci lasciassero vivere in pace. Gay, etero, uomini, donne o qualunque cosa vogliate essere. Siatelo! La nostra felicità è un diritto non scritto che per natura preesiste alle norme di diritto positivo.

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CASA SUSANNA: UNA SOCIETÀ SEGRETA IN CUI SENTIRSI NORMALI.

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di Andrea Serpieri

C’è stato un tempo in cui tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70, alcuni crossdresser avevano trovato un rifugio in cui essere se stessi in un isolato complesso di edifici, nel territorio di Hunter, New York. Si trattava di un un posto sicuro per molti che sentivano il bisogno di evadere, dai propri vestiti come dalla propria pelle, e se lo concedevano per qualche giorno a settimana, in risposta a una società che ancora non dava né comprensione né soluzioni. Felicity, Gail, Fiona, Cynthia, erano questi i nomi che avevano scelto per loro: per alcuni era un problema di presa di coscienza, per altri insoddisfazione velata. Questo posto è rimasto sconosciuto per decenni, custodito dalla sola memoria dei suoi ospiti, fino a che qualcosa lo ha reso noto, portandolo alla ribalta della più scafata, sebbene non sempre tollerante, società contemporanea.

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Un vero e proprio dossier fotografico, scene di vita privata, segreti scatti di un’esistenza alternativa, è ciò che per caso è tornato alla luce quando Robert Swope, punk-rocker e mobiliere di New York ha rinvenuto un centinaio di foto in una scatola comprata al mercatino delle pulci. Uomini travestiti da donne, ma in pose familiari e composte di donne sofisticate, nessuna volgarità. Cross-dresser borghesi che bevono tè, giocano a bridge, guardando l’obbiettivo con sincero stupore e un leggero velo di imbarazzo. Insospettabili e distinti signori della middle class: editori, vigili del fuoco, imprenditori, uno sceriffo di una piccola contea nel New Jersey. Seppure l’ambiente e la qualità delle fotografie appartengano alla fine degli anni ’60, vestiti, acconciature e ammiccamenti sono, invece, tipici del decennio precedente. Le foto ritraggono una sorta di club privato: Casa Susanna. Swope non sapeva di cosa si trattasse. Tutto ciò che aveva era quello che vedeva, ossia uomini vestiti da donne, eleganti quanto rassicuranti. Donne serene, talora gioiose. Niente di eccessivo, nessun tipo di Drag Race e nessuna Ru Paul a condurre la gara, nessuna queen dai capelli supercotonati e coperta di strass che mima parole dei brani di grande successo facendo la pazza, come Vida Boheme e Noxeema Jackson insegnavano all’inesperta Chi Chi Rodriguez, nel film ‘A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar’. Quegli scatti, mostravano, in verità, qualcosa di più simile alle foto di famiglia, una cena per un’occasione speciale, un happening dove andare vestiti bene, bacettii sulle guance, un picnic sull’erba.
A lungo Swope non volle saperne niente, finché insieme al suo compagno, Michel Hurst, decise di mettere insieme tutte queste foto e farne un libro – intitolato, appunto, Casa Susanna, edito nel 2005 da powerHouse Books– lasciando agli scatti l’arduo compito di raccontare una storia segreta che gli stessi autori cominciarono a conoscere soltanto dopo la pubblicazione del testo, quando le testimonianze dei frequentatori di Casa Susanna iniziarono a ricongiungersi alle immagini.

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Susanna, la matrona di questo gineceo alternativo, si chiamava Tito Valenti ed era un uomo che aveva scelto di spendere il resto della propria vita da donna.

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Robert Hill, ricercatore dell’Università del Michigan che una decina di anni fa si è occupato di ricucire le storie che giravano attorno alle foto di Swope, ha intervistato alcune delle amiche di Susanna, come Sandy, imprenditore divorziato. Lui racconta che Casa Susanna era un posto eccitante «perché quali che fossero le tue fantasie segrete, incontravi altre persone che ne avevano di simili e ti accorgevi di essere, sì, “diverso” ma non “pazzo”». Sandy, che oggi ha più di 70 anni e non si traveste da qualche decade, negli anni sessanta era ancora studente universitario e nei weekend frequentava Casa Susanna. «Era estremamente liberatorio. Sono cresciuto in una famiglia molto conservatrice. Volevo sposarmi, avere una casa, un’auto, un cane. Cose che alla fine sono successe. Ma allora avevo questi impulsi conflittuali e non sapevo da che parte voltarmi. Non sapevo quale fosse il mio posto nel mondo».

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Il ricordo di Casa Susanna, dei suoi weekend e delle suoi party declina fino a perdersi nella memoria dei suoi ospiti, pur seguendoli negli anni a venire, attraverso le loro scelte di vita, che poi per la maggior parte di loro si riducono a un unico enorme bivio. Continuare nella presunta normalità come Sandy o diventare donna, come Fiona che si trasferì a Sidney, dove visse come Katherine Cummings, libraia ed editrice. Lei, che alla nascita si chiamava John.

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E poi c’era Virginia Prince, farmacista e fondatrice della rivista specializzata ‘Transvestia’ e del movimento transgender. «Ho inventato i trans – rideva ancora 96enne, poco prima di morire – ma se questa gente sapesse che non mi sono mai operata mi farebbe la pelle».

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E infine c’era Susanna, a cui lasciamo concludere questa storia rubata ai ricordi di un gruppo di uomini, che, quando negli States vivere la propria diversità era ancora troppo difficile, nonostante fossero gli anni della liberazione sessuale, hanno deciso di trovare conforto alla loro condizione in un rifugio isolato, ma col reciproco sostegno di altri fratelli di condizione. Anzi, sorelle.

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«Scena: il portico di fronte all’edificio principale del nostro resort nelle Catskill Mountains. Ora: circa le quattro del mattino, il Labor Day sta per sorgere oltre l’oscurità distante. Personaggi: quattro ragazze che chiacchierano. È buio. Solo un fascio di luce illumina parte della proprietà a intervalli regolari – fa magari un po’ freddo a quasi mille metri d’altitudine. Ogni tanto una fiamma in punta di sigaretta illumina un volto femminile – un altro weekend al resort, ore in cui impariamo a conoscere noi stessi un po’ meglio osservando la nostra immagine riflessa in nuovi colori e in una nuova prospettiva attraverso le vite dei nostri amici». È forse questa la sintesi di cosa fosse Casa Susanna. A parlare, infatti, è proprio lei, Susanna, che da qualche parte nei primi anni Settanta scriveva della sua Casa sulle colonne di ‘Transvestia’.

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PAPA FRANCESCO? SOLO MARKETING, MA È SEMPRE LA VECCHIA CHIESA.

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di Andrea Serpieri

“Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti.” Questo è quanto ha ricordato il Papa nell’udienza ai delegati dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia, voluto da Pio XII in difesa dell’infanzia, all’indomani del II conflitto mondiale.
Per chi aveva voluto vedere nella figura di Francesco un nuovo Papa buono aperto alla modernità, l’udienza della scorsa settimana si è rivelata una grande delusione. Adesso è finalmente evidente a tutti gli italiani ciò che alla popolazione omosessuale del resto del mondo non era sfuggito: ossia, che la precedente apertura ai gay era stata soltanto il frutto di un’interpretazione superficiale, quando non anche sviata appositamente per ragioni legate piuttosto al rilancio dell’oscura immagine di Santa Romana Chiesa. Un’operazione di marketing, in altre parole. Bergoglio, infatti, aveva solo teso una mano ai fratelli che si sono persi per aiutarli a ritrovarsi nel popolo di Dio. Tradotto: gli omosessuali hanno peccato, ma chi sono io per non perdonarli e riaccoglierli (se ravveduti) nella casa del Signore?

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Chi si era illuso in una nuova era del cattolicesimo dovrà definitivamente ricredersi, perché Bergoglio non solo ha tenuto a precisare con chiarezza che le coppie gay non costituiscono una famiglia, ma ha anche bocciato nettamente le iniziative contro l’omofobia nelle scuole. Peraltro, facendo sue le stesse parole tanto di moda tra alcuni gruppi omofobi di espressione cattolica. E con tanto di accusa di nazifascismo e dittatura del pensiero unico! Proprio come usano certi movimenti costituitisi contro il DDL Scalfarotto, come, per esempio, fa il movimento denominato ‘Sentinelle in Piedi’.
Il Papa dovrebbe, però, ricordare che tra le vittime delle dittature del XX secolo ci sono stati anche i gay e che l’accusa di voler imporre a tutti i costi le proprie opinioni è semplicemente ridicola. Qui si parla di diritti civili, non di opinioni. E quanto all’imposizione di un credo, farebbe meglio a ripassare il capitolo di storia sulle crociate contro gli eretici.

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Ad ogni buon conto, vi riportiamo le sue parole:
“Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico”.
Ma l’attacco del Papa buono non si è limitato solo agli omosessuali. Bergoglio ha anche lanciato i suoi solenni strali contro la Corte Costituzionale, dopo la recente sentenza di incostituzionalità che ha investito il divieto alla fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/04. Un’altra grave ingerenza del Vaticano negli affari di uno Stato (teoricamente) laico, l’Italia. “Ferma opposizione a ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa. Il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia”, è questo quanto ha dichiarato Francesco.
Altro che libero Stato in libera Chiesa! Purtroppo i Patti Lateranensi ci hanno lasciato questa pesante eredità. E se a causa della storica complicità della politica italiana, il capo della Santa Sede si permette ancora oggi una simile ingerenza negli affari interni della nostra Repubblica, ad avere un problema qui non sono solo i gay e le lesbiche, o le coppie sterili, ma tutti i cittadini italiani.

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LEZIONI DI TOLLERANZA ALL’UNIVERSITÀ.

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Una ‘queer week’. Sarà questo il progetto che un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcuni dei quali già attivisti nel collettivo post-femminista “Laboratorio Le Antigoni” e nel collettivo LGBT “La Mala Educacion”) ha in programma di organizzare presso l’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara.

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Il programma sarà intitolato “Primavera Queer” e in Abruzzo sarà la prima iniziativa di approfondimento sugli studi di genere e la Queer Theory, ancora poco conosciuta in Italia, ma molto diffusa nel mondo anglosassone. L’obiettivo sarà quello di dare una risposta a certe domande che per molti italiani costituiscono ancora un tabù. Quando nasce l’omosessualità? E l’identità eterosessuale? Cosa sono il ruoli di genere? Chi sono le persone intersessuali e transessuali? Qual è la differenza tra sesso e genere? Quali solo le origini delle categorie oppositive uomo-donna, eterosessuale-omosessuale?

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L’approccio sarà multidisciplinare, passando dalla psicologia alla medicina fino ad approdare alla linguistica e alla sociologia. Dal 5 al 9 maggio 2014, con una giornata introduttiva il 28 aprile 2014, docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in una sei giorni di seminari di approfondimento e laboratori pratici. Interverranno personalità del mondo accademico come Marco Pustianaz (Università del Piemonte Orientale), Laura Corradi (Università di Cosenza) e Rachele Borghi (della Sorbonne di Parigi), oltreché individualità e collettivi provenienti dalla militanza LGBTQ come Renato Busarello del Laboratorio ‘Smaschieramenti’, noto collettivo queer bolognese, Porpora Marcasciano del MIT (Movimento di Identità Transessuale) e BellaQueer di Perugia. Gli ospiti si alterneranno all’interno del campus di Chieti Scalo, tra il Rettorato e gli spazi dell’ex Facoltà di Lettere per analizzare alla radice le cause culturali e sociali delle discriminazioni e delle violenze di genere.

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La “Primavera Queer” sarà soprattutto un momento di autoformazione: un’occasione di incontro e discussione rivolto a tutti gli studenti e le studentesse dell’università.
Il progetto, presentato al bando 2013/2014 per le attività sociali e culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, è stato selezionato e finanziato tra tanti altri.

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Oggi, martedì 1 aprile, dalle ore 10:30, presso il piazzale della ex Facoltà di Lettere, è stata convocata una conferenza stampa durante la quale sarà illustrato il programma dettagliato dell’evento e saranno date ulteriori informazioni.

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Noi di BlogNomos diffondiamo con piacere questa notizia, nella speranza che iniziative di questo tipo vengano presto assunte anche in altre realtà accademiche, convinti che un’informazione sana e consapevole possa portare al definitivo superamento della paura del ‘diverso’ che isola ingiustamente una larga fetta di popolazione e giunge alla negazione di taluni diritti civili che, sebbene scontati all’interno delle famiglie tradizionali, restano ancora la meta da raggiungere in ambito LGBTQ. Il che inevitabilmente allontana il nostro bel Paese dall’Europa e dall’occidente più evoluto, avvicinandoci, peraltro, alla Russia di Putin e a certe realtà dove l’omosessualità è ancora un reato. Perché indifferenza, negazione e silenzio costituiscono, comunque, una condanna che la società infligge in virtù del ‘peccato originale’ di essere omosessuale.

Andrea Serpieri per

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