L’Europa prepara le banche all’Apocalisse: in Italia dovranno poter reggere un crollo di Borsa del 58%, con il Pil a -6% e la disoccupazione alle stelle.

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di Enrico Marro da Il Sole 24 Ore del 30 aprile 2014

Negli stress test che l’Autorità bancaria europea effettuerà sugli istituti di credito (dopo la verifica degli attivi da parte della Bce) c’è anche uno scenario avverso che prevede una nuova crisi finanziaria mondiale. Con pesanti ripercussioni anche per il nostro Paese. Vediamo quali.

1. Scenario apocalittico per gli stress test / Spread alle stelle, i BTp tornano al 6%.

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Alla base dello scenario peggiore ipotizzato dall’Eba c’è un incremento di 100 punti base dei T-Bond americani, con una graduale accelerazione sino a 250 punti base entro la fine di quest’anno. La conseguenza è una vampata di avversione del rischio, che porta a un’impennata dei rendimenti dei bond e a un deterioramento della qualità del credito. Nell’ipotesi di un incremento del rendimento dei T-Bond americani di 150 punti base, i tassi dei BTp salirebbero quest’anno al 5,9% (contro il 3,9% dello scenario base), al 5,6% nel 2015 (da 4,1%) e al 5,8% nel 2016 (da 4,3%). Lo spread con i Bund tornerebbe a circa 300 punti base. Livelli comunque inferiori a quelli toccati il 9 novembre 2011, il “mercoledì nero” dello spread a quota 575, quando i BoT a 12 mesi avevano toccato il 7%, i biennali il 7,5% e i decennali oltre il 7,48% (con l’inversione della curva dei rendimenti tra titoli a 2 e a 10 anni).

2. Scenario apocalittico per gli stress test / Il crollo di Piazza Affari.

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Nello scenario peggiore, quello appunto che porta a un’ondata generalizzata di panico e di “flight to quality”, per Piazza Affari l’Eba prevede un crollo del 20,3% nel 2014, del 17,7% nel 2015 e del 20,4% nel 2016, non lontano dai cali medi ipotizzati nell’intera Eurozona (rispettivamente -18,3%, -15,9% e -18,1%). L’Italia farebbe peggio della media di Eurolandia anche per le conseguenze dello stallo generalizzato del processo di riforme, che metterebbe a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche.

3. Scenario apocalittico per gli stress test / L’Italia torna in pesante recessione.

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Lo scenario peggiore ipotizzato dagli stress test vede per l’Italia un triennio di Pil in calo con una deviazione del 6,1% rispetto allo scenario di base. Il Pil (che nella realtà è appena tornato positivo) tornerebbe a calare dello 0,9% quest’anno, dell’1,6% il prossimo e dello 0,7% nel 2016 anziché mettere a segno una crescita stimata rispettivamente nello 0,6%, nell’1,2% e nell’1,3%. Lo shock finanziario – spiega infatti la simulazione dell’Eba – avrebbe una pesante ricaduta anche sull’economia reale, con fuga di capitali dai Paesi emergenti e calo degli scambi commerciali con l’Europa.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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OCCHIO QUANDO SIETE AL VOLANTE: PER LA CASSAZIONE RISPETTARE IL CODICE DELLA STRADA NON BASTA.

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di Michele De Sanctis

Non è esonerato da responsabilità il conducente del veicolo che, dopo aver investito ed ucciso un pedone, che a sua volta aveva attraversato la strada imprudentemente, è finito sotto processo con l’accusa di omicidio colposo per non aver osservato le comuni regole di prudenza.
È quanto afferma la Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza n. 14776, depositata in data 31 marzo 2014, con cui ha rigettato il ricorso dell’imputato, che chiedeva che fosse riconosciuta e addebitata alla vittima la totale responsabilità nel sinistro (ottenendo, quindi, l’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo) e non il semplice concorso di colpa (nella fattispecie, riconosciuto dalla Corte d’Appello di Roma nella misura del 40% e non più sindacabile dalla Suprema Corte di Cassazione, in quanto valutazione di merito – non valutabile nel giudizio di legittimità).
La vittima – si legge in sentenza – dopo essere scesa dall’autobus – aveva attraversato la strada, in un punto privo di passaggi pedonali, velocemente e senza guardare.
L’autobus da cui era sceso il pedone si era fermato, peraltro, irregolarmente all’esterno dell’area riservata alla sua sosta, perché occupata da un’autovettura.

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L’auto investitrice secondo quanto accertato nel corso del giudizio di merito aveva tenuto una velocità quanto meno pari a 70-75 Km/h.
I Giudici di Piazza Cavour, riprendendo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, affermano che l’articolo 141 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada), rubricato “Velocità” e i principi generali della circolazione stradale impongono sempre al conducente l’obbligo non solo di regolare la velocità del veicolo e la propia condotta, in modo che la stessa non costituisca pericolo per per la sicurezza di persone e cose, ma anche di prevedere, a seconda delle circostanze, dei luoghi e delle condizioni, i prevedibili comportamenti irregolari e finanche incoscienti degli altri utenti della strada che possano determinare situazioni di pericolo e tenere, pertanto, una condotta atta a prevenire sinistri o altri eventi antigiuridici, quale, nel caso di specie, l’omicidio di un pedone.
Non solo, la Suprema Corte ha, altresì, specificato che il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro può considerarsi completamente esonerato da responsabilità solo in caso di sua osservanza di norme precauzionali scritte, assolutamente complete ed esaustive di tutti i possibili comportamenti prudenziali esigibili in relazione a determinate situazioni di pericolosità.
Tuttavia – per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione – l’osservanza di tutte le norme prudenziali “scritte” non esclude che possa, comunque, residuare una responsabilità generica derivante da quelle non scritte. In questi casi, infatti, l’adempimento delle norme scritte non esaurisce i doveri degli utenti della strada.
Tra le regole cautelari non scritte, relative alla circolazione stradale, rientra in primis il dovere generale del ‘neminem laedere’, principio di diritto romano, traslato nei successivi ordinamenti occidentali, che, facendo riferimento alla civile e pacifica convivenza, è il fondamento giuridico della responsabilità aquiliana, secondo cui siamo tutti tenuti al dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica.
Perciò, il conducente di un veicolo può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di aver procurato un danno ad un altro soggetto.

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In tali casi, per escludere del tutto la responsabilità del conducente del veicolo investitore e porre esclusivamente a carico del pedone la responsabilità per i danni o la morte allo stesso derivati, è necessario che il primo si sia trovato nell’impossibilità di prevenire e/o evitare l’investimento stesso, per fatti estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, da qualsiasi fonte derivante.
Questo perché, nel caso in esame, le condizioni della strada al momento dell’incidente avrebbero dovuto imporre l’adozione di una condotta di guida particolarmente prudente e l’automobilista avrebbe dovuto, quindi, rallentare la propria marcia fino quasi a fermare il mezzo su cui viaggiava, nella prevedibile ipotesi che “pur in assenza di apposito attraversamento pedonale, qualche passeggero potesse portarsi davanti al veicolo del trasporto pubblico dal quale era appena sceso per attraversare la carreggiata”.
È vero che nel caso di specie, non sussisteva in quel tratto di strada un limite di velocità inferiore a quella tenuta dall’automobilista, che, dunque, non si trovava nell’ipotesi sanzionata dal 141 co. 2 CdS, ma è, altresì, vero che la situazione dei luoghi come quella descritta (presenza di un autobus in fermata), doveva imporre una diligenza superiore rispetto a quella della mera osservanza del limite di velocità appunto in virtù dell’esistenza di un pericolo concreto di attraversamento da parte delle persone che scendevano dal mezzo pubblico.
Non può sostenersi argomenta, infatti, la Suprema Corte che “l’imputato non potesse prevedere che da un autobus di linea fosse disceso un passeggero che, passando dietro l’autobus, ripartito da pochi istanti, attraversasse la strada quando egli si trovava a breve distanza”.
È proprio vero quel che comunemente si dice: al volante la prudenza non è mai troppa.

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CASA SUSANNA: UNA SOCIETÀ SEGRETA IN CUI SENTIRSI NORMALI.

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di Andrea Serpieri

C’è stato un tempo in cui tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70, alcuni crossdresser avevano trovato un rifugio in cui essere se stessi in un isolato complesso di edifici, nel territorio di Hunter, New York. Si trattava di un un posto sicuro per molti che sentivano il bisogno di evadere, dai propri vestiti come dalla propria pelle, e se lo concedevano per qualche giorno a settimana, in risposta a una società che ancora non dava né comprensione né soluzioni. Felicity, Gail, Fiona, Cynthia, erano questi i nomi che avevano scelto per loro: per alcuni era un problema di presa di coscienza, per altri insoddisfazione velata. Questo posto è rimasto sconosciuto per decenni, custodito dalla sola memoria dei suoi ospiti, fino a che qualcosa lo ha reso noto, portandolo alla ribalta della più scafata, sebbene non sempre tollerante, società contemporanea.

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Un vero e proprio dossier fotografico, scene di vita privata, segreti scatti di un’esistenza alternativa, è ciò che per caso è tornato alla luce quando Robert Swope, punk-rocker e mobiliere di New York ha rinvenuto un centinaio di foto in una scatola comprata al mercatino delle pulci. Uomini travestiti da donne, ma in pose familiari e composte di donne sofisticate, nessuna volgarità. Cross-dresser borghesi che bevono tè, giocano a bridge, guardando l’obbiettivo con sincero stupore e un leggero velo di imbarazzo. Insospettabili e distinti signori della middle class: editori, vigili del fuoco, imprenditori, uno sceriffo di una piccola contea nel New Jersey. Seppure l’ambiente e la qualità delle fotografie appartengano alla fine degli anni ’60, vestiti, acconciature e ammiccamenti sono, invece, tipici del decennio precedente. Le foto ritraggono una sorta di club privato: Casa Susanna. Swope non sapeva di cosa si trattasse. Tutto ciò che aveva era quello che vedeva, ossia uomini vestiti da donne, eleganti quanto rassicuranti. Donne serene, talora gioiose. Niente di eccessivo, nessun tipo di Drag Race e nessuna Ru Paul a condurre la gara, nessuna queen dai capelli supercotonati e coperta di strass che mima parole dei brani di grande successo facendo la pazza, come Vida Boheme e Noxeema Jackson insegnavano all’inesperta Chi Chi Rodriguez, nel film ‘A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar’. Quegli scatti, mostravano, in verità, qualcosa di più simile alle foto di famiglia, una cena per un’occasione speciale, un happening dove andare vestiti bene, bacettii sulle guance, un picnic sull’erba.
A lungo Swope non volle saperne niente, finché insieme al suo compagno, Michel Hurst, decise di mettere insieme tutte queste foto e farne un libro – intitolato, appunto, Casa Susanna, edito nel 2005 da powerHouse Books– lasciando agli scatti l’arduo compito di raccontare una storia segreta che gli stessi autori cominciarono a conoscere soltanto dopo la pubblicazione del testo, quando le testimonianze dei frequentatori di Casa Susanna iniziarono a ricongiungersi alle immagini.

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Susanna, la matrona di questo gineceo alternativo, si chiamava Tito Valenti ed era un uomo che aveva scelto di spendere il resto della propria vita da donna.

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Robert Hill, ricercatore dell’Università del Michigan che una decina di anni fa si è occupato di ricucire le storie che giravano attorno alle foto di Swope, ha intervistato alcune delle amiche di Susanna, come Sandy, imprenditore divorziato. Lui racconta che Casa Susanna era un posto eccitante «perché quali che fossero le tue fantasie segrete, incontravi altre persone che ne avevano di simili e ti accorgevi di essere, sì, “diverso” ma non “pazzo”». Sandy, che oggi ha più di 70 anni e non si traveste da qualche decade, negli anni sessanta era ancora studente universitario e nei weekend frequentava Casa Susanna. «Era estremamente liberatorio. Sono cresciuto in una famiglia molto conservatrice. Volevo sposarmi, avere una casa, un’auto, un cane. Cose che alla fine sono successe. Ma allora avevo questi impulsi conflittuali e non sapevo da che parte voltarmi. Non sapevo quale fosse il mio posto nel mondo».

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Il ricordo di Casa Susanna, dei suoi weekend e delle suoi party declina fino a perdersi nella memoria dei suoi ospiti, pur seguendoli negli anni a venire, attraverso le loro scelte di vita, che poi per la maggior parte di loro si riducono a un unico enorme bivio. Continuare nella presunta normalità come Sandy o diventare donna, come Fiona che si trasferì a Sidney, dove visse come Katherine Cummings, libraia ed editrice. Lei, che alla nascita si chiamava John.

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E poi c’era Virginia Prince, farmacista e fondatrice della rivista specializzata ‘Transvestia’ e del movimento transgender. «Ho inventato i trans – rideva ancora 96enne, poco prima di morire – ma se questa gente sapesse che non mi sono mai operata mi farebbe la pelle».

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E infine c’era Susanna, a cui lasciamo concludere questa storia rubata ai ricordi di un gruppo di uomini, che, quando negli States vivere la propria diversità era ancora troppo difficile, nonostante fossero gli anni della liberazione sessuale, hanno deciso di trovare conforto alla loro condizione in un rifugio isolato, ma col reciproco sostegno di altri fratelli di condizione. Anzi, sorelle.

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«Scena: il portico di fronte all’edificio principale del nostro resort nelle Catskill Mountains. Ora: circa le quattro del mattino, il Labor Day sta per sorgere oltre l’oscurità distante. Personaggi: quattro ragazze che chiacchierano. È buio. Solo un fascio di luce illumina parte della proprietà a intervalli regolari – fa magari un po’ freddo a quasi mille metri d’altitudine. Ogni tanto una fiamma in punta di sigaretta illumina un volto femminile – un altro weekend al resort, ore in cui impariamo a conoscere noi stessi un po’ meglio osservando la nostra immagine riflessa in nuovi colori e in una nuova prospettiva attraverso le vite dei nostri amici». È forse questa la sintesi di cosa fosse Casa Susanna. A parlare, infatti, è proprio lei, Susanna, che da qualche parte nei primi anni Settanta scriveva della sua Casa sulle colonne di ‘Transvestia’.

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Ciò che nutre una dittatura.

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CHI: L’ENERGIA UNIVERSALE DEL FENG SHUI.

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Quante ore al giorno trascorriamo all’aperto? E quante tra le pareti di casa o del nostro luogo di lavoro? La stragrande maggioranza della nostra vita, purtroppo, si svolge rinchiusa all’interno di mura, la risposta è più che ovvia. Ma è possibile rendere queste mura più confertevoli?
La soluzione al quesito arriva dall’Oriente.
Certi luoghi hanno il pregio di farci sentire a nostro agio, mentre altri proprio non riescono ad essere accoglienti. Le ragioni possono essere le più svariate, dalla psicologia al semplice gusto estetico, possiamo trovare più di una motivazione. Ma alcune di queste sono da ricondurre al Feng Shui, una nota disciplina orientale, le cui origini si perdono nel tempo: un’antica arte che coniuga filosofia ed architettura, sapienza e pragmatismo nel costruire e nell’arredare.

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Il Feng Shui di un luogo è l’insieme delle sue caratteristiche, a partire dagli esterni per passare agli interni. Nel feng shui, come anche nella medicina tradizionale cinese, il termine ‘Chi’ indica l’energia universale, vale a dire quel particolare tipo di energia che ci circonda, che permea tutto ciò che è intorno a noi. Più specificamente, nel Feng Shui, questo termine si riferisce sia all’energia presente dentro di noi, sia a quella che si trova all’interno e all’esterno della nostra abitazione.

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La ‘Sheng Chi’, cioè l’energia vitalizzante, armoniosa e piacevole si presenta quando le caratteristiche del ‘macro’ sono favorevoli e promuovono una vita attiva, con un buon ‘movimento’ (mentale, spirituale, fisico e materiale), ed un buon collegamento con Terra (energie dense, di supporto = nutrimento, lavoro, denaro) e Cielo (energie sottili = spiritualità, ideazione, pensiero). La Sheng Chi viene distribuita dal vento e raccolta dall’acqua. L’energia ‘Chi’ è necessaria come l’aria ed è una connessione tra ossigeno (yang) e l’energia universale (yin), in cui essa si manifesta. Ma si esplica, altresì, in un’estrema varietà di forme, secondo la teoria Feng Shui dei cinque elementi. Nel feng shui, inoltre, Chi si manifesta anche in diversi colori, forme, intensità, ecc.

L’obiettivo principale del Feng Shui – a prescindere da quale scuola si segua – è quello di attrarre, indirizzare e nutrire il flusso positivo di Chi all’interno della nostra casa, al fine di veicolarlo all’interno del nostro corpo.

Possiamo misurare e sentire la qualità dell’aria ma per l’energia ‘Chi’ non esiste alcun organo sensoriale. La possiamo percepire solo intuitivamente. Ad esempio esistono posti o ambienti che siamo istintivamente portati ad evitare, mentre ce ne sono altri dove stiamo meglio. È, forse, questa la spiegazione più chiara per descrivere l’energia ‘Chi’.
Nel Feng Shui c’è un detto che dice : è l’energia del posto che ci sceglie, non siamo noi a scegliere il posto.

Ad ogni buon conto, l’energia che sarebbe meglio evitare in casa, in ufficio, o in qualsiasi altro luogo, è la ‘Sha Chi’, che potremmo immaginare come una lama o una freccia, da cui è necessario proteggersi. Negli esterni questo si fa mettendo piante fra noi e lo Sha, la lancia avvelenata che cerca di colpire la nostra vitalità.

Nel Feng Shui ciò che conta è capire quest’energia ed usarla a proprio favore, se si può, oppure, come proteggersene.

È molto frequente che un ambiente chiuso possa presentare degli ostacoli al flusso di energia, come, ad esempio, quando di fronte all’ingresso principale di una casa c’è un muro che delimita l’ingresso, o quando si colloca un’armadiatura ingombrante in prossimità dell’entrata in una stanza.

Molto comune è anche la dispersione di energia, come quando la porta d’ingresso è perfettamente allineata con quella sul retro o se in corrispondenza di una porta principale viene posizionata una grande finestra.

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È importante imparare a visualizzare la Sheng Chi della nostra abitazione (l’intuito sarà il nostro occhio), l’energia scorre in casa nostra come acqua: cerchiamo di non ostacolarla, di non lasciarla stagnare in un solo angolo e di farla defluire in ogni posto.

Fate del vostro meglio per creare una casa con un flusso di Chi liscia, perché il flusso di energia in casa prima o poi si rifletterà nel vostro corpo. Sarà la vostra Forza Vitale e migliorerà la qualità della vostra vita.

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Da ultimo, passiamo al lato pratico delle cose. Il Feng Shui viene sempre più applicato nell’architettura contemporanea, nuova edilizia e ristrutturazioni, ma se non abbiamo i soldi per comprare, ristrutturare o semplicemente cambiare l’arredamento? Non so voi, ma io questo problema me lo pongo. Possiamo provare a cambiare la disposizione dei mobili che abbiamo o fare qualche piccolo lavoretto di bricolage e con una piccola spesa realizzare, in un angolo preciso di casa, una sorta di catalizzatore di Sheng Chi: ad esempio, basta installare un acquario. Infatti, secondo le regole del Feng Shui, l’acquario è considerato portatore di fortuna e prosperità per chi lo possiede. I principi della tradizione cinese suggeriscono una collocazione dell’acquario nella zona sud-est di una stanza, per attirare le energie positive. L’ambiente migliore dove collocarlo sarebbe il soggiorno, mentre bisognerebbe evitare di posizionarlo nei pressi della camera da letto, in cucina e in bagno. Io l’ho appena fatto. Non mi aspetto di convertire il mondo al Feng Shui, io stesso ero un po’ scettico all’inizio. Ma lo scetticismo è apprezzabile solo se abbinato a una critica costruttiva. Come faccio a dire che non funziona, se prima non ci provo?

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Lavoro

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Caso Thyssenkrupp. La Corte di Cassazione rinvia il processo in appello, ma rende definitivo il giudizio di colpevolezza degli imputati.

 

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di Germano De Sanctis

Lo scorso 24 aprile, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno annullato con rinvio le condanne agli imputati per l’incendio nello stabilimento torinese della Thyssenkrupp che, nel dicembre del 2007, uccise sette operai. Di conseguenza, ci sarà un nuovo processo d’appello, ovviamente, a Torino.

Ecco il dispositivo della sentenza in questione: «Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta esistenza della circostanza aggravante di cui al capo-verso dell’art. 437 c.p. ed al conseguente assorbimento del reato di cui all’articolo 449 c.p.. Dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte d’assise d’Appello di Torino – prosegue il dispositivo degli ermellini – per la rideterminazione delle pene in ordine ai reati di cui agli articoli 437, comma 1, 589, commi 1, 2, 3, 61 n.3, 449 in relazione agli art 423 e 61 n. 3 c.p.. Rigetta nel resto i ricorsi del procuratore generale e degli imputati. Rigetta il ricorso della persona giuridica Thyssenkrupp acciai speciali Terni spa che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna in solido gli imputati – continua il dispositivo – ed il responsabile civile Thyssenkrupp acciai speciali Terni spa alla rifu-sione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ‘Medicina Democratica’ che liquida in complessivi euro 7 mila oltre accessori come per legge. Infine visto l’art. 624, comma 2 c.p.p. dichiara irrevocabili le parti della sentenza relative alla responsabilità degli imputati in ordine ai reati sopraindicati».

In altri termini, la responsabilità degli imputati resta inquadrata nella cornice definita dal giudizio di secondo grado, ma il nuovo processo d’appello dovrà rideterminare le pene, anche se le condanne non potranno essere aumentate. Infatti, i nuovi giudici, nell’effettuare nuovamente il calcolo delle condanne, dovranno rivedere la quantificazione delle pene concernenti i singoli reati, ma il cumulo delle sanzioni detentive che verranno comminate non dovrà superare l’ammontare complessivo delle pene inflitte nel precedente processo d’appello.

Tuttavia, gli avvocati difensori non si sono sbilanciati nel giudicare positivamente questa richiesta di rideterminazione delle pene nel merito, in quanto la Cassazione ha comunque affermato che le responsabilità penali dei sei imputati e dell’azienda sono certe, assodate e chiarite in via definitiva. Ne consegue che non ci sarà la prescrizione, poiché le Sezioni Unite hanno reso irrevocabili proprio le parti della sentenza d’appello relative alle responsabilità degli imputati.

Si tratta dell’unica certezza rinvenibile nella sentenza in questione, poiché le Sezioni Unite, dopo aver accolto l’impianto accusatorio, hanno modificato i reati. Infatti, esse hanno ritenuto che non sussistano gli estremi per l’applicazione dell’art. 437, comma 2, c.p. (il quale prevede il disastro come conseguenza dell’omissione dolosa ipotizzata nel suo primo comma), ma che, ferma restando l’omissione dolosa, l’incendio sia attribuibile agli imputati solo a titolo di colpa, così come previsto dall’art. 449 c.p..
In estrema sintesi, la Corte di Cassazione ha rinvenuto la necessità di contestare un ulteriore reato, sollevando molteplici problemi interpretativi, in quanto il comma espunto, permettendo di qualificare il disastro come conseguenza delle omissioni, rendeva possibile l’innalzamento della pena da tre a dieci anni.
La cancellazione di tale reato comporterà il fatto che, nel corso del nuovo processo d’appello, si avranno due nuove contestazioni con pene massime di cinque anni l’una (mentre il minimo edittale è di sei mesi). Infatti, il nuovo giudizio procederà nei confronti degli imputati per omicidio colposo, incendio e rimozione volontaria di cautele contro gli incidenti, considerati come tre reati distinti (mentre, come detto, l’incendio era stato inizialmente considerato “assorbito” dagli altri). Pertanto, scompare l’imputazione per omicidio volontario con dolo eventuale, come aveva chiesto la Procura di Torino nei precedenti gradi di giudizio.

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Pillole di Jobs Act. Le principali novità del testo di conversione del D.L. n. 34/2014 approvato dalla Camera dei Deputati

 

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Nel corso della seduta del 24 aprile, la Camera dei Deputati ha approvato con 263 voti favorevoli e 161 voti contrari il testo di legge di conversione del D.L. n. 34/2014 (il quale, come è noto, è, unitamente al disegno di legge delega, è uno dei due pilastri del Jobs Act), dopo che il Governo aveva posto la questione di fiducia. Adesso, il testo in questione deve essere approvato dal Senato entro il prossimo 20 maggio.

Ma la maggioranza non è compatta ed al suo interno si discute in modo animato su alcuni punti più controversi. Tra essi è annoverabile, innanzi tutto, l’obbligo di non superare il tetto del 20 per cento nell’introduzione di contratti a tempo determinato, pena l’assunzione della quota eccedente a tempo indeterminato. Sempre in materia di contratti a termine il dibattito rimane acceso sulle previsione di sole cinque proroghe massime previste nei tre anni dei contratti a termine, mentre per i rinnovi contrattuali non sono stati previsiti limiti.
Inoltre, risulta molto problematica la norma sulla formazione pubblica obbligatoria per l’apprendistato, in quanto il testo in questione prevede che le Regioni debbano fornire il servizio entro quarantacinque giorni ed, in caso di loro inadempienza, le imprese saranno esonerate da tale obbligo.

Esaminiamo tutte le novità introdotte nel testo di conversione.

Contratti a tempo determinato

Rispetto alla Legge n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero), il testo di conversione del D.L. n. 34/2014 estende da uno a tre anni la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato senza causale, ovvero senza ragione dell’assunzione (cfr., art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo). Il testo approvato dal Governo prevedeva un massimo di otto proroghe contrattuali in 36 mesi, invece, in sede di Commissione Lavoro, il tetto è stato abbassato a cinque proroghe (cfr., art. 1, comma 1, lett. b)).
Inoltre, presso ciascun datore di lavoro, i lavoratori a tempo determinatonon possono essere più del 20% degli lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato (nello specifico un lavoratore a tempo determinato per i datori di lavoro con fino a cinque dipendenti)cfr., art. 1, comma 1, lett. a), secondo periodo) . Qualora tale limite venga superato, i contratti stipulati in eccesso devono essere considerati a tempo indeterminato (cfr., art. 1, comma 1, lett. b-septies).

Diritto di precedenza per le donne in congedo di maternità

La legge di conversione ha previsto che il congedo maternità può concorrere a determinare il periodo minimo di sei mesi di attività, affinché la lavoratrice acquisisca un diritto di precedenza per contratti successivi presso lo stesso datore di lavoro (cfr., art. 1, comma 1, lett. b-quinquies).

Apprendistato

La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha ripristinato l’obbligo di un piano formativo individuale redatto in forma scritta, inizialmente soppresso nella redazione originaria del D.L. n. 34/2014, anche se ha calmierato tale reintroduzione, prevedendo modalità semplificate di redazione sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali (cfr., art. 2, comma 1, lett. a), n. 1)). Inoltre, è stato previsto l’obbligo in capo ai datori di lavoro con più di trenta dipendenti di assumere il 20% degli apprendisti, in totale dissonanza con la formulazione originaria del D.L. n. 34/2014, il quale non contemplava questa previsione normativa (cfr., art. 2, comma 1, lett. a), n. 2)).

Semplificazione del DURC

Come è noto, il DURC (documento unico di regolarità contributiva) attesta l’assolvimento da parte di un datore di lavoro degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di INPS, INAIL e Cassa Edile. La legge di conversione prevede la smaterializzazione di tale documento, attraverso una semplificazione degli adempimenti burocratici (cfr. art. 4).

Contratti di solidarietà

La legge di conversione prevede la possibilità di stabilire mediante apposito decreto interministeriale i criteri per individuare i datori di lavoro beneficiari della riduzione contributiva in caso di ricorso al contratto di solidarietà (cfr., art. 5, comma 1). Vengono incrementate le risorse finanziarie, a decorrere dal 2014, con un limite di spesa di 15 milioni di euro contro i precedenti 5,6 milioni di euro (cfr., art. 5, comma 1-bis, lett. a)).

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La libertà

La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.
Piero Calamandrei
#libertà

25 aprile

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