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CONVERTITO IN LEGGE IL DECRETO DI RIFORMA DELLA P.A.

Con il voto della Camera al cd. ‘decreto P.A.’, senza modifiche rispetto al testo già passato in Senato, la prima parte della Riforma della Pubblica Amministrazione è ora legge. Tuttavia, come ha precisato il Ministro Madia, il fulcro della riforma sarà nel disegno di legge delega la cui discussione in Senato, per ora, è stata rinviata a settembre.

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di Michele De Sanctis

Dopo aver posto per tre volte la fiducia in una sola settimana, lo scorso 7 agosto il Governo ha incassato il via libera definitivo sulla prima parte della riforma P.A.: analizziamo i principali punti della legge di conversione del DL 90/2014.

Il decreto in parola introduceva una serie di disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa, oltreché all’efficienza degli uffici giudiziari. Nel corso dell’esame parlamentare sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto e la discussione di alcuni punti è stata rinviata all’approvazione di specifici provvedimenti.

Tra le novità più importanti, la norma appena approvata prevede la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, cui potrà essere applicata, anche senza il loro consenso, entro una distanza di 50 km, salvo alcune deroghe per coloro i quali abbiano figli con meno di tre anni e diritto al congedo parentale e per quei lavoratori che usufruiscano dei permessi di cui alla L. 104/92, per l’assistenza a un familiare disabile.

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Confermata l’abrogazione del trattenimento in servizio, con deroga parziale per i magistrati, cui la soppressione dell’istituto in parola si applicherà solo dal 2016. Viene, inoltre, resa più stringente la disciplina del collocamento ‘fuori ruolo’ di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede il collocamento obbligatorio in ‘fuori ruolo’ allorché questi soggetti intendano accettare incarichi di diretta collaborazione o consulenza giuridica con un’Amministrazione Pubblica. Tuttavia, vengono fatti salvi i collocamenti in aspettativa già concessi e ancora in essere alla data di entrata in vigore del decreto.

Per quanto riguarda l’urgente questione posta dall’attuale blocco del turn over, sono state riviste le percentuali in riferimento al periodo 2014-2018, diventate adesso più flessibili rispetto ai parametri imposti dall’austerity, in precedenza chiesti dall’Europa e che sul piano operativo hanno dimostrato un’insostenibilità pratica ed una totale irrazionalità giuridica. In pratica, con le modifiche apportate, le Amministrazioni Pubbliche potranno ora assumere nel limite del 20% della spesa relativa alle uscite di quest’anno; tale percentuale passerà poi al 40% nel 2015, fino ad arrivare al 100% nel 2018.

Viene contestualmente consentita l’ulteriore proroga, oltre quella già prevista fino al 31/12/2014, per quei contratti a termine in essere e in passato stipulati dalle Province per specifiche necessità. Inoltre, per alcune tipologie di lavoratori socialmente utili non verranno applicati i limiti di assunzione previsti, ma soltanto nel caso in cui il costo relativo al personale risulti coperto da specifici finanziamenti.

Altra novità in materia pensionistica interessa chi dopo la pensione intenderà accettare incarichi di studio o di consulenza nella Pubblica Amministrazione: potrà farlo, ma solo a titolo gratuito.

I Dirigenti della P.A. potranno essere mandati in pensione a 62 anni, ma è saltato il pensionamento a 68 anni per primari e professori universitari.

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Per qesti ultimi, inoltre, diventerà più facile ottenere l’abilitazione di cui alla L. 240/2010: saranno, infatti, sufficienti 10 pubblicazioni (e non più 12) per presentare la propria candidatura. Saranno altresì rivisti i criteri di valutazione.

In previsione fino al 2019 sono stati “spalmati” i 62 milioni già stabiliti per i prepensionamenti nel fondo triennale per l’editoria. Viene nel contempo fissato per legge l’obbligo di almeno un’assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Per quanto riguarda le provvidenze all’editoria di cui alla L. 416/81, viene finanziata la spesa di 3 milioni per il 2014, di 9 milioni nel 2015, di 13 milioni nel 2016, di altri 13 nel 2017, di 10,8 nel 2018 e di 2 milioni nel 2019. Fissato, inoltre, un altro limite al Fondo straordinario per l’editoria: il finanziamento concesso per i prepensionamenti sarà revocato qualora i giornalisti prepensionati stipulino contratti di collaborazione sia con la testata presso cui già lavoravano sia con un’azienda editoriale diversa, ma facente parte del medesimo gruppo editoriale.

Sul fonte dei dirigenti pubblici, si introduce una norma che ne consente l’assunzione presso gli Enti Locali con contratto a termine e senza concorso. La chiamata diretta vede un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’attuale, che passa dal 10% al 30% dei posti in pianta organica. È poi consentito agli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, di non applicare alcuna limitazione. Con questa disposizione sembrerebbe, quindi, che la dirigenza stia tornando sotto un più serrato controllo della politica.

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Novità anche presso le Camere di Commercio, dove le tariffe delle segreterie saranno ora definite sulla base di costi standard prefissati dal Ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver consultato le società per gli studi di settore e Unioncamere. Il taglio degli importi dovuti alle CCIA sarà graduale nei prossimi tre anni (-35% nel 2015, -40% nel 2016 e -50% nel 2017).

Per quanto concerne l’organizzazione degli Enti Territoriali, resta confermata, invece, l’eliminazione delle quote dei diritti di segreteria e dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali e provinciali.

Sono salve le sezioni distaccate dei Tar, che si trovano nelle città sedi di corti d’appello: Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. La soppressione delle altre sedi slitta di quasi un anno, da ottobre 2014 a luglio 2015.

Per quanto riguarda la disciplina dei lavori pubblici, sono conferiti maggiori poteri all’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di vigilanza. In sostanza, il diritto degli appalti pubblici si arricchisce di un importante elemento di novità: potranno, infatti, essere commissariate anche le società appaltatrici dei lavori, coinvolte in inchieste per casi di corruzione. Inoltre, al Presidente dell’ANAC – attualmente, Raffaele Cantone – verranno assegnati compiti di alta sorveglianza, con l’obiettivo di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere milanesi di Expo 2015. Viene creata, poi, una corsia veloce per accelerare il giudizio amministrativo in materia di appalti: si prevede la possibilità di definirlo con sentenza in forma semplificata pronunciata in udienza fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, con possibilità di rinvio a 45 giorni per effettuare approfondimenti istruttori. Sempre in materia processuale, è previsto un inasprimento delle sanzioni per le cd. ‘liti temerarie’: l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto d’appalto.

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I componenti delle Authority dovranno attendere 5 anni per prima di essere nuovamente nominati a capo di un’altra Autorità. La razionalizzazione delle strutture deve poi prevedere una concentrazione del personale nella sede centrale non inferiore al 70%. Inoltre, i dirigenti di BankItalia ed ISVAP non potranno avere collaborazioni, consulenze o impieghi con i soggetti regolati entro due anni dalla cessazione del proprio incarico.

Per quanto riguarda il personale scolastico, il Governo ha deciso di rimandare a fine mese, con uno specifico provvedimento, la soluzione del problema dei cd. ‘quota 96’, che era stato precedentemente accantonato in Senato. Inoltre, pare che il Ministero dell’Istruzione abbia già iniziato a lavorare su un pacchetto scuola che dovrebbe prevedere concorsi nazionali banditi ogni due-tre anni per l’assunzione di nuovi docenti, insieme al reclutamento per il 50%, derivante dallo scorrimento delle graduatorie.

Come sempre, noi vi terremo aggiornati su tutte le prossime novità.

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Documenti:

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Sintesi del contenuto ed elementi per l’istruttoria legislativa 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Schede di lettura 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-A/R Elementi per l’esame in Assemblea 30 luglio 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-B Schede di lettura 5 agosto 2014

Scarica QUI il testo del decreto DL PA AC 2486 – B

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Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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RIVOLUZIONE PA: MADIA DISPOSTA A CONFRONTO CON I SINDACATI.

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Forse sarà davvero una rivoluzione, viste le premesse: consultazione dei lavoratori pubblici fino al 30 maggio tramite l’indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it, che ha consentito l’integrazione della prossima riforma con suggerimenti e proposte da parte dei diretti interessati. E l’auspicio è che più che una rivoluzione questa sia un vero e proprio terremoto e una ricostruzione, orientata alla semplificazione e alla tecnologia, ma anche e soprattutto alla valorizzazione delle risorse umane: ce n’è bisogno dopo la spending review del governo Monti, che per limitare la spese ha, tuttavia, aggravato un quadro già negativo a causa delle improvvide riforme dell’ex ministro Brunetta e della sua crociata contro la funzione pubblica. Stavolta non ce lo chiede l’Europa, ma l’Italia: la seconda tangentopoli ha dimostrato quanto la carenza di semplificazione nel rapporto con la P.A. e l’eccesso di burocrazia possano facilitare condotte illecite, di cui francamente preferiremmo fare a meno. Nelle sue intenzioni lo stesso premier sembra aver adottato questa linea, almeno stando alle sue dichiarazioni in seguito all’affare Mose.

Rivoluzione, però, lo sarà questa riforma anche (e finalmente) per un ritorno al confronto con le parti sociali. Dopo un decennio di esecutivi trincerati ed ostili al metodo delle concertazioni (con l’unica eccezione dei due anni di governo Prodi), ora l’annuncio di un incontro tra il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, e tutti i sindacati sulla riforma della P.A. alla vigilia del Consiglio dei Ministri che esaminerà il provvedimento in questione, il prossimo 13 giugno. Il Ministro ha, infatti, convocato le sigle dei lavoratori per la mattinata di giovedì mattina 12, a Palazzo Vidoni, per una riunione in vista degli interventi. E ai 44 punti indicati con il premier Matteo Renzi, a fine aprile, su cui c’è stata la consultazione, ha aggiunto il punto numero 45 sull’agognato rinnovo del contratto del pubblico impiego, attualmente fermo al 2009 (e fino a tutto il 2014). Punto questo, che, nell’ambito della consultazione del Governo, era stato vivamente sollecitato dai sindacati di categoria.

Ritenendo che il blocco della contrattazione abbia “prodotto un danno ingiusto” ai lavoratori pubblici e ricordando l’intervento degli 80 euro in più in busta paga, nel documento che il ministero ha inviato alle organizzazioni sindacali in vista della riunione, la Madia ha affermato che “il tema del rinnovo della parte economica del contratto merita di essere affrontato a partire dal prossimo anno”.

L’incontro con i sindacati, che, comunque, lo stesso Ministro aveva assicurato ci sarebbe stato prima del CdM, sarà a sua volta preceduto dall’appuntamento messo in calendario dalle principali sigle del pubblico impiego, Fp-CGIL, CISL-Fp e UIL-Pa, mercoledì mattina per illustrare le proprie proposte, unitarie, di riforma, che partono dallo riorganizzazione partecipata della P.A. fino allo sblocco del turnover e della contrattazione, senza cui non è neppure possibile parlare di una “vera” riforma.

Sul tavolo del Governo diversi sono i provvedimenti all’ordine del giorno del prossimo 13 giugno: modifica della mobilità volontaria (finora proclamata da ogni Governo, ma di fatto rimasta una sorta di ‘En attendant Godot’) e obbligatoria (anche senza l’assenso del lavoratore, ma con il mantenimento in tale ipotesi dello stesso trattamento economico e precisi limiti geografici); abrogazione del trattenimento in servizio (raggiunta l’età di pensione) che libererebbe oltre 10.000 posti nella PA a costo zero per i giovani (molti dei quali vincitori di concorsi pubblici, imprigionati in graduatorie mai esaurite) e consentirebbe quella staffetta generazionale per un rinnovo efficace ed efficiente dell’Amministrazione; part-time incentivato, considerato un altro strumento utile per creare spazio a nuove assunzioni e favorire conciliazione dei tempi di vita e lavoro e benessere organizzativo; e poi c’è anche la cosiddetta ‘opzione donna’ per le lavoratrici (se scelgono il regime contributivo per andare in pensione con i requisiti ante Fornero). Per coloro vicini alla pensione era anche emersa l’ipotesi di reintrodurre l’esonero dal servizio (con il 65% dello stipendio), ipotesi che, tuttavia, è stata esclusa: nel documento inviato dal ministero ai sindacati, infatti, si ritiene “non opportuno” proporla perché avrebbe un “ritorno marginale oltre che il rischio” di determinare “nuove distorsioni”.

Quanto al turnover, l’obiettivo è di una “urgente” semplificazione, per assicurare maggiori ingressi ma anche consentire a ciascuna Amministrazione più discrezionalità nella programmazione, fermo restando il rispetto dell’equilibrio finanziario: questo anche “ad esempio eliminando il vincolo del computo delle teste”.

C’è poi la questione precariato, una “patologia” con numeri “vergognosi”, come definita nelle settimane scorse dalla stessa Madia, che va superata. Un tema che “chiederemo, nell’incontro di giovedì” che “entri a far parte della riforma”, dice il responsabile dei Settori pubblici della CGIL, Michele Gentile. Un altro di quegli effetti perversi della spending review che, in mancanza di un ricambio generazionale, ha costretto la P.A. ad un eccessivo ricorso all’uso distorto dell’istituto della somministrazione, dei co.co.co. e del t.d., acutizzando un fenomeno, quello del precariato nella Pubblica Amministrazione, la cui soluzione non può attendere oltre.

MDS
REDAZIONE
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Un nuovo vento di riforma soffia sulla dirigenza pubblica

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Iniziano a trapelare la prime indiscrezioni sulla nuova riforma della dirigenza pubblica promossa dal Governo Renzi.

La riforma della dirigenza pubblica è un argomento che sovente trova ampio spazio nel dibattito nazionale, senza, però, essere affrontato in maniera decisa ed esaustiva. Si tratta di un problema specifico della ben più ampia e preoccupante scarsa efficienza della Pubblica Amministrazione, la cui gravità è continuamente stigmatizzata dall’Unione Europea. Infatti, sono continue le raccomandazioni di riformare il settore espresse da parte delle istituzioni comunitarie. È notizia di questi ultimi giorni il fatto che il Commissario UE Olli Rehn abbia evidenziato come l’inefficienza della Pubblica Amministrazione italiana concorra (insieme a molti altri fattori) a rendere il nostro Paese un “sorvegliato speciale”.

 La riforma in questione prevederebbe diverse novità in materia, tra le quali spiccano la mobilità (anche interamministrativa) dei dirigenti pubblici, l’istituzione di un albo unico per la dirigenza, la retribuzione di produttività vincolata all’effettiva capacità di ottimizzare la gestione finanziaria delle strutture dirette, nonché l’introduzione di pagelle dettagliate e capaci di premiare l’efficienza.

 Le disposizioni non dovrebbero essere contenute nel Jobs Act, in quanto dovrebbero avere una loro autonomia, per, poi, intersecarsi con quelle contenute nell’azione di Spending Review, già avviata dal Governo Monti, proseguita dal Governo Letta, e, tuttora, in corso con la redazione del “Dossier Cottarelli”. L’insieme di questi interventi ridefinirà la figura del dirigente pubblico italiano. In altri termini, siamo di fronte ad una mini-riforma che interesserebbe soltanto questo specifico aspetto della Pubblico Impiego. In estrema sintesi, è ipotizzabile la redazione di uno specifico disegno di legge di iniziativa governativa da emanarsi entro il prossimo mese di aprile 2014.

A livello di strategia, si sta pensando all’avvio contestuale, sia di un piano di riordino dei vertici dell’alta burocrazia statale, sia di di una generale riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Tali tempistica e modalità appaiono credibili, in quanto il citato “Dossier Cottarelli” sulla revisione della spesa pubblica dovrebbe essere pronto per metà del mese di marzo 2014.

 Le prime avvisaglie di questa importante rotazione degli incarichi sono già state avvistate con le nuove nomine successive all’insediamento del Governo Renzi. Dopo la nomina dei Responsabili dei Gabinetti e degli Uffici Legislativi, ora si sta avviando all’individuazione dei Capi Dipartimento dei vari Ministeri.

Questo processo trova una forte spinta propulsiva nella Spending Review, la quale qualifica la riforma, seppure parziale, del Pubblico Impiego, come uno dei suoi pilastri fondanti. A tal proposito, il commissario straordinario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, ha già inviato il suo citato “Dossier” al Governo e che sarà esaminato dettagliatamente da un apposito Comitato Interministeriale.

Il nuovo assetto della dirigenza pubblica si connoterà per una forte mobilità negli incarichi. Quest’ultimo aspetto dovrebbe essere garantito da un nuovo Albo unico, il quale dovrebbe racchiudere le due attuali fasce dirigenziali. La mobilità, anche interamministrativa opererebbe dopo cinque anni di permanenza presso la medesima Amministrazione Pubblica. Non è esclusa neanche la creazione di un Albo unico per i dirigenti esterni a chiamata.

Merita una particolare attenzione, la volontà del Governo di revisionare e di rendere più fluidi gli attuali strumenti di valutazione dell’attività svolta dai dirigenti pubblici. Si tratta di strumenti finora scarsamente utilizzati. Invece, l’intento riformatore vorrebbe incentivarne l’utilizzo, attraverso l’introduzione di  una “pagella” del dirigente pubblico, basata su analitici indicatori, il cui contenuto dovrebbe essere reso pubblico con il massimo della trasparenza possibile.

Inoltre, si segnala la precisa indicazione di collegare direttamente la retribuzione di risultato dei dirigenti pubblici alla loro capacità di ridurre la spesa. Anzi, sarà proprio la valutazione dei risultati raggiunti, intesi soprattutto in termini di capacità di gestione finanziaria così come delineato dalla nuova Spending Review, a determinare l’assegnazione della quota di retribuzione dirigenziale collegata al raggiungimento del risultato.

Germano De Sanctis

Precari: la Corte di Giustizia Europea rafforza la via della stabilizzazione

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Ora è necessario rilanciare l’iniziativa politica al fine di ottenere risposte legislative. Il testo dell’ordinanza del 12 dicembre 2013.

La Corte di Giustizia Europea si è recentemente pronunciata con ordinanza su un caso italiano (Papalia vs Comune di Aosta che rimette in discussione una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione. Quest’ultima ha spesso respinto il ricorso dei lavoratori pubblici contro l’abuso dei contratti a termine, negando sia la stabilizzazione come sanzione nei confronti del datore di lavoro che il risarcimento del danno in quanto graverebbe sul lavoratore stesso l’onere di provarne la sussistenza.

La domanda del giudice del rinvio – il tribunale di Aosta appunto – alla Corte di Giustizia è limitata alla verifica se la normativa italiana così interpretata dalla Cassazione sia conforme alla direttiva europea sui contratti a tempo determinato nella parte in cui prescrive adeguate sanzioni contro gli abusi.

La Corte di Giustizia, confermando una lunga giurisprudenza in materia, precisa che la direttiva non stabilisce un obbligo generale per stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, lasciando quindi un elevato margine di discrezionalità.

Tuttavia, una normativa nazionale che vieti la trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, come quella italiana, per essere conforme all’ordinamento comunitario deve prevedere un’altra misura adeguata a sanzionare l’utilizzo distorto di queste fattispecie contrattuali.
Infatti, se l’ordinamento comunitario non prevede sanzioni queste devono essere adottate dal diritto nazionale ed essere adeguate e proporzionate al fine di fungere anche da deterrente nei confronti dell’abuso.

Nell’ordinanza ​Papalia il punto su cui insiste la Corte di Giustizia è quello della prova del danno il cui onere, secondo l’interpretazione della nostra Corte di Cassazione, graverebbe in capo al lavoratore pubblico: si dovrebbe in sostanza dimostrare che la successione di contratti a termine ha precluso migliori opportunità di lavoro.

La novità dell’ordinanza sta nel fatto di contestare proprio questa impostazione sostenendo che si tratterebbe di una probatio diabolica che nessun lavoratore può in sostanza produrre o quasi. In più la Corte di Giustizia afferma che esiste un contrasto tra la normativa interna e quella comunitaria nella parte in cui, sempre secondo la nostra Corte di Cassazione, la prima subordinerebbe il diritto alla trasformazione a tempo indeterminato del contratto a tempo indeterminato nei settori pubblici all’obbligo di fornire la prova di aver perso migliori opportunità di impiego.

Tuttavia la Corte di Giustizia subito dopo questa affermazione, in modo pilatesco come già avvenuto in passato per vertenze di altri stati membri, rinvia la decisione su questo eventuale contrasto al giudice del rinvio e quindi alla giurisprudenza italiana.

Un punto importante emerge in questa vertenza su cui la CGIL sta rilanciando a livello confederale l’iniziativa politica fondandola su nuovi elementi di diritto: si conferma definitivamente l’illegittimità della normativa italiana e si rafforza la via che la Commissione Europea sta intraprendendo di sanzionare il nostro governo. L’ordinanza sembra infatti favorire denunce già pendenti presso la commissione come quella dei precari scuola. Nel procedimento avviato dalla commissione, di cui si attende tra pochi mesi (entro l’estate) la definizione, sono confluite tutte le denunce dei precari del pubblico impiego e della ricerca rispetto alla stabilizzazione. La commissione ha infatti deciso di unificare le diverse procedure attivate, da ultimo una specifica sollevata per INGV, quindi la decisione avrà effetto per tutto il pubblico impiego.

L’ordinanza consolida inoltre la nostra tesi per cui la legge 125/13 non risolve i problemi al governo perché la normativa italiana si conferma illegittima necessitando di modifiche. A questo punto l’unica possibile risposta che lo Stato italiano può dare per evitare le sanzioni comunitarie è la ripresa di vere stabilizzazioni.

Sul piano delle vertenze individuali, già da tempo avviate dalla FLC CGIL l’ordinanza non comporta alcun effetto automatico, rinviando comunque al giudice interno la decisione di come sciogliere il nodo del tipo di sanzione da applicare per gli abusi. Avrà comunque una rilevanza misurabile già nelle cause pendenti proposte dai lavoratori certamente sul risarcimento del danno spesso negato sulla base della citata giurisprudenza della cassazione mentre da verificare rispetto alla richiesta di stabilizzazione proprio per il margine di discrezionalità lasciato dall’ordinanza.

Con le prime pronunce si capirà l’orientamento della nostra giurisprudenza.
I nostri uffici legali sono sempre a disposizione come del resto avvenuto in questi anni in cui moltissime vertenze sono state avviate.
Per quanto riguarda eventuali termini per la tutela dei propri diritti, il legislatore nazionale è intervenuto con la legge 183/2010 ed in particolare con l’art. 32 comma 4 lett. b) stabilendo che il lavoratore avrebbe dovuto impugnare i contratti già scaduti in via stragiudiziale entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (23 gennaio 2011) ed un successivo termine di 270 giorni per intraprendere l’azione giudiziale.
A seguito di alcune modifiche, pur in presenza di diverse interpretazioni, è stato prorogato il termine di 60 giorni portando la decorrenza dal 31 dicembre 2011.

Con riferimento ai contratti sottoscritti successivamente all’entrata in vigore della suddetta legge, bisognerà rispettare il termine sopra indicato (60 giorni) al fine di poter avanzare qualunque pretesa derivante dai contratti a termine.

La recente giurisprudenza ha confermato che i termini previsti dalla legge Fornero trovano applicazione anche nei confronti del personale del pubblico impiego e, pertanto, salvo interventi successivi di rimessione della questione alla Corte Costituzionale ovvero interventi della Corte di Giustizia, la situazione attuale rende opportuno procedere nel senso sopra indicato.

Fonte: http://m.flcgil.it/attualita/precari-la-corte-di-giustizia-europea-rafforza-la-via-della-stabilizzazione.flc