SE L’OMOFOBIA È PIÙ FORTE DELL’AMORE.

Capita a volte di leggere racconti di coming-out toccanti, storie di accettazione e di amore incondizionato. Altre volte questi racconti assumono sfumature tragiche e la storia che leggiamo parla di abbandoni e separazioni. Quello di cui mi accingo a parlarvi è il resoconto traumatico e doloroso di un rifiuto.

di Andrea Serpieri

Provare a spiegare a un eterosessuale come si senta un figlio gay prima di uscire allo scoperto con i suoi non è facile. Ancora più difficile – impossibile?- è tentare di farlo capire a quei tanti italiani che pensano che un diverso orientamento sessuale sia una scelta e che non vada quindi sbandierato, a quelli che credono che esista una cura per guarirne, a quelli per cui va bene a patto che chi è così non si faccia vedere in giro, a quelli che ritengono che l’istinto sessuale vada represso, a quelli che credono in Madre Natura e ai peggiori di tutti, quelli che confidano nel castigo eterno per chi sia dedito alla sodomia. Queste storie servono a loro, perché comprendano che un omosessuale non è un mostro, ma un essere umano. Queste storie non servono a fare propaganda in favore delle lobby gay, finanziate dai poteri forti. Supportare i diritti dei gay non è un atteggiamento da radical chic, ma da persona civile. Sui social network ho ultimamente letto le peggiori bestialità sui gay, alcune delle quali ho appena elencato. La peggiore, però, è quella per cui ci sarebbero problemi più importanti in Italia. Non è vero. La questione degli omosessuali in questo Paese è importante quanto la crisi economica. Perché se i gay pagano le tasse come gli altri cittadini, allora devono avere gli stessi diritti civili. Invece non è così, perché sono gay. Dunque, o parliamo solo delle cose importanti per le famiglie italiane e non facciamo più pagare le tasse ai gay, o il loro problema diventa un problema importante per tutta la nazione. Anche per i cattolici e i fascisti. È per questo che spero che il racconto che state per leggere raggiunga il maggior numero di persone: affinché dall’altra parte si intuisca, per lo meno, una parte della sofferenza che c’è nell’essere considerato dalla società un diverso. E nel sentirsi rifiutato per qualcosa che non si è scelto. Questa è la storia di Daniel.

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Daniel Ashley Pierce è un giovane ventenne della Georgia, che mercoledì scorso ha deciso di uscire allo scoperto con i suoi. Conoscendo la sua famiglia, temeva di subire delle violente ripercussioni a causa della sua rivelazione, così si è preventivamente organizzato per filmare di nascosto la tragedia. A quel punto sono iniziate le riprese del video che tutti voi potete visualizzare su YouTube a questo link.

In una mail inviata ad Huffington Post Usa, Daniel rivela, “Ho voluto assicurarmi che ci fossero prove nel caso in cui fosse accaduto qualcosa.”

Il video di Daniel è subito diventato virale. Nei suoi cinque minuti non si concentra mai sul volto dei suoi familiari, di cui, però, è possibile ascoltare la voce mentre lo aggrediscono dicendogli che la sessualità è una scelta.

“Io credo nella parola di Dio e Dio non crea nessuno in quel modo. È un percorso che si è scelto.” Dice una donna nella stanza, presumibilmente la nonna. E continua avvertendo il giovane che se sceglierà quel percorso la famiglia non lo supporterà più. Dovrà andarsene. Perché lei non può permettere alla gente di credere che giustifichi ciò che fa il nipote.

“Sei pieno di stronzate!”, dice la madre. Lui le chiede di lasciarlo restare a casa, lei si rifiuta. “Mi hai detto al telefono che non hai fatto questa scelta. Sai che non è iniziata così. Sai dannatamente bene che l’hai scelto.” Rincara la dose, poi, sostenendo che il padre ha fatto tutto il possibile per aiutarlo. L’uomo non ha nulla di cui rimproverarsi.

A questo punto, i due giungono alle mani. Anzi, è lei che picchia violentemente il figlio. L’obiettivo inizia a muoversi e si sente Daniel urlare alla donna di smettere di colpirlo. Allora un uomo, il padre, grida: “Sei un maledetto frocio!” e, alla fine del video, qualcuno apostrofa ulteriormente Daniel, definendolo ‘una vergogna’.

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Daniel, ormai fuori di casa, decide allora di sfogarsi su Facebook:
Che giornata…Pensavo che svegliarsi alle 9:48 ed arrivare al lavoro con 15 minuti di ritardo sarebbe stato il problema più grande di oggi. Ignoravo, invece, che il mio problema più grande sarebbe stato quello di essere rinnegato per sempre e cacciato dalla casa in cui ho vissuto per quasi vent’anni. E oltre al danno la beffa: mamma mi ha preso a pugni in faccia più volte, incitata da mia nonna. Sono ancora sotto shock e completamente incredulo.

La loro reazione, ha spiegato il ragazzo all’Huffngton, era prevedibile: sono molto credenti e conosceva la loro opinione sui gay. Dopo l’incidente, questa devota famiglia non ha contattato i media per dare la propria versione dei fatti, ma ha lasciato un messaggio vocale a Daniel, intimandogli di rimuovere il video dell’incidente da YouTube. Il ragazzo, peraltro, non ha denunciato l’aggressione alle forze dell’ordine. Ma il filmato, originariamente postato dal compagno di Daniel sulla community Reddit e subito rimbalzato sul sito LGBT del Nuovo Movimento dei Diritti Civili, non solo è ancora on line, ma ha, altresì, ottenuto più di 3.874.000 visualizzazioni ed oltre 31.000 commenti. La veridicità del video è stata confermata dallo zio del ragazzo, Teri Cooper, ad Advocate.com. È stata, altresì, lanciata, ad opera del suo ragazzo, una campagna GoFundMe per raccogliere i fondi necessari a coprire le spese di Daniel. In soli tre giorni, dal 27 agosto ad oggi, sono già stati raccolti circa 94.000 $, ma nemmeno un centesimo – temo – potrà compensare la perdita degli affetti familiari per questo ragazzo appena rimasto ‘orfano’.

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L’audio del video e l’impeto delle urla che ascoltiamo parlano da sé. Ho cercato di fornirvi un resoconto breve, ma il più possibile fedele, tralasciando la disputa tra nonna e nipote su verità scientifiche e dogmi religiosi. Guardatelo, non occorre conoscere la lingua per capire che qualcosa di sbagliato deve esserci nei familiari di Daniel. L’unica cosa contro natura che traspare è proprio l’aggressione di un figlio da parte di un genitore e solo perché questo figlio non è come lo si vorrebbe. Forse è vero che certe famiglie meritano soltanto menzogna. Perché far conoscere loro la nostra più intima verità significa munirli di una potente arma per distruggerci. E ciò che ci resta dopo la visione del filmato è solo tanta tristezza.

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IN BOCCA AL LUPO, DANIEL!

VIDEO: How not to react when your child tells you that he’s gay.

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SANITÀ. LA SVOLTA DIGITALE E LE AZIONI DI SISTEMA PER LO SVILUPPO DELL’E-HEALTH.

di Michele De Sanctis

Il Patto per la Sanità Digitale, contenuto all’interno del nuovo Patto per la Salute 2014-2016, si propone la riorganizzazione della rete assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale, al fine di conciliare la crescente domanda di salute con i vincoli di bilancio esistenti, ottimizzando, così, il rapporto tra costi e risultati ottenuti, in termini di prestazioni rese. In linea con il più ampio disegno di informatizzazione della Pubblica Amministrazione, l’innovazione digitale in ambito sanitario può svolgere un ruolo chiave come fattore abilitante e, in taluni casi, determinante per la realizzazione di una nuova rete organizzativa. Se concretamente attuato, dunque, il Patto potrà diventare punto di svolta decisivo del SSN, sia in termini di sostenibilità sia per un’offerta di prestazioni più efficiente ed efficace. Si tratta, pertanto, di un’azione formale necessaria per riuscire a compiere un fondamentale passo avanti e, più in generale, di una spinta necessaria all’innovazione del Paese, tanto più importante in un momento particolare come quello del semestre italiano di Presidenza UE.

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Se, da una parte, il Patto costituisce un cambiamento di prospettiva e di approccio alla sanità, dall’altra è pur vero che, affinché sia produttivo di effetti concreti, è necessario che l’innovazione digitale venga sdoganata da un ambito prettamente tecnologico, per farsi strumento strategico di governo per le Aziende Sanitarie. Il canale telematico, perciò, deve divenire la prassi nei consueti rapporti col cittadino e la digitalizzazione della documentazione sanitaria, che, peraltro, comporterà una cospicua opera di reingegnerizzazione di molte strutture territoriali, dovrà estendersi in tutta Italia, o continueremo a parlare delle best practices di alcune isolate realtà, contro la cattiva gestione della maggioranza dei presidi: in altre parole di una sanità pubblica di serie A per alcune Regioni e di un’altra sanità che non merita neppure la serie C. Per promuovere in modo sistematico questo nuovo modello e non lasciarlo, quindi, realizzato in modo sporadico, parziale e comunque non conforme alle esigenze della sanità pubblica, è, altresì, necessario predisporre un piano strategico che contenga interventi normativi idonei a rimuovere alcuni ostacoli che ne rallentano o, in alcuni casi, ne impediscono la diffusione. Un piano strategico di sanità elettronica che richiede una significativa quantità di risorse economiche dedicate: l’adozione di piattaforme e di soluzioni capaci di supportare un nuovo modello di servizio sanitario basato sui pilastri della continuità assistenziale, del care management, della deospedalizzazione e della piena cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti nella filiera della salute e del well‐being. Questo piano è, appunto, il Patto per la Sanità Digitale.

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Per capire in cosa effettivamente consista, bisogna prima chiarire cosa sia la sanità elettronica o e-Health. Con questa espressione ci riferiamo, in particolar modo, ad un complesso insieme di azioni e di interventi orientati all’innovazione, che, però, necessitano di una governance consapevole e di indicazioni di orientamento il più possibile chiare, lineari e programmatiche. Sviluppo digitale della sanità non significa, infatti, solo introduzione di tecnologie, che, seppur mature, risulterebbero del tutto nuove ed estranee alla maggior parte delle realtà ospedaliere del territorio nazionale. Sanità digitale significa, piuttosto, creazione di un fattore capace di consentire la contemporanea evoluzione dei modelli assistenziali e di quelli organizzativi. In particolare, i principali interventi per realizzare questi nuovi modelli consistono nella digitalizzazione del ciclo prescrittivo, con l’introduzione della trasmissione delle certificazioni di malattia online e la sostituzione delle prescrizioni cartacee con l’equivalente documento digitale, nella realizzazione e diffusione di una soluzione federata di Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino e nell’aumento del tasso di innovazione digitale nelle aziende sanitarie, sia nei processi di organizzazione interna, sia nell’erogazione dei servizi ai cittadini. Gli strumenti per attuarli sono: il progressivo assorbimento della Tessera Sanitaria nella Carta di Identità Elettronica o nella Carta Nazionale dei Servizi (CNS); lo sviluppo di un Centro Unico di Prenotazione unificato a livello nazionale, in cui far confluire i sistemi CUP, oggi presenti a livello provinciale e regionale, che operano spesso in modalità isolata e con canali differenziati; il collegamento in rete delle strutture di erogazione dei servizi sanitari, dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta alle Aziende Sanitarie Locali e a quelle Ospedaliere, fino alle farmacie, sia pubbliche che private; l’accesso da parte del cittadino ai servizi sanitari on-line; il pagamento online delle prestazioni erogate, nonché la consegna, tramite web (posta elettronica certificata o altre modalità digitali) dei referti medici; la creazione di adeguati sistemi di sorveglianza e di registri in ambito sanitario.

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Il primo caposaldo per il conseguimento di questi risultati è quello di rispettare il principio che il Patto introduce relativamente alla necessità di procedere ad uno sviluppo congiunto delle reciproche sinergie tra e con stakeholder e fornitori di soluzioni ICT, aspetto cui il Patto riconosce una certa importanza per quanto concerne il know-how sull’IT in sanità, quale, ad esempio, quella di divenire un possibile motore di sviluppo, attraverso specifiche iniziative di investimento. Infatti, un problema rilevante che il Patto per la Sanità Digitale pone in ordine allo sviluppo dell’e-Health è quello dei finanziamenti stimati in 3,5-4 miliardi di euro nel triennio 2014-2016. Al riguardo, il documento in parola propone una serie di azioni di sistema per l’acquisizione dei capitali necessari, che vede, appunto, l’intervento congiunto di diversi attori, non solo pubblici. È, ad esempio, prevista la costituzione di fondi strutturali nell’ambito delle azioni di procurement pre-commerciale (PCP) e di sviluppo dell’Agenda Digitale e si ipotizza, altresì, la possibilità per le Regioni di stanziare fondi ad hoc per la costituzione di modelli di partenariato pubblico-privato. Viene, inoltre, ammessa l’introduzione di iniziative private attraverso modelli di project financing e o di performance based contracting (una sorta di remunerazione dei fornitori in base ad obiettivi predefiniti e misurabili, in termini di condivisione dei ricavi e/o dei minori costi conseguiti). Infine, si evidenzia l’opportunità di porre una quota a carico dei cittadini, quale corrispettivo di specifici servizi e-Health a valore aggiunto offerti (si tratterebbe, però, di servizi resi su adesione volontaria da parte del cittadino e caratterizzati, pertanto, da standard superiori rispetto a quelli degli altri servizi gratuitamente ed equamente distribuiti all’utenza nel suo complesso). Per incrementare l’efficacia di queste azioni, il Patto suggerisce di definire ex-ante una specifica metodologia di misurazione multidimensionale dei risultati conseguiti con verifiche periodiche da effettuare durante e alla fine dei progetti, con lo scopo di attivare già in corso d’opera eventuali azioni correttive e di riorientamento dei progetti stessi.

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È, dunque, evidente quale sia l’attività propedeutica che il Patto antepone alla reingegnerizzazione del Servizio Sanitario: quella, cioè, di avviare un processo che veda la collaborazione tra stakeholder, Regioni e ASL, perché intraprendano le opportune iniziative di sistema, avviando anche un circuito di riuso delle soluzioni sviluppate, in un’ottica di condivisione ed integrazione. L’azione sarà guidata da un Comitato di Coordinamento, che entro la fine dell’anno produrrà un Master Plan per le iniziative della Sanità Digitale, contenente le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria prevista. Contestualmente, il Ministero della Salute, da parte sua, avvierà un tavolo di studio con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (l’ANAC che per effetto del DL 90/2014 assorbe le funzioni della soppressa AVCP) e la Corte dei Conti per divulgare modelli di applicazione delle norme che già oggi regolano forme contrattuali di partenariato pubblico-privato, rendendole facilmente accessibili alle stazioni appaltanti anche attraverso la pubblicazione di linee guida, contratti tipo, casi d’uso immediatamente applicabili al contesto specifico. Resta ora da attendere – e si spera non invano – l’effettiva (e celere) digitalizzazione del SSN.

Clicca QUI per scaricare il Patto per la sanità Digitale.

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TAR LOMBARDIA: LEGITTIMO IL TRASFERIMENTO DELLA PROPRIETÀ DI UNA FARMACIA TRAMITE L’ISTITUTO DEL TRUST.

Con un recente provvedimento, il Tar Lombardia, Sezione II di Brescia, ha dichiarato l’illegittimità del negato riconoscimento da parte di un’Azienda Sanitaria Locale del trasferimento della titolarità di una farmacia mediante l’istituto del trust, mettendo in parte in discussione una prassi amministrativa ben consolidata nel settore delle farmacie private. Secondo la sentenza in parola (n. 890 del 30 luglio 2014), il ricorso al trust non sarebbe, infatti, alla stregua di un negozio elusivo della normativa di riferimento, quella, cioè, dettata dalla L. 475/78, ma si tratterebbe piuttosto di uno strumento necessario a garantire il subentro generazionale in un’attività di famiglia in presenza di eredi che, tuttavia, risultino ancora privi dei requisiti richiesti dalla legge. Analizziamo insieme gli aspetti più rilevanti di questa sentenza, che potremmo definire ‘storica’.

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di Michele De Sanctis

La questione di fondo alla pronuncia dei giudici bresciani sull’argomento è che la L. 475/78 (e successive modifiche e integrazioni) prevede solo sei mesi di tempo dalla presentazione della denuncia di successione, quale termine concesso all’erede per trasferire la farmacia in capo a un soggetto professionalmente idoneo. Seppur breve, il termine di sei mesi risponde ad un principio coerente con la regola di diritto pubblico, in base alla quale la proprietà della farmacia deve coincidere con la titolarità della relativa concessione amministrativa. Sussiste, però, un problema di non coincidenza tra proprietà e titolarità nel caso in cui l’erede non sia ancora farmacista idoneo o addirittura sia minorenne, col conseguente rischio che l’attività di famiglia vada perduta. Una soluzione non convenzionale potrebbe essere quella offerta da una prassi di derivazione anglosassone, con cui è possibile regolare una molteplicità di rapporti giuridici di natura patrimoniale (isolamento e protezione di patrimoni, gestioni patrimoniali controllate ed in materia di successioni, pensionistica, diritto societario e fiscale). Si fa riferimento a quel contratto atipico per il diritto civile italiano, poiché non ancora disciplinato/tipizzato dal legislatore, che va sotto il nome di trust. Il trust è rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o mortis causa, con cui un soggetto (settlor o disponente) trasferisce ad un altro soggetto (trustee) beni o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse del disponente o di altro soggetto (beneficiario), ovvero per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal disponente nell’atto istitutivo del trust. Tuttavia, sia per la sua atipicità, sia per la sua complessità ed estrema flessibilità, potrebbe dubitarsi circa la reale esperibilità dell’uso di questo istituto per il passaggio generazionale della farmacia o per affrontarne le questioni alla relativa successione ereditaria. Soprattutto per le norme di carattere imperativo alla base del provvedimento amministrativo di concessione.

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Ebbene, la sentenza del TAR in esame affronta la questione fornendo una risposta chiara e precisa: dichiarando, infatti, l’illegittimità del negato riconoscimento da parte dell’ASL del trasferimento della titolarità di una farmacia mediante trust, il Giudice Amministrativo ha ritenuto quest’istituto – e ogni altro negozio fiduciario con cui si disponga l’effettivo trasferimento di una proprietà aziendale – compatibile con la disciplina speciale in materia di farmacie. Il trust, quindi, non solo non confligge con la norma che impone di non dissociare la titolarità della farmacie e il relativo esercizio dell’impresa dalla proprietà piena dell’azienda, ma garantisce, altresì, il pieno perseguimento delle finalità d’interesse pubblico tutelate dalla L. 475/78.

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Secondo il G.A., il trasferimento della proprietà al trustee integra il rispetto delle condizioni di legge, poiché la norma che prescrive il trasferimento in proprietà a un soggetto legittimato al subentro, in quanto farmacista ammette altresì che, successivamente, tale proprietà possa essere nuovamente trasferita, purché rispettando la condizione che ciò avvenga a favore di un farmacista qualificato. Ora, il caso del trasferimento della proprietà a un trustee comporta che tale successione sia già programmata, in quanto alla scadenza del termine del trust, la proprietà dovrà essere necessariamente trasferita o ai beneficiari, se titolati, oppure ad un terzo, da individuarsi da parte del disponente entro il termine di legge di sei mesi. “In tutti i casi e in tutti i momenti (con la sola esclusione dell’eventuale fase di transizione alla scadenza del trust senza che si sia verificata la condizione per il trasferimento ai beneficiari) sono sempre garantiti sia la coincidenza tra proprietà e gestione, che la qualifica di farmacista del proprietario. Ne consegue che né le singole disposizioni, né la ratio della norma possano ritenersi frustrate dal ricorso al particolare istituto del trust, una volta chiarito, come si è fatto nella parte che precede, che il trustee è a tutti gli effetti proprietario, ancorché temporaneamente, e che i vincoli ad esso imposti non possono, di per sé, precludere il raggiungimento dello scopo della norma”. Il Tar di Brescia ritiene, peraltro, che non rappresenti un problema neppure “il fatto che la farmacia, la cui proprietà è trasferita al trustee, non entri nel patrimonio di quest’ultimo (essendo ciò espressamente escluso dalla disciplina dell’istituto): al contrario, ciò pare fornire maggiore garanzia al sistema sanitario, in quanto la farmacia e i suoi beni non potranno essere aggrediti dai creditori personali del trustee, diversamente da quanto accade in situazioni di ordinaria titolarità”.

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Si tratta, inoltre, di una conclusione assolutamente coerente con i principi e le regole del diritto farmaceutico, anche alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia dell’UE, che “ha ritenuto compatibile con i principi comunitari la particolare disciplina del sistema farmaceutico nazionale, ma solo entro il limite del garantire che le farmacie siano gestite da farmacisti professionisti, in quanto proprio la professionalità degli stessi può rappresentare la garanzia contro il rischio, per la sanità pubblica, che la finalità di lucro prevalga sulla sicurezza e qualità della distribuzione dei medicinali. Data l’ontologica tendenza al perseguimento del lucro, il contemperamento con il perseguimento del fine pubblico può essere garantito solo dalla deontologia del farmacista professionista e dal fatto che della violazione di essa il professionista deve rispondere compromettendo “non soltanto il valore del suo investimento, ma altresì la propria vita professionale” (cfr. Quarta Sezione della CGUE, sentenza del 5 dicembre 2013 nelle cause riunite da C-159/12 a C-161/12).

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Tale obiettivo primario, il cui perseguimento è, peraltro, ritenuto legittimo a livello comunitario, risulta, dunque, ampiamente garantito nel caso di specie, in cui la gestione della farmacia è pacificamente affidata ad un farmacista professionista, anche se costituito, coerentemente con le previsioni di legge, nella forma della società di persone.

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Vale, allora, la pena di leggere attentamente l’intera sentenza fin qui esaminata, in attesa di conoscere l’eventuale seguito che avrà la vicenda, in caso di ricorso dell’Azienda Sanitaria dinanzi al Consiglio di Stato, e di analizzarne, fin da adesso, le logiche conseguenze che potrebbe avere sul piano negoziale. Siamo, infatti, di fronte a un primo precedente in materia, che costituirà probabilmente anche un punto di riferimento per casi analoghi, aprendo, altresì, scenari contrattuali del tutto inediti nell’esperienza giuridica italiana, ove sarà possibile trasferire la proprietà di una farmacia ad un’entità esterna, nondimeno senza i requisiti richiesti dalla L. 475/78, purché la stessa farmacia venga gestita da un trustee, ovvero da una figura equiparabile all’attuale direttore responsabile, che ne detenga a tutti gli effetti la piena titolarità.

Clicca QUI per leggere la sentenza TAR Lombardia, Brescia sez. II, 30/7/2014 n. 890

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CASSAZIONE: BIMBO CADUTO AL PARCO GIOCHI, OBBLIGO DEI GENITORI VIGILARE. IL COMUNE NON C’ENTRA.

Corte di Cassazione – Sezione III Civile – Sentenza 25 agosto 2014 n. 18167

di Michele De Sanctis

Un genitore «che accompagna un bambino in un parco giochi deve avere ben presente i rischi che ciò comporta» e, nel caso in cui si verifichi una caduta, non può invocare la responsabilità altrui, ad esempio del Comune, per l’esistenza di una situazione di pericolo «che egli era tenuto doverosamente a calcolare». Così la Suprema Corte Cassazione che, con sentenza 18167 della III Sezione Civile, ha rigettato il ricorso di una coppia di genitori avverso il giudizio di merito, che non aveva ravvisato alcun profilo di responsabilità a carico dell’ente locale convento in giudizio.

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I fatti risalgono al 1998, quando un bambino, che all’epoca aveva sei anni, era scivolato da un cavallo a dondolo battendo il volto mentre giocava, sorvegliato dalla madre in un parco sito nel comune di Fossacesia, località marittima della provincia di Chieti, in Abruzzo. In conseguenza della caduta, purtroppo, il bimbo riportava dei danni permanenti al volto, cosicché i genitori decidevano di far causa al Comune, incentrando la propria strategia sul nesso tra il gioco e l’incidente subìto. Tuttavia, sia il Tribunale competente, in prima istanza, che la Corte d’Appello di L’Aquila, successivamente, avevano riscontrato che le giostre era state installate da poco ed erano «pienamente conformi alla normativa» vigente in tema di sicurezza. Anzi, secondo la valutazione dei giudici di primo e secondo grado, l’incidente era interamente da ricondursi all’insufficiente attenzione da parte della madre del minore.

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In sede di giudizio di legittimità, ora, i giudici di Piazza Cavour, confermando la ricostruzione dei giudizio di merito, argomentano che, a meno che non risulti provato il difetto delle giostre e quindi il pericolo di per sé insito nel loro utilizzo, la responsabilità di un terzo non può essere invocata: l’utilizzo delle giostre, sottolinea la Corte, presuppone, infatti, «una qualche vigilanza da parte degli adulti». Per tali ragioni, il ricorso dei genitori risulta infondato e la loro pretesa di risarcimento definitivamente esclusa.

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P.A.: IL MINISTRO MADIA FIRMA LA CIRCOLARE SUL DIMEZZAMENTO DI DISTACCHI E PERMESSI SINDACALI. Circolare Ministero Semplificazione 20/08/2014 n. 5

È il 1° settembre la data fissata per la riduzione al 50% delle prerogative sindacali nelle Pubbliche Amministrazioni, tra cui si annoveno anche permessi e distacchi. Il 20 agosto, infatti, il ministro Madia ha firmato la circolare n. 5, con cui viene regolata la disciplina recata dal decreto legge di riforma n. 90/2014 (convertito definitivamente in legge lo scorso 7 agosto).

di Michele De Sanctis

Colpirà oltre un migliaio di lavoratori, almeno secondo la stima delle principali sigle, il dimezzamento dei distacchi sindacali, istituto con cui viene riconosciuto al dipendente pubblico il diritto di svolgere, a tempo pieno o parziale, attività sindacale, con la conseguente sospensione dell’attività lavorativa, ma con retribuzione a carico dell’Amministrazione di appartenenza. È per questo che la riduzione in parola, si legge sul sito del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, «è finalizzata alla razionalizzazione e alla riduzione della spesa pubblica». La Corte dei Conti ha, infatti, stimato che, solo nel 2012, i costi delle prerogative sindacali ammontavano a circa 110 milioni di euro: in pratica il corrispettivo della mancata prestazione lavorativa di un dipendente pubblico ogni 750.

La circolare n. 5, firmata due giorni dopo la pubblicazione in GURI della conversione in legge del DL 90 (18 agosto) e a un giorno dall’entrata in vigore del provvedimento (19 agosto) prevede, dunque, che entro il 31 agosto «tutte le associazioni sindacali rappresentative dovranno comunicare alle Amministrazioni competenti la revoca dei distacchi sindacali non più spettanti». E il rientro nelle Amministrazioni dei dirigenti sindacali, oggetto dell’atto di revoca avverrà – come viene specificato nella circolare – nel rispetto del contratto collettivo nazionale quadro sulle prerogative sindacali, oltreché delle altre disposizioni di tutela dei lavoratori.
In particolare, tra le garanzie che la circolare riconosce al dipendente che riprende servizio al termine del distacco o dell’aspettativa sindacale c’è la domanda di trasferimento, con precedenza rispetto agli altri richiedenti, in altra sede della propria Amministrazione, quando si dimostri di aver svolto attività sindacale e di aver avuto il domicilio nell’ultimo anno nella sede richiesta, ovvero in altra Amministrazione – anche di diverso comparto – ma della stessa sede. Inoltre, si chiarisce che il lavoratore «è ricollocato nel sistema classificatorio del personale vigente presso l’Amministrazione, ovvero nella qualifica dirigenziale di provenienza, fatte salve le anzianità maturate, e conserva, ove più favorevole, il trattamento economico in godimento all’atto del trasferimento mediante attribuzione ‘ad personam’ della differenza con il trattamento economico previsto per la qualifica del nuovo ruolo di appartenenza, fino al riassorbimento a seguito dei futuri miglioramenti economici». La circolare evidenzia altresì come chi rientra non possa venire discriminato per l’attività in precedenza svolta quale dirigente sindacale né possa essere assegnato ad attività che facciano sorgere conflitti di interesse con la stessa».

La circolare in esame, oltre a dettare, punto per punto, l’applicazione delle misure contenute nell’articolo 7 del decreto, pone anche una serie di eccezioni. Limitatamente ai distacchi, ad esempio, «la decurtazione del 50 per cento non trova comunque applicazione qualora l’associazione sindacale sia titolare di un solo distacco». Altra precisazione riguarda «le Forze di polizia ad ordinamento civile e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (personale non direttivo e non dirigente e personale direttivo e dirigente)». In tali casi «in sostituzione della riduzione del 50% si prevede che alle riunioni sindacali indette dall’Amministrazione possa partecipare un solo rappresentante per associazione sindacale».
Si prevede, inoltre, la possibilità di procedere a compensazione in caso di eccedenze. Ciò significa che nel caso in cui «le associazioni sindacali abbiano comunque utilizzato prerogative sindacali in misura superiore a quelle loro spettanti nell’anno si provvederà secondo le ordinarie previsioni contrattuali e negoziali». Di conseguenza, «ove le medesime organizzazioni non restituiscano il corrispettivo economico delle ore fruite e non spettanti, l’Amministrazione compenserà l’eccedenza nell’anno successivo, detraendo dal relativo monte-ore di spettanza delle singole associazioni sindacali il numero di ore risultate eccedenti nell’anno precedente fino al completo recupero».

Si attendono adesso le prossime istruzioni operative relativamente agli altri interventi contenuti nel Decreto PA, che, lo ricordiamo, è già legge. Tra questi i più rilevanti riguardano la cd. pensionabilità dei manager al 62esimo anno d’età, in anticipo rispetto ai parametri della legge Fornero, il taglio dei compensi per gli amministratori delle società partecipate (-20%), la mobilità obbligatoria di tutti i lavoratori, salvo quelli con tre figli o parenti disabili a carico ed una maggiore flessibilità nella realizzazione del turnover. Nel decreto spicca, poi, l’abrogazione dal 1° novembre dell’istituto del trattenimento in servizio, che ora permette ai dipendenti pubblici di continuare a lavorare per altri 2 anni dopo il conseguimento dei requisiti per poter andare in pensione.

La novità più attesa, tuttavia, riguarda il diritto degli appalti pubblici, ossia quella branca del diritto amministrativo che interessa l’attività di acquisizione di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Sarebbe, infatti, pronto e dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane un decreto ministeriale che individuerà le caratteristiche essenziali e i prezzi benchmark dei beni acquisiti dalle Amministrazioni Pubbliche, come previsto dal Decreto Irpef. Stretta su acquisti PA in arrivo, quindi: una volta pubblicate le caratteristiche dei beni acquistabili – e i relativi prezzi benchmark – potranno, infatti, partire i relativi controlli sull’attività di approvvigionamento del settore pubblico. Ma di questo vi daremo notizia, non appena il decreto in questione sarà disponibile.

CLICCA QUI per scaricare la Circolare n. 5/2014 inerente alla riduzione delle prerogative sindacali nelle PP.AA., ai sensi dell’art. 7, D.L. 90/2014, convertito nella Legge 114/2014

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LA RACCOMANDAZIONE NON È SEMPRE REATO: LO DICE LA CASSAZIONE.

Con questo post esamineremo una recente sentenza con cui la Cassazione ha escluso la rilevanza sotto il profilo penale di uno specifico caso di raccomandazione. Tuttavia, prima di procedere, è necessario premettere che quello della Cassazione è un giudizio di legittimità: i giudici di piazza Cavour, cioè, non possono entrare nel merito del contenzioso, il loro non è un terzo grado di giudizio. Per cui né la Corte ha inteso fornire una giustificazione a certe pratiche clientelari né io con questo post intendo promuoverne l’esistenza.
Personalmente, anzi, sulla base delle mie esperienze concorsuali, considero il raccomandato un ladro della peggior specie, che ogni mese non solo ruba denaro pubblico non meritato, ma che, soprattutto, sottrae indebitamente la vita a chi, invece, ne avrebbe avuto diritto, se solo questo fosse stato un Paese onesto.

di Michele De Sanctis

Con Sentenza n. 32035 ud. 16/05/2014 – deposito del 21/07/2014, la Quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione ha affermato che non ricorre alcun abuso d’ufficio ex art. 323 c.p. di un pubblico ufficiale in concorso con altri coimputati, in quanto per il concorso morale nel reato di abuso d’ufficio non basta la mera ‘raccomandazione’ o ‘segnalazione’, ma occorrono ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano un’efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato. In particolare, poi, la raccomandazione, benché effettuata da un pubblico ufficiale o da un parlamentare, non integra il reato di abuso d’ufficio qualora avvenga al di fuori delle proprie funzioni.

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Nel caso di specie, ricorrente era un Comandante di una Stazione dei Carabinieri di un Comune in cui era stato bandito un concorso per il quale aveva raccomandato ad un assessore comunale la figlia perché venisse
‘utilmente’ collocata nella graduatoria finale di merito. In favore del Comandante era, però, sopraggiunta pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Tuttavia è stato proprio avverso tale pronuncia che l’Ufficiale ha proposto il ricorso, che la Cassazione ha ora accolto, in quanto, si legge in motivazione, “in presenza di una causa estintiva del reato, il proscioglimento nel merito deve essere privilegiato quando dagli atti risulti, come nel caso in esame, la prova positiva dell’innocenza dell’imputato”. I giudici del Palazzaccio, hanno, quindi, ritenuto ininfluenti le intercettazioni telefoniche che dapprima avevano inchiodato il Comandante, inquisito nell’ambito delle medesime indagini che avevano visti coinvolti e successivamente imputati per abuso d’ufficio e falsità in atti il Presidente, i Componenti della commissione, il segretario del concorso ‘incriminato’ e l’assessore comunale.
Il punto della sentenza, infatti, è questo: la mera raccomandazione lascia, comunque, libero il soggetto attivo di aderire o meno alla segnalazione, secondo il suo libero convincimento e per tale motivo non ha efficacia causativa sul comportamento del soggetto attivo.

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La formula assolutoria deve, pertanto, prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione anche nel caso in cui si volesse prendere in considerazione, sotto il profilo soggettivo, la raccomandazione effettuata dall’imputato in qualità di Comandante della Stazione dei Carabinieri del Comune in cui il concorso era stato bandito.
Infatti, ache in tal caso, per la Corte, il delitto di abuso d’ufficio sarebbe insussistente perché, come, peraltro, già chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione a proposito di raccomandazioni provenienti da un parlamentare (sent. del 09/01/2013, n. 5895) l’abuso ex art. 323 c.p. “deve realizzarsi attraverso l’esercizio del potere per scopi diversi da quelli imposti dalla natura della funzione attribuita”. Dunque, in carenza dell’esercizio del potere (come nella fattispecie in esame, nella quale la richiesta di raccomandazione esula dalle funzioni tipiche connesse al ruolo di graduato dell’Arma dei Carabinieri, rivestito dall’imputato) non è possibile inquadrare la segnalazione di un candidato nel reato di abuso d’ufficio.

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Il reato, in verità, oggi potrebbe esserci, ma all’epoca dei fatti il nostro Codice Penale non lo contemplava. E siccome non c’è reato senza una norma sanzionatoria, comandante e parlamentare devono oggi essere assolti con formula piena. La Cassazione, infatti, non può far altro che decidere sulla base delle norme vigenti a quel tempo, per il principio di non retroattività della legge penale. E perché – lo si è già detto – il suo è un giudizio di legittimità. Il reato in questione si chiama ‘traffico di influenze illecite’. Una figura introdotta nel nostro ordinamento soltanto due anni fa, durante il Governo Monti, dall’art. 1, comma 75, L. 06/11/2012, n. 190 (cd. Legge Anticorruzione) con decorrenza dal 28/11/2012 ed attualmente contenuta dall’art. 346 bis c.p.

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Quindi, parafrasando, fino al 2012 l’Italia era quel Paese dei balocchi, in cui non ci sarebbe stato reato se il comandante della stazione dei carabinieri X avesse chiesto l’assunzione di sua figlia nel comune dell’assessore Y. E lo stesso valeva per Tizio, parlamentare della Repubblica Italiana che tanto caldeggiava la causa di Sempronio, amico degli amici. Sempreché l’azione fosse avvenuta al di fuori delle funzioni esercitate dai signori sponsor. In fondo cosa c’era di male – direbbero loro? Ho solo segnalato un giovane bravo e preparato, sul cui livello di preparazione, tuttavia, noialtri esclusi dovremmo ‘fare a fidarci’ visto che manca del tutto una valutazione oggettiva. In fondo chi è che è rimasto danneggiato? Solo una manciata di aspiranti a quel posto comunale, che, ormai, saranno riusciti a farsene una ragione e avranno continuato a tentare in altri Enti, magari confidando ancora nella correttezza delle istituzioni, e – chissà – fiduciosi di poter riuscire a lavorare un giorno in quel comune avranno forse accettato posti lontano da casa e ancora pazientano per potervi ritornare. O, peggio, una parte di quegli esclusi (che non credo sia riuscita a farsene davvero una ragione) ancora attende un lavoro onesto e meritato. Fiduciosi, tutti quanti, a ogni selezione. Anche se è davvero difficile non perdere questa fiducia, concorso dopo concorso, ingiustizia dopo ingiustizia. Nonostante la Legge Anticorruzione, resta infatti il dubbio che fatta una nuova legge, il leguleio di turno ne abbia già trovato l’inganno. Perché, in fondo, questa è l’Italia.

Clicca QUI per leggere l’intera Sentenza n. 32035/2014.

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PILLOLE DI JOBS ACT. PRIME INDICAZIONI OPERATIVE DEL MINISTERO DEL LAVORO IN MATERIA DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

 

PREMESSA

Il Jobs Act diviene finalmente oggetto di precisi chiarimenti ministeriali, fornendo le tanto attese delucidazioni per il personale ispettivo. Infatti, dopo oltre due mesi dalla conversione in legge del travagliato D.L. 20 marzo 2014 n. 34 con la Legge 16 maggio 2014 n. 78, il Ministero del Lavoro ha rese note le prime indicazioni operative sulle innovazioni introdotte in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, somministrazione di lavoro ed apprendistato, emanando la Circolare 30 luglio 2014 n. 18.

Esaminiamo nel dettaglio le indicazioni ministeriali in materia di lavoro a tempo determinato, cogliendo l’occasione per descrivere meglio come l’istituto in questione sia stato riformato dalla Legge n. 78/2014.

L’APPOSIZIONE DEL TERMINE

In primo luogo, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha evidenziato il fatto che l’art. 1, Legge, 78/2014, modificando l’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, ha reso possibile l’instaurazione di un contratto di lavoro a tempo determinato senza alcuna indicazione delle previgenti ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” giustificatrici dell’apposizione di un termine a siffatta tipologia contrattuale.
Infatti, la novella legislativa rende, possibile la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, in quanto, ai fini della sua legittima instaurazione è sufficiente che il termine risulti “direttamente o indirettamente” (così come era già stato sottolineato nella precedente Circ. Min. Lav. n. 42/2002) rinvenibile nell’atto scritto presupposto (cfr., art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001).
L’unico limite legislativo sopravvissuto al presente intervento riformatore consiste nel fatto che un contratto di lavoro a tempo determinato od un contratto di somministrazione a tempo determinato, non possono superare i 36 mesi di durata, comprensivi di eventuali proroghe.
In altri termini, secondo la Circ. Min. Lav. n. 18/2014, la previsione contenuta nell’art. 1 Legge, n. 78/2014 rende possibile l’instaurazione di contratto di lavoro a tempo determinato “acausale” per svolgere “qualunque tipo di mansione”, introducendo un “elemento di flessibilità” applicabile “universalmente”.
Tuttavia, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 evidenzia comunque la sussistenza delle ragioni giustificative nel nuovo quadro normativo in presenza di particolari fattispecie. Ad esempio, tale evenienza ricorre in presenza di assunzioni di lavoratori a tempo determinato “per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità”. Infatti, in presenza di tali ipotesi, le assunzioni sono esenti dai limiti quantitativi (ex art. 1, comma 1 ed art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001) e dal contributo addizionale dell’1,4% previsto dall’art. 2, comma 29, Legge n. 92/2012. Di conseguenza, “ai soli fini di trasparenza”, il Ministero del Lavoro ha ritenuto “opportuno” che il contratto in questione debba evidenziare in forma scritta le predette causali giustificatrici.

 

IL LIMITE LEGALE

L’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 (così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1, Legge n. 78/2014), prevede che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001 (che elenca i casi di esenzione dalle limitazioni quantitative per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato), il numero complessivo di contratti a tempo determinato che possono essere stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza alla data del 1° gennaio dell’anno di assunzione. Invece, per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha specificato che, in assenza di una diversa disciplina contrattuale applicata, il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare il numero dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato che risultano essere attivi alla data del 1° gennaio, ovvero, per le attività iniziate nel corso dell’anno, alla data di assunzione del primo lavoratore a tempo determinato per verificare tale limite del 20%.
Ovviamente, la Circolare in questione ricorda che devono essere esclusi da tale conteggio tutti i rapporti di:

  • lavoro autonomo;
  • lavoro accessorio;
  • lavoro parasubordinato;
  • associazione in partecipazione;
  • lavoro intermittente senza obbligo di risposta alla chiamata (e, quindi, privi della indennità di disponibilità: cfr., art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

Invece, devono essere ricompresi nel conteggio in questione:

  • i dirigenti a tempo indeterminato;
  • gli apprendisti, fatta eccezione per quelli assunti a tempo determinato per ragioni di stagionalità (cfr., art. 4, comma 5, D.Lgs. n. 167/2011 ed art. 3, comma 2-quater, D.Lgs. n. 167/2011);
  • i lavoratori a tempo parziale da conteggiarsi in proporzione all’orario di lavoro svolto rapportato al tempo pieno secondo la disciplina prevista dall’art. 6 D.Lgs. n. 61/2000;
  • i lavoratori intermittenti con obbligo di risposta alla chiamata (per i quali è prevista l’indennità di disponibilità e che vengono conteggiati secondo le modalità previste dall’art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

Secondo la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 la verifica del numero dei lavoratori a tempo indeterminato deve essere effettuata avendo riguardo al totale dei lavoratori complessivamente occupati, a prescindere dalla unità produttiva nella quale essi sono effettivamente allocati, rimanendo ferma la possibilità di destinare i lavoratori a tempo determinato presso una sola od alcune unità produttive facenti capo al medesimo datore di lavoro. Ad esempio, se risultano assunti in data 1° gennaio da parte del datore di lavoro interessato 10 lavoratori subordinati a tempo indeterminato, il datore di lavoro in questione potrà procedere all’assunzione di 2 lavoratori a tempo determinato.
Qualora tale calcolo della percentuale del 20% produca un valore con decimale uguale o superiore a 0,50, è permesso al datore di lavoro di arrotondare il numero dei contratti a termine stipulabili all’unità superiore. Ad esempio, una percentuale di contratti a tempo determinato stipulabili pari a 2,50 permette la stipulazione effettiva di 3 contratti. Tuttavia, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha precisato che, in fase di prima applicazione di queste disposizioni, non dovrà essere sanzionato il datore di lavoro che, nel periodo intercorrente dall’entrata in vigore delle norme in questione con il D.L. n. 34/2014 (cioè, il 21 marzo 2014) e la pubblicazione della Circolare in esame (cioè, il 30 luglio 2014), risulti aver proceduto ad un numero di assunzioni di lavoratori a tempo determinato sulla base di un arrotondamento in eccesso (cioè, in presenza di un decimale inferiore a 0,50).
Il Ministero del Lavoro si è preoccupato di chiarire che il numero complessivo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non costituisce un limite “fisso” annuale, bensì variabile nel tempo, in quanto rappresenta una “proporzione” tra il numero dei lavoratori “stabili” a tempo indeterminato e quello “mobile” dei lavoratori a tempo determinato. In tal modo, allo scadere di un contratto di lavoro a tempo determinato, sarà sempre possibile stipularne subito un altro, purché venga rispettata la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%.
La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 si sofferma anche sulla possibilità di stabilire ulteriori contratti di lavoro a tempo determinato, al di fuori del limite massimo stabilito dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 novellato dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1, Legge n. 78/2014. Essi sono:

  • l’art. 10, comma 7, D.Lgs., n. 368/2001 esenta da qualsiasi limitazione quantitativa i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi:
    • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
    • per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963. Con riferimento alle ragioni di “stagionalità” poste a giustificazione dell’esenzione ex art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, il Ministero del Lavoro ha chiarito che, oltre alle attività stagionali previste nell’elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963, posso rinvenirsi ulteriori ipotesi derogatorie nell’ambito del contratto collettivo applicato, anche aziendale, il quale può ricomprendere nelle ragioni di stagionalità intese in senso ampio anche le assunzioni per far fronte ad incrementi di produttività. Tale apertura della prassi ministeriale trova la sua giustificazione nel fatto che l’elencazione contenuta nel D.P.R. n. 1525/1963 non ha natura tassativa, per espressa indicazione del Legislatore;
    • per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
    • con lavoratori di età superiore a 55 anni;
  • l’art. 1, D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in Legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevede una deroga al limite legale di cui all’art. 1, comma 1, D.Lgs. 368/2001, in presenza di una start-up innovativa. A sensi dell’art. 25, comma 2, Legge n. 221/2012, s’intende per “start-up innovativa” una la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’art. 73 D.P.R.. 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede una serie di requisiti meglio indicati nella citata norma;
  • che, ai sensi dell’art. 10, comma 5-bis, D.Lgs. n. 368/2001, il limite quantitativo massimo del 20% ed il limite di durata massima di 36 mesi per ogni singolo contratto non trovano applicazione nei confronti dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca, ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha evidenziato che tale deroga non opera nei confronti del limite dei rinnovi contrattuali di cui all’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001;
  • infine, non concorrono al superamento del limite del 20% le assunzioni di disabili con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate ai sensi dell’art. 11 Legge n. 68/1999, nonché acquisizioni di personale a tempo determinato in caso di trasferimento di azienda o di ramo di azienda. In tal caso, i contratti possono essere prorogati, ma in presenza di un eventuale rinnovo si dovrà tenere conto dell’eventuale superamento dei limiti quantitativi.

LE LIMITAZIONI PER I DATORI DI LAVORO CHE OCCUPANO FINO A 5 DIPENDENTI

I datori di lavoro che occupano fino 0 a 5 dipendenti, possono procedere all’assunzione di un lavoratore a tempo determinato. È possibile un eventuale intervento in materia da parte della contrattazione collettiva sostitutivo della disciplina legale, con l’avvertenza che il contratto collettivo può esclusivamente prevedere margini più ampi per le assunzioni a tempo determinato (cfr., art. 1, comma 1, ultimo periodo, D.Lgs. n. 368/2001).

 

IL LIMITE CONTRATTUALE

Abbiamo già visto che, secondo l’interpretazione ministeriale, il limite quantitativo massimo del 20% di cui all’art. 1, comma 1, D.L. n. 368/2001 può essere derogato la contrattazione collettiva, sia prevedendone un aumento che una sua diminuzione.
Inoltre, la contrattazione collettiva può anche individuare criteri di scelta per effettuare il calcolo differenti dalla data del 1° gennaio, tenendo conto, ad esempio, di coloro che risultano mediamente occupati in un determinato arco temporale.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav n. 18/2014 ha evidenziato il contenuto dell’art. 2-bis, comma 2, Legge, n. 78/2014, il quale prevede che, in sede di prima applicazione del limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001 (lo ricordiamo, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), Legge n. 78/2014), conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro. Di conseguenza, non necessita l’introduzione da parte della contrattazione collettiva di nuove clausole limitatrici, in quanto continuano a trovare applicazione quelle già esistenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, il 21 marzo 2014), ferma restando la possibilità che, in un momento successivo, la medesima contrattazione collettiva decida di introdurne delle nuove.

LA DISCIPLINA SANZIONATORIA

Per quanto concerne la disciplina sanzionatoria, si evidenzia che, in sede di conversione del D.L. n. 34/2014, cioè, in data 20 maggio 2014, è stata introdotta una specifica sanzione amministrativa pecuniaria “a presidio dei limiti quantitativi” per le assunzioni a tempo determinato.
Si tratta dell’art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. b-septies, Legge n. 78/2014), il quale prevede che, in caso di violazione del limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria:

  1. pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
  2. pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

Relativamente a tale sanzione, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che essa trova applicazione, sia qualora il datore di lavoro abbia superato il limite legale del 20% per la stipulazione dei contratti a tempo determinato, sia quando costui non rispetti il diverso limite stabilito dalla contrattazione collettiva.
Inoltre, il Ministero del Lavoro ha affermato che tale calcolo in termini percentuali dell’importo sanzionatorio deve effettuato tenendo conto della retribuzione spettante ai lavoratori assunti in violazione del limite in questione e, cioè, tenendo conto degli ultimi lavoratori assunti in ordine di tempo.
Vista l’assenza di specificazioni da parte del legislatore, la retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo della sanzione deve essere la retribuzione lorda mensile riportata nel singolo contratto di lavoro, desumibile anche attraverso una divisione della retribuzione annuale per il numero di mensilità spettanti, Qualora, il personale ispettivo non rinvenga nel contratto individuale un riferimento esplicito alla retribuzione lorda mensile, sarà necessario fare riferimento alla retribuzione tabellare prevista nel contratto collettivo applicato o applicabile.
Individuata in tal modo la retribuzione lorda mensile di riferimento ed applicata su di essa la percentuale del 20% o del 50%, l’importo così ottenuto – eventualmente arrotondato all’unità superiore qualora il primo decimale sia pari o superiore a 0,50 – deve essere moltiplicato, in riferimento a “ciascun lavoratore” interessato, per il numero dei mesi o frazione di mese superiore a 15 giorni.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che ogni periodo pari a 30 giorni di occupazione deve essere considerato come mese intero e, solo se i giorni residui sono più di 15, andrà conteggiato un ulteriore mese. Di conseguenza, relativamente ai periodi di occupazione inferiori a 15 giorni, la sanzione in questione non può essere applicata, in quanto il moltiplicatore risulta essere pari a zero.
Per effettuare un corretto calcolo dell’effettivo periodo di occupazione non è necessario tener conto delle eventuali “sospensioni” del rapporto derivanti, ad esempio, da malattia, infortunio, maternità o orario di lavoro part-time verticale. Ai fini del calcolo in questione rileva soltanto la data d’instaurazione del rapporto di lavoro (c.d. “dies a quo”) e la data in cui è stata accertata l’esistenza dello “sforamento” (c.d. “dies ad quem”), il quale, di norma, coincide con la data dell’accertamento ispettivo, sebbene sia sempre possibile accertare ulteriore “sforamenti” avvenuti in relazione a rapporti di lavoro già conclusi, con la conseguenza che tale data coincide con la scadenza del termine.
Il Ministero del Lavoro ha anche evidenziato che la sanzione amministrativa in questione non è ovviamente ammissibile a diffida amministrativa ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, attesa l’evidente insanabilità della condotta illecita legata all’ormai consumato superamento del limite alla assunzioni a tempo determinato.
Invece, appare scontata l’ammissione del trasgressore al pagamento in misura ridotta degli importi sanzionatori ex art. 16 Legge n. 689/1981 da pagarsi entro 60 giorni dalla notificazione dell’illecito accertato e sanzionato, per una somma pari a un terzo del massimo della sanzione edittale.
Il Ministero del Lavoro ritiene ancora efficaci le clausole contrattuali che impongono limiti complessivi alla stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato od alla utilizzazione di lavoratori somministrati. In tal caso, ai fini dell’individuazione della sanzione da applicare, il personale ispettivo deve verificare se il superamento dei limiti sia avvenuto a causa del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato od alla somministrazione di lavoro. Nel primo caso, si deve applicare la già analizzata nuova sanzione ex art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001, mentre, qualora ricorra la seconda ipotesi, trova applicazione sanzione contenuta nell’art. 18, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003 (cioè, una sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 ad € 1.250). In particolare, la Circolare in esame ha anche sottolineato che, in presenza di sforamento, ad esempio, di due unità, la prima assunta con contratto a tempo determinato e la seconda con contratto di somministrazione, deve essere applicata la nuova sanzione ex art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001, parametrata al 50% della retribuzione, escludendosi, in ogni caso, l’applicazione contestuale di entrambe le sanzioni.
Inoltre, bisogna ricordare che, nel rispetto di quanto sancito dall’art. 1, Legge n. 689/1981, l’art. 1, comma 2-ter, Legge n. 78/2014 prevede che la sanzione di cui all’art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001 non deve essere applicato nei confronti dei rapporti di lavoro instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore de D.L. n. 34/2014 (cioè, i 21 marzo 2014), che comportino il superamento del predetto limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001.
Il legislatore ha, altresì, stabilito, all’art. 2-bis, comma 3, Legge n. 78/2014, che il datore di lavoro che alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, i 21 marzo 2014) abbia in corso rapporti di lavoro a tempo determinato che comportino il superamento del limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001, è tenuto a rientrare nel predetto limite entro la data del 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell’azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole. In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale di cui al citato art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001. La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che il riferimento alla contrattazione collettiva deve essere inteso anche con riferimento a quella di livello territoriale e/o aziendale, ma con l’avvertenza che quest’ultima può esclusivamente disciplinare il regime transitorio poc’anzi indicato, con la conseguenza che, al termine di esso, devono essere applicati i limiti alla stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato previsti o direttamente dal legge in esame, ovvero dalla contrattazione collettiva di livello nazionale.
A partire dall’anno 2015 – fatto salvo quanto diversamente stabilito dalla contrattazione collettiva – non potranno essere effettuate nuove assunzioni a tempo determinato da parte dei datori di lavoro che, alla data del 21 marzo 2014 (data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014), risultino aver superato i limiti quantitativi in questione senza esservi rientrati entro la data del 31 dicembre 2014.
Inoltre, a far data dalla data di entrata in vigore del presente regime sanzionatorio (cioè, il 20 maggio 2014), anche tali datori di lavoro possono essere oggetto di sanzione qualora, anziché rientrare nei limiti, abbiano effettuato ulteriori assunzioni a tempo determinato rispetto a quelle ammesse. Invece, la sanzione in esame non trova applicazione qualora tali datori di lavoro si siano limitati a prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato già in essere, stante il solo divieto di assunzione a partire dall’anno 2015.

 

LA DISCIPLINA DELLA PROROGA

In tema di proroghe, il nuovo testo dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 (così come sostituito dalla Legge n. 78/2014) rende possibile prorogare, con il consenso del lavoratore, il termine del contratto a tempo determinato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di cinque volte, nell’arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che esse si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi, la durata complessiva del rapporto a tempo determinato non può essere superiore ai tre anni.
Il Ministero del Lavoro ritiene che il nuovo testo dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 consente di prorogare il termine inizialmente apposto al contratto per un massimo di 5 volte nel limite di durata massima di 36 mesi, a condizione che ci si riferisca alla “stessa attività lavorativa”, intendendo con tale formulazione le medesime mansioni, le mansioni equivalenti, o comunque le mansioni svolte ex art. 2103 cod.civ. indipendentemente dal numero dei rinnovi contrattuali. Viceversa, il nuovo contratto a tempo determinato prevede mansioni differenti le proroghe precedenti non devono essere contabilizzate.
La nuova disciplina delle proroghe trovano applicazione dopo il 21 marzo 2014, per i rapporti costituiti precedentemente resta in vigore il previgente regime che permetteva una sola proroga. Ovviamente, restano in ogni caso legittime le eventuali proroghe operate nel periodo intercorrente dal 21 marzo 2014 al 19 maggio 2014, ove, in virtù dell’iniziale formulazione del D.L. n. 34/2014 risulti essere stato effettuato un numero massimo di 8 proroghe.

LA DISCIPLINA DEI RINNOVI

Mentre la proroga di un contratto è rinvenibile qualora, prima della scadenza del suo termine, esso venga prorogato ad altra data, il rinnovo di un contratto a tempo determinato è rinvenibile quando il termine iniziale di scadenza originariamente previsto sia stato raggiunto e le parti intendano procedere alla sottoscrizione di un ulteriore contratto.
In proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che non vi è coincidenza dell’ambito applicativo tra i due istituti della proroga e del rinnovo. Infatti, l’introduzione da parte del novellato art. 1 D.Lgs. n. 368/2001 del limite di 36 mesi per un singolo contratto a tempo determinato non consente la sottoscrizione di un primo contratto di durata anche superiore, fatte salve le previsioni di carattere speciale, come quelle già esaminate a favore degli enti di ricerca, o quelle dedicate ai dirigenti nex art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001.
Tuttavia, la prassi ministeriale ritiene ancora possibile stipulare più contratti a tempo determinato anche oltre il limite di 36 mesi, purché si rimanga nell’ambito delle ipotesi derogatorie previste dall’art. 5, commi 4-bis e 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001. Innanzi tutto, il comma 4-bis, primo periodo preveda che, qualora per effetto di successione di contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. Tuttavia, il comma 4-bis, secondo periodo prevede una prima deroga, qualora un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti sia stato stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula in questione sia avvenuta presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale devono stabilire con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. Tale previsione ha trovato accoglimento nell’accordo interconfederale tra Confindustria CGIL, CISL e UIL del 10 aprile 2008, in virtù del quale tale ulteriore contratto non può essere superiore ad otto mesi. Tra l’altro, si precisa che anche con riferimento a siffatto ulteriore contratto non è più necessaria l’individuazione delle cause giustificatrici dell’apposizione del termine.
Venendo all’esame dell’art. 5, comma 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001, è prevista un ulteriore deroga al limite di 36 mesi in presenza delle attività stagionali definite dal D.P.R. n. 1525/1963, nonché di quelle altre attività (anche non stagionali) oggetto di specifica individuazione da parte degli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

I DIRITTI DI PRECEDENZA

Relativamente ai diritti di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 si sofferma, in primo luogo, sulle modifiche apportate dalla Legge n. 78/2014 all’art. 5, 4-quater, D.Lgs. n. 368/2001. In virtù di tale norma, si prevede un diritto di precedenza a favore del lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a tempo determinato.
Al riguardo, la novella operata dalla Legge n. 78/2014 ha stabilito che, per le lavoratrici, il congedo di maternità di cui all’art. 16, comma 1, D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a tempo determinato presso il medesimo datore di lavoro, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza poc’anzi descritto. Alle medesime lavoratrici è, altresì, riconosciuto, con le stesse modalità riconosciute alla generalità dei lavoratori, il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a tempo determinato.
Infine, su tale argomento, la Circolare ministeriale si sofferma a precisare che i diritti di precedenza disciplinati dall’art. 5, commi 4-quater e 4-quinquies, D.Lgs. n. 368/2001 a favore delle lavoratrici madri e dei lavoratori stagionali richiedono l’obbligo di richiamo in forma scritta da parte del datore di lavoro, così come prescritto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001. Di conseguenza, la mancata informativa sui diritti di precedenza non incide sul potere di esercitarli da parte del lavoratore, anche se, al contempo, tale omissione non è oggetto di alcuna specifica sanzione.

 

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VIAGGIARE SICURI: ARRIVA L’APP DEDICATA ALLA TESSERA EUROPEA DI ASSICURAZIONE E MALATTIA.

di Michele De Sanctis

La tessera europea di assicurazione e malattia, Team,
è una tessera gratuita con cui i cittadini dei 28 Stati membri dell’UE hanno diritto all’assistenza sanitaria statale in caso di permanenza temporanea in una Nazione europea diversa dalla propria, oltreché in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera, alle stesse condizioni e allo stesso costo del proprio Paese di provenienza (anche gratuitamente se previsto dallo Stato membro).

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Per utilizzarla basta esibirla negli ospedali o negli studi convenzionati con il sistema sanitario pubblico. Tuttavia, la Team non copre né l’assistenza privata né i costi relativi a viaggi programmati per curarsi fuori dall’Italia, per i quali è attesa, entro il prossimo 31 ottobre, la promulgazione da parte del nostro Ministero della Salute di specifiche linee guida, mentre è già attivo un Punto di Contatto Nazionale, presso cui ottenere informazioni relative all’accesso e all’assistenza sanitaria transfrontaliera all’interno dell’Unione Europea. Dunque, che si tratti di una malattia o di un incidente, ovvero di infortunio sul lavoro, questa tessera ci permette, di semplificare il nostro accesso ai servizi sanitari del Paese in cui soggiorniamo temporaneamente, siano essi gratuiti o a pagamento.

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La tessera europea di assicurazione e malattia viene rilasciata a tutte le persone a carico del Servizio Sanitario Nazionale in possesso della cittadinanza italiana e con residenza in Italia, ma spetta anche ai cittadini extracomunitari iscritti al SSN e non a carico di istituzioni estere. Così come in Italia, la tessera è stata rilasciata in tutta Europa: gli ultimi dati diffusi dalla Commissione Europea indicano che sono circa 200 milioni i cittadini europei che ne usufruiscono e che, soprattutto, la portano con sé in viaggio. A fronte di questi dati incoraggianti, tuttavia, c’è il ragionevole dubbio che non tutti i 200 milioni di utenti lo facciano in maniera consapevole. Quanti di voi, per esempio, sanno di essere già in possesso di una propria Team personale? In realtà, la tessera europea di assicurazione e malattia altro non è che la parte retrostante della nostra tessera sanitaria nazionale o, per chi abita in Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Sicilia, della carta regionale dei servizi. Per cui non dobbiamo fare alcuna richiesta per ottenerla: abbiamo già la nostra Team.

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Tuttavia, considerata la diversità dei sistemi sanitari europei, non sempre è facile capire come utilizzare la Team secondo le regole nazionali. Ecco perché, in occasione del decimo anniversario della tessera, la Commissione Europea ha deciso di introdurre nuove regole, affinché i cittadini europei potessero usufruire nel modo più semplice possibile del proprio sistema nazionale di identificazione elettronica per l’accesso ai servizi sanitari, quando si trovano in un altro Stato UE. E lo ha fatto lanciando una nuova mobile app dedicata al servizio, disponibile su AppStore, Google Play e Windows Marketplace. L’applicazione è già disponibile in 24 lingue, italiano compreso, con un’opzione molto semplice da usare per passare da una lingua all’altra.

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Per ogni Paese l’app fornisce:
informazioni generali, numeri di emergenza, cure coperte da assicurazione pubblica e costi. Troverete, inoltre, le modalità per presentare la richiesta di rimborso e chi contattare in caso di smarrimento della tessera. Con l’app sarà inoltre possibile calendalizzare la scadenza della propria tessera.

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Al primo avvio l’app richiede un ulteriore download di dati del peso di 9MB senza cui non sarà possibile la relativa inizializzazione. Vi consiglio di effettuare il download dell’app e del pacchetto dati sotto copertura Wi-Fi. Diversamente i costi per il download varieranno a seconda del piano tariffario sottoscritto con il vostro operatore per il traffico sotto copertura 3G.

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Per ottenere tutte le informazioni di cui avete bisogno per un corretto uso della vostra tessera europea di assicurazione e malattia, potete consultare il sito istituzionale della Commissione Europea e quello del Ministero della Salute.

Scaricate gratis l’app per il vostro smartphone:

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CONVERTITO IN LEGGE IL DECRETO DI RIFORMA DELLA P.A.

Con il voto della Camera al cd. ‘decreto P.A.’, senza modifiche rispetto al testo già passato in Senato, la prima parte della Riforma della Pubblica Amministrazione è ora legge. Tuttavia, come ha precisato il Ministro Madia, il fulcro della riforma sarà nel disegno di legge delega la cui discussione in Senato, per ora, è stata rinviata a settembre.

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di Michele De Sanctis

Dopo aver posto per tre volte la fiducia in una sola settimana, lo scorso 7 agosto il Governo ha incassato il via libera definitivo sulla prima parte della riforma P.A.: analizziamo i principali punti della legge di conversione del DL 90/2014.

Il decreto in parola introduceva una serie di disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa, oltreché all’efficienza degli uffici giudiziari. Nel corso dell’esame parlamentare sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto e la discussione di alcuni punti è stata rinviata all’approvazione di specifici provvedimenti.

Tra le novità più importanti, la norma appena approvata prevede la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, cui potrà essere applicata, anche senza il loro consenso, entro una distanza di 50 km, salvo alcune deroghe per coloro i quali abbiano figli con meno di tre anni e diritto al congedo parentale e per quei lavoratori che usufruiscano dei permessi di cui alla L. 104/92, per l’assistenza a un familiare disabile.

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Confermata l’abrogazione del trattenimento in servizio, con deroga parziale per i magistrati, cui la soppressione dell’istituto in parola si applicherà solo dal 2016. Viene, inoltre, resa più stringente la disciplina del collocamento ‘fuori ruolo’ di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede il collocamento obbligatorio in ‘fuori ruolo’ allorché questi soggetti intendano accettare incarichi di diretta collaborazione o consulenza giuridica con un’Amministrazione Pubblica. Tuttavia, vengono fatti salvi i collocamenti in aspettativa già concessi e ancora in essere alla data di entrata in vigore del decreto.

Per quanto riguarda l’urgente questione posta dall’attuale blocco del turn over, sono state riviste le percentuali in riferimento al periodo 2014-2018, diventate adesso più flessibili rispetto ai parametri imposti dall’austerity, in precedenza chiesti dall’Europa e che sul piano operativo hanno dimostrato un’insostenibilità pratica ed una totale irrazionalità giuridica. In pratica, con le modifiche apportate, le Amministrazioni Pubbliche potranno ora assumere nel limite del 20% della spesa relativa alle uscite di quest’anno; tale percentuale passerà poi al 40% nel 2015, fino ad arrivare al 100% nel 2018.

Viene contestualmente consentita l’ulteriore proroga, oltre quella già prevista fino al 31/12/2014, per quei contratti a termine in essere e in passato stipulati dalle Province per specifiche necessità. Inoltre, per alcune tipologie di lavoratori socialmente utili non verranno applicati i limiti di assunzione previsti, ma soltanto nel caso in cui il costo relativo al personale risulti coperto da specifici finanziamenti.

Altra novità in materia pensionistica interessa chi dopo la pensione intenderà accettare incarichi di studio o di consulenza nella Pubblica Amministrazione: potrà farlo, ma solo a titolo gratuito.

I Dirigenti della P.A. potranno essere mandati in pensione a 62 anni, ma è saltato il pensionamento a 68 anni per primari e professori universitari.

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Per qesti ultimi, inoltre, diventerà più facile ottenere l’abilitazione di cui alla L. 240/2010: saranno, infatti, sufficienti 10 pubblicazioni (e non più 12) per presentare la propria candidatura. Saranno altresì rivisti i criteri di valutazione.

In previsione fino al 2019 sono stati “spalmati” i 62 milioni già stabiliti per i prepensionamenti nel fondo triennale per l’editoria. Viene nel contempo fissato per legge l’obbligo di almeno un’assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Per quanto riguarda le provvidenze all’editoria di cui alla L. 416/81, viene finanziata la spesa di 3 milioni per il 2014, di 9 milioni nel 2015, di 13 milioni nel 2016, di altri 13 nel 2017, di 10,8 nel 2018 e di 2 milioni nel 2019. Fissato, inoltre, un altro limite al Fondo straordinario per l’editoria: il finanziamento concesso per i prepensionamenti sarà revocato qualora i giornalisti prepensionati stipulino contratti di collaborazione sia con la testata presso cui già lavoravano sia con un’azienda editoriale diversa, ma facente parte del medesimo gruppo editoriale.

Sul fonte dei dirigenti pubblici, si introduce una norma che ne consente l’assunzione presso gli Enti Locali con contratto a termine e senza concorso. La chiamata diretta vede un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’attuale, che passa dal 10% al 30% dei posti in pianta organica. È poi consentito agli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, di non applicare alcuna limitazione. Con questa disposizione sembrerebbe, quindi, che la dirigenza stia tornando sotto un più serrato controllo della politica.

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Novità anche presso le Camere di Commercio, dove le tariffe delle segreterie saranno ora definite sulla base di costi standard prefissati dal Ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver consultato le società per gli studi di settore e Unioncamere. Il taglio degli importi dovuti alle CCIA sarà graduale nei prossimi tre anni (-35% nel 2015, -40% nel 2016 e -50% nel 2017).

Per quanto concerne l’organizzazione degli Enti Territoriali, resta confermata, invece, l’eliminazione delle quote dei diritti di segreteria e dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali e provinciali.

Sono salve le sezioni distaccate dei Tar, che si trovano nelle città sedi di corti d’appello: Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. La soppressione delle altre sedi slitta di quasi un anno, da ottobre 2014 a luglio 2015.

Per quanto riguarda la disciplina dei lavori pubblici, sono conferiti maggiori poteri all’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di vigilanza. In sostanza, il diritto degli appalti pubblici si arricchisce di un importante elemento di novità: potranno, infatti, essere commissariate anche le società appaltatrici dei lavori, coinvolte in inchieste per casi di corruzione. Inoltre, al Presidente dell’ANAC – attualmente, Raffaele Cantone – verranno assegnati compiti di alta sorveglianza, con l’obiettivo di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere milanesi di Expo 2015. Viene creata, poi, una corsia veloce per accelerare il giudizio amministrativo in materia di appalti: si prevede la possibilità di definirlo con sentenza in forma semplificata pronunciata in udienza fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, con possibilità di rinvio a 45 giorni per effettuare approfondimenti istruttori. Sempre in materia processuale, è previsto un inasprimento delle sanzioni per le cd. ‘liti temerarie’: l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto d’appalto.

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I componenti delle Authority dovranno attendere 5 anni per prima di essere nuovamente nominati a capo di un’altra Autorità. La razionalizzazione delle strutture deve poi prevedere una concentrazione del personale nella sede centrale non inferiore al 70%. Inoltre, i dirigenti di BankItalia ed ISVAP non potranno avere collaborazioni, consulenze o impieghi con i soggetti regolati entro due anni dalla cessazione del proprio incarico.

Per quanto riguarda il personale scolastico, il Governo ha deciso di rimandare a fine mese, con uno specifico provvedimento, la soluzione del problema dei cd. ‘quota 96’, che era stato precedentemente accantonato in Senato. Inoltre, pare che il Ministero dell’Istruzione abbia già iniziato a lavorare su un pacchetto scuola che dovrebbe prevedere concorsi nazionali banditi ogni due-tre anni per l’assunzione di nuovi docenti, insieme al reclutamento per il 50%, derivante dallo scorrimento delle graduatorie.

Come sempre, noi vi terremo aggiornati su tutte le prossime novità.

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Documenti:

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Sintesi del contenuto ed elementi per l’istruttoria legislativa 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Schede di lettura 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-A/R Elementi per l’esame in Assemblea 30 luglio 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-B Schede di lettura 5 agosto 2014

Scarica QUI il testo del decreto DL PA AC 2486 – B

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IL NUOVO PATTO PER LA SALUTE PUNTO PER PUNTO.

Riguarderà circa 60 milioni di cittadini e, almeno nelle promesse del Ministro Lorenzin, dovrebbe cambiare la Sanità italiana. Il rinnovato accordo tra Stato e Regioni sul nuovo Patto per la Salute relativo al triennio 2014-2016 è stato siglato lo scorso 10 luglio 2014. Esaminiamone i punti salienti.

di Michele De Sanctis

Il Patto per la Salute è l’accordo finanziario e programmatico tra Governo, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, con cui viene fissata la spesa e la programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per il triennio successivo. La sue finalità sono quelle di migliorare la qualità dei servizi, promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e garantire l’unitarietà del sistema.

L’aspetto più innovativo del rinnovato accordo è senz’altro rappresentato dal fatto che col nuovo Patto le Regioni avranno certezza di budget: sarà, cioè, possibile avviare una programmazione triennale (anche in termini di spesa).
L’obiettivo dichiarato è quello di rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove sfide: invecchiamento della popolazione, arrivo di nuovi farmaci sempre più efficaci ma molto più costosi, medicina personalizzata, lotta a sprechi e a inefficienze, risparmi da reinvestire in salute, accesso alle cure garantito per tutti (dai farmaci fino ad uno standard qualitativo di assistenza).

Rileva, inoltre, l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, vale a dire quelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket.
Aggiornare i LEA significa eliminare prestazioni e cure ormai obsolete, che, comunque, hanno un costo e sostituirle con nuove e moderne cure più efficaci per la lotta contro le malattie e la tutela della salute collettiva e individuale. Vengono, quindi, introdotte nuove prestazioni, come quelle relative alla cura di malattie rare. Il Patto sancisce, inoltre, che il mancato conseguimento degli obiettivi di salute ed assistenziali, previsti dallo stesso, per i Direttori Generali costituirà grave inadempimento contrattuale, a cui conseguirà la decadenza automatica.

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Con il Patto per la Salute 2014 viene aggiornato anche il Il Nomenclatore Tariffario delle Protesi e degli Ausili, cioè quel documento, emanato dal Ministero della Salute, che stabilisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Il relativo aggiornamento si è reso indispensabile al fine di garantire ai cittadini protesi moderne, visto che era fermo da quasi quindici anni.

Leggi anche RIFORME: ECCO COME CAMBIERÀ LA SANITÀ.

Ulteriore indirizzo programmatico del nuovo Patto è quello della mission del SSN che vede il malato al centro del sistema: l’umanizzazione delle cure, ha dichiarato il Ministro nel corso dei lavori preparatori, è il fulcro del nuovo Patto. Nessuna novità, in realtà, se tale dichiarazione programmatica non viene tradotta in azioni concrete a livello territoriale, posto che l’umanizzazione delle cure, oltreché naturale corollario dei principi della Costituzione italiana e delle varie convenzioni internazionali per la garanzia dei diritti dell’uomo, già ratificate dallo Stato italiano, è richiamata, altresì, dal Piano Sanitario Nazionale vigente e da quelli Regionali e da quasi tutti gli atti di autonomia aziendale delle Aziende Sanitarie Locali. L’umanizzazione delle cure, prevedendo un’attenzione particolare alla persona nella sua totalità, fatta di bisogni organici, psicologici e relazionali, implica, di fatto, un’integrazione socio-sanitaria dei servizi locali e distrettuali che, con l’agenda Monti e, nelle Regioni commissariate, con i Piani di Rientro è, invece, venuta via via a mancare.

I tagli lineari degli anni passati hanno inciso notevolmente sull’organizzazione degli ospedali, con l’avvenuta chiusura di quelli minori o la trasformazione degli stessi in Distretti Sanitari di Base, insieme alla rimodulazione del bacino di utenza per presidio, senza, peraltro, tenere in considerazione la conformazione geografica del territorio italiano, a svantaggio, pertanto, di quei cittadini che vivono nelle zone montane più impervie e mal collegate con i principali centri cittadini e, quindi, con gli ospedali maggiori. Anche il nuovo Patto, dispone la compressione dei posti letto, ma, contestualmente, dispone una riorganizzazione degli ospedali tale da potenziare la medicina del territorio, creando una rete d’assistenza, nelle intenzioni del documento in parola, molto più efficiente e capillare ed evitando l’ingolfamento dei presidi più grandi. Per riorganizzare la medicina del territorio, l’accordo del 10 luglio affida un ruolo da protagonisti ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, oltreché alle farmacie di servizio. Ciò dovrebbe servire ad incrementare quei servizi più vicini all’utenza e ridurre in maniera efficiente il tasso di ospedalizzazione, ove possibile, che non solo diminuirebbe le spese a carico del SSN, ma sempre in un’ottica di umanizzazione delle cure, dovrebbe semplificare l’accesso per il cittadino alle cd. cure domiciliari, supplendo, di fatto, alla carenza di una struttura ospedaliera ad alta/media complessità e ad alta/media intensità di cura nelle vicinanze del cittadino-utente. Per quest’ultimo aspetto, si evidenzia, per l’appunto, la previsione del Patto, in base alla quale i posti letto negli ospedali dovranno scendere a un livello di 3,7 letti ogni mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto, sempre per mille abitanti, per la riabilitazione e la lungodegenza. Riduzione, questa, che dovrà essere attuata, seguendo coordinate ben precise, con l’adozione di provvedimenti da emanare entro il prossimo 31 dicembre 2014.

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Per quanto riguarda le strutture ospedaliere private, invece, dal 1 gennaio 2015 saranno accreditate solo quelle con una soglia non inferiore a 60 posti letto per acuti, ad esclusione di quelle mono specialistiche. Le strutture che non raggiungono la soglia dei 60 posti letto potranno, tuttavia, fondersi con altre strutture: da 40 posti letto in su sarà, infatti, consentito effettuare accorpamenti amministrativi.

Saranno, inoltre, previsti i cd. ospedali di comunità: strutture nuove, già sperimentate in talune regioni, che serviranno a ridurre i ricoveri non appropriati dovuti a ricadute di pazienti non seguiti abbastanza presso il proprio domicilio. In questi piccoli ospedali, l’assistenza sarà assicurata da medici di famiglia e pediatri di libera scelta o comunque da medici del SSN. Si faranno ricoveri di breve durata per utenti per i quali non sarà possibile il ricovero domiciliare o che necessiteranno di assistenza infermieristica continua.

Quanto all’assistenza territoriale, cui si accennava poc’anzi,
il Patto sancisce l’importanza delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) e delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), organizzazioni di medici di famiglia e pediatri di libera scelta, che si uniranno al fine di dare migliori servizi ai cittadini e, soprattutto, per assicurare una presenza continua nel corso della giornata. L’accordo Stato-Regioni prevede che in questi maxi ambulatori potranno essere inserite anche figure specialistiche.

Inoltre, il Patto mira alla promozione di una medicina di iniziativa, che coinvolga i pazienti cronici: i malati in questione dovrebbero essere invitati dal proprio medico curante a fare i vari controlli e le visite periodiche legate alla loro patologia, senza la necessità di aspettare che siano loro a presentarsi. Le UCCP e le AFT faranno anche prevenzione ed educazione dei cittadini a corretti stili di vita, ma organizzeranno, se necessari, anche servizi sanitari a domicilio. Tali interventi di prevenzione, finalizzati ad impedire o a ridurre il rischio (o la probabilità) che si verifichino eventi non desiderati, ovvero ad abbatterne o attutirne gli effetti in termini di morbosità, disabilità e mortalità, non costituiscono una novità nell’ambito del nostro SSN, visto che sono previsti sia nell’attuale PSN che nel precedente, lo è invece il maggior coinvolgimento dei MMG, che – si spera – non si limiti al semplice invito, ma possa prevedere un intervento attivo delle Regioni nella loro piena partecipazione per ciò che concerne la prevenzione a tutti i livelli, primaria, secondaria e terziaria.

Si noti, infine, la previsione di un apposito regolamento su standard quali-quantitavi, strutturali e tecnologici offerti dai presidi ospedalieri.

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Altre novità sono quelle di un Fondo Sanitario certo per i prossimi tre anni, riforma dei ticket, numero unico per l’emergenza. E ancora: via libera alla riforma dell’intramoenia e allentamento dei vincoli sull’assunzione del personale sanitario anche per le Regioni in Piano di Rientro. Per quanto riguarda il Fondo Sanitario, nel Patto ci sono cifre certe: per il 2014 il Fondo ammonterà a 109,9 miliardi di euro, a 112 miliardi per il 2015 e per il 2016 a 115,4. La suddivisione del Fondo tra le Regioni dovrà rispettare nuovi criteri, che premieranno quelle più virtuose da un punto di vista della spesa. Il patto, inoltre, introduce la nuova regola secondo cui i risparmi che deriveranno dall’applicazione delle misure di contenimento della spesa rimarranno nella disponibilità delle Regioni, che, a loro volta, saranno vincolate ad utilizzarli solo per fini sanitari.

Entro il 30 novembre 2014 un’apposita commissione si occuperà di cambiare il sistema dei ticket. Le nuove regole di compartecipazione dovranno tenere in considerazione il reddito delle famiglie. Secondo quanto già dichiarato nei mesi scorsi da Beatrice Lorenzin, non si esclude che a chi avrà dichiarato redditi alti non verranno più concesse
eventuali esenzioni per patologia.

Leggi anche TICKET SANITARI LEGATI AL REDDITO, TAGLI ALLE CLINICHE.

Come disposto dall’Unione Europea, il 118 dovrebbe essere gradualmente soppresso e sostituito dal 112, che diverrà il numero unico di emergenza. Le Regioni sono tenute ad iniziare le procedure per il cambiamento. Contestualmente, si procederà, altresì, alla creazione di un numero unico 116-117 per le guardie mediche su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda i farmaci, l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, dovrà provvedere ad aggiornare il prontuario farmaceutico dei medicinali rimborsabili sulla base del criterio costo/beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee. Il punto più importante riguarda, però, la revisione della normativa per l’autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci e la contestuale definizione del regime di rimborsabilità.

Il nuovo Patto per la Salute contiene, inoltre, un ulteriore Patto per la Sanità Digitale. Si tratta di un piano strategico per la diffusione della sanità digitale, per eliminare gli ostacoli che rallentano la diffusione dell’e-health ed evitare realizzazioni parziali a macchia di leopardo come avvenuto finora. Il Patto per la Sanità Digitale rappresenta un importante passo avanti per un’azione concreta per la sostenibilità del SSN, la sua efficienza e ed efficacia di servizio e, più ampiamente, una spinta per l’innovazione del Paese, in un momento particolare come quello del semestre italiano di Presidenza UE.

Quanto ai ‘famigerati’ Piani di Rientro dal deficit, il Patto per la Salute 2014 li trasforma in Piani di riorganizzazione, riqualificazione e rafforzamento dei Servizi Sanitari Regionali e ne indica i principali obiettivi. Inoltre, il commissario ad acta, nel caso di nuovi commissariamenti, non potrà più avere a che fare con incarichi politici e dovrà essere in possesso di un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria.

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Il Patto prevede anche una cabina di regia, cui competeranno monitoraggi e verifiche mirati all’attuazione dello stesso nei tempi e nei modi convenuti. Tale compito sarà affidato ad un tavolo politico composto da Ministeri della Salute e dell’Economia, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano.

La vigilanza sull’attuazione delle disposizioni contenute nel Patto, il monitoraggio, l’analisi ed il controllo sull’andamento dei sistemi sanitari regionali con particolare attenzione a qualità, sicurezza, efficacia, efficienza e appropriatezza dei servizi erogati saranno, invece affidati all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. All’AGENAS spetterà anche il monitoraggio sull’andamento e l’applicazione delle proposte in campo sanitario circa la revisione della spesa sanitaria. E ancora, la revisione dei ticket, delle esenzioni e del sistema di remunerazione delle prestazioni sanitarie, nonché tutte le nuove funzioni in materia di HTA (Health Technology Assessment).

Novità anche per il personale del SSN. Il blocco del turn over per le Regioni in Piano di Rientro continuerà ad essere operativo fino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello della verifica positiva, finora era necessario attendere la fine del Piano. Viene, inoltre, prevista la sospirata revisione del parametro della riduzione dell’1,4% rispetto alla spesa del personale del 2004.

Per razionalizzare e facilitare l’accesso dei giovani medici al SSN, Governo e Regioni dovranno, poi, istituire nel brevissimo periodo un tavolo ad hoc, al fine di individuare soluzioni normative, anche in base a quanto previsto negli altri Paesi UE, i cui lavori dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2014.

Per quanto riguarda le professioni sanitarie, si segnala, infine, la conferma, contenuta nel Patto, delle disposizioni di cui al DL 158/2012, cd. Decreto Balduzzi, relativamente all’attività intramuraria. Le Regioni dovranno, quindi, reperire – per acquisto o locazione – presso strutture sanitarie autorizzate, o in convenzione con altri soggetti pubblici, i necessari spazi ambulatoriali esterni. Se questi non saranno disponibili, la Regione potrà adottare un programma sperimentale per svolgere l’attività libero-professionale intramuraria (ALPI) presso gli studi privati dei singoli professionisti collegati da una rete infrastrutturale. Il tutto dovrà avvenire con pagamento in chiaro delle prestazioni e relativo obbligo di tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo; a tal fine il Patto, riprendendo le disposizioni già varate dal Governo per tutte le attività produttive, sancisce l’obbligatorietà del POS in tutti gli studi convenzionati e in rete telematica.

Da ultimo, si evidenziano le previsioni in materia di cure all’estero. In particolare, il Patto fissa al prossimo 31 ottobre la deadline per l’adozione delle linee guida sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. Sono diversi gli adempimenti e i diritti che le linee guida saranno chiamate a disciplinare, ma la priorità assoluta è quella di stabilire i criteri di autorizzazione e rimborso. Infine, senza ulteriori oneri a carico del SSN, è previsto che le Regioni istituiscano dei contact point regionali dedicati, per consentire lo scambio efficace di informazioni con il Punto di Contatto nazionale, peraltro, già attivo presso il Ministero della Salute.

Documenti:

INTESA, AI SENSI DELL’ARTICOLO 8, COMMA 6, DELLA LEGGE 5 GIUGNO 2003, N. 131, TRA IL GOVERNO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO CONCERNENTE IL NUOVO PATTO PER LA SALUTE PER GLI ANNI 2014-2016

Gli adempimenti e le scadenze temporali derivanti dal Patto per Salute appena sottoscritto da Governo e Regioni sono stati riassunti in un quadro sinottico elaborato dal settore Salute e politiche sociali della segreteria della Conferenza delle Regioni. Il dossier sarà periodicamente aggiornato ed è stato pubblicato originariamente sul sito www.regioni.it, dove potete scaricare tale documentazione nella sezione Archivi Sanità

PATTO PER LA SANITÀ DIGITALE – Documento programmatico

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