CARTA DI CIRCOLAZIONE: TUTTE LE NOVITÀ DAL 3 NOVEMBRE.

di Michele De Sanctis

Il prossimo 3 novembre sembra essersi trasformato in una sorta di D-Day per milioni di italiani, che ogni giorno affollano le strade del Paese a bordo dei propri mezzi di circolazione e che, negli ultimi giorni, si mostrano quanto meno preoccupati dinanzi all’incombere di un nuovo obbligo. L’ansia, in effetti, regna un po’ dappertutto – e solitamente va di pari passo con i dubbi sul contenuto delle nuove disposizioni – soprattutto in quelle famiglie che lasciano al figlio l’uso della macchina del padre o della madre. Da lunedì, infatti, chi utilizza per più di 30 giorni un veicolo intestato a un’altra persona dovrà essere in grado di mostrarlo sulla carta di circolazione, vale a dire che da lunedì sarà necessario modificare l’intestazione di un veicolo in dotazione da più di 30 giorni a un individuo diverso dal suo reale proprietario. L’obbligo in questione discende dall’art.11 della legge 29 luglio 2010 n. 120 che, aggiungendo all’art. 94 del Codice della Strada il comma 4-bis, ha introdotto il divieto di intestazione fittizia dei veicoli, sia sulla carta di circolazione sia sul certificato di proprietà, ovvero sul certificato di circolazione dei ciclomotori. Ma quest’obbligo a chi si rivolge davvero? È giustificato il timore delle famiglie italiane? Scopriamolo insieme.

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L’intento della norma in esame è quello di eliminare le distorsioni e, in generale, i pregiudizi derivanti da intestazioni fittizie o simulate, arrecati al generale interesse, alla credibilità ed effettività delle trascrizioni nei pubblici registri, all’individuazione degli effettivi responsabili della circolazione dei veicoli e alla lotta contro i fenomeni di evasione fiscale e le frodi assicurative. Per coloro che non si uniformeranno alle nuove disposizioni sono previste sanzioni piuttosto severe: da euro 705 a euro 3.526. La carta di circolazione è ritirata immediatamente da chi accerta le violazioni previste ed è inviata all’ufficio della Direzione centrale della MCTC, che provvede al rinnovo dopo l’adempimento delle prescrizioni omesse.

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L’ambito di applicazione della norma, sia soggettivo che oggettivo, è stabilito dalla Circolare n.15513 del 10 luglio 2014, con cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha fornito un regolamento esecutivo della disposizione introdotta ben quattro anni fa e che sarà in vigore, per l’appunto, dal 3 novembre. Saranno in primo luogo colpite tutte quelle auto temporaneamente intestate in comodato d’uso, in particolar modo nei vari casi di locazione in assenza di conducente e di locazione senza conducente da affidare ai corpi di polizia locale. Saranno, inoltre, coinvolte quelle situazioni di intestazioni di veicoli a soggetti incapaci di agire oltreché i casi trust finanziario. E sarà il diretto interessato a dover chiedere la documentazione per provvedere all’aggiornamento. Ma non saranno coinvolte le famiglie e questo per due ragioni. La prima è che la circolare in questione stabilisce che l’obbligo in parola non sarà valido per i conviventi, purché risiedano al medesimo indirizzo. La seconda – di ordine logico – è che figli e nipoti potranno continuare a guidare tranquillamente le auto di genitori, fratelli e nonni, in quanto sarebbe praticamente impossibile determinare il momento in cui il guidatore ha ottenuto in dotazione il veicolo. Non esistono, infatti, documenti che attestino l’avvenuto passaggio di utilizzo tra un familiare e l’altro. Per cui, tranquilli: se avete un figlio che guida la vostra auto, non incorrerete in alcuna sanzione, dal momento che non si può risalire ai 30 giorni indicati dalla norma. Sarà, in ogni caso, nelle facoltà del nucleo familiare far registrare il comodato, in caso di automezzi concessi al libero utilizzo di un familiare convivente, ove lo si volesse. Inoltre, l’obbligo non sarà retroattivo: anche questo aspetto gioca a favore di chi usufruisce dell’automobile di proprietà di un congiunto, che potrà continuare a farlo senza rischiare sanzioni. Per quanto riguarda le altre situazioni, stante la non retroattività della norma, solo i veicoli intestati a partire dalla data di entrata in vigore dell’obbligo saranno soggetti alla nuova normativa: nessun effetto retroattivo, quindi, è previsto per gli accordi stipulati anteriormente, fermo restando, anche in questo caso, che la carta di circolazione potrà comunque essere aggiornata facoltativamente.

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In verità, a rischiare davvero sono: le società di autonoleggio, le Pubbliche Amministrazioni e le flotte aziendali in genere. Tuttavia ci sono ipotesi, in cui non si escludono dall’ambito soggettivo le persone fisiche, cioè i privati cittadini. È, ad esempio, il caso di veicolo intestato ad un persona che viene a mancare e i cui parenti ne facciano uso per più di 30 giorni, che, anche per queste situazioni, resta quale termine massimo fissato per l’utilizzo di un mezzo non proprio, senza che peraltro subentri l’obbligo di aggiornamento della carta di circolazione. I soggetti ai cui sarà imposto l’obbligo di far coincidere il nome dell’intestatario della carta di circolazione con quello della patente potranno mettersi in regola recandosi alla Motorizzazione o agli sportelli del Dipartimento per i Trasporti Terrestri. Il costo complessivo della pratica sarà di 25 euro a veicolo, di cui 16 di imposta di bollo e 9 di diritti di motorizzazione. Saranno, altresì, esclusi dall’obbligo di comunicazione quei veicoli nella disponibilità di soggetti che effettuano attività di autotrasporto sulla base dell’iscrizione all’albo degli autotrasportatori, sia per conto terzi che per conto proprio (es.: trasporto di persone mediante autobus per uso proprio e mediante auto per usi di terzi, come nel caso dei taxi), sarà, poi, escluso dall’obbligo chi è iscritto al REN (Registro Elettronico Nazionale) e chi è soggetto al rilascio di autorizzazione per il trasporto di persone (licenza di trasporto per conto proprio). Vista, infine, la lettera della norma, non è necessaria la coincidenza tra intestazione e utilizzatore ove l’utilizzo del veicolo sia occasionale o, comunque, inferiore a 30 giorni.

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Per le flotte aziendali, le nuove disposizioni si applicheranno anche mediante istanza cumulativa con un solo modello di tipo TT2120, mediante pagamento di un’unica imposta di bollo del valore, già indicato nel precedente paragrafo, di 16 euro, più 9 euro per ogni carta di circolazione da aggiornare: e questo è un passaggio che andrà, comunque, svolto singolarmente per ogni documento coinvolto. Ma nel caso di comodato d’uso di veicoli aziendali il nome dell’utilizzatore non andrà annotato sulla carta di circolazione, ma soltanto registrato alla Motorizzazione che rilascerà la relativa ricevuta e che, in ogni caso, non sarà obbligatorio tenere a bordo.

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Infine, si ricorda che, sotto il profilo oggettivo, oltre ai già richiamati casi in cui un soggetto abbia la temporanea disponibilità per un periodo superiore a 30 giorni, di un veicolo intestato ad un terzo, a titolo di comodato, in forza di un provvedimento di affidamento in custodia giudiziale o di un contratto di locazione senza conducente e all’eventualità che si debba procedere all’intestazione a norme di soggetti giuridicamente incapaci, la Circ. 15513/2014 MIT prevede l’obbligo di aggiornamento della carta di circolazione in altre due ipotesi specifiche. Si tratta dei casi in cui si renda necessaria una variazione della denominazione dell’ente e di quei casi di variazione delle generalità della persona fisica intestataria.

Clicca QUI per leggere la la Circ. 15513/2014 MIT.

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CASSAZIONE: SE IL DATORE DI LAVORO NON VI HA VERSATO I CONTRIBUTI…

di Michele De Sanctis

In caso di mancato versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, ai fini dell’ammissibilità della domanda di condanna, oltre allo stesso datore di lavoro, è necessario citare anche l’Istituto previdenziale. Peraltro, resta precluso il pagamento dei contributi in favore del lavoratore.

È quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 19398/2014, Sez. Lavoro in tema di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali.

In particolare, il caso di specie riguardava un dipendente che, dopo aver perso il posto di lavoro, aveva adito il Giudice del Lavoro per impugnare il licenziamento e contestualmente chiedere che il datore di lavoro venisse condannato al pagamento dei contributi INPS, dovuti in virtù del rapporto di lavoro e dell’attività lavorativa effettivamente prestata.

Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che in questi casi l’INPS (come qualunque altro ente previdenziale) deve essere necessariamente citato in causa, pena l’inammissibilità della domanda. Nella citata sentenza, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto infondata l’impugnazione del licenziamento, relativamente all’obbligo di pagamento del datore di lavoro in favore dell’INPS, escludendo che il Giudice potesse emettere una condanna in tal senso, senza che il lavoratore avesse preventivamente citato in giudizio anche l’INPS.

“In caso di omissione contributiva – affermano gli Ermellini – il lavoratore può chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell’ente previdenziale sole se quest’ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa in difetto l’ammissibilità di tale pronuncia (che sarebbe una condanna nei confronti di terzo, non ammessa nel nostro ordinamento in difetto di espressa previsione)”.

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Le norme processuali, in effetti, richiedono che il procedimento si svolga tra tutti i soggetti che possano costituirsi quali parti in causa, dal momento che l’ordinamento repubblicano riconosce loro il diritto di interloquire e contraddire sulle questioni che li riguardano (art. 24 Cost.), fatti salvi taluni casi eccezionali, per i quali si ammette una pronuncia che incida anche su un terzo, non convenuto. Nondimeno, la precedente giurisprudenza, in tema di omissione contributiva, aveva costantemente ammesso l’insussistenza in capo agli enti previdenziali della qualità di necessario contraddittore (cfr. Cass. Sent. n. 169/94 Sez. Lav.), vista la natura della controversia, che riguardava direttamente il rapporto di lavoro e non quello previdenziale, di cui il primo costituiva, piuttosto, il presupposto giuridico. In passato, quindi, secondo la Corte, ciò implicava un accertamento solo in relazione al rapporto di lavoro, mentre le conseguenze sul rapporto assicurativo obbligatorio (cioè la necessaria relazione tra lavoratore ed Istituto previdenziale) erano solo riflesse.

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Ebbene, la portata rivoluzionaria della sentenza in parola sta proprio in questo: se fino ad oggi l’esigenza di integrità del contraddittorio non era condizione di ammissibilità della domanda di condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali, adesso la Corte, senza entrare nel merito dei fatti e senza alcun riferimento al diritto soggettivo costituzionalmente tutelato dalla posizione assicurativa (ricordiamo sempre che quello della Cassazione è un giudizio di legittimità), ha stabilito una nuova prassi procedurale ai fini dell’ammissibilità di questo tipo di ricorsi – prassi, in realtà, già prevista del Legislatore – evidenziando la circostanza che “l’interesse del lavoratore è connesso con il diritto di credito dell’Istituto, sia geneticamente, perché nasce dal medesimo fatto che a quello dà origine (la costituzione del rapporto di lavoro), sia funzionalmente perché l’adempimento del debito contributivo realizza anche la soddisfazione del diritto alla posizione assicurativa”.

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Pertanto, “la sussistenza del suddetto interesse del lavoratore, ed il riconoscimento di una sua tutelabilità mediante la regolarizzazione della posizione contributiva, danno ragione del riconoscimento da parte dell’ordinamento della facoltà del lavoratore di chiamare in causa il datore di lavoro e l’ente previdenziale, convenendoli entrambi in giudizio, al fine di accertare l’obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente) nei confronti del secondo, a valere sulla sua posizione contributiva, impedendo il verificarsi di un danno nei suoi confronti (e nei limiti in cui a ciò il lavoratore vi abbia interesse, come avviene quando non operi in suo favore, o c’è il rischio che possa non operare, per qualsiasi ragione, il principio di automaticità delle prestazioni). Resta per converso esclusa per ragioni processuali la possibilità per il lavoratore di agire per ottenere una condanna del datore al pagamento dei contributi nei confronti dell’INPS che non sia stato chiamato in causa, stante la generale esclusione dei provvedimenti nei confronti di terzo ed il carattere eccezionale della condanna c.d. a favore di terzo. Infatti, di regola il processo deve svolgersi tra tutti coloro che sono parti del rapporto sostanziale dedotto, i quali hanno diritto ad interloquire sulle questioni che li riguardano (art. 24 Cost.), e il provvedimento che definisce il processo fa stato solo nei confronti delle parti e loro aventi causa, mentre solo in alcuni casi eccezionali (ne sono un esempio, nella materia del lavoro, le due condanne in favore di terzo previste dall’art. 18 stat. lav. in materia di licenziamenti illegittimi) è ammessa una pronuncia in favore di terzo”.

In conclusione, se non chiamate in causa l’INPS, il datore di lavoro che vi ha licenziato potrebbe non essere condannato al versamento dei contributi che vi spettano. E oltre a perdere qualcosa che vi siete guadagnati col vostro lavoro, correte il rischio concreto di essere, altresì, condannati al pagamento delle spese di lite.

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LA TOP 100 DEI MARCHI PIÙ FORTI AL MONDO.

Pubblicata l’annuale classifica dei migliori 100 brand globali. Apple e Google marchi leader, mentre, per la prima volta, entra nella top 100 un brand cinese. Bene il settore tecnologico in generale. Mentre un nuovo concetto di personalizzazione del rapporto con la clientela si fa strada tra i brand del lusso, che puntano tutto sulle piattaforme online. E in classifica troviamo anche due noti marchi italiani.

di Michele De Sanctis

Best Global Brands 2014, la quindicesima edizione della classifica redatta da Interbrand relativa al valore dei primi 100 marchi al mondo, vede in pole position anche quest’anno Apple, il cui valore è stato valutato pari a 118,863 miliardi di dollari (+21%). Il colosso di Cupertino precede Google con 107,439 miliardi (+15%), e Coca Cola, a quota 81,563 miliardi (+3%).

Interbrand, divisione di Omnicom, è una società di consulenza, specializzata in settori quali strategia, analisi di brand, valutazione del marchio, corporate design, brand management digitale, denominazione e packaging. La società opera in tutto il mondo con i suoi 40 uffici sparsi tra 27 Paesi, tra cui anche l’Italia. Tre sono gli indici considerati da Interbrand per la valutazione dei brand con la migliore performance: redditività (performance finanziaria dei prodotti e dei servizi dell’azienda), influenza sugli acquisti dei consumatori e competitività, intesa soprattutto come capacità del marchio di imporre un premium price.

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A seguire Apple, Google e Coca Cola, nella Best Global Brands 2014 troviamo IBM, al quarto posto con 72,244 miliardi, sebbene con un -8% sul valore stimato rispetto al 2013, Microsoft (61,154 miliardi, +3%), General Electric (45,480 miliardi, -3%), Samsung (45,462 miliardi) che, però, vanta un +15% di variazione e avanza dall’ottava posizione dello scorso anno all’attuale settima, Toyota (42,392 miliardi, +20%), Mc Donald’s (42,254 miliardi, +1%) e Mercedes-Benz (34,338 miliardi; +8%) al decimo posto.

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«L’ascesa stellare di Apple e Google ad oltre 100 miliardi di dollari è un forte indicatore di come si dovrebbe costruire un brand», ha commentato Jez Frampton, Global Chief Executive Office di Interbrand. «Questi brand leader hanno raggiunto nuove vette – sia in termini di crescita sia nella storia della Best Global Brands – creando esperienze perfette, contestualmente rilevanti, e sempre più focalizzate su un ecosistema di prodotti e servizi integrati fisicamente e digitalmente. Il fatto che Apple e Google siano cresciuti tanto da superare i 100 miliardi di dollari è la prova palpabile del potere costruito da questi brand», prosegue Frampton.

Ma non solo, per la prima volta in 15 anni, infatti, entra nella top 100 anche un brand cinese, Huawei, che si piazza al 94° posto. Con una quota di circa 65% del proprio fatturato realizzato al di fuori dei confini cinesi e con una costante crescita in termini di risultati economici in Europa, Medio Oriente e Africa, Huawei sta diventando uno dei più importanti produttori di dispositivi per la telecomunicazione al mondo. Attualmente è già diventato il terzo produttore mondiale di smartphone, subito dopo Samsung e Apple.

Il settore tecnologico è, in effetti, quello che registra il maggior valore economico. Tra i 100 brand globali a maggior valore economico, 13 appartengono a questo comparto, che registra in media una crescita dell’11,3% rispetto allo scorso anno ed un valore economico totale dei brand pari a 493,2 miliardi di dollari. Nelle ultime classiffiche Best Global Brands, i colossi tecnologici hanno via via sostituito giganti dell’intrattenimento come Disney e MTV, ma anche le case automobilistiche Mercedes Benz e BMW, oltreché alcuni marchi di lusso come Louis Vuitton e Cartier. Gli unici tre marchi che in questo comparto registrano un maggior decremento o un incremento minimo del proprio valore sono Nokia, che, ormai ai margini della classifica, occupa il 98° posto e resiste, seppure con un -44%, abbandonando, peraltro, la posizione 57 del 2013, seguita da Nintendo (100° posto, -33% dopo un’annata difficile) e Microsoft (5° posto, con +3%). Ricordiamo che Microsoft ad aprile di quest’anno ha acquisito Nokia e che, allo stato attuale, risulta ancora poco chiaro come userà il marchio finlandese e, soprattutto, come evolverà in futuro. Soprattutto se intenderà davvero proseguire la produzione dei Lumia senza il marchio Nokia, come rivelato da Evleaks all’inizio della scorsa estate.

Quanto alle altre new entry della top 100, oltre a Huawei l’elenco vede l’ingresso dei corrieri DHL (81° posto) e FedEx (al 92°), del marchio automobilistico Land Rover (91° posto) e di un brand del settore lusso, il tedesco Hugo Boss (al 97°).

Tuttavia, ciò che più spicca in questa classifica è la sorprendente crescita di due brand in particolare: Amazon e Facebook. Il colosso dell’e-commerce si colloca al quindicesimo posto con un incremento del +25% rispetto al 2013, risultato raggiunto anche grazie a prodotti come Amazon Prime e agli aggiornamenti di prodotti consolidati come il Kindle Paperwhite e il Fire Phone e dopo l’accordo per la divulgazione di contenuti relativi al settore dell’intrattenimento. Risultato più che positivo anche per Facebook che, pur fermandosi al ventinovesimo posto, in un solo anno ha fatto registrare una crescita del +86% sul valore del proprio brand. Facebook continua a superare ogni aspettativa, segnalandosi come il marchio con la crescita più rilevante. I dati riportati nel secondo report trimestrale, infatti, attestano guadagni strepitosi pari a 1,4 miliardi di dollari, se si considera che nello stesso periodo del 2013 ammontavano a 562 milioni di dollari. Tale crescita è dovuta principalmente alle attività legate alla tecnologia mobile: è la prima volta nella storia del social che gli introiti ottenuti dalla pubblicità sul mobile superano di più della metà (53%) le entrate pubblicitarie del trimestre. Facebook, inoltre, sta allestendo un vasto portfolio comprensivo di prodotti, servizi e app particolarmente concorrenziali ed estremamente rilevanti nel mercato globale.

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Per quanto riguarda i brand leader del lusso, la scommessa è tutta sulle piattaforme digitali. Il notevole aumento dell’e-commerce e dell’online browsing ha portato questi brand a reinventare il concetto di customizzazione e di relazione con i propri clienti. Già il Luxury Interactive Benchmarking Report del 2013 affermava, infatti, che l’ 85% dei brand del lusso prevedeva un’espansione nel settore del marketing digitale. Non stupisce, dunque, se questo diventerà nel prossimo futuro il principale canale di comunicazione per questo tipo di brand.

Proprio al settore lusso appartengono le uniche due aziende italiane presenti nella Best Global Brands 2014: sono Gucci, in quarantunesima posizione con 10,385 miliardi di dollari, e Prada, alla settantesima con poco meno di 5,977 miliardi di dollari. Dei due brand, il primo, presente in classifica fin dalla sua prima edizione, registra una crescita del 2%, anche grazie anche alla scelta di percorrere la strada della riaffermazione come marchio in grado di combinare italianità, forti radici artigianali e appeal verso il jet-set. Il marchio Prada, invece, nella Best Global Brands dal 2012, vede il proprio valore crescere del 7%, grazie anche alla dimostrata capacità di coniugare tradizione ed innovazione e alla forte attenzione dedicata alle tematiche legate ad arte e cultura. Tra le ragioni per le quali il nostro Paese non riesce ad imporre altri brand a livello globale, nonostante le proprie eccellenze, soprattutto nel settore del lusso, c’è sicuramente l’incapacità delle nostre aziende di tradurre queste stesse eccellenze in crescita. Incapacità dovuta a fattori esterni: pesante burocrazia, crescente peso fiscale, infrastrutture nazionali inadeguate ed obsolete. Ma anche interni, sebbene spesso condizionati dai primi: dimensioni tendenzialmente piccole delle nostre imprese, separazione non sempre netta tra proprietà e management, scarso ricorso al mercato dei capitali e da ultimo, ma non meno importante, la quasi totale assenza di investimenti in economia della conoscenza (istruzione e formazione).

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Per concludere, si segnala una discreta crescita del valore del marchio per i brand dei servizi finanziari, il che lascia sperare in una ripresa economica mondiale.

Clicca QUI per vedere l’intera classifica BEST GLOBAL BRANDS 2014.

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L’APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONE E RICERCA

di Germano De Sancits

La definizione

L’apprendistato di alta formazione e ricerca è attualmente disciplinato l’art. 5, D.Lgs., 14 settembre 2011, n. 167. L’istituto in questione non è una novità per l’ordinamento giuslavoristico italiano, in quanto era stato precedentemente previsto dall’ormai abrogato art. 50, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, anche se diversamente denominato come apprendistato per l’acquisizione di un diploma e per percorsi di alta formazione.

Similmente a tutte le forme di apprendistato, l’ordinamento vigente definisce, all’art. 1, D.Lgs. n.167/2011, l’apprendistato di alta formazione e ricerca come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.

L’ambito di applicazione

L’art. 5, comma 1 D.Lgs., n. 167/2011, prevede l’utilizzo di tale forma di apprendistato in tutti i settori di attività, sia pubblici, che privati, purché venga perseguita una delle seguenti finalità:

  • l’attività di ricerca;
  • il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore;
  • il conseguimento di un titolo di studio universitario e/o di alta formazione, ivi compreso il dottorato di ricerca;
  • la specializzazione tecnica superiore di ex art. 69, Legge 17 maggio 1999, n. 144, con particolare riferimento al conseguimento del diploma afferente ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori previsti dall’art. 7, D.P.C.M. 25 gennaio 2008;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso ad esperienze professionali.

I destinatari

Il contratto di alta formazione e ricerca è riservato a soggetti di età compresa tra i 18 anni (compiuti) ed i 29 anni (e 364 giorni). È possibile anticipare la stipulazione del contratto in questione a partire dal diciassettesimo anno di età (compiuto) nei confronti di coloro che risultano essere già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226.

Sempre per quanto concerne i limiti minimi di età richiesti per la stipulazione, l’art. 8-bis, comma 2, D.L., 12 settembre 2013, n. 104 (convertito in Legge, 8 novembre 2013, n. 128) ha previsto una specifica deroga. Infatti, tale norma ha statuito che, con apposito decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, è avviato un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016. Il programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Tale decreto ministeriale deve definire la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.

La durata

L’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 167/2011 non ha stabilito alcun limite minimo o massimo alla durata dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, limitandosi, invece, a prevedere un rinvio alla disciplina delle singole Regioni relativamente alla regolamentazione ed alla durata, relativamente, però, ai soli profili che attengono alla formazione,

Si evidenzia che tale regolamentazione regionale deve essere effettuata in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico.

In assenza di regolamentazioni regionali per l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca, l’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 167/2011 rinvia ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

A tal fine, la Circ. Min. Lav. 11 novembre 2011, n. 29 ha chiarito che tale forma di apprendistato può essere immediatamente attivata, anche quando le singole Regioni e/o la contrattazione collettiva non abbiano disciplinato gli aspetti di rispettiva competenza, facendo ad apposite intese stipulate tra il datore di lavoro e l’istituzione formativa e/o di ricerca prescelta. La Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha specificato che, in presenza di siffatte intese, il personale ispettivo, nell’individuare eventuali responsabilità datoriali, deve tenere esclusivamente conto dei seguenti elementi di valutazione:

  • la formazione esterna, rispetto alla quale il datore di lavoro rimane responsabile, qualora essa sia stata effettivamente attivata da parte dell’ente competente;
  • la quantità, i contenuti e le modalità di svolgimento della formazione interna, rispetto alla quale il personale ispettivo deve valutare come sono stati declinati nel piano formativo individuale la qualità, i contenuti e le modalità di svolgimento previsti dal contratto collettivo di riferimento.

L’alternanza scuola e lavoro

La già citata Legge, 8 novembre 2013, n. 128 (c.d. Decreto Carrozza) ha previsto diverse misure mirate ad intensificare i contatti tra il sistema dell’istruzione scolastica ed mercato del lavoro. In particolare, tale atto legislativo si è soffermato anche sulle potenzialità che il contratto di apprendistato ha sotto questo peculiare aspetto. In estrema sintesi, è stato previsto quanto segue:

  • gli studenti egli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado impegnati nei percorsi di formazione, senza pregiudizio per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e nei laboratori, sono oggetto di nuove misure finalizzate ad implementare l’alternanza scuola-lavoro, gli stage e i tirocini, la didattica in laboratorio. L’ativazione di tali misure necessita dell’emanazione di un apposito regolamento disciplinante i diritti ed i doveri dei predetti studenti (cfr., art. 5, comma 4-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • è stata prevista l’attivazione di percorsi di orientamento e di piani di intervento. Tali percorsi contengono specifiche misure miraste alla diffusione della conoscenza del valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di formazione presso un datore di lavoro. I percorsi in questione sono riservati agli studenti della scuola secondaria di secondo grado (in particolare, quelli iscritti agli istituti tecnici e professionali). Per di più, la norma in esame chiarisce che il suo intento consiste nel favorire la diffusione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca nei percorsi degli istituti tecnici superiori. Come già detto, l’inserimento preso una compagine produttiva degli studenti interessati a seguito di stipulazione di un contratto di apprendistato può avvenire anche in deroga al limite di età (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • l’emanazione, nel corso del triennio 2014-2016, di un apposito decreto ministeriale avente ad ogetto l’attivazione di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado mediante la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese. Tale decreto ministeriale definirà anche i requisiti delle imprese ammesse, il contenuto delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti, il numero minimo di ore di didattica curriculare, nonché i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • la previsione che tutte le università (fatta eccezione per quelle telematiche) possano stipulare convenzioni con singole imprese o gruppi di imprese, finalizzate alla promozione di un’esperienza lavorativa diretta degli studenti durante la formazione post-secondaria. Nello specifico è prevista la realizzazione di progetti formativi congiunti che vedano il coinvolgimento dello studente, nell’ambito del proprio curriculum di studi, in un adeguato periodo di formazione presso le imprese aderenti al progetto mediante la stipulazione di un contratto di apprendistato (cfr., art. 14, comma 1-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128).

Le conseguenze della violazione dell’obbligo formativo

L’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 167/2011 dispone che, qualora venga riscontrata l’esclusiva responsabilità dell’inadempimento nella erogazione della formazione in capo al datore di lavoro e che tale inadempimento impedisca l’effettiva realizzazione delle finalità di cui al predetto art. 5, D.Lgs., n. 167/2011, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con l’esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione. Qualora a seguito dell’attività di vigilanza sul contratto di apprendistato in corso di esecuzione emerga un inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale deve adottare il provvedimento di disposizione previsto dall’art. 14 D.Lgs.., 23 aprile 2004, n. 124, assegnando un congruo termine al datore di lavoro per adempiere.

A tal proposito, la Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha chiarito che è possibile applicare la sanzione in esame soltanto in presenza della contemporanea sussistenza, sia della esclusiva responsabilità del datore di lavoro, sia di una gravità della violazione, tale da impedire il raggiungimento dell’obiettivo formativo.

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Jobs Act, ecco il testo del maximendamento approvato dal Senato

Il Senato ha approvato con 165 “si”, 111 “no” e 2 astenuti il maxiemendamento del Governo che ha completamente sostituito il testo della legge delega sulla riforma del lavoro e sul quale, lo si ricorda, il Governo ha posto la fiducia.

Di seguito, si riporta il testo del predetto maxiemendamento.

Gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sono sostituiti dal seguente:
ART. 1
(Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro)
1. Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo si attiene, rispettivamente, ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro:
1) impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa;
2) semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati di concessione prevedendo strumenti certi ed esigibili;
3) necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione guadagni solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
4) revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
5) previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
6) riduzione degli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
7) revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà di cui all’articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi e previsione della possibilità di vincolare destinare gli eventuali risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente lettera al finanziamento delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4;
8) revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riferimento all’articolo 2 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, nonchè alla messa a regime dei contratti di solidarietà di cui all’articolo 5, commi 5 e 8, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
b) con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria:
1) rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
2) incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
3) universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
4) introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
5) eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
6) eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
c) con riferimento agli strumenti di cui alle lettere a) e b), individuazione di meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario dei trattamenti di cui alle lettere a) e b), al fine di favorirne l’attività a beneficio delle comunità locali, tenuto conto della finalità di incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione da parte del medesimo soggetto secondo percorsi personalizzati, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alle amministrazioni pubbliche;
d) adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione o alle attività a beneficio di comunità locali di cui alla lettera c).
3. Allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. In mancanza dell’intesa nel termine di cui all’articolo 3 del citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata ai sensi del medesimo articolo 3. Le disposizioni del presente comma e quelle dei decreti legislativi emanati in attuazione dello stesso si applicano nelle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità a quanto previsto dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione nonché dal decreto legislativo 21 settembre 1995, n. 430.
4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 3 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione, e a criteri di valutazione e di verifica dell’efficacia e dell’impatto;
b) razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome;
c) istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, di seguito denominata “Agenzia”, partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e mediante quanto previsto dalla lettera f);
d) coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
e) attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI;
f) razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
g) razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, al fine di favorirne l’inserimento e l’integrazione nel mercato del lavoro;
h) possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonché di altre amministrazioni;
i) individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
l) determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
m) rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
n) valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, a tal fine, la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
o) valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, flessibilità e prossimità anche al fine di definire un sistema di monitoraggio e controllo sui risultati dei servizi di welfare erogati;
p) introduzione di princìpi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
q) introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
r) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sia a livello centrale che a livello territoriale;
s) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
t) attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale;
u) mantenimento in capo alle regioni e alle province autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
v) attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica;
z) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate, anche attraverso l’istituzione del fascicolo elettronico unico contenente le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche ed ai versamenti contributivi;
aa) integrazione del sistema informativo di cui alla lettera z) con la raccolta sistematica dei dati disponibili nel collocamento mirato nonché di dati relativi alle buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e agli ausili ed adattamenti utilizzati sui luoghi di lavoro;
bb) semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’impiego delle tecnologie informatiche, secondo le regole tecniche in materia di interoperabilità e scambio dei dati definite dal codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, allo scopo di rafforzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e favorire la cooperazione con i servizi privati, anche mediante la previsione di strumenti atti a favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti.
5. Allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonch← in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
6. Nell’esercizio della delega di cui al comma 5 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
e) rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
f) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
g) previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore;
h) individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
i) revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
l) promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).
7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:
a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio;
d) revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera;
e) revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
f) introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale;
g) previsione, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, della possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva di cui all’articolo 72, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
h) abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.
8. Allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, il Governo │ delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o pi decreti legislativi per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternit¢ e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
9. Nell’esercizio della delega di cui al comma 8 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
b) garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
c) introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
d) incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
e) eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
f) integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
g) ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all’interno delle imprese;
h) estensione dei principi di cui al presente comma, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
10. I decreti legislativi di cui ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 della presente legge sono adottati nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
11. Gli schemi dei decreti legislativi, corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza dei termini previsti ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 ovvero al comma 13, questi ultimi sono prorogati di tre mesi.
12. Dall’attuazione delle deleghe recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, per gli adempimenti dei decreti attuativi della presente legge, le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni. In conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di stabilità, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
13. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 10, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la medesima procedura di cui ai commi 10 e 11, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
14. Sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, le competenze delegate in materia di lavoro e quelle comunque riconducibili all’articolo 116 della Costituzione e all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.”.

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NO, L’OMOFOBIA NON È UN’OPINIONE.

di Andrea Serpieri

Nei giorni scorsi in diverse piazze italiane sono tornate le sentinelle in piedi. Queste figure altro non sono che riedizioni stantie di un Savonarola che la stessa storia ha già condannato, donne che vivono la propria confessione come se fossero replicanti di una Giovanna d’Arco postmoderna, neo-crociati della fede che si battono contro la diffusione delle teorie di genere – strumenti occulti del demonio, con cui il male tenta di farsi strada nell’umanità. Sono, quindi, i paladini del bene, laddove il male è rappresentato da quell’amore che, come cantava Dante, ‘puote errar per male obiecto’. Il male del 2000, infatti, sono i gay. Ed ecco, allora le sentinelle farsi difensori del diritto all’omofobia. Il diritto di dire no all’altrui libertà, se questa libertà fa dispiacere a Gesù, e di recriminare, nel contempo, un razzismo inverso ai propri danni: quello di chi isola gli omofobi come tali. Quando, invece, la loro è solo difesa strenua e santa (e dunque benedetta) della famiglia naturale. Dell’amore puro tra un uomo e una donna (biologici), di quell’amore, che Dante celebrava come ‘lo naturale’, quello che pertanto ‘è sempre senza errore’.

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Lungi da me la condanna del Sommo Poeta, a cui ricorro soltanto per dimostrare la più totale inattualità delle parole con cui le sentinelle difendono le proprie opinioni. Opinioni che, piuttosto, sarebbero state adatte ai tempi dello stesso Alighieri. Meglio ancora: le sentinelle avrebbero trovato il più opportuno spazio alle proprie idee all’epoca della Santa Inquisizione, quando, in un virtuale confronto, perfino gli abitanti dell’Atene del V secolo a.c. sarebbero parsi di mentalità più aperta.

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Sorto all’indomani dell’approvazione del DL Scalfarotto dello scorso anno, questo movimento ha finora manifestato contro i diritti – ad oggi, tuttavia, solo rivendicati, ma nient’affatto riconosciuti – delle popolo LGBTQIA. Sebbene si siano sempre dichiarati aconfessionali e apartitici, le sentinelle manifestano le proprie idee con il sostegno esplicito e per nulla ininfluente delle destre e dei centristi, oltreché della stampa cattolica e delle più alte eminenze ecclesiastiche.

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Se la tesi di fondo delle sentinelle è quella di poter liberamente manifestare il proprio pensiero, BlogNomos che si è sempre occupato, per sua stessa vocazione, di diritti umani e civili e che dell’educazione alla legalità ha fatto il proprio principio ispiratore, propone a voi tutti (e a questi soggetti) una riflessione costituzionalmente orientata su tale affermazione. Invocare l’art. 21 Cost. per manifestare liberamente e legittimamente il proprio pensiero, infatti, non basta. Le norme giuridiche, a partire da quelle alla base del nostro ordinamento, costituiscono un sistema e sistematicamente, quindi, devono essere intese. L’art. 21, per esempio, è annoverato nel Titolo I della Carta, quello dedicato ai Rapporti Civili, che, sebbene contemplati dalla stessa Costituzione, devono, comunque, attendere ai cd. Principi Fondamentali, contenuti nei primi dodici articoli. Questi ultimi individuano le caratteristiche generali, i valori fondamentali, e, potrebbe dirsi, la fisionomia stessa della Repubblica Italiana. Per tale ragione, i principi fondamentali devono essere utilizzati obbligatoriamente per interpretare tutte le altre norme costituzionali, art. 21 compreso. Oltretutto, i principi fondamentali, proprio perché individuano i valori fondamentali di questo Stato, non sono modificabili, salvo l’ipotesi remota di un colpo di Stato. La Corte Costituzionale può arrivare anche ad abrogare leggi ed atti aventi valore di legge, qualora fossero in contrasto con i principi fondamentali. E la giurisprudenza costituzionale, fin da quando il Palazzo della Consulta è stato operativo, ha offerto innumerevoli sentenze, che le sentinelle farebbero forse bene a visionare. Cambiare i principi fondamentali significherebbe, quindi, cambiare il tipo di Stato. I Principi Fondamentali della Costituzione hanno, pertanto, il compito di impegnare i futuri governanti a realizzare norme che traducano in pratica quanto in esse contenuto. Per questo motivo hanno valore di ‘norme programmatiche’. Ora, all’art. 3, la Costituzione della Repubblica Italiana pone questo principio fondamentale:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Dalla lettera del diritto discende che se l’art.3 è un principio fondamentale (e lo è), significa non solo che lo Stato italiano ha l’obbligo di tutelare anche i diritti degli omosessuali, ma che l’istigazione all’odio, così come perpetrata dalle sentinelle, non può essere libertà d’espressione.

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Fatto questo breve quadro sinottico sul diritto costituzionale vigente, sento il dovere (più intellettuale che morale) di contestare alle sentinelle in piedi anche la pretesa (infondata) di spacciare per scientifica e legittima la paura e l’odio che nutrono verso gay, lesbiche e transgender. Dal Rapporto Kinsey in poi, la scienza ha, peraltro, dimostrato che l’omoaffettività non è una patologia e dal 17 maggio 1990 l’omosessualità è stata depennata dal manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali e le ricerche più recenti dimostrano come le famiglie omogenitoriali non rappresentino un rischio né per il bambino né per la società civile. Mi chiedo se i libri che le sentinelle portano in piazza rechino queste notizie o se preferiscano la più rassicurante censura…

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In verità, nonostante le sentinelle in piedi si professino pacifiche, ciò che rivendicano è il diritto di discriminare ed opprimere, invocando la negazione delle libertà per tante donne e tanti uomini che considerano ‘diversi’ solo perché assolutizzano un modello di ‘normalità’ che sentono di incarnare e che la società propone come tale. (Chi è patologico?) La loro opinione altro non è che un insulto ai diritti umani. Protestare contro l’introduzione del reato di omofobia e ridurre in questo modo a mera opinione ciò che ha condotto e conduce a tanti episodi di violenza, a tanti casi di suicidio, alle quotidiane aggressioni, agli episodi di bullismo ai danni di fragili ragazzi gay, fino alla violenza psicologica e verbale che in Italia si manifesta anche nelle dichiarazioni pubbliche di ministri come Alfano e in eurodeputati come Buonanno, significa disprezzare il valore assoluto che ogni essere umano, unico ed irripetibile, porta con sé. Significa non avere alcun rispetto proprio della ‘vita’.

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E se i nostri rappresentanti in Parlamento non saranno in grado di tutelare i propri cittadini, sarà compito dell’Unione Europea offrire una tutela all’Italia LGBT. L’Europa non ci chiede solo il pareggio di bilancio.

“Il Parlamento europeo […] ribadisce il suo invito a tutti gli Stati membri a proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso e chiede alla Commissione di presentare proposte per garantire che il principio del riconoscimento reciproco sia applicato anche in questo settore al fine di garantire la libertà di circolazione per tutte le persone nell’Unione europea senza discriminazioni.”
(Risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007 sull’omofobia in Europa, art 8).

“Il Parlamento europeo […] condanna i commenti discriminatori formulati da dirigenti politici e religiosi nei confronti degli omosessuali, in quanto alimentano l’odio e la violenza, anche se ritirati in un secondo tempo, e chiede alle gerarchie delle rispettive organizzazioni di condannarli.”
(Risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007 sull’omofobia in Europa, art 10).

O sarà, forse, la Comunità Internazionale ad imporre all’Italia un comportamento civile? L’Articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, ratificata dall’Italia con L. n. 848/55, contiene, infatti, due indicazioni relative alla non discriminazione in genere:

“Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.”

Il successivo articolo 7 proibisce, poi, ogni forma di discriminazione:

“Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.”

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No, decisamente l’omofobia non è una di quelle opinioni che le sentinelle possano liberamente manifestare.

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LA SAGGEZZA DEGLI PSICOPATICI… OVVERO, LE DIECI PROFESSIONI A RISCHIO FOLLIA.

Il lavoro a volte può essere causa di forte stress, tuttavia, tra i vari mestieri possibili, alcuni mettono a dura prova il nostro sistema nervoso più di altri. Se avete l’impressione che il vostro lavoro vi stia facendo letteralmente impazzire, forse non state esagerando. In effetti, potreste essere sull’orlo di una crisi di nervi. Se è così, allora prendetevi un momento di relax. Di tanto in tanto non nuoce, anzi. Concedetevi una pausa: magari approfittatene per leggere questo post.

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di Michele De Sanctis

Si intitola ‘The wisdom of psychopaths: what saints spies and serial killers can teach us about success’ l’ultimo saggio di Kevin Dutton, in cui lo psicologo, docente presso l’università di Oxford, analizza alcune professioni che rischiano di portare letteralmente alla follia. E così scopriamo che sono davvero pochi i lavori che si salvano da questo particolare ‘rischio professionale’. Stando al titolo del saggio, forse è proprio vero che santi, spie e serial killer hanno qualcosa da insegnarci sul ‘successo’. E che forse al lavoro più ci avviciniamo all’obiettivo da raggiungere, più ci allontaniamo dalla nostra salute mentale…Ma quali sono le dieci categorie maggiormente esposte?

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Per rispondere a questa domanda, Dutton ha analizzato circa cinquemila questionari in precedenza somministrati ad un campione di volontari. Le risposte, messe successivamente in relazione con la professione svolta, rivelano non solo quali siano i lavori che possono condurre all’instabilità mentale, ma anche informazioni ulteriori su patologie e cause dei nostri disturbi. Dallo studio di Dutton, infatti, apprendiamo che la più diffusa forma di malessere risulta essere la sociopatia e che l’instabilità psicologica può essere effetto di ritmi frenetici, di carichi eccessivi di responsabilità, di uno stile di vita segregante, ovvero conseguenza di un’eccessiva esposizione ad immagini cruente o di generiche frustrazioni.

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Al primo posto della classifica svettano gli amministratori delegati, seguiti da avvocati, impiegati del settore TLC, venditori, chirurghi, giornalisti e aforze dell’ordine. Ma c’è posto persino per gli uomini di Chiesa (sic!), che se la passano proprio male, peggio anche dei cuochi professionisti, che li seguono in nona posizione. Meno stressati tra i più esauriti del mercato del lavoro sono gli impiegati statali, che chiudono la classifica al decimo posto. Se quindi rientrate in una di queste dieci categorie, iniziate a preoccuparvi, perché potreste essere a un passo dalla pazzia.

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Le 10 professioni a rischio follia:

1. Ceo
2. Avvocato
3. Addetto Tv/Radio Comunicazioni
4. Commerciale
5. Chirurgo
6. Giornalista
7. Poliziotto
8. Ecclesiastico
9. Chef
10. Impiegato pubblico

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FONDO DI GARANZIA PER LA PRIMA CASA. PUBBLICATO IL DECRETO ATTUATIVO.

di Michele De Sanctis

Adottato lo scorso 31 luglio e registrato dalla Corte dei Conti in data 3 settembre, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 226 del 29/09/2014 il decreto MEF di attuazione del Fondo di garanzia ‘prima casa’, previsto dalla L. n. 147/2013 (cd. Legge di Stabilità), per la concessione della garanzia dello Stato sui mutui ipotecari relativi all’abitazione principale.

Il Decreto in parola individua in Consap S.p.A. (società controllata al 100% dal MEF) l’ente che gestirà il Fondo e, all’art. 1 e al successivo art. 3 co. 4, definisce le categorie per cui la Legge di Stabilità (all’art. 1, comma 48, lett. c L. n. 147/2013) prevede una corsia preferenziale nell’accesso alla garanzia per la prima casa. Ecco le operazioni ammissibili alla garanzia del Fondo.

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Ai sensi dell’art. 3 del Decreto, alla garanzia del fondo possono essere ammessi i mutui ipotecari per l’acquisto e per gli “interventi di ristrutturazione e accrescimento dell’efficienza energetica” relativi a immobili siti nel territorio nazionale da adibire ad abitazione principale. Sono, peraltro, ammissibili alla garanzia in parola i mutui ipotecari di ammontare non superiore a 250.000 euro, erogati in favore dei mutuatari per l’acquisto anche con accollo da frazionamento, ovvero per l’acquisto e per interventi di ristrutturazione e accrescimento dell’efficienza energetica, di unità immobiliari site sul territorio nazionale, da adibire ad abitazione principale del mutuatario.
L’immobile che si intende acquistare per poi essere adibito ad abitazione principale non deve, però, rientrare nelle categorie catastali A1, A8 e A9 e non deve avere le caratteristiche di lusso indicate nel decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, n. 1072. Inoltre, alla data di presentazione del mutuo, è necessario che il mutuatario non sia già proprietario di altri immobili ad uso abitativo, salvo quelli di cui abbia acquistato la proprietà per successione mortis causa e che siano in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli.

Il Gestore di cui all’art. 1, nelle attività di ammissione alla garanzia dei mutui ipotecari di cui al comma 1, in presenza di domande pervenute nella stessa giornata, deve assegnare priorità ai mutui erogati a favore:

– delle giovani coppie;
– dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori;
– dei conduttori di alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati;
– dei giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico, di cui all’art. 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. riforma Fornero).

LEGGI ANCHE ‘TRENTENNI E LA CRISI. FIGLI CONTRO PADRI.’

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Per i mutui ai quali viene assegnata priorità ai sensi del comma 4, il tasso effettivo globale (TEG) non potrà essere superiore al tasso effettivo globale medio (TEGM), così come pubblicato trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in base alla legge 7 marzo 1996, n. 108.

Potranno effettivamente erogare i mutui garantiti dal Fondo le banche e gli intermediari finanziari, secondo quanto disciplinato, oltreché dal Decreto in parola, dai Protocolli d’intesa da stipularsi tra Dipartimento del Tesoro e Associazione Bancaria Italiana (ABI).

L’ammissione alla garanzia del Fondo avverrà per via telematica. A raccogliere le domande sarà la banca o l’intermediario finanziario che, verificata la regolarità delle stesse, le trasmetterà a Consap, che, come già anticipato, sarà il soggetto gestore dello strumento.

La garanzia del Fondo verrà, quindi, concessa nella misura del 50% della quota capitale: per ogni operazione di finanziamento ammessa, la Consap accantonerà a coefficiente di rischio un importo non inferiore al 10% dell’importo garantito del finanziamento stesso.

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La domanda deve contenere dichiarazione sostitutiva di certificazione e di atto di notorietà del richiedente il mutuo circa il possesso dei requisiti e delle eventuali priorità e, una volta raccolta dal soggetto finanziatore, sarà verificata dallo stesso la correttezza e regolarità di quanto autocertificato in essa, e verrà quindi trasmessa alla Consap, che assegnerà alla richiesta un numero legato all’ordine di arrivo. Verificata la disponibilità del Fondo, entro 20 giorni la Consap comunicherà al finanziatore l’ammissione alla garanzia. L’efficacia della garanzia del Fondo avrà decorrenza in via automatica dalla data di erogazione del mutuo, anche se l’erogazione resterà una facoltà dei soggetti finanziatori.

Tuttavia, affinché il fondo diventi operativo è necessaria la firma del protocollo di intesa tra Tesoro e ABI, cui si accennava sopra, che determinerà le modalità di adesione degli istituti di credito. Solo così, infatti, si potrà finalmente procedere alla concessione dei mutui.

Dunque, precedenza per i mutui in favore di giovani under 35 e precari, ma ragazzi, pazientate, perché c’è ancora un’altra tappa. Se, invece, siete nati tra la fine del 1979 ed il 1980, che posso dirvi? Io a inizio anno ne faccio 35…

Clicca qui per il testo integrale del Decreto Garanzia Prima Casa del 31 luglio 2014.

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