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AMMORTIZZATORI SOCIALI: ECCO I NUOVI CRITERI DI CONCESSIONE.

Con Circolare n. 19 dello scorso 11 settembre 2014, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito quali siano i nuovi criteri di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga.

di Michele De Sanctis

Emanata a firma del neo Direttore Generale della Direzione Ammortizzatori Sociali, Ugo Menziani, la Circ. 19/2014 fornisce delucidazioni sul contenuto del Decreto Interministeriale n. 83473 datato 01/08/2014, inerente ai criteri di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla normativa vigente: fattispecie contemplate, termini di presentazione delle istanze, causali di concessione, limiti di durata, tipologie di datori di lavoro e lavoratori beneficiari.

Tra le principali novità previste dal Legislatore, si chiarisce che la diversa durata dei trattamenti (che, per tutte le imprese aventi diritto, si riducono dagli 11 mesi del 2014 ai 5 mesi previsti per il 2015) potrà ritenersi applicabile solo in seguito alla stipula di accordi successivi alla data di pubblicazione del Decreto in questione, vale a dire dopo il 04/08/2014.

Si tratta, comunque, di disposizioni che – lo ricordiamo – resteranno in vigore solo fino alla fine del 2016, quando interverrà la relativa abrogazione ad opera della riforma Fornero.

La circolare chiarisce anche l’obbligo, posto a carico dell’INPS dall’art 5 del Decreto Interministeriale in parola, relativo al “monitoraggio” mensile che dovrà essere effettuato sulle domande presentate, le prestazioni corrisposte e i flussi finanziari correnti e prevedibili (il cd. tiraggio). In particolare, la nota ministeriale specifica che i dati raccolti dall’Istituto saranno contestualmente comunicati al Ministero del Lavoro – Direzione Generale Ammortizzatori Sociali e alla Direzione Generale Tutela Condizioni di Lavoro – e al MEF, oltreché alla Regione o Provincia Autonoma interessate, limitatamente alle prestazioni riconosciute per il tramite delle stesse.

Quanto al campo di applicazione, la circolare in argomento ribadisce che gli ammortizzatori in deroga riguardano solo le imprese di cui all’articolo 2082 c.c.; restano, quindi, esclusi gli studi professionali e, di fatto, tutti gli altri datori di lavoro non esercenti attività di impresa. Tuttavia, rientrano nel novero dei destinatari i “piccoli imprenditori”, quali gli artigiani, i piccoli commercianti ed i coltivatori diretti.

I lavoratori beneficiari sono, peraltro, quei lavoratori subordinati, operai, impiegati, quadri, apprendisti, lavoratori somministrati, che siano in possesso di un’anzianità lavorativa di almeno 12 mesi, svolta presso l’impresa richiedente il trattamento. Risultano, dunque, esclusi, dall’intervento in deroga, i lavoratori per i quali sussistono i requisiti per accedere alle diverse prestazioni, di analoga finalità, previste dalla normativa vigente: trattamenti di mobilità ordinaria, indennità Aspi e miniAspi, indennità di disoccupazione agricola, Cig ordinaria e Fondi di Solidarietà.

CLICCA QUI PER VISUALIZZARE LA CIRC. 19/2014

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Pillole di Jobs Act. Analisi e commento della legge delega in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive

 

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di Germano De Sanctis

Come è ben noto, il Jobs Act si suddivide in due atti normativi distinti. Il primo atto è il D.L. n. 34/2014 che ha affrontato il tema dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato e che deve essere convertito in legge entro il 20 maggio prossimo.
Invece, il secondo atto normativo consiste in una legge delega recentemente presentata al Senato, in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive. Si tratta di un documento composto di in sei articoli, al loro volta, suddivisi in due capi.
Il disegno di legge in questione si occupa delle seguenti materie, con l’espressa previsione di una delega al Governo per ciascuna di esse da esercitarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento legislativo:

  • la riforma degli ammortizzatori sociali, al fine grado di creare tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori;
  • il riordino dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, allo scopo di garantire l’erogazione e la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario ed onogeneo delle relative funzioni amministrative;
  • la razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, attraverso la semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi;
  • il riordino delle forme contrattuali, al fine di implementare le opportunità dìingresso nel mercato del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti, rendendoli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo;
  • il sostegno alla maternità ed allaconciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire un effettivo sostegno alla genitorialità, attraverso strumenti di tutela della maternità delle lavoratrici e soluzioni capaci di garantire le opportunità di conciliazione per la generalità dei lavoratori.

Esaminiamo nel dettaglio il testo del disegno di legge delega.

La delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, del disegno di legge delega, allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, delega il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
In particolare, l’art. 1, comma 2, lett. b), n. 3, del disegno di legge delega prevede espressamente l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASPI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite.
Si tratta di una diretta conseguenza della previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. a), n. 1, del disegno di legge delega che dispone l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa.
In altri termini, la recisione del “cordone ombellicale” tra l’impresa ed il suo lavoratore dipendente, già avviata con la Legge n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”), viene generalizzata, rendendo la nuova ASpI l’unica forma di sostegno al reddito in caso di disoccupazione volontaria, riconosciuta dall’ordinamento giuslavoristico, stante anche l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale (cfr., art. 1, comma 2, lett. b), n. 6, del disegno di legge delega).
Tale impostazione risulta ancor più evidente se si considera il fatto che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b), n. 5, del disegno di legge delega, è prevista, dopo la fruizione dell’ASpI, soltanto una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti.

La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

Allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, l’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega impegna il Governo ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive.
In mancanza del raggiungimento dell’intesa entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato – Regioni in cui tale riforma dei servizi per il lavoro sarà posta, all’ordine del giorno provvederà il Consiglio dei Ministri esercitando il suo potere sostitutivo mediante apposita deliberazione motivata ex art. 3, D.Lgs. n. 281/1997.

Per quanto concerne la riforma dei servizi per il lavoro, appare molto interessante la previsione, contenuta nell’art. 2, comma 2, lett. c) del disegno di legge delega, dell’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al cui funzionamento si provvederà con le risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente. Inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. e) del disegno di legge delega, verranno attribuzione all’Agenzia Nazione per l’Occupazione tutte le competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI.
Questo processo di costituzione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione verrà definito con il coinvolgimento delle parti sociali, le quali parteciperanno anche alla definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia medesima (cfr., art. 2, comma 2, lett. d), del disegno di legge delega).
Si tratta di una previsione importante, in quanto l’art. 2, comma 2, lett. f) del disegno di legge delega prevede una conseguente razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, delle Regioni e delle Province Autonome, operanti in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali, allo scopo di evitare sovrapposizioni e di consentire l’invarianza di spesa, mediante l’utilizzo delle risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente. In coerenza con quest’ultima previsione, l’art. 2, comma 2, lett. g), del disegno di legge delega prevede la possibilità di far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione il personale proveniente dalle Amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della predetta lettera f), nonché di altre Amministrazioni. In altri termini, appare evidente la consapevolezza da parte del legislatore dell’impossibilità di governare un processo di razionalizzazione così complesso senza un’adeguata concertazione con le parti sociali.

Venendo al contenuto della delega in materia di politiche attive del lavoro, l’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega elenca una serie di interventi “mirati”. Essi sono:
1. la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione (cfr., lett. a);
2. la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome (cfr., lett. b);
3. il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi (cfr., lett. c);
4. l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle esperienze più significative realizzate a livello regionale (cfr., lett. l);
5. il mantenimento in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale (cfr., lett. o);
6. il mantenimento in capo alle Regioni e Province autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro (cfr., lett. p);
7. l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica (cfr., lett. q).
Come appare evidente, si tratta di una serie di soluzioni che traggono il proprio fondamento dal meglio delle sperimentazioni effettuate negli ultimi anni in materia di politiche attive del lavoro, con l’intento di trasformarle da esperienze episodiche e sperimentali in attività sistematicamente garantite ai cittadini.

La delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti.

L’art. 3, comma 1, del disegno di legge delega impegna il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, uno o più decreti legislativi, contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega, il Governo eserciterà la delega, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione, del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) l’eliminazione e la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi, quali in particolare gli infortuni sul lavoro, e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
e) la revisione del regime delle sanzioni, che tengano conto della eventuale natura formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
f) l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, esclusivamente in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
g) la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’art. 4, comma 51, della Legge n. 92/2012 e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del D.L. n. 76/2013, n. 76, convertito in Legge n. 99/2013.

La delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali.

L’art. 4, comma 1, del disegno di legge delega evidenzia l’intento del legislatore di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo. Per raggiungere tale scopo, le legge in questione delega il Governo ad adottare, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore di tale legge, uno o più decreti legislativi recanti misure per il riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi che tengano, altresì, conto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione Europea in materia di occupabilità:
1. l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di semplificazione delle medesime tipologie contrattuali (cfr., art. 4, comma 1, lett. a), del disegno di legge delega);
2. la redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, semplificate secondo quanto indicato all’art. 4, comma 1, lett. a), del disegno di legge delega, che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti (cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega);
3. l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (cfr., art. 4, comma 1, lett. c), del disegno di legge delega);
4. la previsione della possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali, in tutti i settori produttivi, attraverso la elevazione dei limiti di reddito attualmente previsti e assicurando la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati (cfr., art. 4, comma 1, lett. d), del disegno di legge delega).
5. l‘abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative (cfr., art. 4, comma 1, lett. e), del disegno di legge delega).
L’art. 4 della legge delega è probabilmente la norma più significativa dell’intero articolato, in quanto contiene una serie di previsioni innovatrici che, qualora fossero realizzate, porterebbero un profondo mutamento dell’intero ordinamento giuslavoristico italiano.
Entrando nel dettaglio, appare evidente come la prima novità contenuta nella legge delega che balza subito all’attenzione dell’interprete sia la previsione di un codice semplificato del lavoro (definito “Testo organico”: cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega). Si tratta di un obiettivo ambizioso, atteso che la realizzazione di un codice “di sintesi” dell’eterogenea e frammentaria disciplina in materia di diritto del lavoro risulta essere un compito molto arduo, sia da un punto di vista concettuale, che redazionale.
Inoltre, la legge delega prevede l’introduzione, eventualmente in via sperimentale di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti e l’introduzione (cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega), nonché, anche in questo caso in forma eventualmente in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale (cfr., art. 4, comma 1, lett. c), del disegno di legge delega). Siamo di fronte ad un’ipotesi legislativa che, da un lato, cerca di circoscrivere tutte le forme di lavoro flessibile che hanno caratterizzato il mercato del lavoro negli ultimi dieci anni dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 276/203, dall’altro, delinea un percorso progressivo che favorisce l’applicazione più ampia possibile del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., attraverso un riconoscimento graduale in capo al lavoratore dei suoi diritti normativi e retributivi riconosciuti dall’ordinamento. Lo strumento giuridico per realizzare quest’intento sarebbe un contratto d’inserimento a tutele e retribuzioni crescenti, i cui contenuti sono, per il momento fumosi e non ben chiariti. Sarà compito dell’attuazione della delega (ove concessa dal Parlamento) a dover evitare che siffatta tipologia contrattuale non si trasformi in uno strumento di eversione dei diritti dei lavoratori, riuscendo a contemperare i confliggenti interessi dei datori di lavoro a contenere i casti della manodopera e quelli dei lavoratori ad avere un pieno riconoscimento dei propri diritto, attraverso la costituzione di stabili e duraturi rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La delega al Governo in materia di maternità e conciliazione.

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del disegno di legge delega, allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione per la generalità dei lavoratori, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, uno o più decreti legislativi recanti misure per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Ai sensi dell’art. 5, comma 2 del disegno di legge in questione, il Governo dovrà esercitare la delega in materia attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:
1. la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici (cfr., art. 5, comma 2, lett. a), del disegno di legge delega);
2. la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. b), del disegno di legge delega);
3. l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico (cfr., art. 5, comma 2, lett. c), del disegno di legge delega);
4. l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti, con l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. d), del disegno di legge delega);
5. il favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi (cfr., art. 5, comma 2, lett. e), del disegno di legge delega);
6. la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. f), del disegno di legge delega);
7. l’estensione dei principi in materia di maternità e conciliazione contenuti nel disegno di legge delega, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. g), del disegno di legge delega).
Dall’esame dei molteplici criteri direttivi della delega su questa materia, risulta molto interessante l’introduzione di un c.d. “tax credit”, inteso come strumento d’incentivazione del lavoro (subordinato ed autonomo) femminile, mirato a favorire un ben determinato target di lavoratrici madri in specifiche condizioni di disagio economico (cfr., art. 5, comma 2, lett. c), del disegno di legge delega). Si ha l’impressione che il legislatore nazionale voglia trasferire all’interno dell’ordinamento giuslavoristico l’esito delle varie sperimentazioni effettuate in materia da parte delle Regioni italiane attraverso l’utilizzo delle risorse del Fondo Sociale Europeo, nell’arco della programmazione 2007-2013. Tuttavia, tali esperienze privilegiavano l’erogazione di risorse economiche capace di fronteggiare, al contempo, anche la difficoltà di accesso al credito, attraverso l’erogazione di bonus (assunzionali o di autoimprenditorialità) capaci d’immettere liquidità finanziaria immediata nel circuito economico di riferimento. Invece, la scelta governativa parrebbe limitarsi ad un mero credito d’imposta che, per quanto salutare, non avrebbe la medesima forza dirompente.

Le disposizioni comuni per l’esercizio delle deleghe.

Infine, l’art. 6 del disegno di legge delega delinea una serie di disposizioni mirate a garantire un rapido esercizio della delega da parte del Governo, senza, peraltro, comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Merita attenzione la previsione contenuta nell’art. 6, comma 4, del disegno di legge delega, la quale dispone che, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della legge delega, il Governo può adottare, ovviamente nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal Parlamento, ulteriori disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse. Si tratta evidentemente di una clausola di salvaguardia che permette al legislatore delegato di operare le eventuali azioni di manutenzione legislativa che si possano rendere necessarie nel corso dell’immediatezza dell’esercizio della delega in una materia così delicata come è il diritto del lavoro.

Una prima analisi del contenuto del Jobs Act.

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di Germano De Sanctis

Dopo tanta attesa, è stato finalmente reso noto il contenuto del Jobs Act. A sorpresa, il Governoha abbandonato l’idea di riformare il mercato del lavoro a colpi di decreto legge ed ha scelto una strada diversa. Infatti, il Consiglio dei Ministri del 12 marzo ha licenziato un disegno di legge delega al Governo, avente ad oggetto unaa riforma del mercato del lavoro, che demolisce l’intero impianto normativo delineato dalla c.d. legge Fornero.

In particolare ildisegno di legge delega prevede il conferimento in capo al Governo di specifiche deleghe finalizzate all’introduzione di misure aventi ad oggetto la riforma della disciplina degli ammortizzatori sociali, la riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive, la semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, il riordino delle forme contrattuali, il miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita.

Contestualmente, il Consiglio dei Ministri ha anche varato anche un decreto legge avente ad oggetto alcuni interventi di semplificazione sul contratto a tempo determinato e sul contratto di apprendistato, finalizzati a renderli più coerenti con le esigenze attuali del contesto occupazionale e produttivo.

Non bisogna dimenticare, che l’intero pacchetto varato dal Consiglio dei Ministri deve essere “messo a sistema”, con la c.d. “Garanzia Giovani”, che dovrebbe partire il 30 marzo p.v. e che interesserà i giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni, non occupati e non coinvolti in alcun percorso formativo o d’istruzione. Si tratta di un programma comunitario del valore di 1,5 miliardi di euro che durerà fino alla fine del 2015. Lo scopo di tale iniziativa comunitaria consiste nell’offrire ai giovani interessati un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato, di tirocinio o di altra misura di formazione, entro quattro mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione.

Appare evidente come la scelta di affidare gran parte delle riforme in questione ad un disegno di legge delega diluisca, nel tempo, l’impatto sul mercato del lavoro dell’attività riformatrice, in quanto bisognerà attendere, in primo luogo, l’approvazione del disegno di legge in questione da parte del Parlamento, e successivamente l’attuazione governativa della delega concessa attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi

Fatta questa premessa, esaminiamo meglio, nel dettaglio, le novita contenute nei due citati provvedimenti, raggruppando gli argomenti per aree tematiche.

Il contratto di lavoro a tempo determinato.

Per il contratto a tempo determinato viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, per il quale non è richiesto il requisito della c.d. causalità.

Al fine di mantenere in equilibrio il sistema delle tutele, viene fissato un tetto massimo per i contratti di lavoro a tempo determinato, pari al 20% del totale dei dipendenti del datore di lavoro.

Inoltre, si prevede la possibilità di prorogare anche più volte il contratto di lavoro a tempo determinato, ovviamente entro il limite dei tre anni, sempre che sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa.

Tale novella legislativa avrà un enorme impatto sul mercato del lavoro, in quanto il contratto di lavoro a tempo determinato interessa attualmente il 58% dei lavoratori italiani.

Il contratto di apprendistato.

Per il contratto di apprendistato, si prevede l’obbligo della forma scritta per il solo contratto e per il patto di prova, e non, come ora previsto, anche per il relativo piano formativo individuale.

Inoltre, sono state eliminate le vigenti previsioni, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla trasformazione in lavoratori subordinati dei precedenti apprendisti al termine del percorso formativo.

Si è anche previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale dinquadramento.

Scompare l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.

In altri termini, il decreto legge in questione, prova a rendere più appetibile il contratto di apprendistato, il quale attualmente interessa soltanto il 10% dei rapporti di lavoro in essere.

La smaterializzazione del DURC.

Viene previsto uno specifico intervento di semplificazione amministrativo, avente ad oggeto la smaterializzazione del DURC.

L’intento è di superare l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese.

Secondo le stime del Governo, il provvedimento in questione avrà un impatto di grande rilevanza, tenendo conto del fatto che, nel corso dell’anno 2013. sono stati presentati circa 5 milioni di DURC.

Le delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali.

Tale delega persegue lo scopo di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, prevedendo, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale.

Questo nuovo sistema dovrebbe essere in grado di garantire il coinvolgimento attivo di tutti coloro che sono stati espulsi dal mercato del lavoro, o che risultino essere beneficiari di ammortizzatori sociali.

Inoltre, l’intero riformatore dovrà semplificare le procedure amministrative e dovrà ridurre gli oneri non salariali del lavoro.

Per raggiungere tutti questi obiettivi, la delegaha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali, escludendo i casi di cessazione aziendale;

  2. semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione;

  3. prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;

  4. rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;

  5. prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;

  6. prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;

  7. rimodulare l’ASPI, omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;

  8. incrementare la durata massima dell’ASPI per i lavoratori con carriere contributive più significative;

  9. estendere l’applicazione dell’ASPI ai lavoratori con contratti di collaborazione a progetto, prevedendo, in una fase iniziale, un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite;

  10. introdurre massimali correlati alla contribuzione figurativa;

  11. valutare la possibilità che, dopo l’ASPI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;

  12. eliminare la previsione normativa che impone lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso alle prestazioni di carattere assistenziale.

Nell’esercizio di tale delega dovranno essere individuati i meccanismi necessari per assicurare il coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di prestazioni di integrazione salariale, ovvero di misure di sostegno in caso di disoccupazione, al fine di favorirne lo svolgimento di attività in favore della comunità locale di appartenenza.

La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive.

La delega in questione intende garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché vuole assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione degli incentivi all’assunzione già esistenti, i quali dovranno essere collegati a specifiche caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;

  2. razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;

  3. istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tale Agenzia avrebbe l’attribuzione di compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI e si connoterebbe anche per il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Sono, altresì, previsti meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’INPS, sia a livello centrale, che a livello territoriale, così come sono previsti ulteriori meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli Enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità. Il ruolo di tale Agenzia potrebbe essere molto interessante nell’ambito della poc’anzi citata “Garanzia Giovani”;

  4. razionalizzazione degli enti e delle strutture, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego, allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;

  5. rafforzamento e valorizzazione dell’integrazione pubblico/privato, al fine di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;

  6. conferma del ruolo svolto dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;

  7. conferma delle competenze delle Regioni e delle Province Autonome in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;

  8. promozione di azioni volte al coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;

  9. valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e del monitoraggio delle prestazioni erogate.

La delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti.

Questa specifica delega intendeperseguire la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;

  2. eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;

  3. unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi (ad es., gli infortuni sul lavoro), ponendo a carico delle stesse Amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;

  4. promozione delle comunicazioni in via telematica ed abolizione dell‘obbligo di tenuta di documenti cartacei;

  5. revisione delsistema sanzionatorio, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e che favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);

  6. individuazione delle modalità organizzative e gestionali capaci di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;

  7. revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino.

La delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali.

Lo scopo di tale delega consiste nella volontà di rafforzare le opportunità dingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. individuazione ed analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, al fine di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;

  2. redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che preveda anche l’introduzione, eventualmente in forma sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;

  3. introduzione, eventualmente anche in forma sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali;

  4. abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando le eventuali duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

La delega al Governo in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze genitoriali.

Tale delega vuole garante una effettiva conciliazione tra i tempi di vita ed i tempi di lavoro dei genitori. In particolare, il Governo vorrebbe raggiungere l’obiettivo di garantire alle donne un sistema di conciliazione tale da non costringerle a scegliere fra l’accudimento dei figli e la permanenza nel mondo del lavoro.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. introduzione di un’indennità di maternità a carattere universale, la quale, pertanto, interesserà anche le lavoratrici che versano i propri contributi alla gestione separata;

  2. garantire il diritto alla prestazione assistenziale a favore delle lavoratrici madri parasubordinate, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;

  3. abolizione della detrazione per il coniuge a carico ed introduzione del c.d. tax credit, inteso quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;

  4. incentivazione degli accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;

  5. integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle imprese nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA

Ammortizzatori Sociali per Tutte e Tutti (oppure Solidali e Universali): Estendere, Includere, Garantire. Sostenere il Lavoro per garantire Reddito

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Ieri la CGIL ha presentato una propria proposta di riforma degli ammortizzatori sociali a carattere inclusivo ed universale. Cosa significa? Significa un meccanismo che funzioni per tutti, subordinati e parasubordinati, atipici e partite IVA. Un meccanismo che da un lato sostenga chi ha perso il posto di lavoro o ha subito una riduzione dell’orario o la sospensione. Dall’altro che punti al reinserimento lavorativo.
Vediamo come.

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L’idea di fondo è quella di rovesciare i termini di solito il dibattito ed incentrato sul sostegno al reddito, di cui il lavoro è componente variabile, la prospettiva della CGIL è, invece, opposta: guardare al lavoro, accompagnando la transizione con un sostegno al reddito.

Una proposta semplice e sostenibile…

…costruire un sistema totalmente pubblico e assicurativo che tuteli chi perde l’occupazione e chi è coinvolto dalla crisi e che, nel contempo, non gravi sulla fiscalità generale è possibile estendendo la contribuzione a tutti i lavoratori e a tutte le imprese.

Una proposta inclusiva…

…se tutti i lavoratori e tutte le imprese contribuiscono al sistema universale di ammortizzatori, si può estendere il sostegno al reddito anche ai precari, includendo tutte le tipologie contrattuali subordinate e parasubordinate.

Una proposta equa…

…se tutte le imprese di qualsiasi dimensione e settore contribuiscono in base alle specificità ad un sistema universale, le prestazioni erogate alle stesse imprese e il carico contributivo sulle stesse sarà più sostenibile e solidaristico.

Una proposta che risponde al presente ed al futuro…

…a prescindere dagli andamenti dell’economia e delle relative fluttuazioni del mercato del lavoro un sistema di questo tipo può rispondere all’esigenza di affrontare le crisi congiunturali, di settore, territoriali con strumenti che rispondano al nuovo mercato del lavoro caratterizzato da sempre maggiori transizioni dei lavoratori da una condizione di occcupazione a quella di non occupazione, da un lavoro ad un altro, da contratto a contratto, tra lavoro e formazione.

Le ragioni e il senso della proposta
La Cgil da anni chiede e propone una vera Riforma degli Ammortizzatori Sociali a carattere inclusivo e universale.
Pensiamo a due soli istituti : uno per la tutela della disoccupazione, l’altro per la sospensione di attività e ore lavorate.
Entrambi gli strumenti devono ricollegarsi alle politiche attive di modo che il sostegno al reddito di modo che sempre il fine ultimo sia l’inclusione sociale e l’inserimento lavorativo, guardando alla riqualificazione, aggiornamento, ricollocazione delle lavoratrici e dei lavoratori.
In questi anni di crisi prolungata e di assenza di politiche di settore che sviluppassero nuove e innovative attività produttive il lavoro è diminuito, si è svalorizzato ed impoverito.
Senza aumento dell’occupazione qualsiasi politica di regolazione o deregolazione del mercato del lavoro cambia solo la condizione dei soggetti esclusi o inclusi, non ha effetti di crescita del ciclo economico ma anzi rischia di aumentare l’effetto recessivo di maggiore difficoltà di collocazione nel mercato del lavoro, tempi più lunghi di disoccupazione, minore disponibilità di reddito, con pesanti effetti sociali che hanno riflessi sull’altra gamba della protezione sociale che è quella previdenziale.
Per questa ragione la proposta della Cgil ha sempre guardato al tema del sostegno al reddito come diritto del lavoratore o disoccupato ad avere insieme ad una politica “passiva” una prestazione “attiva” che ricollegasse il lavoratore al lavoro sia come fonte di realizzazione; di espressione della propria professionalità e attitudine; come elemento di dignità, libertà dalla povertà e di cittadinanza democratica.
La legge 92 ha introdotto una prima rivisitazione degli Ammortizzatori ipotizzando scenari di crescita irrealistici e contrapponendo una logica estensiva sulla rimodulazione della tutela della disoccupazione (aspi/miniaspi invece di indennità ordinaria di disoccupazione/indennità a requisiti ridotti) ad una logica parcellizzante, divisiva e non inclusiva del sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro (ovvero l’istituzione dei Fondi di Solidarietà che non estendono tutele a tutte le imprese e a tutti i lavoratori).
Per questo oggi più che mai è necessario correggere il sistema rivedendo l’Aspi e Mini aspi, superando gli ammortizzatori in deroga e i fondi di solidarietà con un modello assicurativo simile agli ammortizzatori ordinari basato sui contributi di imprese e lavoratori.
Le risorse che oggi dalla fiscalità generale vanno verso gli ammortizzatori in deroga dovrebbero sostenere la fase di avvio del nuovo sistema e il potenziamento delle risorse stanziate per le nuove politiche attive necessarie a superare la logica dell’assistenza.

Disoccupazione : Aspi, Mini Aspi, Mobilità.
Nella tutela per disoccupazione involontaria occorre intervenire sulle previsioni, sulle modalità e sulle articolazioni dell’assicurazione sociale per l’impiego, anche in relazione a quanto si è evidenziato nel primo anno di utilizzo dell’istituto.La lettura delle criticità presenti, il cui superamento è necessario, conduce alle proposte di rivisitazione.
Nello strumento di tutela per la perdita del posto di lavoro, articolato nella indennità di disoccupazione ASPI e Mini ASPI, non sono comprese le tipologie contrattuali non in subordinazione, escludendo quindi dal campo di applicazione la para-subordinazione e il lavoro autonomo ( a partire dalle collaborazioni a progetto alle Partite Iva).
In ragione della differente tipologia tra queste due fattispecie, sia per gli aspetti contributivi che per la natura dei contratti, occorre individuare le necessarie soluzioni d’intervento: la natura del rapporto di collaborazione – per temporalità, limiti di reddito e progressivo allineamento della contribuzione al lavoro dipendente – può agevolare l’estensione della tutela a fronte del versamento del contributo individuato.
Per il lavoro autonomo occorre aprire uno spazio di riflessione, anche attraverso la eventuale natura volontaria della copertura assicurativa. Resta evidente la necessità di una previsione che garantisca una tutela più ampia – commisurata evidentemente all’anzianità contributiva – dalla disoccupazione ( Es: una Partita Iva, fatta la media tra reddito percepito per anno fiscale ed anno solare che sia sotto il parametro definito per l’esclusione del trattamento in ragione di una contribuzione volontaria al sistema assicurativo pubblico potrebbe ricevere una prestazione parametrata alla minore contribuzione ma comunque accedere ad un’indennità di mancata occupazione)
Nel finanziamento del sistema persiste una disomogeneità nell’aliquota di contribuzione: per alcuni settori in termini transitori, con un progressivo allineamento previsto al 2017 che ha avuto effetto sulla entità delle prestazioni (soci lavoratori cooperative settore industria e commercio, personale dipendente dello spettacolo settore industria).
Per altri (artigianato, radio-televisione, pubblici esercizi) la riduzione del contributo ordinario ha confermato quanto già in essere nel finanziamento della indennità di disoccupazione ponendo a rischio le coperture.
Relativamente alla prestazione dell’ASPI occorre superare il decalage del 15% prevsito dopo il 6° mese di fruzione e dell’ulteriore 15% previsto dopo il 12° mese.
La transizione della indennità di mobilità verso l’ASPI si presenta troppo rapida, anche in ragione – come era prevedibile – del perdurare della crisi e di come questa ricade in alcuni settori produttivi e in alcune realtà geografiche.
Tra il 2015 e il 2016 da una copertura massima di 36/48 mesi si passa a una copertura di 12/18 mesi.
Occorre ampliare il periodo di transizione con l’esigenza, però, d’incrementare strutturalmente i periodi di copertura dell’ASPI ad almeno 18/24 mesi.
Il superamento della indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, sostituita dalla Mini ASPI, sul versante dei requisiti ha introdotto elementi di rigidità che penalizzano nell’accesso alla prestazione: le 13 settimane non sono l’equivalenza delle 78 giornate lavorative.
Costituiscono un limite rigido all’accesso alla prestazione, in considerazione dei periodi di lavoro brevi e discontinui.
Per questo occorre riportare il requisito alle 78 giornate lavorative, superando la rigidità introdotta con il vincolo delle 13 settimane di contribuzione nell’anno.
Inoltre la corresponsione della indennità per la metà delle settimane lavorate ha prodotto una riduzione sensibile della prestazione se paragonata per analoghi periodi al precedente sistema di calcolo.
Nel quadro di una rivisitazione dell’ ASPI, per l’ esigenza di superare le difficoltà di accesso alla prestazione, occorre valutare il superamento del vincolo del biennio di anzianità assicurativa e dell’anno di contribuzione (le 52 settimane con contribuzione erogata o dovuta): l’incrocio tra questi due criteri costituisce spesso un “muro” non superabile per ottenere la prestazione.
Commisurando la durata della prestazione alla anzianità lavorativa (agli anni di versamento del contributo DS/ASPI) si potrebbe superare il vincolo biennio assicurazione/anno di contribuzione individuando un requisito minimo che possono essere le 78 giornate lavorative nell’anno.
Tale intervento ridurrebbe l’area di esclusione dalla prestazione e questa sarebbe comunque commisurata alla durata della contribuzione, come è in un sistema di natura assicurativa quale quello di tutela della perdita dell’occupazione.
Resta da approfondire la questione del contributo straordinario, oggi previsto nella misura del 1,4%, per le tipologie contrattuali non subordinate che comunque hanno la caratteristica di essere “a termine” e quindi omogenee alla specificità dei contratti a tempo determinato per le quali la Cgil chiede la generalizzazione del contributo del 1,4%.
L’orizzonte di una tutela a carattere universale per la perdita involontaria dell’occupazione passa necessariamente attraverso un intervento sugli strumenti in essere.
In realtà la Mini Aspi potrebbe essere assorbita dall’Aspi, che potrebbe agire anche su periodi variabili a seconda del numero di giornate lavorative annue accumulate per i precari e allungando anche al di là dei 24 mesi massimi, previsti nella proposta della Cgil, nel caso di lavoratori che volontariamente prima del raggiungimento dei requisiti di anzianità contributiva decidano di interrompere il rapporto di lavoro. In questo caso l’Aspi assorbirebbe la funzione che in parte ha avuto la Mobilità ma nella previsione di riforma la condizione è che parte della prestazione venga pagata dall’impresa che avvii la procedura garantendo l’occupazione di un nuovo lavoratore.

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Tutele in costanza di rapporto di lavoro
Per le tutele in costanza di rapporto di lavoro, pur tenendo conto dell’articolazione tra settori e degli strumenti oggi previsti, occorre una rivisitazione profonda per realizzare l’obiettivo non raggiunto della universalità per settori merceologici e classi dimensionali neanche con l’istituzione dei Fondi di Solidarietà.
Sulle tutele in costanza di rapporto di lavoro l’intervento legislativo di riforma rischia di produrre frammentazione, eccesso di articolazione e non inclusività del sistema e non rispondere alle esigenze di superamento della cassa integrazione e mobilità in deroga.
Inclusività e universalità contrastano con la differenziazione per settori e classi dimensionali che si sta profilando.
Nel contesto attuale, inoltre, il progressivo superamento degli strumenti in deroga rischia di ridurre gli strumenti di protezione e di difesa dell’occupazione a disposizione delle aziende e dei lavoratori, soprattutto perche non si incentivano adeguatamente e generalizzano i contratti di solidarietà espansivi e difensivi.
Per queste ragioni il sistema delle tutele in costanza di rapporto di lavoro va profondamente ripensato e ridisegnato alla luce delle criticità già evidenti.
L’orizzonte da intraprendere doveva essere quello di prevedere un unico strumento di sostegno al reddito, da garantire attraverso l’obbligatorietà, articolando il livello di contribuzione per settori e per classi dimensionali (incidenza delle sospensioni per settore non sono omogenee, come non lo sono le coorti di addetti e quindi il monte retributivo/contributivo), di versare un’aliquota ad hoc ripartita nella misura di 2/3 a carico dell’impresa e 1/3 a carico del lavoratore per tutte le aziende e tutte le tipologie contrattuali, una sorta di “assicurazione contro la sospensione momentanea dell’attività” in ragione delle causali che già oggi operano: crisi per riconversione, riorganizzazione, cessazione attività.
I nuovi Fondi di Solidarietà, compresi il Fondo cd “residuale”, non prevedono alcuna forma obbligatoria di copertura per le imprese con meno di 15 dipendenti né per i lavoratori non subordinati.
C’è il rischio di una frammentazione per settori, con fondi articolati sulla dimensione contrattuale; una pluralità di fondi che non avrebbero la massa critica per garantire le prestazioni.
Al momento nei fondi per i quali sono intervenute intese l’aliquota di finanziamento va dallo 0,20% allo 0,5%, mentre l’aliquota del fondo residuale è stata fissata – nella legge di stabilità – nella misura dello 0,5%.
Il raffronto delle aliquote di contribuzione della cassa integrazione evidenzia, in termini oggettivi, questo limite: per la straordinaria l’aliquota di finanziamento è fissata nello 0,90% della retribuzione con lo 0,3% a carico del lavoratore, mentre per il finanziamento della ordinaria le aliquote variano dal 1,90% (industria con meno di 15 dipendenti) al 5,20% del settore edile.

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Inoltre la valutazione sulla entità di finanziamento della cassa integrazione in deroga, che copre settori e classi dimensionali che fanno riferimento all’ambito dei fondi di solidarietà, rende evidente il rischio di sotto-finanziamento e quindi d’impossibilità di erogazione delle prestazioni che comunque sono di molto inferiori a quelle della cassa ordinaria, straordinaria e deroga come periodi di copertura ( massimo 1/8 delle ore lavorate).
E’ utile evidenziare due aspetti: sia il finanziamento della cassa integrazione in deroga che l’erogazione dell’ASPI ai lavoratori sospesi sono soggetti a finanziamenti a carattere transitorio che cesseranno – cosi è previsto dall’attuale legislazione – nel 2016.
Quindi tutto il carico della copertura delle prestazioni ricadrà sui fondi già attivati e su quello residuale, secondo il perimetro di copertura degli stessi: i fondi per legge hanno l’obbligo del pareggio di bilancio e non potranno erogare prestazioni in assenza di disponibilità.
In tal caso la norma prevede o una rimodulazione della prestazione oppure la modifica dell’aliquota di contribuzione, su proposta del Comitato Amministratore.
Per queste ragioni, sinteticamente esposte, il sistema delle tutele in costanza in rapporto di lavoro ha necessità di un ripensamento profondo e radicale.
Il rischio che all’attivazione dei fondi segua l’incapacità di erogazione delle prestazioni è oggettivamente misurabile.
Obbligatorietà, inclusione di tutte le classi dimensionali e tipologia di lavoratori, aliquota di finanziamento articolata per settori merceologici e per dimensione delle aziende: di fatto l’estensione del modello della cassa integrazione ma includendo i precari.

Fonte: CGIL