di Luigia Belli
Isabel Allende Bussi, la minore delle tre figlie del deposto presidente cileno Salvador Allende, morto suicida l’11 settembre 1973 durante il sanguinoso colpo di stato guidato da Augusto Pinochet, è stata eletta Presidente del Senato l’11 marzo scorso. La senatrice socialista, con il suo nuovo incarico, ha scritto una pagina importante nella storia della politica cilena: è la prima donna a rivestire l’incarico di Presidente da quando il Senato venne fondato, nel 1812, ai tem pi della “Patria Vieja”. Il suo primo pensiero da Presidente è andato direttamente al padre: “É per me un grande onore essere qui, perché a questo stesso tavolo presidenziale è stato seduto mio padre, Salvador Allende Gossens, prima di diventare il Presidente del Cile. (…). Ha poi aggiunto, con la voce rotta dall’emozione: “So che lui sarebbe molto orgoglioso di vedermi qui”.
La Allende, eletta senatrice nella regione di Atacama, la più settentrionale del Cile, è stata candidata alla presidenza del Senato dalla coalizione di centro sinistra, che sostiene la neo eletta Presidente Michelle Bachelet.
Poche ore dopo, la Allende ha realizzato il suo primo atto ufficiale, conferendo a Michelle Bachelet il secondo mandato.
La celebrazione, che ha avuto luogo nella città di Valparaiso, a poco più di 100 km dalla capitale, Santiago, ha rappresentato un momento pregno di simbolismo e altamente significativo nella storia politica del Cile: due donne alla testa del paese, due socialiste, due vittime della violenza impunita del pinochetismo (entrambe hanno perso i propri padri, assassinati durante il colpo di stato del 1973) che, a distanza di 40 anni, giungono al vertice del paese, dimostrando che il Cile ha superato la terribile fase della “sospensione di ogni democrazia” ed è tornato, seppur con fatica, a percorrere i binari della sua vita repubblicana.
La celebrazione si è conclusa con l’abbraccio fraterno ed emozionato delle due leader che, a sua volta, si è sciolto nelle parole della Allende: “Ora, finalmente, i nostri padri sono al nostro fianco”.
Rocío Montes, inviata della testata spagnola El País in Cile, intervista Isabelle Allende.
R.M.: La scena in cui Lei conferisce il mandato alla Bachelet ha fatto il giro del mondo …
I.A.: E’ stata una scena inedita e densa di emozioni. Ho ricevuto una quantità impressionante di congratulazioni che provenivano dal Cile, ma anche da tanti altri paesi … dal Belgio, per esempio, dall’Olanda, dalla Spagna, dalla Svezia, dal Brasile, dall’Ecuador … La vita non è unilineare, sembra piuttosto un circolo.
R.M.: Si riferisce al fatto che suo padre è stato Presidente del Senato tra il 1966 e il 1969, prima di diventare il Presidente del Cile al quarto tentativo?
I.A.: Mio padre è arrivato a rivestire la carica più alta del paese perché la gente lo aveva visto portare avanti il suo incarico con grande dignità e offrire garanzie a tutti i diversi gruppi politici. Perciò, per molte persone, vedere una Allende sedere al tavolo presidenziale del Senato ha rappresentato una specie di ricompensa. E poi, nessuna donna aveva mai rivestito questo incarico prima.
R.M.: La cerimonia di passaggio di consegne dal leader della destra, Sebastián Piñera, a Michelle Bachelet è stata vista come un riflesso della maturità democratica raggiunta dal Cile. Lei crede che davvero il paese abbia raggiunto questa meta?
I.A.: Abbiamo dato un esempio di vita profondamente repubblicana e ciò è stato per me fonte di grande orgoglio. È importante che un presidente uscente, di un altro colore politico, riceva l’applauso che è stato dato a Piñera nella sala d’onore del Congresso. Ciò ci fa veramente onore.
R.M.: Lei riesce ad immaginarsi nel Palazzo presidenziale de La Moneda?
I.A.: In politica è difficile affermare “non berrò da questa fonte”, però, in effetti, non mi sono mai posta l’obiettivo di arrivare alla presidenza della Repubblica del Cile. Sto bene così, bisogna fare spazio alle nuove generazioni.
R.M.: Cosa ha provato quando ha presieduto la prima seduta del Senato? Tra i 37 senatori, ci sono solo 6 donne …
I.A.: È stato un momento bello e impressionante. Le racconto un aneddoto. C’era un senatore che, ogni volta che finiva un suo intervento, si rivolgeva alla mia persona dicendo “signor presidente”. Lo ha detto due volte; poi, quando ha terminato, gli ho detto: “comprendo perfettamente che è una situazione nuova e che è anche una questione culturale, comprendo che dopo così tanti anni si faccia fatica, ma le chiedo la gentilezza, in futuro, di rivolgersi alla mia persona chiamandomi “signora presidente”. Quindi, mi ha chiesto scusa, aggiungendo che non si era reso conto dell’errore e ha chiesto che la sua espressione venisse cancellata dai verbali.
R.M.: La visibilità data alle donne dal suo incarico e da quello della Bachelet non trova una giusta corrispondenza nel resto del mondo politico. In tutte e due le Camere del Congresso, per esempio, la presenza di parlamentari donne si attesta solo al 15,9%.
I.A.: È simbolico che le due principali cariche dello stato siano in mano a delle donne, la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Senato. Tuttavia, le donne hanno una rappresentanza in politica quasi insignificante. È molto faticoso. Per una donna, fare politica è davvero molto difficile e la stessa Bachelet non è riuscita ad ottenere una assoluta parità al Governo.
R.M.: Anche nel suo partito, il partito socialista, è così complesso fare politica per una donna, pur essendo la figlia dell’icona della sinistra cilena?
I.A.: All’interno del nostro partito c’è molto maschilismo.
R.M.: Farà valere la sua autorità, considerando anche che le forze di governo hanno la maggioranza al Senato?
I.A.: Passare sugli altri come un rullo compressore credo che sia sempre un esempio di cattiva politica. Il Parlamento è, per antonomasia, il luogo dove si sanciscono accordi, dove di instaura il dialogo e si discute democraticamente. Tuttavia, abbiamo preso degli impegni e intendiamo portare avanti i progetti scritti nel programma di governo di Michelle Bachelet. Se i parlamentari che non fanno parte della nostra coalizione vogliono accompagnarci in questo percorso, saranno i benvenuti.
R.M.: Che analisi propone della situazione politica della regione?
I.A.: Ogni paese vive la propria realtà ed è difficile generalizzare. Però chiaramente hanno avuto luogo cambiamenti importanti e non mi riferisco solo alla presenza di donne in Costa Rica, Brasile, Argentina e Cile. Mi riferisco soprattutto a quel processo di sviluppo che ha avuto luogo in tutta la regione e che ha permesso a Governi progressisti di promuovere politiche sociali e combattere le disuguaglianze.
R.M.: Lei crede che la figura di suo padre è ancora d’attualità nella sinistra latinoamericana?
I.A.: L’eredità che Salvador Allende ha lasciato al Latino America è ancora viva. E lo è più che mai in alcuni settori. Oggi nessuno può ignorare il fatto che la disuguaglianza impedisce la coesione e non permette la governabilità. Sono trascorsi 40 anni e le persone lo ricordano ancora con grande forza.
R.M.: La prima crisi all’interno della coalizione di governo, che va dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista, è sorta intorno a ciò che sta accadendo in Venezuela. Lei cosa pensa del Governo di Maduro?
R.M.: Che sia chiaro che la Nueva Mayoría (n.d.t. coalizione al governo) si è formata su un programma di governo la cui colonna vertebrale – un’educazione di qualità e gradualmente gratuita, la riforma fiscale e una nuova Costituzione – può essere in grado di cambiare per sempre la nostra società. La politica estera è appannaggio della nostra Presidente della Repubblica.
R.M.: Ma qual è la sua posizione in merito?
I.A.: Come ha già spiegato la Bachelet, sono i venezuelani che devono risolvere la questione e non riteniamo che sia necessario programmare un intervento. I venezuelani devono trovare la propria strada, considerando che hanno al potere un Governo democraticamente eletto. In Cile, nel 2011, abbiamo avuto migliaia di studenti nelle strade, i quali, però, reclamavano un sistema educativo gratuito e di buona qualità e non, come accade in Venezuela, che il Governo venisse rimosso.
R.M.: E di Cuba? Cosa ne pensa?
I.A.: Cuba sta passando attraverso una fase di cambiamenti che, a mio avviso, sono, però, ancora troppo timidi. Preferirei vedere una Cuba più aperta, che non abbia un solo partito, ma che garantisca multiple espressioni. Un Governo, ovviamente, che eserciti le proprie funzioni, ma anche una Opposizione che abbia diritto ad esprimersi.
R.M.: Lei ha vissuto momenti molto difficili: suo padre morì a La Moneda nel 1973, sua sorella e suo figlio si sono suicidati rispettivamente nel 1977 e nel 2010. Come si è ripresa da questi duri colpi?
I.A.: Non si apprende solo dalle sconfitte, si apprende anche dai grandi dolori.
Traduzione alla lingua italiana a cura di Luigia Belli