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ISTAT: SALE ANCORA IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE.

A novembre 2014 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 310 mila, in diminuzione dello 0,2% sia rispetto al mese precedente (-48 mila) sia su base annua (-42 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,5%, diminuisce ora di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e rimane invariato rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 457 mila, aumenta dell’1,2% rispetto al mese precedente (+40 mila) e dell’8,3% su base annua (+264 mila). Il tasso di disoccupazione è pari al 13,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,9 punti nei dodici mesi. È quanto afferma l’Istat, nel comunicato stampa dello scorso 7 gennaio.

Già nella precedente nota del 30 dicembre, l’Istituto aveva evidenziato che i dati più recenti delle forze di lavoro nel 2014 descrivevano un’occupazione sostanzialmente stabile dall’inizio dell’anno, ma con un nuovo peggioramento nel mese di ottobre (-0,2% rispetto al mese precedente). Il problema di fondo dell’occupazione in Italia nel 2014 restava – e resta tuttora – la stagnazione del mercato del lavoro. Peraltro, si prevede che l’assestamento del prezzo del petrolio ai bassi livelli attuali influirà moderatamente, in senso positivo, sulla crescita economica dei principali Paesi europei, Italia inclusa, per la quale si attende un arresto della fase di contrazione dell’economia, in presenza di segnali positivi per la domanda interna. Tuttavia, nonostante queste previsioni, l’Istat ritiene che le condizioni del mercato del lavoro in Italia rimarranno difficili con livelli di occupazione stagnanti e tasso di disoccupazione in crescita.

Rispetto all’ultimo trimestre del 2013, tra l’altro, nel 2014 si è verificato un incremento di cinque decimi di punto del tasso di disoccupazione. Il trend è dovuto alla crescita delle persone in cerca di occupazione (con un +5,8% dell’aumento tendenziale) e tra queste ad essere aumentata è stata soprattutto la quota di inoccupati, ossia di quei disoccupati in cerca della prima occupazione (+17,6%). Parallelamente, la crescita di persone in cerca di lavoro si è accompagnata ad un allungamento dei periodi di disoccupazione: l’incidenza dei disoccupati di lunga durata (quota di persone che cercano lavoro da oltre un anno) è salita nel 2014 dal 56,9% al 62,3%. E questa percentuale di soggetti, in genere considerati poco appetibili dalle aziende, costituisce un fattore di freno alla discesa della disoccupazione, soprattutto al sud.

Preoccupanti sono, inoltre, i dati relativi alla disoccupazione giovanile. Dall’ultima rilevazione dell’Istituto, risulta che i disoccupati tra i 15 ed i 24 anni sono 729 mila. L’incidenza di disoccupati sulla popolazione in questa fascia di età è pari al 12,2%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione mensile ISTAT e di 1,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione tra i 15 ed i 24 anni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 43,9%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti nel confronto tendenziale.

Il numero di individui inattivi, cioè di coloro che non sono in cerca di un’occupazione o che hanno smesso di cercare lavoro, tra i 15 ed i 64 anni diminuisce dello 0,1% rispetto rispetto all’ultimo rilievo mensile e del 2,2% rispetto all’anno precedente. Il tasso di inattività si assesta, dunque, al 35,7%, rimanendo invariato in termini congiunturali e diminuendo di 0,7 punti percentuali su base annua.

Da ultimo, si evidenzia come l’occupazione nelle grandi imprese a ottobre 2014, rispetto al mese precedente, abbia fatto registrare in termini destagionalizzati una diminuzione dello 0,2% sia al lordo sia al netto dei dipendenti in cassa integrazione guadagni (Cig), con retribuzioni lorde per ora lavorata in diminuzione dello 0,8% rispetto al mese precedente. Anche se, in termini tendenziali l’indice grezzo aumenta dello 0,4%. Invece, nel confronto con ottobre 2013 l’occupazione nelle grandi imprese diminuisce dello 0,9% al lordo della Cig e dello 0,8% al netto dei dipendenti in Cig.

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MDS
Redazione BlogNomos
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IN POLITICA CHI VINCE È IL CONFLITTO GENERAZIONALE: NE SIAMO SICURI?

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Abbiamo il tempo dalla nostra, è ancora presto. Quest’italia è formata da generazioni di pensionati che forse non hanno voglia di cambiare, di pensare un po’ ai nipoti, ai loro figli, ma preferiscono stare così.
Queste parole con cui Grillo ha tentato di giustificare la ‘mazzata’ elettorale dimostrano che il leader di M5S è molto lontano dalla realtà, che guarda con le lenti deformate di chi, pur riempiendo le piazze, ha perso tantissimi voti. Se non se ne fosse fatta una lotta per il potere, o noi o loro, nemmeno ne staremmo a parlare, perché il 21% è comunque un buon risultato che porta il M5S al secondo posto. Ma siccome si continua a parlare di questo voto a distanza di una settimana, forse è il caso di fermarci a riflettere ed analizzare le parole di Grillo e il voto storico che il centrosinistra è riuscito a incassare.
Stiamo ai fatti: secondo diversi studi sui flussi elettorali e sulle caratteristiche generazionali degli elettori, condotti dai principali Istituti specializzati, il PD è risultato primo nella fascia di età che va dai 18 ai 24 anni e secondo, con lieve distacco, dai 35 ai 44 anni. Tutti baby pensionati? Difficile, di questi tempi. Tutti ricchi e asserviti ai poteri forti? Eccessivo, direi. Tuttavia, non vorrei commettere l’errore opposto e dire che, paradossalmente dopo queste elezioni, tutti gli antigrillini siano giovani, anche perché non è vero. Le statistiche, come anche le proiezioni elettorali, non sono esattamente speculari alla società. La verità è che, molto più semplicemente, questi fenomeni sono intergenerazionali e non devono, quindi, essere etichettati come semplici fattori anagrafici. L’elettorato italiano è ‘liquido’, non esistono più le vecchie ideologie, non c’è più la balena bianca, né il bipartitismo degli ultimi decenni.
Penso che i pensionati non abbiano votato M5S forse proprio perché, contrariamente a quanto ha scritto Grillo, vogliono cambiare le cose per poter dare ai figli e nipoti un avvenire senza avventurismo, salti nel vuoto, distruzioni e macerie dalle quali sarebbe molto difficile venire fuori. E credo che abbiano pensato che il partito del ‘rottamatore’ meglio incarnasse questo spirito. Perché bollare come matusa gli attuali pensionati, muniti di smartphone e tablet come i loro figli, e più di loro desiderosi di una svolta, fosse anche per il solo fatto di non dover essere costante sostegno economico per dei giovani che meritano un futuro migliore e un lavoro? Anzi, sono proprio i pensionati – e sopratutto i tanti che percepiscono meno di mille euro al mese – che avrebbero dovuto penalizzare il partito di maggioranza relativa dell’attuale Governo, perché sono tra quelli che, al momento, restano esclusi dall’aumento degli 80 euro netti percepiti dai lavoratori attivi pubblici e privati, disoccupati, cassintegrati e in mobilità.
D’altra parte, voler dipingere i giovani come grillini in blocco è probabilmente un luogo comune, come lo è identificare il PD come il partito dei pensionati. Generalizzare è sempre un errore, soprattutto in politica: ogni giovane è diverso dall’altro, lo stesso vale tra i nostri genitori, ognuno ha una sua storia e un suo percorso personale. È offensivo immaginare per tutti la stessa strada ed è inquietante aspettarsi che tutti i giovani abbiano lo stesso pensiero, come è triste armare una guerra generazionale, quando i nostri genitori, con la loro pensione, sono stati dall’inizio della crisi sino ad oggi la cassaforte delle famiglie d’Italia.
È la mia opinione e come tale è contestabile. In fondo, questo è un blog, non una testata giornalistica. Ma accetto solo la critica. Per gli insulti ci sono luoghi più consoni.
E non mi riferisco alle nostre mailbox, come quella di un autore di questo blog, che, per aver scritto un articolo sull’eurozona all’indomani del voto, è stato vittima della peggiori infamie, che normalmente (ma normale non è) si indirizzano a chi sceglie di restar fuori da quel 21%.

Andrea Serpieri
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I TRENTENNI E LA CRISI. FIGLI CONTRO PADRI.

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di Michele De Sanctis

Gli ultimi dati Istat (gennaio 2014) ci dicono che il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 42,4%, attestando la drammaticità della condizione dei giovani italiani che si approcciano al mercato del lavoro. Abbiamo spesso sentito ripetere che questa è la prima generazione di figli che starà peggio dei propri padri, ma è poi difficile supportare tali affermazioni con dati puntuali. In linea di massima, si dovrebbe osservare l’intera sequenza dei redditi percepiti dalla persone nel corso della propria vita; tuttavia, dati di questa natura (che contengano informazioni su individui di diverse generazioni, quindi nati in anni molto distanti tra loro) sono pressoché difficili da reperire.
È certo, però, che le condizioni di ingresso nel mercato del lavoro hanno una forte influenza sul futuro percorso di carriera. Statisticamente è dimostrabile che chi entra sul mercato del lavoro con un salario basso farà molta fatica a rimontare.
Per tale ordine di ragioni, i dati riportati nel grafico qui sopra si dimostrano particolarmente interessanti perché illustrano il reddito medio degli attuali trentenni rispetto alla media dell’intera popolazione in anni diversi. Chi è nato nel 1947, e quindi aveva trent’anni nel ’77, a quella data guadagnava circa il 10% in più del salario medio dell’intera popolazione. La curva, però, mostra che questo premio si assottiglia notevolmente già per i trentenni del 1984, che guadagnavano poco meno del 3% in più della media, per finire con l’azzerarsi quasi completamente nel 1991. Dopodiché la curva crolla. Chi è nato nel 1980 arriva ai trent’anni guadagnando il 12% in meno del reddito medio dell’intera popolazione.

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Possiamo, quindi, parlare di conflitto generazionale tra padri e figli? Forse. Ciononostante potrebbe obiettarsi che oggi l’entrata nel mercato del lavoro è ritardata dal fatto che più persone arrivano a conseguire la laurea e quindi ottengono un primo impiego (con conseguente salario iniziale) più tardi rispetto ai propri padri. Vero anche questo, ma, statistiche a parte, invito ciascuno di voi a una riflessione personale. I trentenni soprattutto. Per esempio, io, che di anni ne ho 34, sono entrato nel mercato del lavoro a 26, dopo il conseguimento della mia prima laurea, che, proprio come quella di mio padre, nato nel ’47, era a ciclo unico (ante riforma del 3+2). Lui nel mercato del lavoro è entrato con soli tre anni di anticipo rispetto a me, ma soltanto perché iniziò a lavorare prima di laurearsi. A parità di qualifica ricoperta a trent’anni, io considererei anche il diverso potere d’acquisto tra la mia busta paga e la sua, come anche il fatto che alla mia età lui aveva una casa ed io vivo ancora in quella stessa casa che papà comprò a 30 anni (il che distingue nettamente i due redditi).
Sì, dati alla mano ed esperienza personale mi confermano l’esistenza del conflitto generazionale.
Quanti di voi a 30 anni hanno potuto acquistare una casa? E se ce l’avete fatta, in che anno siete nati?

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LEZIONI DI TOLLERANZA ALL’UNIVERSITÀ.

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Una ‘queer week’. Sarà questo il progetto che un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcuni dei quali già attivisti nel collettivo post-femminista “Laboratorio Le Antigoni” e nel collettivo LGBT “La Mala Educacion”) ha in programma di organizzare presso l’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara.

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Il programma sarà intitolato “Primavera Queer” e in Abruzzo sarà la prima iniziativa di approfondimento sugli studi di genere e la Queer Theory, ancora poco conosciuta in Italia, ma molto diffusa nel mondo anglosassone. L’obiettivo sarà quello di dare una risposta a certe domande che per molti italiani costituiscono ancora un tabù. Quando nasce l’omosessualità? E l’identità eterosessuale? Cosa sono il ruoli di genere? Chi sono le persone intersessuali e transessuali? Qual è la differenza tra sesso e genere? Quali solo le origini delle categorie oppositive uomo-donna, eterosessuale-omosessuale?

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L’approccio sarà multidisciplinare, passando dalla psicologia alla medicina fino ad approdare alla linguistica e alla sociologia. Dal 5 al 9 maggio 2014, con una giornata introduttiva il 28 aprile 2014, docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in una sei giorni di seminari di approfondimento e laboratori pratici. Interverranno personalità del mondo accademico come Marco Pustianaz (Università del Piemonte Orientale), Laura Corradi (Università di Cosenza) e Rachele Borghi (della Sorbonne di Parigi), oltreché individualità e collettivi provenienti dalla militanza LGBTQ come Renato Busarello del Laboratorio ‘Smaschieramenti’, noto collettivo queer bolognese, Porpora Marcasciano del MIT (Movimento di Identità Transessuale) e BellaQueer di Perugia. Gli ospiti si alterneranno all’interno del campus di Chieti Scalo, tra il Rettorato e gli spazi dell’ex Facoltà di Lettere per analizzare alla radice le cause culturali e sociali delle discriminazioni e delle violenze di genere.

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La “Primavera Queer” sarà soprattutto un momento di autoformazione: un’occasione di incontro e discussione rivolto a tutti gli studenti e le studentesse dell’università.
Il progetto, presentato al bando 2013/2014 per le attività sociali e culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, è stato selezionato e finanziato tra tanti altri.

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Oggi, martedì 1 aprile, dalle ore 10:30, presso il piazzale della ex Facoltà di Lettere, è stata convocata una conferenza stampa durante la quale sarà illustrato il programma dettagliato dell’evento e saranno date ulteriori informazioni.

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Noi di BlogNomos diffondiamo con piacere questa notizia, nella speranza che iniziative di questo tipo vengano presto assunte anche in altre realtà accademiche, convinti che un’informazione sana e consapevole possa portare al definitivo superamento della paura del ‘diverso’ che isola ingiustamente una larga fetta di popolazione e giunge alla negazione di taluni diritti civili che, sebbene scontati all’interno delle famiglie tradizionali, restano ancora la meta da raggiungere in ambito LGBTQ. Il che inevitabilmente allontana il nostro bel Paese dall’Europa e dall’occidente più evoluto, avvicinandoci, peraltro, alla Russia di Putin e a certe realtà dove l’omosessualità è ancora un reato. Perché indifferenza, negazione e silenzio costituiscono, comunque, una condanna che la società infligge in virtù del ‘peccato originale’ di essere omosessuale.

Andrea Serpieri per

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“Vi racconto il mio laboratorio artigiano e come ho detto basta alla disoccupazione”

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Fonte: La Repubblica Next – La Repubblica degli innovatori del 26 marzo 2014

Dalla mancanza del lavoro ad un lavoro costruito su misura. Silvia Berra ha puntato sulla sua impresa artigiana basata sul riciclo creativo. “Vivo del principio delle 3r: riduci, riusa, ricicla. Così stimoliamo la creatività, recuperiamo la tradizione artigiana e portiamo innovazione nelle nostre case”
di GIAMPAOLO COLLETTI
@gpcolletti

Cerchioni di bicicletta e coltelli diventano lampadari da tavola, assi di legno e vasetti degli omogeneizzati si trasformano in mensole portaspezie. Il laboratorio di Silvia è un mondo affascinante, un luogo colorato, unico. E poi gli oggetti che realizza da zero sono all’insegna della competa sostenibilità ambientale, tutti frutto di un processo di riciclo e riuso.

Il suo è un laboratorio creativo con sede a Busto Garolfo, nella provincia milanese. Ha deciso di puntarci tutto dopo un periodo di disoccupazione. “Non sono capace di stare ad attendere gli eventi, mi piace crearli, far si che le cose accadano. E questa convinzione è stata il punto di partenza”. Per Silvia un vecchio oggetto può essere reinterpretato, può avere un nuovo utilizzo, può essere reinventato, invece che semplicemente buttato.
Il concetto di recupero è alla base del lavoro di Silvia. Si potrebbe dire che è parte stessa delle scelte di vita di Silvia, che ha deciso di non arrendersi e di darsi da fare. “Mesi e mesi a cercare un’occupazione, ma le risposte erano sempre vicino allo zero. Ma non mi sono fatta demoralizzare dalle situazioni, anzi ho preso il toro per le corna e ho pensato a come occupare le mie giornate”. Anche Silvia sarà protagonista al Next, la Repubblica degli Innovatori sabato 29 marzo al Teatro Piccolo di Milano.

Silvia, come sono le giornate alla ricerca del lavoro?
“Cercare un lavoro è un lavoro. Sempre connessa ad Internet per cercare nuove inserzioni, personalizzare il curriculum vitae per mettere in risalto competenze in linea con la figura ricercata, il passaparola tra amici e conoscenti. Ma è un “lavoro” che non da alcuna soddisfazione. Dalle aziende non arrivano risposte, e non esiste neanche più il classico le faccio sapere. È frustrante”.

Di cosa hai avuto più paura nel periodo di disoccupazione?
“La fiducia in se stessi è la prima conquista da maturare. Credere nelle proprie capacità è fondamentale. Poi è molto importante pianificare l’obiettivo, renderlo raggiungibile. Essere creativi anche nelle strategie per perseguirlo. Le competenze maturate come psicologa del lavoro mi hanno aiutato molto in questo percorso. Non ho avuto paura, perché mi piacciono le sfide e sono una persona determinata”.

Quanto hanno contato gli amici o la famiglia, il nuovo welfare sostitutivo anche legato agli affetti?
“Amici e famiglia mi sono stati utili per un confronto, sono ottime fonti di informazione sui nostri interessi, sul puntualizzare le nostre peculiarità e punti di miglioramento, ed infatti mi hanno aiutato a vedere da altri punti di vista le tappe da percorrere, a cogliere idee o critiche e ristrutturarle in linea all’obiettivo, alla propria mission”.

Quali sono gli oggetti che meriterebbero di essere acquistati nel tuo laboratorio?
“Tutti, perché ogni oggetto ha una sua storia, ha un suo passato e ha ritrovato un suo futuro grazie alla creatività, alla manualità ed all’artigianalità di ciascuno di noi. In questo periodo stanno andando tanto le bomboniere create per ogni occasione, rigorosamente con il principio delle 3r: riduci, riusa, ricicla”.

Cosa ti rende davvero soddisfatta?
“Certamente il fatto che anche la creatività anche dei nostri clienti viene stimolata. Ci portano vecchi oggetti, accatastati a prendere polvere in qualche soffitta, e ci chiedono di darne un nuovo utilizzo. Per esempio in questi giorni sto lavorando su un vecchio bidet in latta che diventerà un piccolo giardino zen. O ancora una struttura in ferro tutta arrugginita delle vecchie toilette che diventerà una fioriera. Di oggetti ce ne sono davvero tanti nel mio laboratorio. E io cerco di accontentare tutti i gusti e tutte le esigenze: il riciclo creativo è un piacere, stimola la creatività, recupera la tradizione artigiana, porta innovazione nelle nostre case”.

Oggi nel tuo laboratorio ospiti tanti giovani. Perché?
“Credo tantissimo nelle collaborazioni, nel team, nel gruppo. Fare network porta all’impresa un set di conoscenze, di esperienze, di interessi molto diversi. E questo diventa il valore aggiunto di Laboratorio Creativo: ospita tante creazioni diverse, da spazio alla creatività in ogni sua forma, fa conoscere il piacere del riciclo e del riuso, esalta l’artigianalità, il made in Italy”.

Un consiglio ai giovanissimi per diventare davvero “nexter”, ovvero innovatori del proprio tempo?
“Consiglio di essere sempre curiosi ed intraprendenti, di coltivare la propria passione con coerenza, di fare le cose che si hanno in mente, di puntare sulle idee nelle quali si crede. Essere coerenti è un’ottima “arma di persuasione” verso se stessi: aiuta a credere in ciò che vogliamo ottenere, accresce la nostra autostima, rende concreti i piccoli passi che ci portano verso la meta che ci siamo prefissati”.

LAUREATI, LAVORO E PRECARIETA’

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di Michele De Sanctis

Presentato oggi a Bologna nel corso del Convegno ‘Imprenditorialità e innovazione: il ruolo dei laureati’ il XVI Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. L’analisi ha coinvolto a livello nazionale quasi 450.000 laureati di tutte le 64 università aderenti al consorzio.

Dal 2008, primo anno della crisi, ad oggi, il tasso di disoccupazione tra i neolaureati è più che raddioppiato. Infatti, sei anni fa a rimanere senza impiego a un anno dalla laurea era soltanto il 10% circa dei neodottori, mentre oggi la percentuale dei laureati triennali senza lavoro a un anno dalla tesi è salita al 26,5%, mentre è aumentata fino al 22,9% per le lauree specialistiche e al 24,4% per quelle magistrali a ciclo unico. Il tasso di disoccupazione, poi, si inasprisce in determinati settori: le maggiori difficoltà nella ricerca di un’occupazione sono quelle riscontrate dai laureati in giurisprudenza, architettura e veterinaria. Rispetto al 2008, la percentuale dei senza lavoro tra i laureati in queste discipline appare addirittura triplicata.

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Ma l’indagine condotta dal consorzio AlmaLaurea, realizzata attraverso un’analisi comparata delle generazioni che sono passate per le aule accademiche tra il 2008 e il 2013, non si ferma qua e si spinge anche ai rapporti di lavoro conclusi dai più fortunati, fortunati in senso lato, s’intende. Nel 2008 i giovani che riuscivano a firmare un contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo una laurea triennale erano il 41,8% e il 33,9% di quelli che avevano completato anche il biennio successivo. Oggi le percentuali sono rispettivamente di 26,9% e 25,7%, a fronte di una retribuzione diminuita di circa il 20% rispetto a sei anni fa. Le retribuzioni in termini nominali sono, infatti, passate da 1.300 Euro mensili del 2008 ai 1.000 del 2013.

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Nonostante questi dati sconfortanti, che danno da pensare ai genitori di coloro che frequentano l’ultimo anno di scuola e preoccupano chi si avvicina al conseguimento della sudata laurea, ad essere più colpiti, in questi tempi di recessione, sono stati proprio i giovani sprovvisti di titoli accademici. Tra il 2007 e il 2013, infatti, il differenziale tra il tasso di disoccupazione dei neolaureati e dei neodiplomati è passato da 2,6 punti percentuali a 11,9. La laurea, pertanto, benché destinata a ‘rendere’ nel medio periodo, piuttosto che nel breve, continua ad essere un importante strumento nella ricerca di un lavoro, per lo meno più utile del solo diploma. Molte famiglie negli ultimi tempi non riescono ad affrontare le tasse universitarie che, anche per effetto di certi meccanismi di finanziamento introdotti dall’ex Ministro Gelmini con la L. 240/2010, diventano più alte di anno in anno. Soprattutto dinanzi ad una crisi che sembra non guardare in faccia a nessuno, molti giovani abbandonano gli studi dopo il diploma, pensando che laurearsi non serva a nulla, che sia un sacrificio economico inutile, finendo, così, per allargare le fila di quella parte di popolazione che non solo è bloccata dalla recessione, ma anche dallo scarso tasso di specializzazione delle proprie conoscenze, senza cui è impensabile un recupero dei livelli di sviluppo socioeconomici raggiunti prima della crisi.

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Per uscire da questa situazione, gli autori del rapporto AlmaLaurea suggeriscono di dare maggior peso alla conoscenza e alla competenza, piuttosto che perseverare nel premiare, come ancora accade, l’anzianità anagrafica e di servizio. I laureati entrati da poco nel mercato del lavoro avranno sicuramente avuto a che fare con figure apicali non curriculate. Ed indicano, peraltro, due linee di intervento assolutamente necessarie. Da una parte, chiedono misure di sostegno all’imprenditorialità dei laureati, dunque sviluppo di venture capital, cioè apporto di capitale di rischio da parte di investitori per finanziare l’avvio di attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo, oltreché una più capillare presenza di business angels, ossia di quegli investitori informali, ex titolari di impresa, manager in pensione o in attività, liberi professionisti che abbiano il gusto della sfida imprenditoriale, il desiderio di poter acquisire parte di una società che operi in un business, spesso innovativo, rischioso ma ad alto rendimento atteso, e, infine, una maggiore diffusione dell’educazione imprenditoriale. Dall’altra parte, invitano a puntare al rientro dei cervelli in fuga attraverso l’offerta di migliori prospettive occupazionali, sia in termini retributivi che di qualità del lavoro, di accrescere le risorse destinate alla ricerca sia dallo Stato sia dai privati e di introdurre strumenti di valorizzazione del merito.

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Circa dieci giorni fa Matteo Renzi ha annunciato attraverso Twitter un programma per il rilancio del lavoro: il Jobs Act. Noi di BlogNomos ne abbiamo parlato, riportandovi i punti che il premier intende sviluppare e le prime indiscrezioni su quali saranno le novità in materia previdenziale ed occupazionale. E seguiremo l’iter dei lavori, tenendovi aggiornati costantemente. Quelli descritti finora sono stati solo i dettagli. Il Presidente del Consiglio ha twittato in più di un’occasione la necessità di fare qualcosa per intervenire in un’area così delicata. Da un lato i giovani neolaureati ed inoccupati che chiedono interventi urgenti per favorire la loro entrata nel mercato del lavoro, dall’altro quelli che di lavoro non ne sono riusciti a trovare e che tentano adesso la via dell’imprenditorialità, chiedendo riforme in materia di semplificazione e defiscalizzazione. Rispondere ad entrambe le richieste aumenterebbe il numero di posti di lavoro, senza, peraltro, ricorrere ancora una volta alla stipula generalizzata di contratti precari di lavoro. Ad essere precarie sono, infatti, solo le condizioni contrattuali che la Trojka ci ha costretti ad introdurre nei nostri rapporti di lavoro, ma la vita di un giovane che esce oggi dall’università non può diventare essa stessa precaria solo perché ce lo chiede l’Europa. Abbiamo diritto a un futuro ed è un diritto che vogliamo esercitare subito. L’augurio è, quindi, che questo rapporto di AlmaLaurea influenzi positivamente e in maniera ‘fattiva’ le scelte che il Governo prenderà nella stesura del Jobs Act.

340 euro al mese? No, grazie.

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Questa è la storia di Giorgia. Le offrono 340 euro al mese, ma dice no. E in una lettera aperta pubblicata su La nuvola del lavoro esorta tutti a fare lo stesso. Abbiate il coraggio, dice, fatelo anche voi. Basta compromessi con i datori di lavoro furbetti.
Giorgia ha 26 anni, è marchigiana ed è laureata in Lettere. Il suo sogno è quello di fare la giornalista. Una storia come tante, penserete. Invece non è solo una storia di tristezza e difficoltà. È anche una storia di coraggio e di speranza nell’Italia di oggi. Questa ragazza lancia un messaggio importante, chiaro e forte. Di messaggi così ne vorremmo di più. Vorremo che la forti parole di Giorgia potessero raggiungere il più ampio numero di giovani, perché finché ci sarà qualcuno disposto a cedere a certi compromessi l’Italia non cambierà.

MIchele De Sanctis per BlogNomos

5 giorni su 7 a 340 euro
di Giorgia D.

Dobbiamo imparare, a volte, a dire no. Dire no a quel datore di lavoro furbetto che ti offre due spiccioli per un impiego che meriti e per il quale hai studiato.

Io ho detto di no ma, finché ci saranno ragazzi che accetteranno qualsivoglia compromesso, la situazione in Italia non cambierà.

Ho 26 anni e sono una giornalista praticante. Vivo nelle Marche ma sto cercando lavoro dove si dice che ancora qualcosina ci sia: Milano. Ho mandato il curriculum a un’agenzia di comunicazione che, dopo un primo colloquio, ha deciso di assumermi. Bello vero?

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Sì, peccato che mi offrivano 500 euro con partita Iva. Chiamo immediatamente il mio commercialista che mi spiega come funziona. Ecco la sintesi. Per gli under 35 la partita Iva è agevolata al 5 per cento quindi significa che ai 500 euro iniziali avrei dovuto togliere 25 euro. Totale stipendio mensile: 475 euro. Ma non finisce qui. A questa somma va sottratto il 27% della Gestione Separata dell’Inps.

Ho studiato Lettere ma due calcoli riesco a farli. Al mese il guadagno sarebbe stato di 340 euro. Con questa cifra sarebbe stato impossibile prendere una stanza in affitto e sopravvivere, così ho detto subito di no. Arrivederci, senza grazie.

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Un altro ragazzo invece ha accettato l’offerta. Lui è di Milano e ha deciso di svegliarsi cinque giorni su sette per prendere 340 euro. Chi finora ha accettato questi compromessi, si deve ritenere colpevole della crisi economica e della disoccupazione giovanile.

Basta a dire “fa curriculum”, “fa esperienza”. Abbiate il coraggio di dire che vi meritate di più.

Fonte: La nuvola del Lavoro. Corriere della Sera

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Lavorare con un DITO!

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Le sue dita sono famose dappertutto. Di lui parlano le riviste di mezzo mondo. Dito Von Tease è un artista marchigiano che si è inventato un modo originale per far parlare di sé: disegnare personaggi famosi sulle dita e promuovere le sue opere sul Web.
Dito ha 35 anni, è un art director, illustratore e graphic designer. Geloso della sua privacy, non svela la sua vera identità. Alla redazione di Millionaire che lo ha intervistato racconta che il progetto Ditology è partito nel 2009, quando, creando il suo account Facebook, ha voluto che divenisse uno spazio virtuale libero dalle intrusioni di parenti, colleghi e “amici”. Si è perciò nascosto dietro a un dito. Ma questo dito si è presto rivelato un vero e proprio successo. Il giovane si è inventato un lavoro dal nulla. Anzi, da un dito! Sebbene dichiari che di vero e proprio business non possa ancora parlarsi, Dito Von Tease ha già venduto gadget, realizzato un app di successo chiamata ‘Ditology – Finger Portrait Creator’ e la Galerie Sakura di Parigi vende le sue stampe in tiratura limitata. Confessa di avere un progetto: Dito vorrebbe collaborare con un brand internazionale per creare una linea d’abbigliamento con le proprie creazioni.
In bocca al lupo a questo singolare ed eccentrico artista dal nostro blog ed anche a tutti gli artisti italiani con l’augurio di avere lo stesso meritato successo di Dito.

Michele De Sanctis per BlogNomos

“Caro John, nipote di…”: lettera di una ragazza disoccupata a Elkann

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Claudia Rizzo, 29enne palermitana, risponde al presidente della Fiat che nei giorni scorsi aveva dichiarato: “Molti giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa”. “Non ho un cognome come il suo…vivo ancora a casa con i miei, che ringrazio per avermi dato la possibilità di studiare…”

PALERMO – “Il lavoro c’è, ma i giovani non hanno ambizione. Stanno bene a casa”. Le parole di John Elkann, presidente Fiat, nei giorni scorsi avevano sollevato un polverone. Poi c’era stata la parziale retromarcia del rampollo di casa Agnelli (“volevo incoraggiare i giovani”).

Claudia Rizzo è una ragazza palermitana di 29 anni: come tanti ragazzi della sua età, ha una laurea in tasca e tanti lavoretti e stage alle spalle. Non un lavoro stabile, non una casa di proprietà. Claudia ha scritto una lettera di risposta al presidente della Fiat, inviandola alla redazione di PalermoToday. Eccola in versione integrale:

Caro John Elkann,
quando l’altro ieri ho letto le sue parole ho sentito il bisogno di pubblicarle immediatamente su facebook con una frase siciliana abbastanza volgare a commento. Mi sono scusata perché generalmente non amo esprimermi con certi termini in pubblica piazza, ma un’amica mi ha fatto riflettere che anche lei, con quello che ha detto riferendosi ai giovani disoccupati (il 40%, una cifra non da poco), è stato molto volgare, probabilmente anche più di me.
Vede, caro Elkann, io ho 29 anni e vivo ancora a casa con i miei, che ringrazio per avermi dato la possibilità di studiare (dato che purtroppo ancora oggi, nel 2014, non è un diritto che appartiene a tutti) e di avere ogni giorno un piatto caldo a tavola. Il vivere con loro, per quanto li ami, non mi fa stare bene o a posto con la mia coscienza e la mia voglia di rendermi indipendente, né mi fa essere meno ambiziosa. Il mio vivere con loro è una fortuna e una necessità allo stesso tempo. Una fortuna perché, a differenza di molti, mi posso permettere una famiglia che mi sostenga e che mi faccia da ammortizzatore sociale in un Paese che non ne possiede molti; una necessità perché, nonostante mi sia laureata nel 2009, abbia un master, varie certificazioni, stage a volontà e brevi esperienze lavorative alle spalle, ancora non ho trovato un lavoro vero che mi dia la possibilità di abbandonare la casa dei miei e “costruirne” una mia.
Già, perché il mio cognome è Rizzo: un cognome a cui sono fortemente legata ma che non rimanda a nessuna famiglia miliardaria, a nessun nonno fra i più importanti imprenditori d’Italia (il mio era un contadino), a nessuna altolocata élite torinese. Sarà forse per questo che a 21 anni non sono stata inserita nel CDA dell’azienda che sta lasciando a piedi migliaia di lavoratori? Sarà forse per questo che non ho avuto la possibilità di fare esperienze di lavoro importanti in giro per il mondo? Sarà forse per questo che continuo a non poter scegliere il mestiere per il quale ho studiato e a dovermi invece accontentare di quello che passa il convento (pur di evitare di chiedere sempre soldi ai miei)? Sarà forse per questo che ho passato giorni davanti a un computer a pigiare un tasto nella speranza di poter accedere a un tirocinio bandito per i cosiddetti Neet per soli 400 euro al mese (ecco come ci aiuta lo Stato)? Sarà forse per questo che ho accettato un lavoro dove mi pagavano 2,50 euro all’ora, ho fatto volantinaggio vestita da Babbo Natale per un supermercato o la posteggiatrice per un giorno?
No, ovviamente è perché sono una parassita che sta bene a casa di mammà e che non ha ambizioni. Come me milioni di persone, come me tutti quegli amici che, dalla Sicilia, con una laurea in mano e dei sogni mai realizzati, sono scappati in cerca di fortuna: c’è chi ha pulito i bagni degli ostelli scozzesi, chi si trova a Londra a servire ai tavoli, chi a Milano in cerca di stabilità, chi sta per partire perché ha perso il lavoro in nero e non ha più i soldi per pagare un affitto.
Non mi sembra di raccontarle nulla di nuovo, perché questo accade ormai da anni a migliaia e migliaia di giovani. Però a questo punto mi viene da chiederle: quanti curricula ha mandato nella sua vita? Quante non risposte ha ricevuto? Quanti “grazie, la terremo in considerazione, ma al momento non assumiamo” si è sentito dire? Quante volte ha dovuto abbandonare la sua città, la sua famiglia e i suoi amici perché non riusciva a guadagnare abbastanza? Quanti lavoretti ha svolto per sostenersi gli studi? Quante volte ha dovuto accettare dei compromessi perché le serviva un lavoro per aiutare i suoi genitori in difficoltà? Quante volte ha dovuto rinunciare ai suoi sogni perché non si poteva permettere di sognare? Quante volte ha pensato “non ce la farò mai a costruirmi un presente, un futuro, una famiglia”? Quante volte è stato licenziato ed è stato lasciato solo? Quante volte è stato cassintegrato perché la sua azienda ha deciso di delocalizzare? Quante volte ha visto passare davanti a lei un raccomandato “figlio o amico di”?
La prego di contare, sarà bravo dato che è un ingegnere plurititolato, e di dare una risposta sincera a tutti quei bamboccioni choosy che si ostinano ancora a voler vivere nel proprio Paese a delle condizioni che minano qualsiasi tipo di dignità, da quella emotiva a quella esistenziale, da quella lavorativa a quella morale. La prego di avere la decenza di chiedere scusa per le volgarità che le sono uscite dalla bocca, di non offendere chi ce la sta mettendo tutta e non ci riesce perché il Paese è pieno di “figli o amici di”, la prego di guardare alla sua immensa fortuna e ringraziare di essere nato nel posto giusto nella famiglia giusta. Perché, vede, forse al contrario suo sarò una bambocciona choosy, poco ambiziosa e che si culla nella casa di mamma e papà, ma almeno, a differenza sua, ho l’umiltà di riconoscere molte mie fortune (in un mondo pieno di disuguaglianze) e di non giudicare gli altri.
Claudia Rizzo

Fonte: PalermoToday

http://m.today.it/cronaca/lettera-ragazza-palermo-elkann.html