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L’IMMOBILISMO DEL MERCATO DEL LAVORO A TUTELE CRESCENTI.

di Michele De Sanctis

In psicologia del lavoro, con l’espressione job hopping ci si riferisce letteralmente alla pratica di saltare da un lavoro all’altro. Non si tratta, invero, di un comportamento negativo, ma, anzi, negli ultimi tempi, fin dai primi anni dell’università, addirittura dagli ultimi anni del liceo, a noi giovani questa pratica è stata inculcata come se fosse l’aspetto più innovativo del futuro professionale a cui stavamo per affacciarci. Il cambiamento è sempre un fattore positivo, in primis per la propria crescita professionale e nel contempo rappresenta un buon modo per mantenere alta la passione verso il proprio lavoro. I cambiamenti, infatti, aiutano ad imparare ad essere pronti a nuove sfide e nuovi scenari. Questo è quello che ci è stato detto. Ci è stato detto che per essere competitivi, dovevamo essere più flessibili dei nostri genitori. E lo siamo stati. In alcun modo un curriculum magro sarebbe stato valutato positivamente durante il processo di recruitment di un’azienda.

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Sui nostri manuali di organizzazione del lavoro abbiamo scoperto che le persone che cambiano spesso lavoro garantiscono ottime performance, fino ad ottenere una posizione lavorativa migliore anche rispetto a coloro che da anni lavorano in uno stesso ambiente. Anzi, con l’avvento della crisi, ci hanno detto che le aziende non fossero affatto restie a questo tipo di lavoratori, dal momento che la prospettiva di una persona che puntava al posto fisso non affascinava per nulla le società che in questi anni hanno selezionato piuttosto personale efficace e competente, ma anche predisposto al cambiamento. Così ci hanno detto. Il rifiuto di adattarsi a quest’elasticità lavorativa era un po’ come dichiarare di essere choosy, o mammoni. O tutt’e due le cose. Ora che Babbo Natale ci ha portato il primi due decreti attuativi del Jobs Act, il Governo italiano ha assicurato che con questa rivoluzione copernicana del mercato del lavoro si avrà più dinamismo, più agilità…ancora più flessibilità. E ciò aiuterà l’innovazione delle aziende italiane, che, quindi, potranno finalmente essere competitive. Per cui d’ora in avanti prepariamoci ad essere dinamici, perché il posto fisso non esiste più. Io, però, ho qualche dubbio. Non sul fatto che il posto fisso non esista più, né sulla maggiore flessibilità del mercato del lavoro, quanto piuttosto sul suo dinamismo. Temo, infatti, un effetto di stagnazione riflessa del mercato dovuta proprio all’introduzione del contratto a tutele crescenti, soprattutto in quei settori, terziario in testa, dove la forza lavoro risulta altamente fungibile, quindi sostituibile.

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Se, infatti, con la nuova disciplina la sigla di un nuovo contratto comporterà la perdita delle garanzie acquisite con il vecchio, perché il nuovo è a tutele crescenti, cambiare lavoro d’ora in avanti sarà un po’ come ricominciare davvero da zero, sarà come accettare delle tutele decrescenti. Altro che crescita professionale: a chi converrà correre un rischio così alto, se non davvero costretto? Accettare nuove sfide, cambiare lavoro alla ricerca di nuovi stimoli, insomma tutti quei concetti di psicologia del lavoro finora appresi, comporteranno il rischio serio, attuale e concreto di diventare più licenziabili. Perché mentre chi lascia ricomincia daccapo, chi resterà dov’è adesso conserverà, invece, i suoi diritti. Diritti crescenti.

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Il rovescio della medaglia del contratto di lavoro a tutele crescenti sarà quindi quello di disincentivare gli italiani a cambiare lavoro. E questo non è un fattore positivo, né per il lavoratore né per le aziende. I manuali di organizzazione del lavoro che ci sono stati somministrati, infatti, non raccontavano favole. Ogni qualvolta che un dipendente cambia azienda, si innesca effettivamente quella pratica virtuosa che chiamiamo job hopping: chi cambia apprende nuove informazioni o aggiorna le pregresse e trasmette nel contempo ad altri il suo know how. Si ha, così, una crescita professionale concreta e un investimento innegabile in economia della conoscenza, senza cui non possono esserci innovazione e competitività. Inoltre, chi cambia lascia libero un posto di lavoro che occuperà magari un ex collega, il quale, avanzando nelle sue mansioni, apprenderà nuove informazioni, e che, a sua volta, lascerà disponibile la propria posizione, in cui, verosimilmente, subentrerà una persona, in genere più giovane, che apporterà in azienda ulteriore refresh complessivo e conseguente tramissione reciproca di competenze e nuova conoscenza. Insomma, l’eventuale paralisi del mercato del lavoro in seguito alla riforma appena varata potrebbe comportare la concreta interruzione di questo circolo virtuoso, già peraltro gravemente compromesso dalla crisi economica.

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Ora, siccome non si vive di solo stipendio, ma è lo stipendio a darci da mangiare – comunque sia – il lavoratore sarà costretto ad accantonare le proprie ambizioni e a difendere prioritariamente i propri diritti acquisiti, rinunciando pertanto alla mobilità e rassegnandosi, anzi, aggrappandosi alla sua scrivania, sotto cui converrà piuttosto fare le radici. Sarà, infatti, altamente difficile prendere certe decisioni, anche nel caso in cui il posto migliore venisse addirittura offerto dall’azienda concorrente a quella presso cui si è assunti e dove oggi si è lavoratori di serie A, rispetto ai neoassunti di serie B. Certo, è probabile che l’analisi di questo post sia parziale e forse troppo negativa e che magari non consideri tutti gli aspetti che sicuramente il Legislatore avrà valutato prima di introdurre le nuove regole: l’analisi di fattibilità delle leggi, in fondo, serve anche a questo. Ma quanti di voi oggi sarebbero disposti a fare un salto nel buio a queste condizioni?

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La disciplina del contratto “a tutele crescenti” contenuta nel primo decreto legislativo attuativo del Jobs Act

di Germano De Sanctis
Premessa

Il Consiglio dei Ministri tenutosi il giorno della vigilia di Natale ha approvato i primi due decreti attuativi della Legge delega n. 183/2014, meglio nota come “Jobs Act”. Tali decreti sono in attesa di essere pubblicati sulla Gazzetta Uficiale.
Il primo decreto legislativo disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”, mentre il secondo prevede l’estensione dell’Aspi a 24 mesi.

In tale sede, esaminiamo, il decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”. Si tratta di una delle novità più rilevanti del Jobs Act, che, tra l’altro, è stata, nei mesi scorso, oggetto di un accesso dibattito politico e sindacale.
Tale nuova tipologia contrattuale si caratterizza per il fatto che le tutele riconosciute in capo ai lavoratori che firmeranno un simile contratto aumenteranno con il passare del tempo. Tuttavia, i nuovi assunti, se verranno licenziati, avranno un indennizzo soltanto di natura economica, il quale aumenterà in base all’anzianità di servizio maturata. In pratica, si esclude la possibilità del reintegro del lavoratore, fatta eccezione per i licenziamenti nulli e discriminatori.
Il contratto a tutele crescenti si applica soltanto nei confronti dei nuovi assunti. Infati, chi è già titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato continuerà a vedere disciplinato il proprio rapporto di lavoro dalle norme previgenti. Pertanto, il contratto “a tutele crescenti” sarà effettivamente vantaggioso soltanto per chi attualmente è disoccupato, ovvero è titolare di lavoro a tempo determinato, o di un contratto di collaborazione, in quanto la nuova tipologia contrattuale in esame abbatte il costo del lavoro di circa trenta punti percentuali.

Fata questa premessa, come già accennato, passiamo all’esame, articolo per articolo, del decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato “a tutele crescenti”.

Articolo 1 – Il campo di applicazione.

A far data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo da esso dettato deve essere applicato nei confronti di tutti i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo in questione, integri il requisito occupazionale di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, occupi più di quindici dipendenti), il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del decreto legislativo in esame.

Articolo 2 – Il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale.

Qualora venga emanata una sentenza che dichiari la nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio o riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, il giudice deve ordinare al datore di lavoro (imprenditore o non imprenditore) di procedere alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito del predetto ordine giudiziale di reintegrazione, il rapporto di lavoro s’intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’apposita indennità prevista dal decreto legislativo in esame. Tale regime si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace, in quanto intimato in forma orale.
Con la predetta sentenza, il giudice condanna il datore di lavoro anche al risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito del licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia. A tal fine, il giudice deve stabilire un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è, altresì, condannato, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando tale diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Articolo 3 – Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa.

Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Soltanto in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento), il giudice deve annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, fatto salvo quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 181/2000. In ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Anche in questo caso, al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
Tale disciplina applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, Legge, n. 68/1999.
Infine, si evidenzia che nei confronti del licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 del decreto legislativo in esame non trova applicazione l’art. 7, Legge n. 604/1966, così come modificato dall’art. 1, comma 40, Legge n. 92/2012. Tale norma prevede che, nelle imprese con più di quindici dipendenti (nel settore agricolo, con oltre i cinque dipendenti), il ricorso ad un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione provinciale istituita in ogni Direzione Territoriale del Lavoro, attivabile attraverso una procedura che inizia con una comunicazione inviata a tale organo periferico del Ministero del Lavoro, nonché, per conoscenza, all’interessato, con la quale il datore di lavoro comunica la propria intenzione di procedere al recesso, indicando, sia le motivazioni, sia le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione.

Articolo 4 – I vizi formali e procedurali.

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato violando il requisito di motivazione previsto dall’art. 2, comma 2, Legge n. 604/1966, ovvero non rispettando la procedura disciplinare ex art. 7, Legge n. 300/1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle poc’anzi esaminate tutele previste dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo in questione.

Articolo 5 – La revoca del licenziamento.

In caso di revoca del licenziamento effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro s’intende ripristinato senza soluzione di continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca. In tale ipotesi, non si applicano i regimi sanzionatori previsti dal decreto legislativo in esame.

Articolo 6 – L’offerta di conciliazione.

In caso di licenziamento dei lavoratori di cui al già esaminato articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all’art. 2113 c.c. (che disciplina le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge) ed all’art. 82, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 (che disciplina le rinunce e transazioni in sede di certificazione dei contrati di lavoro), un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e che non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L’ammontare di tale importo è pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Articolo 7 – Il computo dell’anzianità negli appalti.

Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa che subentra in un appalto si deve computare tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Articolo 8 – Il computo e la misura delle indennità per frazioni di anno.

Per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità e l’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, devono essere riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si devono computare come mese intero.

Articolo 9 – Le piccole imprese e le organizzazioni di tendenza.

Qualora il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, non occupi più di quindici dipendenti), non trova applicazione la disciplina prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3 e l’ammontare delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4 e di offerta di conciliazione ex articolo 6 deve essere dimezzato e non può, in ogni caso, superare il limite di sei mensilità.
Inoltre, la disciplina contenuta nel decreto legislativo in questione trova applicazione anche nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto.

Articolo 10 – Il licenziamento collettivo.

In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24, Legge n. 223/1991 intimato senza l’osservanza della forma scritta, si deve applicare il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo in esame. In caso di violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, comma 12, Legge n. 223/1991 o dei criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, Legge n. 233/1991, si deve applicare il regime contenuto nell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo in questione.

Articolo 11 – Il contratto di ricollocazione.

È istituito, presso l’INPS, il Fondo per le Politiche Attive per la Ricollocazione dei Lavoratori in Stato di Disoccupazione Involontaria, al quale affluisce la dotazione finanziaria del Fondo istituito dall’art. 1, comma 215, Legge n. 147/2013, il quale era stato costituito per avviare alcune sperimentazioni in sede regionale del contratto di ricollocazione, al fine di favorire il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in regime di deroga e di lavoratori in stato di disoccupazione.
Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24 Legge n. 223/1991, ha il diritto di ricevere dal Centro per l’Impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione che egli effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, ai sensi dell’emanando decreto legislativo attuativo della delega contenuta nella Legge n. 183/2014 ( meglio nota come “Jobs Act”), in materia di politiche attive per l’impiego.
Inoltre, presentando il voucher ad una Agenzia per il Lavoro pubblica o privata accreditata secondo quanto previsto dal predetto emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego, il lavoratore interessato ha diritto a sottoscrivere con essa un contratto di ricollocazione che deve, a sua volta, prevedere:

  • il diritto del lavoratore a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’Agenzia per il Lavoro;
  • il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’Agenzia per il Lavoro di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
  • il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’Agenzia per il Lavoro nelle iniziative da essa predisposte.

L’ammontare del voucher è proporzionato in relazione al predetto profilo personale di occupabilità e l’Agenzia per il Lavoro ha diritto ad incassarlo soltanto a risultato ottenuto secondo quanto stabilito dall’emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego.

Articolo 12 – Il rito applicabile.

Infine, i licenziamenti disciplinati dal decreto legislativo in esame non sono sottoposti alle disposizioni contenute dall’art. 1, commi da 48 a 68, Legge n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”).

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LE DELEGHE LEGISLATIVE CONTENUTE NEL JOBS ACT

di Germano De Sanctis

Premessa.

Nel corso della giornata del 3 dicembre scorso, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge delega di riforma del lavoro, meglio nota come “Jobs Act”. Entro entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, dovranno essere emanati i suoi Decreti Legislativi attuativi.

Esaminiamo nel dettaglio il contenuto delle deleghe conferite al Governo, evidenziando che esse interessano le seguenti cinque importanti aree tematiche:

  1. gli ammortizzatori sociali;
  2. i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro;
  3. le procedure e gli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro;
  4. la disciplina dei rapporti di lavoro e l’attività ispettiva;
  5. la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

La delega in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, contiene una specifica delega al Governo per la riforma degli di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi e senza produrre nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (cfr., art 1, comma 12).

In particolare, tale delega interviene nella materia della disoccupazione involontaria, prevedendo l’introduzione di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, attraverso:

  • la razionalizzazione della normativa in materia di integrazione salariale;
  • il coinvolgimento attivo di quanti siano stati espulsi dal mercato del lavoro, ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali;
  • la semplificazione delle procedure amministrative;
  • la riduzione degli oneri non salariali del lavoro.

L‘art. 1, comma 2, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega in esame.

In primo luogo, con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, la legge delega prevede:

  • l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa;
  • la semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati a livello nazionale di concessione dei trattamenti prevedendo strumenti certi ed esigibili;
  • la necessità di regolare l’accesso alla CIG solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
  • la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della CIG ordinaria e della CIG straordinaria;
  • la previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
  • la riduzione degli oneri contributivi ordinari e la rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
  • la revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà ex art. 3 Legge n. 92/2012, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi, anche attraverso l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione;
  • la revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà ex Legge n. 863/1984;

Invece, per quanto concerne gli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, la legge delega dispone:

  • la rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
  • l’incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
  • l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
  • l’introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • l’eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale.

Inoltre, i beneficiari degli ammortizzatori sociali dovranno essere destinatari di meccanismi ed interventi che incentivino la ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati (di cui all’art. 1, comma 4, lett. v)) d’istruzione, formazione professionale e lavoro, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica. Coerentemente, viene previsto l’adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, o a programmi di formazione.

La delega in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro.

L’art. 1, comma 3, contiene la delega al Governo in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro. L’attività riformatrice oggetto di siffatta delega legislativa intende garantire un’effettiva fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva per il lavoro su tutto il territorio nazionale, unitamente all’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

L’art. 1, comma 4, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega cui il Governo deve attenersi. Essi sono:

  • la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti;
  • la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, anche nella forma dell’acquisizione delle imprese in crisi da parte dei dipendenti;
  • l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (qui, di seguito, denominata “Agenzia”), partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente;
    il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
  • l’attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro e ASpI;
  • la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
  • la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità ex Legge n. 68/1999;
  • l’individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
  • la determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
  • il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
  • la valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, nonché operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
  • la valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia;
  • l’introduzione di principi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
  • l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
  • la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS (sia a livello centrale, che territoriale), al fine di favorire una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito;
  • la previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che (a livello centrale e territoriale) esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
  • il mantenimento in capo alle Regioni ed alle Province Autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
  • l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati di istruzione, formazione professionale e lavoro.

La delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro.

La delega legislativa contenuta nell’art. 1, comma 5, concerne il conseguimento di obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure in materia di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

I principi ed i criteri direttivi da osservare durante l’esercizio della delega legislativa in esame sono contenuti nell’art. 1, comma 6. Essi sono:

  • la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
  • la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
    l’unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse Amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
  • l’introduzione del divieto per le Pubbliche Amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
  • il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
  • la revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
    la previsione di modalità semplificate per garantire data certa, nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
  • l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
  • la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, anche con riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
  • la promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).

La delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti e per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

L’art. 1, comma 7, reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti, nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, l’art. 1, comma 7, ha delegato il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi. Uno di tali decreti legislativi deve contenere un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro.

L’esercizio della delega legislativa avverrà nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, in funzione dei predetti interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
  • la promozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
  • la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento;
  • il rafforzamento degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro;
  • la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando gli interessi dei datori di lavori con gli interessi dei lavoratori, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento;
  • la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
  • l’introduzione (anche in via sperimentale) del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • la previsione, nel rispetto dell’art. 70 D.Lgs. n. 276/2003, della possibilità di estendere, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi;
    l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
  • la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia Unica per le Ispezioni del Lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, prevedendo, altresì, strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

La delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare le cure parentali, la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

L‘art. 1, comma 8, prevede una specifica delega al Governo, finalizzata a garantire un adeguato sostegno alle cure parentali, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici, nonché a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. Tale delega sarà attuata entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla revisione e all’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

I principi ed i criteri direttivi di tale delega sono rinvenibili nell’art. 1, comma 9. Essi sono:

  • la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
  • la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
  • l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici (anche autonome) con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo;
  • l’armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
  • l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
  • l’eventuale riconoscimento (compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite) della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al CCNL in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
  • l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle imprese e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative;
  • la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • l’introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza.

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La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act

di Germano De Sanctis

Premessa

Come è noto, dopo l’approvazione da parte della della Camera dei Deputati avvenuta lo scorso 25 novembre, il Jobs Act è ritornato al Senato per la terza lettura. Il disegno di legge sarà discusso in aula il 2 dicembre con l’obiettivo di giungere alla sua approvazione entro il 4 dicembre senza ulteriori modifiche.

Con l’entrata in vigore del Jobs Act (cioè, il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), inizieranno a decorrere i sei mesi che il Governo avrà a disposizione per emanare i vari decreti legislativi attuativi della legge delega.

In particolare, il Jobs Act interviene in materia di ammortizzatori sociali. Esaminiamo come tali istituti giuridici muteranno con l’approvazione del disegno di legge in questione, ricordando velocemente come sono attualmente disciplinati.

La disciplina vigente degli ammortizzatori sociali.

La normativa in vigore (cioè, la Legge n. 92/2012, c.d. “Riforma Fornero”), prevede che, in caso di licenziamento, al lavoratore debbano essere erogate due indennità: l’ASpI e la Mini ASpI.

L’ASpI viene riconosciuta alle seguenti tipologie di lavoratori che risultano aver perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà:

  • i lavoratori dipendenti del settore privato;
  • i lavoratori assunti con contratto di apprendistato;
  • i lavoratori di cooperativa.

Sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’AspI:

  • i dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche Amministrazioni;
  • gli operai agricoli;
  • i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale.

Per poter essere beneficiari dell’ASpI, bisogna possedere due requisiti:

  • essere assicurati all’INPS da minimo due anni;
  • aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

I lavoratori che non possiedono i predetti requisiti possono beneficiare della Mini ASpI, a condizione che abbiano versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi. In tale ipotesi, costoro riceveranno un’indennità per un lasso di tempo pari alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act.

Il Jobs Act riforma interamente il poc’anzi descritto sistema degli ammortizzatori sociali contenuto nella Riforma Fornero. L’AspI e la Mini ASpI vengono radicalmente trasformate con lo scopo di tutelare una platea più ampia di lavoratori e, di conseguenza, aumentare il livello di equità dei sussidi garantiti dal Governo.
In particolare, l’ASpI verrà estesa ed universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro senza possibilità di reintegro ed estenderà il suo ambito di applicazione anche a favore dei co.co.pro. (però, con l’esclusione degli amministratori e dei sindaci), mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, nonché attraverso l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e dell’automaticità delle prestazioni. A tal fine, è previsto, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite.
In estrema sintesi, l’AspI e la Mini AspI saranno unificate in un’unica indennità, la cui durata sarà direttamente proporzionale al periodo contributivo maturato dal lavoratore. Pertanto, in virtù di tale stretto rapporto con la pregressa storia contributiva del lavoratore, coloro che hanno lavorato per molti anni, saranno beneficiari del sussidio di disoccupazione per un tempo maggiore.

L’universalizzazione dell’AspI comporterà le seguenti modifiche sostanziali all’intero sistema contributivo vigente:

  • introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
  • attivazione a favore del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali di meccanismi ed interventi finalizzati all’incentivazione della ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati;
  • previsione di un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali, tale da consistere anche nello svolgimento di attività a beneficio delle comunità locali, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alla Pubblica Amministrazione;
  • adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito, che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione, o ad attività a beneficio di comunità locali.

Vista la chiara volontà d’introdurre un sistema di garanzia universale, sarebbe auspicabile che i decreti legislativi prevedano, in caso di disoccupazione involontaria, la costituzione di un sistema di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché una riduzione adeguata della severità dei criteri di accesso per l’AspI, al fine di garantire un effettivo ampliamento della platea dei lavoratori tutelati. Ovviamente, una operazione del genere manterrebbe una sua equità, a condizione che la durata del sostegno al reddito sia modulato in relazione alla anzianità contributiva del lavoratore interessato ed, nel rispetto della delega legislativa, incrementando l’attuale durata a favore di quei lavoratori che posseggono una importante anzianità contributiva.

Gli interventi del Jobs Act in materia di cassa integrazione.

In primo luogo, il Jobs Act prevede che l’erogazione della CIGS venga sospesa in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo della stessa. Inoltre, è stato specificato che i meccanismi standardizzati per la concessione di ammortizzatori saranno definiti a livello nazionale.
Il Jobs Act ha, altresì, previsto che l’accesso alla cassa integrazione guadagni può avvenire soltanto a seguito dell’esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà. Appare evidente l’intenzione contenuta in tale previsione di responsabilizzare le imprese, obbligandole a farsi direttamente carico della situazione, prima di poter accedere alle nuove tutele previste dal sistema previdenziale.
In altri termini, le previsioni di carattere generale poc’anzi indicate rendono evidente che siamo di fronte ad un totale cambio di prospettiva, caratterizzato dall’idea di rivedere i limiti di durata dell’integrazione salariale in stretta correlazione ai singoli lavoratori e non, come attualmente accade, alla condizioni in cui si trova l’impresa ed alle circostanze che ne rendono necessario l’utilizzo.

A fronte di tale affermazioni di carattere generale, il disegno di legge in esame fornisce la delega al Governo per:

  • operare la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
  • prevedere una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
    ridurre gli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo.

Per quanto concerne le risorse finanziare disponibili, stante la permanenza in vigore nel 2015 della cassa integrazione, l’ASpI e la Mini ASpI eroderanno la quantità di risorse finora esclusivamente destinate alla CIG ed alla CIGS, pari a circa 1,5 miliardi di euro, a cui si dovrebbero aggiungere i circa 400 milioni di euro stanziati dal Governo Renzi per il biennio 2015/2016. Poi, come noto, la cassa integrazione e la mobilità in deroga scompariranno a partire dall’anno 2016.

Il ruolo attribuito all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione in materia di ammortizzatori sociali.

Il Jobs Act attribuisce all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (di seguito, denominata Agenzia) la competenza gestionale in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI.
Tale Agenzia si occuperà anche di servizi per il lavoro e di politiche attive e sarà partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali e meccanismi di raccordo con l’INPS.
In un ottica di diritto comparato, appaiono evidenti le assonanze con l’agenzia federale per il lavoro tedesca.
L’intenzione del legislatore delegato è quella di creare un’Agenzia capace di coordinare e gestire il collocamento, le politiche del lavoro, la formazione e gli ammortizzatori sociali, realizzando un autentico raccordo tra le politiche attive e le politiche passive del lavoro, finalizzato all’inserimento e/o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori inoccupati e/o disoccupati. Sarà interessante analizzare come il decreto attuativo in materia declinerà tali indicazioni contenute nella delega legislativa.

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LAVORO ALL’ESTERO: COME FARE E DOVE ANDARE.

Parliamoci chiaro, sappiamo bene che trovare lavoro di questi tempi non è facile. Perciò sono tanti quelli che decidono di mollare tutto, cambiare vita e mettersi a cercare altrove. In un altro Paese.

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di Michele De Sanctis

Lavorare all’estero significa innanzitutto conoscere bene la lingua del posto in cui ci si vuol trasferire. L’avventura di chi parte senza saper parlare bene neppure la propria lingua, raramente ha un epilogo positivo. Ma, naturalmente, non è solo una questione di lingua. Ci sono anche altri aspetti che vanno considerati. Cerchiamo di capire insieme quali sono i primi passi per trovare un’occupazione fuori dall’Italia. Ricordate che se il vostro sogno è lavorare all’estero, riuscirete a realizzarlo solo se non vi arrenderete alle prime difficoltà.

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Iniziamo con il web. Mi sembra scontato: la rete ci viene in aiuto sempre. Esistono, infatti, diversi siti dove è possibile imparare tutte le lingue del mondo. Ed esistono anche valide app dedicate a questo scopo. Potreste anche procurarvi una buona grammatica, meglio se di tipo induttivo, ed esercitarvi con letture e visioni di film e telefilm in lingua. Anche per questo il web è una risorsa, da Amazon a Hoepli.it, non avete che da scegliere.

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Ora, facciamo conto che siate tutti perfettamente padroni di una lingua straniera. Cosa fare a questo punto? Internet offre moltissime risorse anche per trovare lavoro all’estero. Esistono, infatti, vere e proprie agenzie sia internazionali che italiane, che si occupano proprio di questo: programmi di collocamento, programmi di studio delle lingue, programmi combinati studio/lavoro, programmi di tirocini, programmi di volontariato e programmi di soggiorno alla pari. Molti sono i siti nati negli ultimi anni con l’obiettivo dichiarato di far incontrare domanda e offerta nel mercato del lavoro internazionale. Insomma, per lavorare all’estero dovete necessariamente fare questo passaggio attraverso il web.

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Inoltre, al fine di facilitare la ricerca di lavoro in ambito comunitario la Commissione Europea, con la raccomandazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 22.03.2002, suggerisce modalità omogenee di presentazione delle competenze e capacità professionali dei cittadini.
Sicuramente, già lo sapete tutti, ma repetita iuvant. Esiste un modello di curriculum vitae da utilizzare nei paesi comunitari, che, a differenza di quello tradizionalmente utilizzato qui in Italia, mette l’accento su capacità e competenze personali acquisite in qualunque contesto (non solo formativo e lavorativo) e sulle competenze trasversali. Parlo del C.V. europeo.

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CREA IL TUO CURRICULUM VITAE EUROPEO.

Ad ogni buon conto, presso tutti i Centri per l’Impiego sono disponibili informazioni sul curriculum vitae europeo oltreché altre informazioni e materiali realizzati dal Centro Risorse Europeo o da altri canali comunitari.
Prima che interrompiate la lettura, vi avverto: il post è rivolto a tutti quelli che stanno pensando di mollare tutto, non solo a quelli che vogliono spostarsi all’interno della UE. E siccome l’Italia è un Paese Membro è da qui che partiamo. Se state pensando di andare più lontano scorrete un po’ verso il basso.

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Senza la pretesa di essere esaustivi, perché sarebbe impossibile, vediamo adesso alcune delle agenzie più accreditate, presso le quali dovreste trovare anche un servizio di sostegno alla mobilità, principalmente europea.

EURES (European Employment Services). È una rete in cui collaborano assieme alla Commissione Europea i servizi pubblici per l’impiego dei paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo, compreso quelli del recente allargamento, allo scopo di favorire la mobilità geografica e professionale dei lavoratori rendendo il più possibile trasparente il mercato del lavoro europeo. Eures offre un servizio personalizzato a coloro che sono interessati a lavorare in Europa, fornendo informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro dei paesi membri e sulle proposte occupazionali disponibili e alle aziende locali che intendono assumere personale fuori dai confini nazionali. È inoltre possibile inserire all’interno della rete Eures il proprio curriculum vitae (modello europeo), così da poter essere sempre visionato dalle aziende o enti che presentano periodicamente le offerte di lavoro.
In particolare il Servizio Eures offre alle persone interessate a fare un’esperienza professionale in Europa
• informazioni e orientamento riguardo le opportunità lavorative presenti nella banca dati Eures
• informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro nei vari paesi europei
• sostegno alla ricerca lavorativa mediante l’indicazione di indirizzi utili e informazioni sulle tecniche di ricerca utilizzate nei vari paesi
• consulenza e supporto per le procedure da attivare alla partenza e al rientro da un lavoro all’estero

Eurosummerjobs. Si tratta di un progetto transnazionale finalizzato alla realizzazione di un database sulle opportunità di lavoro stagionale per giovani e studenti nell’ambito delle politiche a sostegno della mobilità dei giovani e nello spirito dell’alternanza scuola-lavoro. Il database viene messo on line ogni anno alla fine di marzo, in occasione della fiera annuale di orientamento per gli studenti di Parigi, e resta visibile fino all’autunno dell’anno successivo.

Jobs in Europe. Per 26 paesi europei è possibile consultare siti specializzati nella ricerca di lavoro, opportunità come au pair, insegnamento di inglese, giornali europei, incarichi dirigenziali, lavori stagionali/estivi/invernali.

ManPower. Tre le lingue selezionabili: Inglese, Francese, Tedesco; in bella evidenza il canale per la ricerca delle offerte di lavoro. In aggiunta due rubriche fondamentali: Job Carrer che fornisce tre opzioni: Regno Unito, Francia e una lista degli altri Paesi in cui ManPower è presente.

Ci sono, poi, alcune agenzie per il lavoro italiane che operano all’estero.

EUROMA. Agenzia di Roma. Tratta sia lavoro nel settore alberghiero, sia studio e stage in diversi settori. Paesi di destinazione: Francia e Germania (stage), Inghilterra, Irlanda e Spagna (job).

Intermediate. Agenzia di Roma. Tra i vari programmi di studio, studio e lavoro, tirocini, volontariato e alla pari di cui si occupa, promuove un interessante programma alla pari negli Stati Uniti d’America.
Programmi di volontariato in Ecuador, Costarica, Guatemala, Perù, India, Vietnam, Sri Lanka, e Tanzania.

Holidays Empire. Agenzia di Roma. Si occupa di vari programmi. Attualmente segnala i seguenti:
• Soggiorni lavoro studio “Work & Travel e Work & Study” in Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Australia e Nuova Zelanda;
• Collocamenti alla pari a Londra, Dublino, in vari Paesi europei e in più in Australia e Nuova Zelanda.

Erc-Euroeduca. Agenzia di Milano. Offre vari programmi tra cui il collocamento alla pari negli Stati Uniti d’America.

Sti Travels. Agenzia di Bologna. Organizza:
• Stage retribuiti per neolaureati in America con ottime capacita di lingua parlata;
• Work and travel in America;
• Anno di studio all’estero.

MB Scambi Culturali. Agenzia di Padova. Presenta diversi programmi tra i quali segnaliamo:
• Studio e lavoro in Inghilterra (a Ramsgate con corso di minimo 4 settimane);
• Studio e lavoro in Australia (a Sydney con corso di minimo 4 settimane, ma consigliate almeno 6).

Welcome Agency. Agenzia di Torino. Offre programmi di:
• Collocamento alla pari in tutti i Paesi dell’Unione Europea,
• Programmi di lavoro/studio nel Regno Unito, Irlanda ed in altri Paesi CE;
• Soluzioni di accommodation a Londra; Accommodations + corso di Inglese a Londra;
• Corsi di lingua in tutti i Paesi CE.

A.R.C.E. Agenzia di Genova. Propone:
• Soggiorni di studio-lavoro in Inghilterra (corso d’inglese e lavoro in hotel e ristoranti);
• Collocamenti alla pari in Inghilterra, Irlanda, Francia, Spagna, Germania, Austria, Nord Europa;
• Collocamenti alla pari di tre mesi e corso di lingua inglese a Dublino (Irlanda) per ragazze dai 18 ai 25 anni con livello intermedio di inglese ed alcune esperienze come baby-sitter;
• Sistemazione in Inghilterra come “ospite pagante” presso famiglie selezionate, con corso d’inglese.

3 ESSE. Agenzia di Varese. Tratta programmi Work and travel in vari Paesi tra cui Stati Uniti d’America, Australia e Nuova Zelanda.

T-Island (Isola dei Talenti). Agenzia di Imola. Si propone di aiutare gli italiani dotati di talento, ma senza prospettive di impiego all’orizzonte, a trovare lavoro all’estero. una vera propria agenzia di collocamento progettata per supportare chi aspira a trovare un lavoro ad andare oltre confine, superando gli ostacoli della burocrazia e fornendo anche un aiuto a districarsi nelle pratiche necessarie e nella ricerca di un alloggio.

I programmi completi offerti da ciascuna agenzia si trovano sui rispettivi siti. Scrivendo agli indirizzi mail indicati, si possono richiedere ulteriori chiarimenti e una consulenza personale.

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Adesso passiamo alla parte più impegnativa. Come fare l’abbiamo visto, ma cosa fare?
Lavorare all’estero. Quale lavoro intraprendere? Trasferirsi all’estero potrebbe implicare la necessità di doversi reinventare, soprattutto se non si è in possesso di una particolare specializzazione, o se si ha un titolo di studio che è spendibile per il 90% solo entro i confini italiani, come sappiamo bene noi giuristi. Occorre, quindi, analizzare il mercato del lavoro.

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La prima regola (anche se forse potrebbe sembrare un po’ controproducente) è quella di non buttarsi subito alla ricerca di un lavoro qualunque. Prendetevi prima del tempo per studiare il mercato del lavoro internazionale. E partite da questo punto: quali posti di lavoro sono richiesti e in quali Paesi? Naturalmente, è un presupposto questo che funziona solo se nelle vostre intenzioni non c’è quella di trasferirvi in un Paese specifico, ma solo quella di lavorare all’estero, ovunque sia. Se, invece, volete restringere il campo di ricerca dovreste cercare quali sono i settori su cui puntare nel mercato del lavoro del Paese che avete scelto.

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Attenzione. Spesso capita che le nazioni che offrono di più sono anche quelle in cui non è facile ottenere visti e permessi per il lavoro: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti, nel caso la vostra esperienza non sia limitata nel tempo, ma abbiate la seria intenzione di lavorare all’estero per un periodo piuttosto lungo. Se cercate un lavoro stagionale, potete puntare anche sull’Europa, tuttavia. E comunque in Europa i Paesi in cui trovare lavoro ‘più facilmente’ sono Regno Unito e Germania.

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Per quanto riguarda il resto del mondo, occhi puntati sul Messico, dove si prevede che si possano aprire nuovi mercati. Ma soprattutto sul Brasile, Paese dall’economia emergente, che offre interessanti opportunità anche per l’avvio di un nuovo business.

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Consigliamo, infine, il sito Lavorare all’estero, in cui troverete offerte di lavoro per italiani all’estero e notizie sull’economia dei Paesi esteri, per iniziare quest’avventura in modo consapevole e con le carte in regola per farcela.

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STAGE: ECCO I COMPENSI MINIMI GARANTITI REGIONE PER REGIONE.

Sapevate che gli stage vanno pagati? E che il compenso varia da Regione a Regione? Scopriamo insieme in quali conviene di più frequentarne uno.

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di Michele De Sanctis

Abruzzo e Piemonte: sono queste le due Regioni, in cui gli stagisti vengono pagati meglio, con un rimborso minimo di 600 euro. Le più parsimoniose sono Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Umbria, in cui il compenso di base per i tirocinanti è di 300 euro. Le altre hanno scelto invece importi intermedi.

La legge Fornero impone, infatti, una retribuzione minima, la cui misura viene stabilita dalle Regioni, che sono competenti a regolare nel dettaglio i tirocini formativi. Sono esclusi: gli stage che si effettuano durante la frequenza di scuole, master, corsi di specializzazione; i periodi di pratica professionale o per l’accesso alle professioni ordinistiche (praticantato); i tirocini transnazionali (es.: Lifelong Learning Program); stage per stranieri inseriti nelle quote di ingresso; tirocini estivi.

La mappa delle scelte fatte dalle Regioni è stata tracciata un anno fa da Adapt, l’associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali fondata da Marco Biagi e attualmente diretta da Michele Tiraboschi.

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Il monitoraggio svolto ha consegnato un quadro normativo intricato e contraddittorio, in cui l’obiettivo di definire standard minimi omogenei, come indicato dal Legislatore, ha generato, al contrario, la proliferazione di discipline regionali diverse e in concorrenza tra di loro, con il risultato di creare maggiori incertezze a tutti gli operatori del mondo del lavoro coinvolti. Inoltre, il progressivo e vigoroso snaturamento di un metodo formativo, che viene ora ricostruito a immagine e somiglianza del contratto di primo inserimento al lavoro, fa sì che la qualità del percorso di tirocinio sia misurata in relazione alla fattispecie del lavoro dipendente e non invece in ragione della qualità dei soggetti promotori, dei fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro e dai relativi contenuti formativi di ogni singolo percorso di stage. È, quindi, aumentato il tasso di regolazione, ma non si è vista la costruzione di un sistema che possa garantire la collocazione del tirocinio in un reale percorso di integrazione tra scuola, università e lavoro. Come rivelato nel rapporto Adapt, a vincere sarebbero le burocrazie regionali, che sin qui hanno dato scarsa prova di saper gestire la competenza affidata loro dalla Costituzione, mentre a perdere sarebbero le imprese e quei numerosi giovani che vedono oggi nel tirocinio una imprescindibile chiave di occupabilità e di learnfare, nel senso di punto di incontro tra i fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro e i progetti di vita delle singole persone. Di certo, quello su cui, forse, il Legislatore ha puntato è stata l’introduzione di un diritto alla ‘retribuzione’ negli stage. Prima mancava anche quella. Rispetto al passato la maggiore novità per chi partecipa a i tirocinio formativo è proprio la possibilità di ricevere un’indennità. Può essere visto come un passo in avanti per l’Italia, ma non bisogna focalizzarsi solo sul rimborso: si rischia, infatti, di dimenticare che uno stage è prima di tutto formazione e ingresso nel mondo del lavoro. In effetti, su questi aspetti c’è ancora da lavorare.

Nel frattempo, vediamo quali sono le cifre minime che devono percepire, a seconda della Regione, gli stagisti in Italia, secondo il rapporto Adapt 2013 (il rapporto aggiornato non è ancora stato elaborato).

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Non dimentichiamo che a livello nazionale, secondo le “Linee guida” del gennaio 2013, le imprese e gli enti che attivano tirocini non possono, comunque, scendere al di sotto dei 300 euro al mese. Inoltre, i tirocini finanzianti dal programma comunitario “Garanzia Giovani” prevedono un rimborso spese standard di € 500. Pertanto, relativamente ai tirocini finanziati dalla Garanzia Giovani, le Regioni con rimborso spese più basso devono innalzare tale somma ad € 500. Nelle altre Regioni (cioè, l’Abruzzo ed il Piemonte), si applicheranno i costi standard regionali, essendo quest’ultimi più favorevoli.

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Tirocinio retribuito a Londra per neolaureati.

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L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA – European Medicines Agency), con sede a Londra, offre tirocini retribuiti del valore di 1.350 sterline nette al mese (all’incirca 1.600 euro). L’Agenzia Europea per i Medicinali è un organo della UE con sede a Londra. Il suo compito principale è tutelare e promuovere la sanità pubblica e la salute mediante la valutazione e il controllo dei medicinali per uso umano e veterinario. L’Agenzia Europea per i Medicinali è l’agenzia comunitaria dell’Unione Europea che si occupa della valutazione e del controllo di medicinali umani e veterinari. L’Agenzia è stata fondata nel 1995 con i contributi dell’Unione Europea, dei singoli stati membri e dell’industria farmaceutica, con lo scopo di affiancare il lavoro delle organizzazioni nazionali che si occupano del mercato dei farmaci.
Gli obiettivi che l’Unione Europea si è prefissa con la fondazione dell’EMA sono essenzialmente due: da un lato, la riduzione delle spese burocratiche (si parla di cifre a sei zeri) che ogni anno le case farmaceutiche devono sostenere per l’approvazione dei farmaci nei singoli Stati membri, dall’altro, per ridurre il protezionismo dei singoli Stati volto ad ostacolare l’inserimento sul mercato di farmaci concorrenti ad altri già inseriti nel mercato interno.

EMA Traineeship Programme

Il programma di tirocinio si rivolge a laureati all’inizio della loro carriera professionale. I requisiti richiesti sono:
– essere cittadini EU/EEA;
– aver conseguito una laurea alla data di scadenza per l’invio delle domande;
– avere una buona conoscenza della lingua inglese più la conoscenza di una seconda lingua ufficiale dell’Unione Europea.

Oltre a dare una comprensione dei compiti dell’Agenzia e del suo ruolo nell’ambito delle attività dell’Unione Europea, il programma fornirà ai tirocinanti un’esperienza professionale in un ambiente di lavoro a tutti gli effetti, altamente qualificato e riconosciuto in tutta l’Area Economica Europea.
I profili ricercati sono di vario genere: dai laureati in discipline core per l’attività dell’EMA (medicina, farmacia, chimica, biologia, veterinaria), a giovani con laurea nel settore delle comunicazioni, in scienze dell’informazione, relazioni pubbliche, risorse umane, giurisprudenza, fino a laureati in materie umanistiche specializzati in biblioteconomia.

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Per proporre la propria candidatura è necessario compilare l’apposito modulo disponibile sulla pagina dedicata al programma tirocini ed inviarlo all’indirizzo di traineeship@ema.europa.eu entro e non oltre il 15 giugno 2014. Per coloro che verranno selezionati, il Programma avrà inizio il 1 ottobre.

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LIDL ASSUME IN TUTTA ITALIA.

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LIDL, azienda leader nel settore della grande distribuzione organizzata, con diversi punti vendita in Italia e in altri Paesi europei, LIDL è una grande realtà del settore GDO ed ha punti vendita in Italia e in molti paesi europei, apre le selezioni in Veneto, Lazio, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Molise, Umbria, Abruzzo, Trentino Alto Adige, Liguria, Puglia, Campania e Calabria.

Questo l’elenco di alcune delle posizioni ricercate:

Retail Manager / Capo Area
Addetti Vendite
Capi Filiale
Commessi Specializzati
Responsabili Sviluppo Immobiliare
Responsabili Tecnici
Buyer
Collaboratore Ufficio Legale GRC
Responsabile Manutenzione Sicurezza Magazzino
Assistente di Direzione
Impiegato Addetto paghe

Le offerte di lavoro sono rivolte a giovani motivati, volenterosi e pronti a mettersi in gioco diplomati, laureati e neolaureati e a tutte quelle persone che sono alla ricerca di una nuova posizione lavorativa. I requisiti specifici sono di volta in volta indicati per ogni posizione aperta. Per inviare le vostre candidature, cliccate qui, scegliete una delle offerte presenti tra quelle che si avvicinano al vostro profilo e compilate il formulario on line allegando il vostro CV.

MDS
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NUOVE OPPORTUNITÀ DI LAVORO CON AMAZON.

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Amazon, azienda leader nel settore del commercio elettronico, si espande in Italia e (ciò che più conta!) assume. La società ha, infatti, appena inaugurato il nuovo Centro di Distribuzione di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, che dovrebbe occupare circa mille dipendenti. Dopo l’annuncio di gennaio 2013 e l’ultimazione dei lavori in tempi da record (soltanto 9 mesi), il nuovo Centro di Amazon Italia Logistica Srl è adesso pienamente operativo. Per la precisione, la nuova struttura raddoppia la propria dimensione rispetto al vecchio centro di distribuzione avviato nel settembre 2011, sempre a Castel San Giovanni, arrivando ad occupare un’area di oltre 70mila metri quadrati, l’equivalente di oltre nove campi di calcio.

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L’azienda americana per il momento offre impiego a 426 unità, già assunte a tempo indeterminato, ma mira ad arrivare a 1.000 dipendenti entro i prossimi tre anni. Per molti di loro la collocazione sarà a tempo indeterminato, mentre altri sono destinati a sottoscrivere contratti a tempo determinato.

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Le figure richieste sono sia operative che di team-leader e manageriali. Sono richiesti addetti alla movimentazione delle merci, ricezioni prodotti, imballaggio, smistamento e spedizioni. Ma c’è spazio anche per ingegneri gestionali, capi reparto e amministrativi. Sono inoltre previste possibilità di tirocinio. Il candidato ideale deve essere brillante e in grado di condividere l’obiettivo di migliorare quotidianamente l’esperienza di acquisto per i clienti Amazon. Potete inviare i vostri curricula sul sito di Amazon, dove, peraltro, la società, raccontandosi brevemente, palesa non solo i propri obiettivi, ma anche gli standard che i candidati devono giustamente saper offrire. ‘Stiamo facendo la storia e la cosa bella è che abbiamo appena iniziato. Vieni a fare la storia con noi!’
Non resta che augurarvi ‘in bocca al lupo’.

MDS
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LA TOP TEN DEI LAVORI MIGLIORI. E DEI PEGGIORI.

Anche quest’anno Careercast ha stabilito quali sono i migliori 10 lavori da intraprendere e i peggiori 10. Scopriamoli insieme.

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di Michele De Sanctis

È ormai un appuntamento fisso, dal 1988, quello con la relazione Jobs Rated, con cui Careercast misura le diverse carriere attraverso una serie di parametri sociali, culturali, ambientali ed economici. In particolare, ciò che viene rilevato è il rapporto tra retribuzione e stress, l’ambiente di lavoro e la percentuale di crescita professionale nel futuro. Sebbene l’analisi, comprensiva di salari medi, si riferisca principalmente al mercato del lavoro USA, la graduatoria stilata da Careercast costituisce un segnale importante anche in ambito internazionale. Risalta, infatti, la crescita nel settore delle professioni sanitarie, che sarà una tra le più importanti aree destinate a crescere nel prossimo futuro, con una domanda sempre maggiore di medici, infermieri e parasanitari. Non solo negli States. Al fine di comprendere le sfide da affrontare quotidianamente sul lavoro, oltreché le ricompense che una professione può offrire, questo ormai consueto rapporto annuale costituisce, pertanto, un dato particolarmente importante.

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Sono stati 200 i lavori valutati e su tutti vince quello del matematico. Nondimeno, i più interessanti da conoscere sono in fondo alla classifica, perchè se è vero che è umano lamentarsi ogni tanto del proprio lavoro, sarebbe, altresì, utile ricordarsi che potrebbe andare peggio. A meno che non facciate il boscaiolo. Già, perché, stando al Jobs Rated 2014, è proprio il taglialegna il lavoro peggiore dell’anno (200esima posizione). Ed io che non conosco neppure la differenza pratica tra un’ascia e un’accetta, se non la diversa nozione che ne leggo sul mio inseparabile Devoto, mi fido.
Ma vediamo meglio le due classiffiche, o meglio i primi dieci e gli ultimi dieci. Tra i peggiori, oltre ai boscaioli, nella classifica figurano i cronisti (gli aspiranti giornalisti italiani ne sanno qualcosa), il personale militare arruolato, i tassisti, i redattori radio e tv, i masterchef, ossia chi aspira a diventare capo cuoco (e forse c’è la vaga speranza di non assistere più agli insulti gratuiti di certi chef nei talent show televisivi), gli assistenti di volo, i netturbini, i vigili del fuoco, i supervisori interni di istituti penitenziari e gli installatori/riparatori di tetti.

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E i migliori 10? Dopo i matematici, vengono i professori universitari (ne avevate dubbi?), gli esperti di statistica, consulenti attuariali (a questo punto consiglio ai giovani diplomandi un corso di laurea in Scienze Statistiche), gli otorini, gli igienisti dentali (ed evitiamo battute scontate sulla Minetti), gli sviluppatori di software, gli analisti di sistemi operativi e ancora altre due professioni sanitarie (consideratele, ragazzi, se il calcolo delle probabilità proprio non vi piace), al nono posto troviamo, infatti, i fisioterapisti e al decimo i logopedisti.

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Come Careercast ci tiene a precisare, l’analisi dei lavori migliori e peggiori dell’anno assume un semplice carattere di curiosità. Non è detto, ad esempio, che chi ricopre uno dieci peggiori mestieri stia realmente facendo il lavoro peggiore del mondo. L’analisi viene proposta solo a carattere informativo e, come già detto, viene valutata in base a diversi parametri tutti, peraltro, oggettivi.

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Se su alcune professioni, per esempio, possiamo trovarci assolutamente d’accordo, su altre, forse, i diretti interessati potrebbero dissentire. Il lavoro migliore è quello che si ama. Essere un vigile del fuoco con passione, o un reporter, fa della tua professione la migliore che ci sia. L’unico parametro che conta, in ultima istanza, quando si cerca lavoro è quello soggettivo. Non ci sono, infatti, due esperienze di lavoro che garantiscano lo stesso successo, né percorsi di carriera differenti in grado di soddisfare competenze ed interessi unici. In definitiva, solo tu puoi determinare quale sia il miglior lavoro per le tue abilità e le tue passioni. Tuttavia, la relazione Jobs Rated può essere letta come una road map per aiutarti a decidere quale sia il la carriera più giusta per te.

Di seguito, l’infografica redatta da Careercast.

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