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L’IMMOBILISMO DEL MERCATO DEL LAVORO A TUTELE CRESCENTI.

di Michele De Sanctis

In psicologia del lavoro, con l’espressione job hopping ci si riferisce letteralmente alla pratica di saltare da un lavoro all’altro. Non si tratta, invero, di un comportamento negativo, ma, anzi, negli ultimi tempi, fin dai primi anni dell’università, addirittura dagli ultimi anni del liceo, a noi giovani questa pratica è stata inculcata come se fosse l’aspetto più innovativo del futuro professionale a cui stavamo per affacciarci. Il cambiamento è sempre un fattore positivo, in primis per la propria crescita professionale e nel contempo rappresenta un buon modo per mantenere alta la passione verso il proprio lavoro. I cambiamenti, infatti, aiutano ad imparare ad essere pronti a nuove sfide e nuovi scenari. Questo è quello che ci è stato detto. Ci è stato detto che per essere competitivi, dovevamo essere più flessibili dei nostri genitori. E lo siamo stati. In alcun modo un curriculum magro sarebbe stato valutato positivamente durante il processo di recruitment di un’azienda.

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Sui nostri manuali di organizzazione del lavoro abbiamo scoperto che le persone che cambiano spesso lavoro garantiscono ottime performance, fino ad ottenere una posizione lavorativa migliore anche rispetto a coloro che da anni lavorano in uno stesso ambiente. Anzi, con l’avvento della crisi, ci hanno detto che le aziende non fossero affatto restie a questo tipo di lavoratori, dal momento che la prospettiva di una persona che puntava al posto fisso non affascinava per nulla le società che in questi anni hanno selezionato piuttosto personale efficace e competente, ma anche predisposto al cambiamento. Così ci hanno detto. Il rifiuto di adattarsi a quest’elasticità lavorativa era un po’ come dichiarare di essere choosy, o mammoni. O tutt’e due le cose. Ora che Babbo Natale ci ha portato il primi due decreti attuativi del Jobs Act, il Governo italiano ha assicurato che con questa rivoluzione copernicana del mercato del lavoro si avrà più dinamismo, più agilità…ancora più flessibilità. E ciò aiuterà l’innovazione delle aziende italiane, che, quindi, potranno finalmente essere competitive. Per cui d’ora in avanti prepariamoci ad essere dinamici, perché il posto fisso non esiste più. Io, però, ho qualche dubbio. Non sul fatto che il posto fisso non esista più, né sulla maggiore flessibilità del mercato del lavoro, quanto piuttosto sul suo dinamismo. Temo, infatti, un effetto di stagnazione riflessa del mercato dovuta proprio all’introduzione del contratto a tutele crescenti, soprattutto in quei settori, terziario in testa, dove la forza lavoro risulta altamente fungibile, quindi sostituibile.

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Se, infatti, con la nuova disciplina la sigla di un nuovo contratto comporterà la perdita delle garanzie acquisite con il vecchio, perché il nuovo è a tutele crescenti, cambiare lavoro d’ora in avanti sarà un po’ come ricominciare davvero da zero, sarà come accettare delle tutele decrescenti. Altro che crescita professionale: a chi converrà correre un rischio così alto, se non davvero costretto? Accettare nuove sfide, cambiare lavoro alla ricerca di nuovi stimoli, insomma tutti quei concetti di psicologia del lavoro finora appresi, comporteranno il rischio serio, attuale e concreto di diventare più licenziabili. Perché mentre chi lascia ricomincia daccapo, chi resterà dov’è adesso conserverà, invece, i suoi diritti. Diritti crescenti.

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Il rovescio della medaglia del contratto di lavoro a tutele crescenti sarà quindi quello di disincentivare gli italiani a cambiare lavoro. E questo non è un fattore positivo, né per il lavoratore né per le aziende. I manuali di organizzazione del lavoro che ci sono stati somministrati, infatti, non raccontavano favole. Ogni qualvolta che un dipendente cambia azienda, si innesca effettivamente quella pratica virtuosa che chiamiamo job hopping: chi cambia apprende nuove informazioni o aggiorna le pregresse e trasmette nel contempo ad altri il suo know how. Si ha, così, una crescita professionale concreta e un investimento innegabile in economia della conoscenza, senza cui non possono esserci innovazione e competitività. Inoltre, chi cambia lascia libero un posto di lavoro che occuperà magari un ex collega, il quale, avanzando nelle sue mansioni, apprenderà nuove informazioni, e che, a sua volta, lascerà disponibile la propria posizione, in cui, verosimilmente, subentrerà una persona, in genere più giovane, che apporterà in azienda ulteriore refresh complessivo e conseguente tramissione reciproca di competenze e nuova conoscenza. Insomma, l’eventuale paralisi del mercato del lavoro in seguito alla riforma appena varata potrebbe comportare la concreta interruzione di questo circolo virtuoso, già peraltro gravemente compromesso dalla crisi economica.

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Ora, siccome non si vive di solo stipendio, ma è lo stipendio a darci da mangiare – comunque sia – il lavoratore sarà costretto ad accantonare le proprie ambizioni e a difendere prioritariamente i propri diritti acquisiti, rinunciando pertanto alla mobilità e rassegnandosi, anzi, aggrappandosi alla sua scrivania, sotto cui converrà piuttosto fare le radici. Sarà, infatti, altamente difficile prendere certe decisioni, anche nel caso in cui il posto migliore venisse addirittura offerto dall’azienda concorrente a quella presso cui si è assunti e dove oggi si è lavoratori di serie A, rispetto ai neoassunti di serie B. Certo, è probabile che l’analisi di questo post sia parziale e forse troppo negativa e che magari non consideri tutti gli aspetti che sicuramente il Legislatore avrà valutato prima di introdurre le nuove regole: l’analisi di fattibilità delle leggi, in fondo, serve anche a questo. Ma quanti di voi oggi sarebbero disposti a fare un salto nel buio a queste condizioni?

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SANITÀ. LA SVOLTA DIGITALE E LE AZIONI DI SISTEMA PER LO SVILUPPO DELL’E-HEALTH.

di Michele De Sanctis

Il Patto per la Sanità Digitale, contenuto all’interno del nuovo Patto per la Salute 2014-2016, si propone la riorganizzazione della rete assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale, al fine di conciliare la crescente domanda di salute con i vincoli di bilancio esistenti, ottimizzando, così, il rapporto tra costi e risultati ottenuti, in termini di prestazioni rese. In linea con il più ampio disegno di informatizzazione della Pubblica Amministrazione, l’innovazione digitale in ambito sanitario può svolgere un ruolo chiave come fattore abilitante e, in taluni casi, determinante per la realizzazione di una nuova rete organizzativa. Se concretamente attuato, dunque, il Patto potrà diventare punto di svolta decisivo del SSN, sia in termini di sostenibilità sia per un’offerta di prestazioni più efficiente ed efficace. Si tratta, pertanto, di un’azione formale necessaria per riuscire a compiere un fondamentale passo avanti e, più in generale, di una spinta necessaria all’innovazione del Paese, tanto più importante in un momento particolare come quello del semestre italiano di Presidenza UE.

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Se, da una parte, il Patto costituisce un cambiamento di prospettiva e di approccio alla sanità, dall’altra è pur vero che, affinché sia produttivo di effetti concreti, è necessario che l’innovazione digitale venga sdoganata da un ambito prettamente tecnologico, per farsi strumento strategico di governo per le Aziende Sanitarie. Il canale telematico, perciò, deve divenire la prassi nei consueti rapporti col cittadino e la digitalizzazione della documentazione sanitaria, che, peraltro, comporterà una cospicua opera di reingegnerizzazione di molte strutture territoriali, dovrà estendersi in tutta Italia, o continueremo a parlare delle best practices di alcune isolate realtà, contro la cattiva gestione della maggioranza dei presidi: in altre parole di una sanità pubblica di serie A per alcune Regioni e di un’altra sanità che non merita neppure la serie C. Per promuovere in modo sistematico questo nuovo modello e non lasciarlo, quindi, realizzato in modo sporadico, parziale e comunque non conforme alle esigenze della sanità pubblica, è, altresì, necessario predisporre un piano strategico che contenga interventi normativi idonei a rimuovere alcuni ostacoli che ne rallentano o, in alcuni casi, ne impediscono la diffusione. Un piano strategico di sanità elettronica che richiede una significativa quantità di risorse economiche dedicate: l’adozione di piattaforme e di soluzioni capaci di supportare un nuovo modello di servizio sanitario basato sui pilastri della continuità assistenziale, del care management, della deospedalizzazione e della piena cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti nella filiera della salute e del well‐being. Questo piano è, appunto, il Patto per la Sanità Digitale.

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Per capire in cosa effettivamente consista, bisogna prima chiarire cosa sia la sanità elettronica o e-Health. Con questa espressione ci riferiamo, in particolar modo, ad un complesso insieme di azioni e di interventi orientati all’innovazione, che, però, necessitano di una governance consapevole e di indicazioni di orientamento il più possibile chiare, lineari e programmatiche. Sviluppo digitale della sanità non significa, infatti, solo introduzione di tecnologie, che, seppur mature, risulterebbero del tutto nuove ed estranee alla maggior parte delle realtà ospedaliere del territorio nazionale. Sanità digitale significa, piuttosto, creazione di un fattore capace di consentire la contemporanea evoluzione dei modelli assistenziali e di quelli organizzativi. In particolare, i principali interventi per realizzare questi nuovi modelli consistono nella digitalizzazione del ciclo prescrittivo, con l’introduzione della trasmissione delle certificazioni di malattia online e la sostituzione delle prescrizioni cartacee con l’equivalente documento digitale, nella realizzazione e diffusione di una soluzione federata di Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino e nell’aumento del tasso di innovazione digitale nelle aziende sanitarie, sia nei processi di organizzazione interna, sia nell’erogazione dei servizi ai cittadini. Gli strumenti per attuarli sono: il progressivo assorbimento della Tessera Sanitaria nella Carta di Identità Elettronica o nella Carta Nazionale dei Servizi (CNS); lo sviluppo di un Centro Unico di Prenotazione unificato a livello nazionale, in cui far confluire i sistemi CUP, oggi presenti a livello provinciale e regionale, che operano spesso in modalità isolata e con canali differenziati; il collegamento in rete delle strutture di erogazione dei servizi sanitari, dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta alle Aziende Sanitarie Locali e a quelle Ospedaliere, fino alle farmacie, sia pubbliche che private; l’accesso da parte del cittadino ai servizi sanitari on-line; il pagamento online delle prestazioni erogate, nonché la consegna, tramite web (posta elettronica certificata o altre modalità digitali) dei referti medici; la creazione di adeguati sistemi di sorveglianza e di registri in ambito sanitario.

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Il primo caposaldo per il conseguimento di questi risultati è quello di rispettare il principio che il Patto introduce relativamente alla necessità di procedere ad uno sviluppo congiunto delle reciproche sinergie tra e con stakeholder e fornitori di soluzioni ICT, aspetto cui il Patto riconosce una certa importanza per quanto concerne il know-how sull’IT in sanità, quale, ad esempio, quella di divenire un possibile motore di sviluppo, attraverso specifiche iniziative di investimento. Infatti, un problema rilevante che il Patto per la Sanità Digitale pone in ordine allo sviluppo dell’e-Health è quello dei finanziamenti stimati in 3,5-4 miliardi di euro nel triennio 2014-2016. Al riguardo, il documento in parola propone una serie di azioni di sistema per l’acquisizione dei capitali necessari, che vede, appunto, l’intervento congiunto di diversi attori, non solo pubblici. È, ad esempio, prevista la costituzione di fondi strutturali nell’ambito delle azioni di procurement pre-commerciale (PCP) e di sviluppo dell’Agenda Digitale e si ipotizza, altresì, la possibilità per le Regioni di stanziare fondi ad hoc per la costituzione di modelli di partenariato pubblico-privato. Viene, inoltre, ammessa l’introduzione di iniziative private attraverso modelli di project financing e o di performance based contracting (una sorta di remunerazione dei fornitori in base ad obiettivi predefiniti e misurabili, in termini di condivisione dei ricavi e/o dei minori costi conseguiti). Infine, si evidenzia l’opportunità di porre una quota a carico dei cittadini, quale corrispettivo di specifici servizi e-Health a valore aggiunto offerti (si tratterebbe, però, di servizi resi su adesione volontaria da parte del cittadino e caratterizzati, pertanto, da standard superiori rispetto a quelli degli altri servizi gratuitamente ed equamente distribuiti all’utenza nel suo complesso). Per incrementare l’efficacia di queste azioni, il Patto suggerisce di definire ex-ante una specifica metodologia di misurazione multidimensionale dei risultati conseguiti con verifiche periodiche da effettuare durante e alla fine dei progetti, con lo scopo di attivare già in corso d’opera eventuali azioni correttive e di riorientamento dei progetti stessi.

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È, dunque, evidente quale sia l’attività propedeutica che il Patto antepone alla reingegnerizzazione del Servizio Sanitario: quella, cioè, di avviare un processo che veda la collaborazione tra stakeholder, Regioni e ASL, perché intraprendano le opportune iniziative di sistema, avviando anche un circuito di riuso delle soluzioni sviluppate, in un’ottica di condivisione ed integrazione. L’azione sarà guidata da un Comitato di Coordinamento, che entro la fine dell’anno produrrà un Master Plan per le iniziative della Sanità Digitale, contenente le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria prevista. Contestualmente, il Ministero della Salute, da parte sua, avvierà un tavolo di studio con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (l’ANAC che per effetto del DL 90/2014 assorbe le funzioni della soppressa AVCP) e la Corte dei Conti per divulgare modelli di applicazione delle norme che già oggi regolano forme contrattuali di partenariato pubblico-privato, rendendole facilmente accessibili alle stazioni appaltanti anche attraverso la pubblicazione di linee guida, contratti tipo, casi d’uso immediatamente applicabili al contesto specifico. Resta ora da attendere – e si spera non invano – l’effettiva (e celere) digitalizzazione del SSN.

Clicca QUI per scaricare il Patto per la sanità Digitale.

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P.A.: IL MINISTRO MADIA FIRMA LA CIRCOLARE SUL DIMEZZAMENTO DI DISTACCHI E PERMESSI SINDACALI. Circolare Ministero Semplificazione 20/08/2014 n. 5

È il 1° settembre la data fissata per la riduzione al 50% delle prerogative sindacali nelle Pubbliche Amministrazioni, tra cui si annoveno anche permessi e distacchi. Il 20 agosto, infatti, il ministro Madia ha firmato la circolare n. 5, con cui viene regolata la disciplina recata dal decreto legge di riforma n. 90/2014 (convertito definitivamente in legge lo scorso 7 agosto).

di Michele De Sanctis

Colpirà oltre un migliaio di lavoratori, almeno secondo la stima delle principali sigle, il dimezzamento dei distacchi sindacali, istituto con cui viene riconosciuto al dipendente pubblico il diritto di svolgere, a tempo pieno o parziale, attività sindacale, con la conseguente sospensione dell’attività lavorativa, ma con retribuzione a carico dell’Amministrazione di appartenenza. È per questo che la riduzione in parola, si legge sul sito del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, «è finalizzata alla razionalizzazione e alla riduzione della spesa pubblica». La Corte dei Conti ha, infatti, stimato che, solo nel 2012, i costi delle prerogative sindacali ammontavano a circa 110 milioni di euro: in pratica il corrispettivo della mancata prestazione lavorativa di un dipendente pubblico ogni 750.

La circolare n. 5, firmata due giorni dopo la pubblicazione in GURI della conversione in legge del DL 90 (18 agosto) e a un giorno dall’entrata in vigore del provvedimento (19 agosto) prevede, dunque, che entro il 31 agosto «tutte le associazioni sindacali rappresentative dovranno comunicare alle Amministrazioni competenti la revoca dei distacchi sindacali non più spettanti». E il rientro nelle Amministrazioni dei dirigenti sindacali, oggetto dell’atto di revoca avverrà – come viene specificato nella circolare – nel rispetto del contratto collettivo nazionale quadro sulle prerogative sindacali, oltreché delle altre disposizioni di tutela dei lavoratori.
In particolare, tra le garanzie che la circolare riconosce al dipendente che riprende servizio al termine del distacco o dell’aspettativa sindacale c’è la domanda di trasferimento, con precedenza rispetto agli altri richiedenti, in altra sede della propria Amministrazione, quando si dimostri di aver svolto attività sindacale e di aver avuto il domicilio nell’ultimo anno nella sede richiesta, ovvero in altra Amministrazione – anche di diverso comparto – ma della stessa sede. Inoltre, si chiarisce che il lavoratore «è ricollocato nel sistema classificatorio del personale vigente presso l’Amministrazione, ovvero nella qualifica dirigenziale di provenienza, fatte salve le anzianità maturate, e conserva, ove più favorevole, il trattamento economico in godimento all’atto del trasferimento mediante attribuzione ‘ad personam’ della differenza con il trattamento economico previsto per la qualifica del nuovo ruolo di appartenenza, fino al riassorbimento a seguito dei futuri miglioramenti economici». La circolare evidenzia altresì come chi rientra non possa venire discriminato per l’attività in precedenza svolta quale dirigente sindacale né possa essere assegnato ad attività che facciano sorgere conflitti di interesse con la stessa».

La circolare in esame, oltre a dettare, punto per punto, l’applicazione delle misure contenute nell’articolo 7 del decreto, pone anche una serie di eccezioni. Limitatamente ai distacchi, ad esempio, «la decurtazione del 50 per cento non trova comunque applicazione qualora l’associazione sindacale sia titolare di un solo distacco». Altra precisazione riguarda «le Forze di polizia ad ordinamento civile e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (personale non direttivo e non dirigente e personale direttivo e dirigente)». In tali casi «in sostituzione della riduzione del 50% si prevede che alle riunioni sindacali indette dall’Amministrazione possa partecipare un solo rappresentante per associazione sindacale».
Si prevede, inoltre, la possibilità di procedere a compensazione in caso di eccedenze. Ciò significa che nel caso in cui «le associazioni sindacali abbiano comunque utilizzato prerogative sindacali in misura superiore a quelle loro spettanti nell’anno si provvederà secondo le ordinarie previsioni contrattuali e negoziali». Di conseguenza, «ove le medesime organizzazioni non restituiscano il corrispettivo economico delle ore fruite e non spettanti, l’Amministrazione compenserà l’eccedenza nell’anno successivo, detraendo dal relativo monte-ore di spettanza delle singole associazioni sindacali il numero di ore risultate eccedenti nell’anno precedente fino al completo recupero».

Si attendono adesso le prossime istruzioni operative relativamente agli altri interventi contenuti nel Decreto PA, che, lo ricordiamo, è già legge. Tra questi i più rilevanti riguardano la cd. pensionabilità dei manager al 62esimo anno d’età, in anticipo rispetto ai parametri della legge Fornero, il taglio dei compensi per gli amministratori delle società partecipate (-20%), la mobilità obbligatoria di tutti i lavoratori, salvo quelli con tre figli o parenti disabili a carico ed una maggiore flessibilità nella realizzazione del turnover. Nel decreto spicca, poi, l’abrogazione dal 1° novembre dell’istituto del trattenimento in servizio, che ora permette ai dipendenti pubblici di continuare a lavorare per altri 2 anni dopo il conseguimento dei requisiti per poter andare in pensione.

La novità più attesa, tuttavia, riguarda il diritto degli appalti pubblici, ossia quella branca del diritto amministrativo che interessa l’attività di acquisizione di beni e servizi da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Sarebbe, infatti, pronto e dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane un decreto ministeriale che individuerà le caratteristiche essenziali e i prezzi benchmark dei beni acquisiti dalle Amministrazioni Pubbliche, come previsto dal Decreto Irpef. Stretta su acquisti PA in arrivo, quindi: una volta pubblicate le caratteristiche dei beni acquistabili – e i relativi prezzi benchmark – potranno, infatti, partire i relativi controlli sull’attività di approvvigionamento del settore pubblico. Ma di questo vi daremo notizia, non appena il decreto in questione sarà disponibile.

CLICCA QUI per scaricare la Circolare n. 5/2014 inerente alla riduzione delle prerogative sindacali nelle PP.AA., ai sensi dell’art. 7, D.L. 90/2014, convertito nella Legge 114/2014

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CONVERTITO IN LEGGE IL DECRETO DI RIFORMA DELLA P.A.

Con il voto della Camera al cd. ‘decreto P.A.’, senza modifiche rispetto al testo già passato in Senato, la prima parte della Riforma della Pubblica Amministrazione è ora legge. Tuttavia, come ha precisato il Ministro Madia, il fulcro della riforma sarà nel disegno di legge delega la cui discussione in Senato, per ora, è stata rinviata a settembre.

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di Michele De Sanctis

Dopo aver posto per tre volte la fiducia in una sola settimana, lo scorso 7 agosto il Governo ha incassato il via libera definitivo sulla prima parte della riforma P.A.: analizziamo i principali punti della legge di conversione del DL 90/2014.

Il decreto in parola introduceva una serie di disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa, oltreché all’efficienza degli uffici giudiziari. Nel corso dell’esame parlamentare sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto e la discussione di alcuni punti è stata rinviata all’approvazione di specifici provvedimenti.

Tra le novità più importanti, la norma appena approvata prevede la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, cui potrà essere applicata, anche senza il loro consenso, entro una distanza di 50 km, salvo alcune deroghe per coloro i quali abbiano figli con meno di tre anni e diritto al congedo parentale e per quei lavoratori che usufruiscano dei permessi di cui alla L. 104/92, per l’assistenza a un familiare disabile.

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Confermata l’abrogazione del trattenimento in servizio, con deroga parziale per i magistrati, cui la soppressione dell’istituto in parola si applicherà solo dal 2016. Viene, inoltre, resa più stringente la disciplina del collocamento ‘fuori ruolo’ di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede il collocamento obbligatorio in ‘fuori ruolo’ allorché questi soggetti intendano accettare incarichi di diretta collaborazione o consulenza giuridica con un’Amministrazione Pubblica. Tuttavia, vengono fatti salvi i collocamenti in aspettativa già concessi e ancora in essere alla data di entrata in vigore del decreto.

Per quanto riguarda l’urgente questione posta dall’attuale blocco del turn over, sono state riviste le percentuali in riferimento al periodo 2014-2018, diventate adesso più flessibili rispetto ai parametri imposti dall’austerity, in precedenza chiesti dall’Europa e che sul piano operativo hanno dimostrato un’insostenibilità pratica ed una totale irrazionalità giuridica. In pratica, con le modifiche apportate, le Amministrazioni Pubbliche potranno ora assumere nel limite del 20% della spesa relativa alle uscite di quest’anno; tale percentuale passerà poi al 40% nel 2015, fino ad arrivare al 100% nel 2018.

Viene contestualmente consentita l’ulteriore proroga, oltre quella già prevista fino al 31/12/2014, per quei contratti a termine in essere e in passato stipulati dalle Province per specifiche necessità. Inoltre, per alcune tipologie di lavoratori socialmente utili non verranno applicati i limiti di assunzione previsti, ma soltanto nel caso in cui il costo relativo al personale risulti coperto da specifici finanziamenti.

Altra novità in materia pensionistica interessa chi dopo la pensione intenderà accettare incarichi di studio o di consulenza nella Pubblica Amministrazione: potrà farlo, ma solo a titolo gratuito.

I Dirigenti della P.A. potranno essere mandati in pensione a 62 anni, ma è saltato il pensionamento a 68 anni per primari e professori universitari.

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Per qesti ultimi, inoltre, diventerà più facile ottenere l’abilitazione di cui alla L. 240/2010: saranno, infatti, sufficienti 10 pubblicazioni (e non più 12) per presentare la propria candidatura. Saranno altresì rivisti i criteri di valutazione.

In previsione fino al 2019 sono stati “spalmati” i 62 milioni già stabiliti per i prepensionamenti nel fondo triennale per l’editoria. Viene nel contempo fissato per legge l’obbligo di almeno un’assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Per quanto riguarda le provvidenze all’editoria di cui alla L. 416/81, viene finanziata la spesa di 3 milioni per il 2014, di 9 milioni nel 2015, di 13 milioni nel 2016, di altri 13 nel 2017, di 10,8 nel 2018 e di 2 milioni nel 2019. Fissato, inoltre, un altro limite al Fondo straordinario per l’editoria: il finanziamento concesso per i prepensionamenti sarà revocato qualora i giornalisti prepensionati stipulino contratti di collaborazione sia con la testata presso cui già lavoravano sia con un’azienda editoriale diversa, ma facente parte del medesimo gruppo editoriale.

Sul fonte dei dirigenti pubblici, si introduce una norma che ne consente l’assunzione presso gli Enti Locali con contratto a termine e senza concorso. La chiamata diretta vede un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’attuale, che passa dal 10% al 30% dei posti in pianta organica. È poi consentito agli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, di non applicare alcuna limitazione. Con questa disposizione sembrerebbe, quindi, che la dirigenza stia tornando sotto un più serrato controllo della politica.

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Novità anche presso le Camere di Commercio, dove le tariffe delle segreterie saranno ora definite sulla base di costi standard prefissati dal Ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver consultato le società per gli studi di settore e Unioncamere. Il taglio degli importi dovuti alle CCIA sarà graduale nei prossimi tre anni (-35% nel 2015, -40% nel 2016 e -50% nel 2017).

Per quanto concerne l’organizzazione degli Enti Territoriali, resta confermata, invece, l’eliminazione delle quote dei diritti di segreteria e dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali e provinciali.

Sono salve le sezioni distaccate dei Tar, che si trovano nelle città sedi di corti d’appello: Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. La soppressione delle altre sedi slitta di quasi un anno, da ottobre 2014 a luglio 2015.

Per quanto riguarda la disciplina dei lavori pubblici, sono conferiti maggiori poteri all’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di vigilanza. In sostanza, il diritto degli appalti pubblici si arricchisce di un importante elemento di novità: potranno, infatti, essere commissariate anche le società appaltatrici dei lavori, coinvolte in inchieste per casi di corruzione. Inoltre, al Presidente dell’ANAC – attualmente, Raffaele Cantone – verranno assegnati compiti di alta sorveglianza, con l’obiettivo di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere milanesi di Expo 2015. Viene creata, poi, una corsia veloce per accelerare il giudizio amministrativo in materia di appalti: si prevede la possibilità di definirlo con sentenza in forma semplificata pronunciata in udienza fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, con possibilità di rinvio a 45 giorni per effettuare approfondimenti istruttori. Sempre in materia processuale, è previsto un inasprimento delle sanzioni per le cd. ‘liti temerarie’: l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto d’appalto.

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I componenti delle Authority dovranno attendere 5 anni per prima di essere nuovamente nominati a capo di un’altra Autorità. La razionalizzazione delle strutture deve poi prevedere una concentrazione del personale nella sede centrale non inferiore al 70%. Inoltre, i dirigenti di BankItalia ed ISVAP non potranno avere collaborazioni, consulenze o impieghi con i soggetti regolati entro due anni dalla cessazione del proprio incarico.

Per quanto riguarda il personale scolastico, il Governo ha deciso di rimandare a fine mese, con uno specifico provvedimento, la soluzione del problema dei cd. ‘quota 96’, che era stato precedentemente accantonato in Senato. Inoltre, pare che il Ministero dell’Istruzione abbia già iniziato a lavorare su un pacchetto scuola che dovrebbe prevedere concorsi nazionali banditi ogni due-tre anni per l’assunzione di nuovi docenti, insieme al reclutamento per il 50%, derivante dallo scorrimento delle graduatorie.

Come sempre, noi vi terremo aggiornati su tutte le prossime novità.

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Documenti:

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Sintesi del contenuto ed elementi per l’istruttoria legislativa 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Schede di lettura 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-A/R Elementi per l’esame in Assemblea 30 luglio 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-B Schede di lettura 5 agosto 2014

Scarica QUI il testo del decreto DL PA AC 2486 – B

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La Riforma della Giustizia in dodici punti

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di Germano De Sanctis

 

Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha presentato al Consiglio dei Ministri del 30 giugno le linee guida della Riforma della Giustizia, sul cui contenuto si avvierà una fase di consultazione che si concluderà il 31 agosto 2014. Tali linee guida sono suddivise nei seguenti dodici punti che dovrebbero costituire l’ossatura della riforma:

  1. Giustizia civile: riduzione dei tempi. Un anno in primo grado
  2. Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato.
  3. Corsia preferenziale per le imprese e le famiglie
  4. Csm: più carriera per merito e non grazie alla ‘appartenenza’
  5. Csm: chi giudica non nomina, chi nomina non giudica;
  6. Responsabilità civile dei magistrati sul modello europeo
  7. Riforma del disciplinare delle magistrature speciali (amministrativa e contabile);
  8. Norme contro la criminalità economica (falso in bilancio, autoriciclaggio);
  9. Accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione;
  10. Intercettazioni (diritto all’informazione e tutela della privacy)
  11. Informatizzazione integrale del sistema giudiziario
  12. Riqualificazione del personale amministrativo

Innanzi tutto, si deve evidenziare che si tratta solo di linee guida, prive di ogni valenza giuridica, ma finalizzate a sviluppare un dibattito pubblico sul’argomento. Infatti, in coerenza con le decisioni assunte in occasione della Riforma della Pubblica Amministrazione, il Governo ha avviato una fase di consultazione pubblica della durata di due mesi, che terminerà il 31 agosto. Infatti, Il premier Renzi ha voluto invitare i cittadini italiani a «discutere di giustizia in modo non ideologico», riuscendo « ad aprire per due mesi, dal 1° luglio al 31 agosto, un confronto aperto, una pubblica consultazione per discutere di giustizia», utilizzando, l’ormai noto indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it.
Al termine di tale consultazione pubblica, seguirà un nuovo passaggio in Consiglio dei Ministri per il varo del testo normativo vero e proprio.

Esaminiamo nel dettaglio, le novità più salienti contenute nelle linee guida in questione.

 

La durata massima di un anno per il processo di primo grado
Innanzi tutto, le linee guida focalizzano la loro attenzione sulla giustizia civile, la quale dovrebbe essere oggetto di una riforma capace di ridurne i tempi processuali. L’obiettivo del Governo è di far durare i procedimenti civili di primo grado un anno al massimo. A tal fine, a seguito della consultazione pubblica, sarà approvato un disegno di legge in materia (che, secondo il Presidente Renzi, dovrebbe divenire legge entro mille giorni decorrenti dal 1° settembre prossimo), il quale garantirà il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo, in coerenza coni i tempi dei processi civili di primo grado dei Paesi maggiormente industrializzati.

 

Dimezzamento dell’arretrato civile
Un altro aspetto della riforma particolarmente rilevante è rinvenibile nel dimezzamento dell’arretrato del processo civile, oggi attestato sui 5 milioni ,di procedimenti pendenti.
A tal fine s’introdurranno diverse novità normative, come, ad esempio, la previsione che renderà non necessario l’intervento di un giudice in caso di separazione e divorzio consensuali.
In coerenza con tale obiettivo, sarà anche prevista una speciale corsia preferenziale processuale per le imprese e le famiglie.

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura
Un altro punto delle Linee guida riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura, il quale non subirà, nell’immediato, alcun intervento sul suo metodo di elezione, ma riceverà interventi finalizzati a garantire che la carriera dei magistrati si svolga esclusivamente su basi di merito.
Si intende anche modificare il procedimento disciplinare dei magistrati, prevedendo che coloro che saranno deputati a giudicare il loro operato per eventuali mancanze o negligenze non svolgano alcun ruolo nei procedimenti di nomina dei vertici degli uffici giudiziari, e viceversa. In altri termini, ci si avvia verso la separazione delle funzioni amministrative da quelle disciplinari». La riforma delle norme disciplinari varrà anche per la magistratura contabile e amministrativa.

 

Intercettazioni
Per quanto concerne le intercettazioni, il Governo ha comunicato che non esiste alcun testo già redatto. In particolare, è stato precisato che i magistrati devono essere sempre liberi d’intercettare. Infatti, la riforma in questione non intende bloccare la possibilità di effettuare intercettazioni, ma vuole porre solo un limite alla loro pubblicabilità, in caso di vicende personali con collegate alle indagini.

 

 

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Manca un miliardo di euro per la cassa integrazione in deroga

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di Germano De Sanctis

La copertura degli oneri finanziari afferenti alla cassa integrazione ed alla mobilità in deroga (cioè, quelli sostenuti dalla fiscalità generale e non dai versamenti delle imprese) necessita di circa un miliardo di euro per l’anno 2014, il quale non è attualmente nella disponibilità del bilancio dello Stato.
Al contempo, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha reso noto che il Governo non ha in agenda alcun intervento correttivo dei conti pubblici per far fronte a tale emergenza, in quanto non è escluso il fatto che la copertura finanziaria per gli ammortizzatori in deroga venga trovata in sede di Legge di Stabilità, la quale, tuttavia, esplicherà i suoi effetti soltanto l’anno prossimo.
Si tratta di un problema che interessa almeno 50 mila lavoratori, il quali rischiano seriamente di rimanere senza alcun sostegno al reddito, aggravando ulteriormente la situazione occupazionale nazionale.

Inoltre, il Ministro Poletti ha anche chiarito che non è stata ancora presa nessuna decisione sulle modalità attuative dell’art. 2, Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), il quale fissa criteri più rigidi per l’accesso agli ammortizzatori sociali in deroga, limitandone la durata anche e riducendone le forme di utilizzo illecito.
È bene ricordare che la Legge n. 92/2012 prevede, a far data dal 2014, l’uscita graduale dalla cassa integrazione e dalla mobilità in deroga. Per tale ragione, il Governo Letta aveva predisposto un decreto avente ad oggetto la modifica dei criteri per l’accesso alla cassa ed alla mobilità in deroga, riducendo, al contempo, le coperture finanziarie di circa un miliardo di euro. Secondo il Ministro Poletti, permangono tuttora le condizioni tecniche che avevano giustificato la redazione di tale provvedimento, il quale, pertanto, non necessiterebbe di alcun radicale cambiamento.

Comunque, fronte di tali mutamenti normativi, il vero ed attuale problema è rinvenibile nell’assenza di risorse finanziarie adeguate per coprire l’intero costo degli ammortizzatori in deroga per l’anno 2014. Infatti, nei primi mesi di quest’anno, si è dovuto far ricorso all’utilizzo delle risorse afferenti l’anno 2014 per finanziare la cassa in deroga relativa all’anno 2013, la quale sarebbe rimasta altrimenti priva di copertura finanziaria. Di conseguenza, adesso, rimangono scoperte la cassa e la mobilità in deroga dell’anno in corso. Allo stato attuale, come già detto, il Governo non ha approvato ancora alcun decreto e non ha assunto alcuna decisione in merito.

 

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RIFORME: FISCO PIÙ SEMPLICE E LEGGERO.

Nella riforma della Pubblica Amministrazione recentemente presentata è incluso anche uno specifico pacchetto di semplificazioni in materia fiscale, per il quale Consiglio dei Ministri ha, peraltro, già avviato un primo esame ai fini dell’attuazione alla delega fiscale, con l’obiettivo di introdurre la dichiarazione dei redditi precompilata. A tal proposito, il premier Matteo Renzi ha dichiarato: “Abbiamo fatto un primo esame. Il vice ministro Morando lo porterà in Parlamento e la prossima settimana lo approviamo definitivamente.”

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Dunque, la novità è che per il 730 si prevede l’invio di un modulo precompilato direttamente a casa del contribuente. La dichiarazione precompilata dovrebbe in un primo momento essere operativa solo per dipendenti pubblici e pensionati, vale a dire circa 18 milioni su 41 milioni di contribuenti (15 milioni di pensionati e 3 milioni di dipendenti pubblici). Successivamente, la riforma coinvolgerà tutti i lavoratori dipendenti, rendendo la dichiarazione precompilata disponibile per oltre 3 contribuenti su 4. Nel modulo compariranno una serie di informazioni di cui il Fisco già dispone come quelle anagrafiche e reddituali già presenti nel CUD. Si aggiungeranno, poi, le detrazioni per familiari a carico, per lavoro dipendente e pensione.
L’Erario, inoltre, già dispone dei dati sugli immobili, e per chi è in regime di cedolare secca anche dei dati sui beni concessi in locazione e adibiti ad abitazione principale. Ne dovrebbe, quindi, risultare alleggerito il lavoro dei CAF, ai quali potrebbero però essere affidate maggiori responsabilità in termini di certificazione della correttezza.

Per i titolari di p.i. viene, invece, meno il visto di conformità per i rimborsi IVA sopra i 10.000 euro. La norma attuale prevede, invece, l’obbligo di ottenere da un CAF imprese un pre-controllo formale sulla documentazione prima di poter ottenere il via libera al rimborso.

Sale, inoltre, il tetto sotto cui i contribuenti non devono presentare la dichiarazione di successione, qualora gli eredi siano il coniuge e i parenti in linea retta. L’importo, finora fissato in circa 25.800 euro (la norma, entrata in vigore con la vecchia valuta, parla di 50 milioni di lire) adesso passa a 75.000 euro. Semplificazioni ulteriori anche per ciò che concerne la documentazione da presentare, che potrà essere sostituita da un’autodichiarazione.

Le nuove norme fanno venir meno, infine, la responsabilità solidale dell’appaltatore nei casi di elusione contributiva ai danni del personale dipendente. Fino ad oggi, infatti, era previsto che l’appaltatore principale fosse responsabile in solido con il subappaltatore in caso di mancati versamenti da parte di quest’ultimo delle trattenute sui salari dei dipendenti per contributi previdenziali, oltreché per i premi assicurativi obbligatori INAIL. Con la riforma, unico obbligato sarà il solo subappaltatore, quale datore di lavoro dei dipendenti per i quali non risultano (o non risultano interamente) versati i contributi previdenziali e i premi assicurativi.

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Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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Le nuove norme sulla dirigenza pubblica contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 13 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha varato il c.d. “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita”, unitamente ad un altro decreto legge sull’ambiente e l’agricoltura ed ad un disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice”, contenente ben otto deleghe legislative e che, una volta approvato dal Parlamento, mediante un percorso legislativo da concludersi nei prossimi sei mesi, porterà a compimento la riforma della Pubblica Amministrazione avviata con il decreto legge in questione.
Da un punto di vista di tecnica legislativa il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” è un testo “omnibus”, contenente una enorme quantità di disposizioni afferenti a diverse ed eterogenee materie, ma che, al contempo, affronta questioni irrisolte da tempo.
Invece, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” è composto di dodici articoli, contenenti (come detto) otto deleghe legislative al Governo.
Siamo di fronte al quarto tentativo di riforma della Pubblica Amministrazione posto in essere negli ultimi vent’anni. Sicuramente, incontrerà critiche ed opposizioni, così come le incontrarono i predetti provvedimenti proposti illo tempore. Anche stavolta, il tentativo in questione nasce con le migliori intenzioni e con le più forti ambizioni. Tuttavia, dovrà affrontare un confronto serrato con la macchina burocratica statale attraverso una dialettica che si connoterà per una lunga serie di prove di forza poste a cui si contrapporranno i tentativi di preservare gli equilibri consolidati.
Ci sarà tempo per l’analisi più specifica delle singole norme e per l’esame della loro applicazione concreta. Nel frattempo, analizzeremo le novità più interessanti contenute, sia nel decreto legge, che nel disegno di legge delega, dedicando loro una serie di post suddivisi per area tematica, cominciando con la riforma della dirigenza pubblica.

 

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La riforma della dirigenza pubblica rappresenta una degli elementi più salienti dell’impianto riformatore, il quale si connota per la sua volontà d’introdurre criteri di valutazione e di responsabilità più stringenti, unitamente al ridimensionamento del numero massimo di dirigenti in rapporto al numero complessivo dei dipendenti assegnati ad ogni singola Pubblica Amministrazione.
Inoltre, il provvedimento in esame istituisce il ruolo unico dei dirigenti dello Stato, superando le due fasce attuali. Si potrà accedere al ruolo unico, mediante concorso, sia per le amministrazioni centrali, che per quelle periferiche e per le autorità indipendenti.
I dirigenti saranno distinti tra esperti (con professionalità specifiche) e responsabili di gestione.

I dirigenti avranno incarichi a termine di durata triennale. I risultati di ogni singolo dirigente saranno valutati da una Commissione, secondo una nuova e semplificata serie di criteri di valutazione (oggetto di delega), sia della performance individuale realizzata, che degli uffici diretti.
Tale sistema valutativo è direttamente collegato ad una completa ridefinizione del sistema retributivo della dirigenza pubblica, che sarà in parte ancorato all’andamento del PIL. Infatti, il 15% della retribuzione complessiva di risultato sarà agganciato all’andamento del PIL. Tale percentuale variabile sostituirà l’attuale indennità di posizione, che è attualmente definita in misura fissa dalla contrattazione collettiva.

Vi è anche la previsione della licenziabilità dei dirigenti, qualora, al termine di un contratto costoro rimangano senza l’assegnazione di un nuovo incarico per un lasso di tempo congruo, che verrà individuato in sede di approvazione del disegno di legge delega in Parlamento. Il licenziamento in questione sarà anticipato della messa in mobilità del dirigente interessato.
Verrà anche previsto il diritto all’aspettativa per i dirigenti pubblici che decideranno di vivere un’esperienza di lavoro presso datori di lavoro privati o all’estero.
Invece, vi sarà l’introduzione del divieto di assegnare nuovi incarichi ai dirigenti che avranno raggiunto l’età pensionabile (anche alle dipendenze di società partecipate).

A fronte di tali previsioni per i dirigenti di diritto pubblico (cioè assunti mediante concorso), il decreto legge stabilisce anche che, negli enti locali, la quota di dirigenti assunti per competenze specifiche ed al di fuori dal concorso pubblico passerà dal 10% al 30%.

Il Consiglio dei Ministri del 13 giugno ha anche introdotto un’altra novità consistente in una previsione speciale avente ad oggetto i vertici dirigenziali delle ASL. Infatti, è prevista l’introduzione di una graduatoria unica dei candidati direttori generali delle Aziende Sanitarie Locali, al fine di assicurare trasparenza ed evitare che vengano scelti nomi legati al mondo politico o latori di interessi di parte.
Si tratta di una enorme novità, atteso che attualmente, ogni Regione dispone di una propria lista di soggetti dichiarati idonei (secondo propri criteri) e che utilizza ogni qual volta necessiti di nominare un direttore di una ASL.
La norma in questione impone alle Regioni di nominare soltanto chi, dopo aver preso parte ad un concorso pubblico e aver frequentato un corso universitario di formazione in gestione sanitaria, è stato inserito nell’unica graduatoria nazionale, che sarà oggetto di aggiornamento a cadenza biennale.
Inoltre, al fine d’innalzare la qualità delle prestazioni dirigenziali e di creare una reale sistema di responsabilizzazione dei manager sanitari, è stato previsto che il direttore potrà essere dichiarato decaduto, qualora non raggiunga gli obiettivi di gestione o non garantisca l’equilibro di bilancio, unitamente ai livelli essenziali di assistenza nella sua legge. Analoga ipotesi di decadenza è prevista in caso di commissione di violazioni di legge e regolamento e di mancata imparzialità. Il direttore decaduto verrà cancellato dalla lista nazionale.

 

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In estrema sintesi, il ruolo unico della dirigenza, la flessibilità nell’attribuzione degli incarichi, le politiche retributive ed i percorsi di carriera correlati ai meriti ed alle competenze (unitamente alla revisione della disciplina della responsabilità) non possono che essere oggetto di plauso. Tuttavia, non si può nascondere la preoccupazione di come questo impianto riformatore, una volta approvato dal Parlamento, possa realmente sbloccare un settore che si connota per sua eccessiva rigidità e per il suo perdurante immobilismo, per valorizzare e favorire il lavoro delle persone capaci e competenti, sia già appartenenti al ruolo dei dirigenti pubblici, sia provenienti da altre esperienze lavorative.

In tale ottica, l’età media elevata della dirigenza pubblica rappresenta un’opportunità. Infatti, l’esame dei dati statistici evidenzia la possibilità di gestire senza conflitti con le parti sociali il ricambio generazionale di circa il 50% dei dirigenti attualmente in servizio, semplicemente ricorrendo al turn over fisiologico nell’arco di settennio, con l’avvertenza che, tale lasso temporale, è tempo destinato a ridursi in caso di abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, così come proposto dal Governo.
Tale ultima affermazione non vuole esprimere alcuna valutazione negativa sulla qualità della dirigenza pubblica attuale, la quale, al contrario, è una categoria professionale che si distingue per le tante persone di valore che la occupano. Tuttavia, è necessario prendere atto che il blocco del turn over nel Pubblico Impiego, ha provocato una evidente senescenza della Pubblica Amministrazione ed, in particolare della sua dirigenza, la quale si rende particolarmente evidente, quando si riscontra l’incoerenza dei criteri con cui in passato si selezionavano i dirigenti pubblici con le attuali e future esigenze del “Sistema Paese” .
Pertanto, il primo vero problema da affrontare sarà una radicale riforma delle modalità di selezione concorsuali. Il concorso pubblico deve abbandonare le sue modalità tradizionali di svolgimento, finalizzate alla mera verifica di una formazione teorica di base. Invece, i futuri concorsi pubblici per dirigenti dovranno essere rispettosi delle più moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone, tenendo anche conto dei risultati professionali conseguiti, nonché dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro.

 

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RIVOLUZIONE PA: MADIA DISPOSTA A CONFRONTO CON I SINDACATI.

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Forse sarà davvero una rivoluzione, viste le premesse: consultazione dei lavoratori pubblici fino al 30 maggio tramite l’indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it, che ha consentito l’integrazione della prossima riforma con suggerimenti e proposte da parte dei diretti interessati. E l’auspicio è che più che una rivoluzione questa sia un vero e proprio terremoto e una ricostruzione, orientata alla semplificazione e alla tecnologia, ma anche e soprattutto alla valorizzazione delle risorse umane: ce n’è bisogno dopo la spending review del governo Monti, che per limitare la spese ha, tuttavia, aggravato un quadro già negativo a causa delle improvvide riforme dell’ex ministro Brunetta e della sua crociata contro la funzione pubblica. Stavolta non ce lo chiede l’Europa, ma l’Italia: la seconda tangentopoli ha dimostrato quanto la carenza di semplificazione nel rapporto con la P.A. e l’eccesso di burocrazia possano facilitare condotte illecite, di cui francamente preferiremmo fare a meno. Nelle sue intenzioni lo stesso premier sembra aver adottato questa linea, almeno stando alle sue dichiarazioni in seguito all’affare Mose.

Rivoluzione, però, lo sarà questa riforma anche (e finalmente) per un ritorno al confronto con le parti sociali. Dopo un decennio di esecutivi trincerati ed ostili al metodo delle concertazioni (con l’unica eccezione dei due anni di governo Prodi), ora l’annuncio di un incontro tra il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, e tutti i sindacati sulla riforma della P.A. alla vigilia del Consiglio dei Ministri che esaminerà il provvedimento in questione, il prossimo 13 giugno. Il Ministro ha, infatti, convocato le sigle dei lavoratori per la mattinata di giovedì mattina 12, a Palazzo Vidoni, per una riunione in vista degli interventi. E ai 44 punti indicati con il premier Matteo Renzi, a fine aprile, su cui c’è stata la consultazione, ha aggiunto il punto numero 45 sull’agognato rinnovo del contratto del pubblico impiego, attualmente fermo al 2009 (e fino a tutto il 2014). Punto questo, che, nell’ambito della consultazione del Governo, era stato vivamente sollecitato dai sindacati di categoria.

Ritenendo che il blocco della contrattazione abbia “prodotto un danno ingiusto” ai lavoratori pubblici e ricordando l’intervento degli 80 euro in più in busta paga, nel documento che il ministero ha inviato alle organizzazioni sindacali in vista della riunione, la Madia ha affermato che “il tema del rinnovo della parte economica del contratto merita di essere affrontato a partire dal prossimo anno”.

L’incontro con i sindacati, che, comunque, lo stesso Ministro aveva assicurato ci sarebbe stato prima del CdM, sarà a sua volta preceduto dall’appuntamento messo in calendario dalle principali sigle del pubblico impiego, Fp-CGIL, CISL-Fp e UIL-Pa, mercoledì mattina per illustrare le proprie proposte, unitarie, di riforma, che partono dallo riorganizzazione partecipata della P.A. fino allo sblocco del turnover e della contrattazione, senza cui non è neppure possibile parlare di una “vera” riforma.

Sul tavolo del Governo diversi sono i provvedimenti all’ordine del giorno del prossimo 13 giugno: modifica della mobilità volontaria (finora proclamata da ogni Governo, ma di fatto rimasta una sorta di ‘En attendant Godot’) e obbligatoria (anche senza l’assenso del lavoratore, ma con il mantenimento in tale ipotesi dello stesso trattamento economico e precisi limiti geografici); abrogazione del trattenimento in servizio (raggiunta l’età di pensione) che libererebbe oltre 10.000 posti nella PA a costo zero per i giovani (molti dei quali vincitori di concorsi pubblici, imprigionati in graduatorie mai esaurite) e consentirebbe quella staffetta generazionale per un rinnovo efficace ed efficiente dell’Amministrazione; part-time incentivato, considerato un altro strumento utile per creare spazio a nuove assunzioni e favorire conciliazione dei tempi di vita e lavoro e benessere organizzativo; e poi c’è anche la cosiddetta ‘opzione donna’ per le lavoratrici (se scelgono il regime contributivo per andare in pensione con i requisiti ante Fornero). Per coloro vicini alla pensione era anche emersa l’ipotesi di reintrodurre l’esonero dal servizio (con il 65% dello stipendio), ipotesi che, tuttavia, è stata esclusa: nel documento inviato dal ministero ai sindacati, infatti, si ritiene “non opportuno” proporla perché avrebbe un “ritorno marginale oltre che il rischio” di determinare “nuove distorsioni”.

Quanto al turnover, l’obiettivo è di una “urgente” semplificazione, per assicurare maggiori ingressi ma anche consentire a ciascuna Amministrazione più discrezionalità nella programmazione, fermo restando il rispetto dell’equilibrio finanziario: questo anche “ad esempio eliminando il vincolo del computo delle teste”.

C’è poi la questione precariato, una “patologia” con numeri “vergognosi”, come definita nelle settimane scorse dalla stessa Madia, che va superata. Un tema che “chiederemo, nell’incontro di giovedì” che “entri a far parte della riforma”, dice il responsabile dei Settori pubblici della CGIL, Michele Gentile. Un altro di quegli effetti perversi della spending review che, in mancanza di un ricambio generazionale, ha costretto la P.A. ad un eccessivo ricorso all’uso distorto dell’istituto della somministrazione, dei co.co.co. e del t.d., acutizzando un fenomeno, quello del precariato nella Pubblica Amministrazione, la cui soluzione non può attendere oltre.

MDS
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