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Il 43,3% dei giovani italiani è disoccupato

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di Germano De Sanctis

Gli ultimi dati ISTAT relativi al mercato del lavoro nei primi tre mesi del 2014 hanno suscitato un’enorme preoccupazione. Infatti, tre milioni e mezzo di italiani sono in cerca di un’occupazione, portando il tasso di disoccupazione alla cifra record del 12,6% (peraltro, invariato rispetto al mese precedente, ma in aumento dello 0,6% nei dodici mesi). Inoltre, se ci limita ad analizzare il tasso di disoccupazione tra i giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni, quest’ultimo dato raggiunge la percentuale drammatica del 43,3% (tra l’altro, in aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 4,5% su base annua).

Si tratta di una sequenza di dati negativi sul mercato del lavoro che non si era più registrata fin dal lontano 1977. Tra l’altro, il dato statistico è aggravato dal fatto che esso rileva una ancor più profonda spaccatura dell’andamento del mercato del lavoro tra l’Italia Settentrionale ed il Mezzogiorno. Infatti, i primi dati disponibili (anche se non ancora non ancora depurati dai giorni di mancato lavoro) fanno emergere il fatto che, nel primo trimestre dell’anno, a fronte di un tasso medio nazionale di disoccupazione giovanile pari (come visto) al 43,3% (cioè 739.000 giovani tra 15 e 24 anni che cercano lavoro), tale dato, se riferito soltanto al Mezzogiorno, si eleva fino al 60,9%.
Bisogna anche evidenziare che dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, ad esempio, perché impegnati negli studi. Attualmente, il numero di giovani inattivi è pari a 4.405.000, in aumento dello 0,3% nel confronto congiunturale (+14.000) e dello 0,2% su base annua (+11.000).
In particolare, il tasso d’inattività dei giovani tra 15 e 24 anni risulta attestarsi alla percentuale record del 73,6%, segnando una crescita dello 0,3% nell’ultimo mese e dello 0,7% nei dodici mesi.

Inoltre, si deve anche evidenziare che, ad aprile 2014, sono risultati occupati soltanto 898.000 giovani tra i 15 e i 24 anni, evidenziando un calo dell’1,8% rispetto al mese precedente (-16.000) e del 9,2% su base annua (-91.000).
Di conseguenza, il tasso di occupazione giovanile si è attestato al 15,0%, diminuendo dello 0,3% rispetto al mese precedente e dell’1,4% nei dodici mesi.
Il numero di giovani disoccupati, pari a 685.000, è in diminuzione dello 0,2% nell’ultimo mese, ma in aumento del 6,3% rispetto a dodici mesi prima (+41.000).
L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari all’11,4%. Tale incidenza risulta invariata nell’ultimo mese ed in aumento dello 0,8% rispetto allo scorso anno.

Si tratta di cifre allarmanti, che hanno sollevato un coro di dichiarazioni preoccupate da parte di tutte le organizzazioni sindacali e datoriali, anche alla luce dei recenti dati sulla debole crescita del nostro sistema produttivo.

Tale quadro è ulteriormente aggravato da fatto che la percentuale record del 43,3% (la quale interessa l’intera platea dei giovani italiani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni) si affianca e, soltanto in parte, racchiude al suo interno i circa 2.000.000 di scoraggiati (i quali, ormai, non cercano neanche di trovare un’occupazione) ed i circa 2.442.000 NEET (cioè, i giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione, il cui dato statistico è in in crescita del 4,8% cento rispetto allo scorso anno).
In altri termini, il nostro mercato del lavoro è fermo e sarà importante capire, dall’esame prossime rilevazioni statistiche, se il Jobs Act sarà in grado di produrre effetti positivi sui flussi occupazionali.

Il tasso di disoccupazione giovanile al 43,43% rimane ugualmente preoccupante anche se lo si paragona con quello analogo di altri Stati membri dell’Unione Europea che hanno problemi occupazionali analoghi. Infatti, sebbene il nostro dato sulla disoccupazione giovanile sia migliore di quello registrato in Croazia, Grecia e Spagna, al contempo, bisogna evidenziare che, in tali Paesi, la disoccupazione giovanile è in calo, mentre in Italia continua inesorabilmente a crescere.

L’Unione Europea non può ignorare questa situazione di profonda difficoltà di un’intera generazione che dovrebbe essere la culla della futura classe dirigente del Vecchio Continente ed, invece, si trova relegata ai margini del mercato del lavoro, senza poter costruire un percorso professionale, capace di garantire, da un lato, un’adeguata gratificazione individuale, ma, dall’altro, fornire un’indispensabile iniezione di idee ed energie fresche, sempre più necessarie per garantire un modello di sviluppo competitivo per l’economia europea del XXI Secolo.

Tale preoccupazione è ulteriormente rafforzata dalla considerazione che il tasso disoccupazione giovanile ha una curva disomogenea tra i vari Stati membri. Infatti, bisogna riscontrare che, a fronte dei Paesi dell’area mediterranea (ad esempio, Italia, Spagna, Croazia e Grecia), ove la disoccupazione giovanile è particolarmente forte, vi sono territori dell’Europa continentale, dove il fenomeno è molto più circoscritto (ad esempio, Germania ed Austria), se non, addirittura, completamente assente (ad esempio, la Baviera).
Siamo di fronte ad una marcata disomogeneità nelle condizioni del mercato del lavoro all’interno dei singoli Paesi europei, che sta producendo un sempre più marcato dumping sociale, il quale, se non adeguatamente contrastato, minerà irrimediabilmente la coesione territoriale all’interno dell’Unione Europea, tradendo, in tal modo, una delle direttrici su cui di fonda l’istituzione comunitaria in questione.

Pertanto, l’Unione Europea ha l’obbligo di attivare politiche capaci di omogeneizzare e favorire le condizioni di accesso al mercato del lavoro riservate ai giovani, specialmente, con particolare riferimento a quegli Stati membri, come l’Italia, che, in passato avevano una parte dei loro territori (cioè, le Regioni dell’Italia settentrionale) capace di assicurare gli stessi tassi di occupazione giovanile delle zone più evolute d’Europa e che, oggi, hanno perso ogni capacità di promozione e tutela dell’occupazione giovanile. Si tratta della decadenza di territori che, in precedenza, partecipavano fattivamente allo sviluppo dell’intera economia continentale e che attualmente si sono ridotti ad essere bacini produttivi in sofferenza e bisognosi di sussidi occupazionali sempre più ingenti, con evidenti ricadute negative sull’andamento della spesa pubblica dei singoli Stati membri.

Attualmente, l’Unione Europea ha avviato il noto programma comunitario denominato “Garanzia Giovani”. Tuttavia, la Garanzia Giovani non può essere l’unica forma d’intervento posta in essere dalle istituzioni comunitarie per contrastare questo dilagante e preoccupante fenomeno che sta, come detto, minando alle basi l’Unione Europea stessa.
In primo luogo, la Garanzia Giovani ha una dotazione finanziaria modesta, essendo stati stanziati per tutti gli Stati membri circa 6 miliardi di Euro da spendere nell’arco di un biennio.
Inoltre, la Garanzia Giovani è un fondo strutturale e, come tale, ha notevoli costi amministrativi, rispetto al valore economico dei servizi erogati ai beneficiari (cioè i giovani e le imprese) e che incidono significativamente sulla dotazione finanziaria complessiva poc’anzi indicata, riducendo sensibilmente la quota di risorse da destinare esclusivamente alle azioni dirette.
A fronte di queste considerazioni di carattere generale, bisogna anche aggiungere la considerazione che l’Italia (intesa come sistema-Paese) non si è mai distinta (salvo le dovute, ma sporadiche, eccezioni) per la sua capacità di saper spendere efficacemente le risorse dei fondi strutturali comunitari, sia non spendendo tutte le risorse finanziarie assegnatele, sia disperdendole in una moltitudine di piccoli progetti, talvolta anche privi di qualsiasi coerenza sistemica con gli obiettivi di programmazione.

Per cominciare ad contrastare seriamente la disoccupazione giovanile in Europa bisogna, innanzi tutto, avere la consapevolezza dell’inutilità di ogni politica di coesione avente una dimensione esclusivamente nazionale.
Una prima opzione d’intervento comunitaria è rinvenibile nella risoluzione del noto problema della tassazione del lavoro, la quale risulta essere fortemente disomogenea, poiché ogni Stato membro gode di una sua regolamentazione tributaria in materia. Ad esempio, l’Italia è la Nazione europea con il più al tasso di imposizione fiscale sul lavoro (circa quattro volte superiore alla media comunitaria). Un sistema di tassazione sul lavoro omogeneo per tutti gli Stati membri permetterebbe ai giovani europei di godere di un’offerta di lavoro non condizionata da carichi fiscali disomogenei e permetterebbe una immediata armonizzazione delle politiche di coesione.
Analogamente le risorse comunitarie potrebbero essere utilizzate per armonizzare e facilitare l’accesso al credito a favore di tutte le imprese, con particolare riferimento alle quelle di piccole e medie dimensioni.

In estrema sintesi, per aiutare i giovani a trovare lavoro, bisogna intervenire con politiche strutturali comunitarie, capaci di favorire la creazione di posti di lavoro, piuttosto che sostenerne la mera ricerca, poiché nessuna ricerca di lavoro può avere esito positivo se non si sostiene l’economia continentale nell’incrementare la propria capacità produttiva e la propria redditività, con conseguente esigenza, da parte dei datori di lavoro, ad assumere nuove unità di personale giovane ed adeguatamente formato ed istruito.

 

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Il Governo pensa ad un Servizio Civile Nazionale universale per 100 mila giovani all’anno

 

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di Germano De Sanctis

Lo scorso 13 maggio, il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha rese note le linee guida per la riforma del Terzo Settore, prevedendo un confronto esclusivamente on line che si concluderà il prossimo 13 giugno, inviando una e-mail a terzosettorelavoltabuona@ lavoro.gov.it. Al termine di tale consultazione, il Governo presenterà un disegno di legge delega, da vararsi presumibilmente nel corso del Consiglio dei Ministri del prossimo 27 giugno.

La novità di maggior rilievo contenuta nelle predette linee guida è la previsione di un Servizio Civile Nazionale universale, inteso, sia come opportunità di servizio alla comunità, sia come primo approccio all’inserimento professionale, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica.

Appare, quindi, evidente l’intento di rendere il servizio civile un’opportunità di impegno sociale con possibili ricadute occupazionali. Si tratta di una volontà già espressa nell’ambito della c.d. “Garanzia Giovani”, ove il servizio civile rientra nella “rosa” delle nove opportunità da proporre ai giovani under 29 non non occupati e non impegnati in un ciclo di istruzione o formazione (i c.d. “NEET”).

Nello specifico, il Servizio Civile Nazionale universale dovrebbe impegnare i giovani interessati per un periodo di otto mesi, oltre ad un’eventuale proroga di altri quattro. Il Governo calcola una platea di potenziali 100.000 giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni all’anno, per il primo triennio di attuazione del nuovo Servizio Civile. Inoltre, il Servizio Civile Nazionale universale sarà esteso anche agli stranieri e darà diritto ad un rimborso spese.

Il Governo ha, altresì, previsto che  il Servizio Civile svolto produrrà alcuni benefit per i volontari, quali:

  • crediti formativi universitari;

  • tirocini universitari e professionali;

  • riconoscimento delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio;

Il Governo prevede anche la stipulazione di una serie di accordi tra le Regioni e le Province Autonome con le Associazioni di categoria degli imprenditori, le associazioni delle cooperative e del terzo settore, finalizzate a facilitare l’ingresso sul mercato del lavoro dei volontari, anche attraverso la realizzazione di tirocini o di corsi di formazione per i volontari.

Inoltre, è prevista la possibilità di un periodo di servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea avente il Servizio Civile volontario in regime di reciprocità.

Rispetto al modello attuale di servizio civile, il Governo intende passare dai circa 14.000 giovani attualmente coinvolti a circa 100.000 volontari su base annua.

Contestualmente, s’intende ridurre la durata dell’esperienza e coinvolgere in maggior modo le Regioni, le Province Autonome e probabilmente anche gli enti che offriranno la possibilità di effettuare il Servizio Civile. Infatti,il nuovo Servizio Civile dovrebbe durare 8 mesi, eventualmente, come detto, prorogabile di altri 4, e non più direttamente 12 mesi.

Ovviamente, una maggiore partecipazione di volontari comporterà un aumento dei capitoli di spesa dedicati al Servizio Civile, che dovrebbero essere in parte compensati, secondo le stime governative, dal conseguente minore carico imposto agli investimenti diretti a carico dello Stato nei settori interessati.

Un ulteriore abbattimento della spesa potrebbe derivare dalla possibilità di rinunciare all’aliquota del 10% di IRPEF attualmente versata sul rimborso spese.

Inoltre, come già accennato, una parte dei fondi necessari verrà recuperata dal miliardo e mezzo di euro investiti sul progetto “Garanzia Giovani.

Si tratta comunque di uno sforzo finanziario enorme rispetto agli attuali investimenti, in quanto, negli ultimi anni, il bilancio dello Stato ha dedicato al Servizio Civile risorse costantemente decrescenti. Nell’anno 2013, si è scesi alla somma di soli 70 milioni di euro circa da destinare ai bandi. Tuttavia, bisogna anche evidenziare che, in passato, i contributi sono rimasti inutilizzati per mancanza di progetti idonei.

Allo stato attuale, le risorse disponibili per il Servizio Civile hanno permesso la presenza sul territorio nazionale di circa 14.000 volontari, che risultano impegnati presso 3.293 enti accreditati.

I volontari hanno diritto ad un rimborso spese di 433 euro netti. Se le condizioni economiche resteranno invariate, l’obiettivo del Governo di impegnare con questa formula 100.000 giovani all’anno richiederà un investimento che oscillerà tra un minimo di circa 400 milioni di euro ed un massimo di 600 milioni di euro. Infatti, il costo il costo annuo per ogni volontario è valutato in circa € 6.000.

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La difficile situazione delle misure di sostegno all’occupazione giovanile

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La materia delle misure di sostegno all’occupazione giovanile si caratterizza per la totale assenza di qualsiasi forma di coordinamento tra lo Stato e le Regioni, sia in fase di programmazione, che di gestione delle singole attività, con il conseguente rischio di rendere non adeguatamente efficace l’utilizzo di risorse pubbliche.
Infatti, la situazione attuale si connota per la contemporanea sussistenza di misure a sostegno dell’occupazione giovanile, poste in essere da vari attori istituzionali, provocando una elevata frammentazione e/o sovrapposizione degli interventi avviati dallo Stato, dalle Regioni e dalle organizzazioni incaricate (altri enti pubblici, terzo settore, etc.), senza la presenza di un coordinamento e di un sistema di monitoraggio adeguati.
Ne consegue, che tali misure, pur essendo finalizzate a porre in essere azioni di contrasto all’emergenza occupazionale, corrono il rischio di non avere la medesima incisività, che sarebbe garantita da una loro organica programmazione.
Siffatta disfunzione appare ancor più problematica, se si considera che essa non è stata finora affrontata e risolta neanche nell’ambito della nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, con particolare riferimento al “Programma italiano sulla Garanzia per i Giovani”.

Entrando nello specifico, è possibile riscontrare, in primo luogo, iniziative a livello nazionale e contenute in apposite previsioni legislative. Questa tipologia di misure prevede una serie incentivi di tipo contributivo, economico, fiscale e/o normativo.
Per quanto concerne lo sconto contributivo, l’art. 1, Legge n. 99/2013 prevede  un’agevolazione pari a un terzo della retribuzione lorda mensile imponibile ai fini  previdenziali per un periodo di 18 mesi. Tale agevolazione è attivabile tramite l’istituto del conguaglio  contributivo mensile. In ogni caso, questo importo ha un tetto massimo pari ad € 650 mensili. Il medesimo importo è corrisposto per 12 mesi in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto di lavoro a tempo determinato già in essere, a condizione che  ricorrano determinate condizioni soggettive e che rappresenti un incremento dell’organico, Il beneficio in questione non è riconosciuto se il datore ha già ottenuto, per quel lavoratore, il già citato bonus assunzionale di € 650  euro mensili. Inoltre, la trasformazione deve esser accompagnata da un’altra assunzione di (con l’avvertenza che la norma non indica, né una particolare tipologia contrattuale, né  una durata minima del nuovo rapporto di lavoro) di un altro lavoratore, rispetto al quale non è richiesto il possesso di una delle caratteristiche  sopra indicate.
Invece, gli incentivi di tipo economico sono collegati a politiche di promozione dell’occupazione femminile, oppure a programmi di sostegno ai tirocini. Relativamente al sostegno dell’occupazione femminile, l’art. 4, Legge nr. 92/2012, prevede che, in caso di  assunzione di donne di qualsiasi età, purché prive di un impiego regolarmente retribuite da almeno 6 mesi,  sussista una riduzione pari al 50% dei contributi posti a carico del datore di lavoro per un periodo massimo di 12 mesi qualora l’assunzione sia a tempo determinato e di 18 mesi qualora l’assunzione sia a tempo indeterminato. Invece, per quanto concerne i tirocini, l’art. 2, commi 5-bis, 6 e 10, D.L.. nr. 76/2013 (convertito, con modificazioni, nella Legge nr. 99/2013) , ha previsto lo stanziamento di € 2.000.000, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, affinché le Amministrazioni dello Stato prive di proprie specifiche risorse possano corrispondere le indennità per la partecipazione ai tirocini formativi e di  orientamento.
Venendo all’esame degli incentivi di  tipo fiscale, si deve riscontrare che essi si sono concentrati nell’ipotesi di assunzioni agevolate di giovani ricercatori, attraverso specifici finanziamenti previsti nell’art. 14, comma 3, D,M. nr. 593/2000, nell’art. 24, D.L. nr. 83/2012, negli artt. 4 e 5, Legge nr. 449/1997, nell’art. 44, D.L. nr. 78/2010 e nell’art. art. 3, Legge n. 238/2010.
Esiste anche la previsione di un intervento congiunto degli incentivi normativi, contributivi e fiscali con particolare riferimento al contratto di apprendistato così come disciplinato dal D.Lgs., nr. 167/2011 (c.d. Testo Unico dell’Apprendistato). Da un punto di vista normativo, l’art. 7, D.Lgs. nr. 167/2011 prevede che i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti  numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari  normative e istituti. Invece, l’incentivo contributivo degli apprendisti è rinvenibile nella Legge n. 183/2011 (c.d. Legge di Stabilità 2012),  la quale prevede un regime di sgravi contributivi differenziati per le imprese che assumono apprendisti, a seconda che abbiano più o meno di dieci dipendenti. L’incentivo è economico a favore dell’assunzione degli apprendisti è previsto dall’art. 2, D.lgs. n. 167/2011, il quale opera una serie deroghe alle previsioni contenute nei CCNL, relativamente all’inquadramento professionale ed al trattamento economico.

Le citate iniziative legislative sono affiancate da diversi bandi nazionali, attuati in prevalenza da ItaliaLavoro S.p.a.. Si tratta di misure che cercano di attivare specifiche linee di azione a favore dell’occupazione giovanile, attraverso la realizzazione di misure concrete, ma settoriali, nell’ambito del mercato del lavoro.
In tale contesto, si rileva l’importante ruolo svolto dagli interventi a favore della promozione del contratto di apprendistato, con particolare attenzione a quello di alta formazione e ricerca. Il Programma Progetto FiXo – Scuola & Università – Università e alto apprendistato ha previsto a favore dei datori di lavoro che assumono apprendisti l’erogazione di un incentivo pari ad € 6.000 in caso di assunzione con contratto di lavoro a tempo pieno ed ad € 4.000 in caso di contratto di lavoro parziale. Tale intervento prevede un minimo di coordinamento a livello territoriale, in quanto le Regioni sono delegate a dare attuazione al progetto nei rispettivi territori, attraverso l’emanazione di specifici bandi prevalentemente a valere su fondi europei.

Passando all’analisi poste in essere dalle singole Regioni, risulta difficile avere un quadro sintetico ed analitico, in quanto ogni Amministrazione Regionale, con fondi propri, o provenienti dalla programmazione del Fondo Sociale Europeo, si è distinta per la realizzazione di iniziative di tale tenore.
Infatti, basta visitare i siti internet istituzionali delle singole Regioni, per rinvenire una miriade di iniziative, talvolta ben esplicate, altre volte, pubblicizzate in modo oscuro. Tale difformità comunicativa rende anche difficile l’individuazione, sia dell’intera platea dei vari interventi avviati, sia dei criteri di eleggibilità per ottenerli.
Appare evidente come questa nebulosità limiti la capacità d’impatto delle singole misure, in quanto i datori di lavoro rischiano di non avere una idea chiara delle opportunità assunzionali di cui possono disporre nei vari territori, ove operano. Anzi, si corre il rischio che gli imprenditori che operano in più Regioni rilevino come l’incentivo assunzionale posto in essere da una Regione sia più vantaggioso rispetto a quello di un’altra, con conseguenti effetti di “dumping sociale” nei flussi del mercato del lavoro, in quanto potrebbe risultare più conveniente favorire uno stabilimento a discapito di un altro, soltanto perché il primo insiste nel territorio di una Regione che garantisce misure di sostegno più robuste.
Inoltre, alcune Regioni (come, ad esempio, l’Abruzzo) hanno previsto misure di sostegno all’occupazione giovanile molto più sostanziose di quelle nazionali poc’anzi meglio esplicitate.
Inoltre, le misure di sostegno regionali non si distinguono soltanto per la loro diversa capacità di leva finanziaria, ma anche per la loro difformità anche dal punto di vista degli obiettivi, talvolta non sono sempre coerenti fra loro.
Inoltre, alcune misure regionali (realizzate in Campania, Emilia Romagna e Lombardia), si sono concentrate sull’attivazione delle c.d.“staffette generazionali” (realizzate nell’ambito della misura nazionale di Welfare-to-Work “Staffetta generazionale” promossa da ItaliaLavoro), che si sono basate su un assunto concettuale che, in seguito, numerosi studi empirici hanno dimostrato essere errato, ovvero che, per creare lavoro per i giovani, si debba ridurre quello dei più anziani.
Non sono mancate le Regioni che, pur promuovendo l’accesso dei giovani al mercato del lavoro attraverso la massiccia incentivazione del tirocinio (anche di tipo curriculare), accanto a quella dell’apprendistato, hanno comunque dovuto porre in essere misure per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro c.d. “precari”. Inoltre, l’attuazione dei tirocini finanziati a livello regionale si è anche talvolta caratterizzata per il suo spirito meramente assistenziale, cercando di limitarsi a garantire un’occasione d’inclusione (teorica) nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati.

A fronte di questa eterogenea galassia d’incentivi assunzionali, l’acuirsi della crisi occupazionale giovanile ha comportato un significativo aumento delle iniziative d’incentivazione dell’auto-imprenditorialità.
Infatti, le misure di autoimprenditorialità sono state ritenute una valida alternativa alla domanda di lavoro senza risposta. In particolare, i percorsi di autoimprenditorialità sono stati molto sostenuti dalle iniziative poste in essere dalle Regioni, le quali hanno previsto un gran numero di forme di sostegno all’autoimprenditorialità, principalmente caratterizzate dal massiccio ricorso al microcredito ed ai contributi a fondo perduto.
Tuttavia, le valutazioni ex post degli esiti di tali interventi hanno rilevato il rischio di incorrere nell’elevata mortalità delle nuove imprese finanziate, in assenza di adeguati percorsi di preparazione del capitale umano interessato dal percorso di autoimprenditorialità.

Infine, il quadro delle misure di sostegno all’occupazione giovanile risulta essere poco chiaro anche relativamente all’individuazione dei destinatari delle azioni in questione.
Tale scarsa chiarezza è anche dovuta dalla gravità della crisi economica che ha creato enormi difficoltà nell’entrare nel mercato del lavoro a conclusione dei percorsi di istruzione e/o formazione, al punto da ritardare siffatto ingresso per anni. Ne consegue che le misure di aiuto ai giovani si estendono ben oltre i 25 anni (lo standard internazionale), arrivando fino ai 35 anni (sovente in presenza di soggetti laureati), o, addirittura, in alcuni casi si prevedono interventi a favore di “giovani con età non superiore ai 40 anni”.
Tale difficoltà nell’individuare i giovani destinatari delle misure si è riverberato anche nella Garanzia Giovani, la quale dovrebbe essere dedicata ai giovani età compresa tra i 15 ed i 24 anni di età, ma l’Italia sta cercando di estendere il limite massimo a 29 anni, proprio a causa del ritardato ingresso nel mercato del lavoro da parte dei giovani interessati.
Ad ogni buon conto, la Garanzia Giovani, essendo declinata in un Programma Operativo Nazionale che vedrà le Regioni svolgere il ruolo di Organismi Intermedi, potrebbe essere una buona occasione per eliminare le frammentarietà provocate dalle varie misure di sostegno nazionali e regionali, riducendole nell’ambito in un quadro unitario, al cui interno troveranno allocazione le risorse comunitarie allocate.

Germano De Sanctis

Pubblicato il Rapporto sullo stato di avanzamento del “Programma italiano sulla Garanzia per i Giovani 2014-2020”

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Ieri è stato pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il “Programma italiano sulla Garanzia per i Giovani 2014-2020”.

II Rapporto in questione fotografa lo stato di avanzamento del Piano alla data 14 febbraio 2014, confermando l’intenzione ministeriale di avviare il Programma Garanzia Giovani nel corso del primo trimestre di quest’anno, successivamente alla stipulazione dei dovuti accordi con le Regioni, nella loro qualità di soggetti responsabili dell’attuazione delle varie misure.

A tal fine, appare particolarmente rilevante l’introduzione di una nuova piattaforma tecnologica che, per la prima volta, collegherà tutti i Centri per l’Impiego e le altre strutture pubbliche e private per costruire un portale virtuale nazionale, in grado di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Il Rapporto illustra in modo più ampio il Piano Italiano Garanzia Giovani, presentato nel mese di dicembre del 2013, alla Commissione Europea e da quest’ultima approvato nel corso dello scorso gennaio.

In particolare, il Rapporto esamina gli aspetti più squisitamente operativi e si sofferma sullo stato di attuazione di molte misure che configurano questo Programma come un’ampia riforma strutturale del funzionamento del mercato del lavoro italiano, alla quale sono chiamate a partecipare le istituzioni responsabili dell’attuazione (Stato, Regioni, Province) e tutte le componenti della società italiana (imprese e organizzazioni sindacali, associazioni giovanili e del non profit, etc.).

La Struttura di Missione, istituita a giugno 2013 dal D.L. n. 76/2013 presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha coinvolto nella progettazione del Piano tutti gli attori interessati: Regioni, Province, Miur, Mise, Mef, Dipartimento della Gioventù, Unioncamere, Isfol, Italia Lavoro, Inps. Al contempo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha avviato un dialogo e un confronto attivo con la società civile, incontrando quasi 60 associazioni, le cui proposte sono state recepite nel Piano, così da creare un’ampia mobilitazione per rispondere pienamente allo spirito della Raccomandazione del Consiglio europeo sulla Garanzia Giovani.

Il Rapporto sullo stato di avanzamento del “Programma italiano sulla Garanzia per i Giovani 2014-2020” è scaricabile al seguente indirizzo: http://www.lavoro.gov.it/AreaComunicazione/comunicati/PublishingImages/Pages/2014_2_15GG/14-2-2014-RAPPORTO%20GG_ITdef.pdf

Germano De Sanctis