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Il Governo Renzi presenta il suo disegno di legge di riforma della Costituzione.

 

 

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di Germano De Sanctis

Il Consiglio dei Ministri del 31 marzo ha approvato all’unanimità il disegno di legge costituzionale sulla riforma del bicameralismo perfetto e del Titolo V della Costituzione. Il Governo ha tenuto a precisare che testo in questione non è blindato, né, tanto meno, definitivo, in quanto il confronto con i Comuni e le Regioni è ancora in corso relativamente ad alcuni elementi.
Il testo licenziato dal Governo presenta diverse novità rispetto alla bozza presentata lo scorso 12 marzo.

Il superamento del bicameralismo perfetto.

Il bicameralismo perfetto è stato uno dei principi fondanti dell’ingegneria costituzionale al momento della redazione della Carta Costituzionale. Infatti, i padri costituenti, temendo un nuovo colpo di Stato come quello operato dai fascisti nel 1922, hanno previsto la creazione di due assemblee rappresentative dotate di poteri legislativi perfettamente speculari, la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica, in modo da rendere più difficile un attentato alle istituzioni democratiche. Infatti, vi era la convinzione che sarebbe stato più difficile reinstaurare una dittatura, dovendo assumere il controllo di due assemblee rappresentative diverse soltanto nella composizione e nelle modalità elettive.
Oggi, tali timori paiono superati dopo sessantasei anni di vigenza della Costituzione e di esistenza delle istituzioni repubblicane. Anzi, da tempo, molti commentatori ritengono che il bicameralismo perfetto rappresenti, ormai, un inutile fardello capace solo di rallentare la produzione degli atti legislativi. La riforma presentata dal Governo si inserisce nell’alveo di questa corrente interpretativa.
Infatti, il disegno di legge di revisione costituzionale delinea un nuovo sistema bicamerale differenziato, ove soltanto la Camera dei Deputati ha il potere di dare il voto di fiducia al Governo. Inoltre, la Camera dei Deputati si vede riconosciuto il potere di esercitare le funzioni di:

  • indirizzo politico ;
  • attività legislativa ordinaria;
  • controllo dell’operato del Governo.

Invece, per quanto concerne, il Senato della Repubblica, esso muterà anche la sua denominazione in “Senato delle Autonomie”, al fine di sottolineare il forte legame che il nuovo organismo di rappresentanza avrà con le Regioni ed i Comuni.
Il Senato delle Autonomie è inteso come un organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, che partecipa alla funzione legislativa in un’ottica di razionalizzazione del procedimento legislativo, scevra di ogni duplicazione delle competenze tipica del bicameralismo perfetto.
Coerentemente con tale ultima affermazione, il disegno di legge in questione prevede che, salvo i casi di leggi di revisione costituzionale e di leggi costituzionali (che rimangono di competenza di entrambe le Camere), tutte le leggi sono approvate esclusivamente dalla Camera dei Deputati.
Tuttavia, per quanto concerne le funzioni legislative, visto il forte legame esistente tra le istituzioni territoriali ed il Senato delle Autonomie, quest’ultimo può, in alcuni ambiti di interesse delle autonomie territoriali, esprimere proposte di modifica che possono essere superate soltanto da un voto della Camera dei Deputati espresso attraverso un quorum rafforzato della maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le materie oggetto di questa specifica previsione di tutela degli interessi delle istituzioni territoriali sono le seguenti:

  • l’ordinamento, gli organi di governo, la legislazione elettorale e le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città Metropolitane ;
  • le norme generali sul governo del territorio e l’urbanistica ;
  • il sistema nazionale ed il coordinamento della Protezione civile ;
  • le modalità di partecipazione di Regioni e Province Autonome alle decisioni in materia comunitaria ed internazionale;
  • il coordinamento Stato-Regioni in materia di immigrazione, ordine pubblico e tutela dei beni culturali e paesaggistici;
  • la disciplina della finanza regionale e locale;
  • il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei membri degli organi regionali.

Al di là di questo elenco di competenze specifiche, è riconosciuto in capo al Senato delle Autonomie il potere di esprimere un parere su ogni progetto di atto normativo o documento all’esame della Camera dei Deputati. Inoltre, il Senato delle Autonomie ha la facoltà, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge.
Relativamente, invece, alle, funzioni non legislative del Senato delle Autonomie, così come è previsto nel testo vigente della Costituzione, esso ha la competenza in materia di:

  • elezione e giuramento del Presidente della Repubblica ;
  • messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica;
  • elezione di un terzo dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura;
  • elezione di due dei cinque giudici costituzionali di nomina parlamentare.

Infine, il superamento del bicameralismo perfetto si rileva plasticamente nell’introduzione della previsione di una corsia preferenziale alla Camera dei Deputati per l’approvazione in tempi certi, al massimo entro sessanta giorni, di alcuni provvedimenti che il Governo ritiene prioritari. In altri termini, viene rafforzato il ruolo del Governo in Parlamento, prevedendo l’introduzione dell’istituto del voto a data certa, in base al quale il Governo può chiedere alla Camera dei Deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta. Appare evidente che siamo di fronte ad una norma che, se approvata, modificherà gli equilibri tra potere esecutivo e potere legislativo in sede di dialettica parlamentare.

La preoccupazione che un simile potere comprometta eccessivamente gli equilibri trai poteri dello Stato ha suggerito l’introduzione di un adeguato contrappeso, rappresentato dalla previsione normativa che introduce nuovi limiti alla decretazione d’urgenza da parte del Gorverno.

La riforma del Senato.

Il numero dei eletti al Senato delle Autonomie è di 148, alcuni nominati dal Presidente della Repubblica, altri espressi dalle autonomie territoriali.
Il Presidente della Repubblica nomina 21 Senatori, scegliendoli tra coloro che abbiano onorato l’Italia per meriti in campo sociale, artistico, letterario o scientifico. Tali Senatori sono nominati, utilizzando i medesimi stessi criteri attualmente in uso per nominare i senatori a vita. I Senatori di nomina presidenziale restano in carica sette sette anni e non hanno diritto ad alcuna indennità. Nessun cambiamento è previsto relativamente ai Senatori a vita.
Invece, per quanto concerne gli altri 127 Senatori, essi non sono più eletti, ma vengono paritariamente nominati dalle Regioni e dai Comuni. I 127 Senatori espressione delle autonomie locali restano in carica fino alla fine del loro mandato locale e non ricevono alcuna indennità. Venendo ad un esame più dettagliato, i Senatori espressione delle autonomie territoriali sono i seguenti:

  • i Presidenti delle Giunte Regionali e delle Province di Trento e Bolzano;
  • i Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia Autonoma;
  • due consiglieri regionali eletti tra i componenti del Consiglio Regionale di ogni singola Regione (con voto limitato);
  • due sindaci eletti tra i Sindaci di ogni singola Regione (con voto limitato).

Al momento nulla è detto, ma nemmeno escluso, circa un sistema di elezione con rappresentatività proporzionale al numero degli abitanti di ogni singola Regione.
Vista la complessità di quest’ultime previsioni, il disegno di legge di revisione costituzionale rinvia la definizione dei dettagli procedurali ad una specifica legge di attuazione costituzionale.
Risulta interessante evidenziare il fatto che i Senatori espressi dalle autonomie locali eserciteranno tale incarico in virtù di un sistema duale di nomina:

  • nomina automatica per Presidenti delle Giunte Regionali, i Sindaci delle città capoluogo di Regione e per quelli delle Province Autonome di Trento e Bolzano;
  • elezione di secondo grado per i Consiglieri Regionali ed i Sindaci di città non rientranti nella precedente tipologia.

L’abolizione del CNEL.

Il disegno di legge costituzionale prevede l’abolizione del CNEL, ritenendolo, oggigiorno, incapace di corrispondere a quelle esigenze di raccordo con le categorie economiche e sociali, che ne avevano originariamente giustificato l’istituzione.

La riforma del Titolo V della Costituzione.

Il disegno di legge costituzionale si sofferma anche sulla revisione del Titolo V della Costituzione che è già stato oggetto di una controversa riforma ad opera delle Legge Cost. n. 3/2001.
In primo luogo, è prevista la modifica dell’art. 114 Cost. con l’abolizione delle Province. In secondo luogo, si persegue l’obiettivo di razionalizzare le competenze fra Stato e Regioni, attraverso la totale riscrittura dell’art. 117 Cost., con l’eliminazione delle materie per cui è attualmente prevista la legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
La scelta di eliminare la legislazione concorrente è dettata dalla necessità di definire un sistema di governo multilivello più ordinato ed in grado di bilanciare gli interessi nazionali, regionali e locali , nonché idoneo ad assicurare efficaci politiche di programmazione territoriale coordinate, senza i contenziosi istituzionali che sono “fioriti” negli ultimi anni. Di conseguenza, è apparso necessario prevedere il superamento dell’attuale frammentazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, attraverso l’allargamento dell’elenco delle materie di competenza statale esclusiva. Secondo il disegno di legge di revisione costituzionale, sono materie di esclusiva competenza statale, tra le altre:

  • il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ;
  • le norme generali sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ;
  • l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca ;
  • l’ordinamento di Comuni, Città Metropolitane ed enti di area vasta ;
  • il commercio con l’estero, l’ambiente, l’ecosistema, i beni culturali e paesaggistici;
  • le norme generali per la tutela e sicurezza del lavoro.

In contrapposizione alle scelte legislative operate dalla Legge n. 59/1997 (c.d. “Legge Bassanini”) e dalla citata Legge, Cost. n. 3/2001, le quali definivano come “residuali” le competenze legislative statali, il disegno di legge di riforma costituzionale in questione prevede prioritariamente le materie di competenza esclusiva statale, per, poi, specificare che quelle non rientranti in tale ambito di competenza sono da annoverarsi, in forma residuale, nell’ambito della competenza esclusiva regionale.
Tuttavia, la riforma in questione prevede, altresì, una “clausola di supremazia statale”, la quale riserva allo Stato il potere d’intervenire anche sulle materie di competenza regionale. Tuttavia, quest’ultima norma è stata “controbilanciata” da un ulteriore previsione normativa che dispone la possibilità in capo allo Stato di delegare, anche temporaneamente, alle Regioni la funzione legislativa nelle materie di propria competenza esclusiva.

I tempi della riforma.

Come è noto, il processo di approvazione di una legge costituzionale è molto lungo e prevede che la legge sia approvata con una maggioranza semplice da entrambi i rami del Parlamento una prima volta. Poi, a distanza di tre mesi, lo stesso testo deve essere di nuovo approvato da tutte e due le Camere con una maggioranza qualificata, rappresentata dai due terzi dei suoi componenti.
Qualora questa maggioranza non venga raggiunta, si devono aspettare ancora tre mesi. In questo periodo di tempo, un quinto dei membri di una delle due Camere, ovvero 500.000 elettori, o cinque Consigli Regionali possono chiedere l’indizione di un apposito referendum costituzionale per approvare o respingere la riforma.
Si ricorda che, per il referendum costituzionale, non è richiesto il raggiungimento di un quorum.
Se nei tre mesi di pausa la richiesta di referendum non viene presentata, la legge viene approvata automaticamente.

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La riforma delle Province è stata approvata dal Senato con il voto di fiducia.

 

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di Germano De Sanctis

Il voto di fiducia al Senato

Ieri sera, dopo un serrato e sofferto confronto, il Senato ha approvato il Disegno di Legge “Delrio” avente ad oggetto la riforma delle Province. Adesso, il testo modificato dal Senato tornerà all’esame della Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva.

Tale risultato è stato raggiunto, dopo che il Governo ha deciso di sottoporre al voto di fiducia un maxiemendamento, contenente il testo già approvato dalla Camera dei Deputati, le modifiche apportate dalla Commissione Affari Costituzionali ed alcuni emendamenti proposti dalla Commissione Bilancio.
La presentazione di tale maxiemendamento è stata ufficializzata nell’aula del Senato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, la quale ha anche comunicato la volontà da parte del Governo di porre la questione di fiducia.
La decisione di blindare con il voto di fiducia il testo di riforma delle Province è stata presa durante un breve Consiglio dei Ministri tenutosi ieri mattina ed è stata assunta a causa delle difficoltà sorte nel corso della giornata del 24 marzo, quando la maggioranza è risultata sconfitta in due occasioni, prima in Commissione Affari Costitituzionali, durante la votazione dei singoli emendamenti, e, poi, in Aula, durante la votazione delle pregiudiziali di costituzionalità bocciate per tre soli voti di differenza. Pertanto, al fine di evitare ulteriori e sgradite sorprese, la maggioranza ha optato per porre la questione di fiducia sul testo che dovrebbe riformare radicalmente le Province.

La fiducia all’esecutivo è passata con 160 voti a favore e 133 voti contrari. Per la prima volta il Governo Renzi. già al suo quarto voto di fiducia, rimane sotto l’asticella della maggioranza assoluta. Si evidenzia che, al momento del suo insediamento, il Governo Renzi aveva ottenuto 169 voti a favore e 139 voti contrari. Secondo alcuni commentatori politici, tale risultato è il prodotto dei malumori che serpeggiano nella maggioranza.

Nonostante l’avvenuta approvazione del predetto maxiemendamento, continuano a permanere i dubbi concernenti gli effettivi risparmi garantiti dalla riforma in questione. Secondo le stime governative, una volta messa a regime, la riforma dovrebbe generare un risparmio di 111 milioni di indennità non più erogate e di 318 milioni di euro per mancati turni elettorali, in virtù dell’eliminazione degli assessori e delle elezioni provinciali. Invece, in sede di dibattito sul maxiemendamento in Commissione Bilancio del Senato, qualcuno non ha nascosto le proprie riserve sui reali risparmi, che potrebbero derivare dal testo finale del disegno di legge “Delrio”, alimentando, anzi, lo spettro di un aggravio di costi. Soltanto l’esame del Decreto del Presidente della Repubblica attuativo di tale riforma (ed espressamente previsto dal maxiemendamento) potrà sciogliere siffatti dubbi.

Fatte queste dovute considerazioni, passiamo all’esame delle novità più rilevanti contenute nel testo di legge approvato.

La trasformazione delle Province in enti territoriali di area vasta.

Nell’attesa della riforma costituzionale avente ad oggetto l’abolizione delle Province, quest’ultime sono trasformate in “enti territoriali di area vasta”, amministrati da organi di secondo livello e con specifiche competenze residuali soltanto in materia di edilizia scolastica, pianificazione dei trasporti e tutela dell’ambiente.
Le restanti funzioni esercitate dalle Province saranno trasferite alle Regioni e/o ai Comuni secondo quanto verrà disposto da un apposito Decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, a seguito di specifico confronto in seno alla Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.
Nessun problema per il mantenimento in servizio degli impiegati pubblici alle dipendenze delle Province, i quali continueranno a lavorare nelle strutture che li vedono attualmente occupati, mantenendo il medesimo stipendio.

Per quanto riguarda gli organi di rappresentanza delle nuove Province, sono previsti un Presidente eletto fra i Sindaci dei Comuni che fanno parte della Provincia, un Consiglio Provinciale (composto da un numero ristretto di Sindaci e Consiglieri Comunali) ed un’Assemblea dei Sindaci. Costoro percepiranno soltanto l’indennità loro spettante come Sindaco o come Consigliere Comunale.

L’entrata in funzione del nuovo assetto provinciale dovrebbe avvenire il 1° gennaio 2015. Nel frattempo, non saranno più celebrate le votazioni per il rinnovo di Presidenti e Consigli Provinciali. Si ricorda che, il 25 maggio prossimo, si sarebbero dovuti rinnovare gli organi di rappresentanza di ben 52 Province, le quali, saranno commissariate come già avvenuto ad altre 23 Province nel corso del biennio 2012-2013. Tutte le Province commissariate saranno amministrate fino a gennaio 2015 dall’attuale Presidente in veste di commissario.

La creazione delle città metropolitane.

Una delle novità più importanti contenute nel testo di legge approvato consiste nella creazione di dieci città metropolitane. Il territorio di ogni singola città metropolitana coinciderà con quella della omonima Provincia soppressa. Il testo ne prevede nove: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria. Accanto a tali città metropolitane, bisogna tenere conto del fatto che Roma assume lo status di Capitale.

Inoltre, il testo prevede la facoltà di creare ulteriori città metropolitane nelle Regioni a Statuto Speciale. Ne sono state già create cinque: Palermo, Messina, Catania, Cagliari e Trieste. Le modifiche apportate dal Senato rispetto al testo licenziato dalla Camera dei Deputati hanno escluso la sussistenza dello status di città metropolitana rispetto a Brescia, Bergamo, Salerno, Varese e Monza.
Il testo dispone che la città metropolitana venga gestita da un Sindaco Metropolitano e da due assemblee, entrambe presiedute da Sindaco medesimo. Si tratta del Consiglio Metropolitano e della Conferenza Metropolitana. Ovviamente, siffatti organi collegiali subentrano in seguito alla soppressione della Giunta Provinciale e del Consiglio Provinciale.
Le Città metropolitane dovrebbero anch’esse entrare in funzione il 1° gennaio del 2015. Il Sindaco del Comune capoluogo dovrà indire entro il 30 settembre del 2014 le elezioni, di secondo grado, per la creazione di una conferenza statuaria. Nelle more del varo dello statuto rimane in carica, fino al 31 dicembre 2014, il Presidente della Provincia (il quale sarà retribuito) e la Giunta in carica (con l’avvertenza che i suoi componenti non percepiranno alcuna indennità).

Le Unioni di Comuni.

Il testo di legge approvato prevede la possibilità di realizzare più Unioni di Comuni nell’ottica di ottimizzare e semplificare i servizi resi alla cittadinanza. Tutti gli organi di rappresentanza delle Unioni di Comuni svolgeranno le loro funzioni a titolo gratuito.
Anche in tal caso, il testo approvato dal Senato ha introdotto alcune modifiche rispetto al testo approvato dalla Camera dei Deputati. Ad esempio, il nuovo articolato dispone che, nei Comuni con una popolazione inferiore a 3.000 abitanti, il Sindaco possa restare in carica per tre mandati, invece di due. Inoltre, è stata reintrodotta la presenza dei Consiglieri Comunali nei piccoli Comuni, con un numero crescente legato alla popolazione. Tali modifiche hanno suscitato non poche polemiche durante il dibattito in Aula. Infatti, le opposizioni hanno eccepito che tale previsione introduce ulteriori 26.000 cariche elettive, mentre il Governo e la sua maggioranza hanno risposto che la modifica non comporterà nuove spese aggiuntive.
Infine, il testo ha introdotto anche una norma per la democrazia paritaria con un rapporto fra il 60% ed il 40% per cento fra i generi, ma soltanto a far data dall’anno 2017.

La riduzione dei costi.

Uno degli temi centrali della riforma in questione concerne il risparmio economico sulle indennità che oggi ricevono i Presidenti, gli Assessori ed i Consiglieri Provinciali. Su tale aspetto sono sorti dubbi in Commissione Bilancio del Senato.
A tal proposito, la riforma ha ricevuto il parere positivo da parte della Ragioneria dello Stato, la quale ha evidenziato che, nonostante i rilievi della Commissione Bilancio circa un possibile aumento delle spese future, il costo di 1774 amministratori provinciali, per il solo anno 2011, è stato di 111 milioni di euro. Inoltre, bisogna tenere conto del risparmio generato dalle mancate nuove elezioni provinciali, il cui costo è stato stimato in 318, 7 milioni di euro, di cui circa 118,4 milioni di euro a carico dello Stato.
Ovviamente, l’approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati del testo modificato ieri al Senato taglierebbe ulteriormente i costi ancora previsti per gli amministratori provinciali. Secondo le stime governative, se il provvedimento sarà approvato velocemente e, di conseguenza, non vi sarà più l’obbligo di celebrare le elezioni amministrative provinciali previste per il 25 maggio prossimo, il risparmio totale dovrebbe essere di oltre 400 milioni di euro.

Il trasferimento delle competenze.

Il Governo ha l’intenzione di avviare un percorso, sia legislativo, che amministrativo, capace di non generare disagi in capo ai cittadini interessati dalla riforma dell’amministrazione provinciale. Il testo approvato dal Senato dispone che, in attesa che la riforma del Titolo V elimini la previsione costituzionale in materia di Province e ridefinisca i rapporti tra lo Stato e le Regioni, unitamente alle competenze legislative di Camera dei Deputati e Senato, l’assetto amministrativo vigente non verrà stravolto.

Infatti, le Città metropolitane e gli “enti territoriali di area vasta” continueranno a ricevere i finanziamenti attualmente loro spettanti e rimarranno titolari degli immobili di loro proprietà, relativamente alle funzioni che rimarranno in capo alle nuove Province.
Inoltre, relativamente al trasferimento di funzioni, gli dipendenti provinciali occupati nell’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento, conserveranno il posto di lavoro e continueranno a svolgere i loro compiti presso le amministrazioni riceventi le funzioni, le quali ne cureranno il corretto esercizio del rapporto di lavoro, sotto ogni profilo (ovviamente, anche retributivo e contributivo), senza soluzione di continuità.

Le funzioni fondamentali che permarranno in capo alle nuove Province riguarderanno la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, l’ambiente, il trasporto e l’edilizia scolastica. Inoltre, i nuovi organismi avranno il compito di assistenza amministrativa ai Comuni, il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, le pari opportunità sul territorio provinciale. D’intesa con i Comuni, le nuove Province potranno esercitare anche le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive.

Infine, come già accennato, il trasferimento di tutte le altre funzioni attualmente ricadenti nella sfera di competenza delle Province, sarà oggetto di un apposito Decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro sei mesi dall’approvazione della presente legge, d’intesa con la Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.