
di Michele De Sanctis
C’era una volta una strana bambina che, scappata dall’orfanotrofio, era andata a vivere da sola tra le rovine di un anfiteatro di una grande città. Agli abitanti dei dintorni, che la guardavano incuriositi, diceva di chiamarsi Momo e di non conoscere la sua età. Subito dopo il suo arrivo, però, si era già conquistata la fiducia e la simpatia di tutti: chiunque avesse un problema andava da Momo che non dava consigli e non esprimeva opinioni. Semplicemente si limitava ad ascoltare l’interlocutore, che, da solo, trovava la risposta ai suoi quesiti. Era l’ascolto, che Momo offriva. Era il suo tempo. Un giorno, però, giunsero in città gli agenti della Cassa di Risparmio del Tempo, signori grigi che miravano ad impadronirsi del tempo degli uomini, indispensabile per la loro sopravvivenza. Al di là della storia, che in molti conoscono, il tema centrale del libro è quello del tempo, anzi, del modo in cui esso viene impiegato nella moderna società occidentale. Ed è del tempo che oggi voglio parlarvi. Del tempo, come bene economico.

I signori grigi sono tra noi, siamo noi stessi, vivendo della frenesia contemporanea, a quel ritmo consumistico e compulsivo che Ende criticava, simbolicamente, nella storia di Momo. Il progresso tecnologico e produttivo ci ha, infatti, lasciato perdere di vista l’obiettivo della qualità della vita, del piacere di assaporare, nell’attimo, le piccole cose belle della vita. Se poi ai ritmi frenetici con cui ai tempi della crisi si rincorre la meta della competitività, aggiungiamo salari inadeguati, precarietà e, in generale, l’umana necessità di sopravvivere nelle jungle urbane del XXI secolo, il tempo da dedicare alla felicità è davvero poco, forse non ne abbiamo proprio. Ma c’è un modo per recuperare le ore perdute? In effetti, non sarebbe male se, ad un prezzo alla portata delle tasche di tutti, potessimo comprare il tempo che altrove ci viene sottratto.

Anche il lavoro che svolgiamo è, in realtà, misurato in ore ed è per quelle ore lavorate che si percepisce un salario. Ma il tempo retribuito è tempo sottratto a noi stessi, alla nostra felicità personale. Comprare del tempo, pertanto, sarebbe come acquistare la possibilità di essere felici. Pensate se, ad esempio, una volta usciti dai vostri uffici, poteste passeggiare liberamente nel parco, scambiare quattro chiacchiere con i vostri amici davanti a un Apertas o a uno Spritz, piuttosto che andare alle poste e mettervi in fila per ore, dedicarvi alla cura della famiglia o a quei piccoli lavoretti che in ogni casa ci sono sempre da fare. Immaginate se ci fosse qualcuno disposto a farlo per voi a un prezzo forfettario. Qualcuno disposto a vendervi il proprio tempo. Sigori grigi, Momo è entrata nel mercato ed è disposta ad ascoltarvi, anzi, di più, a darvi una mano. E siccome è una lavoratrice autonoma, non vi chiederà altro che il giusto corrispettivo per ogni singola prestazione, come da tariffario. La sua è un’obbligazione di risultato.

Ma a Momo conviene? Certo, perché se Momo lavora solo sei ore al giorno per dieci euro all’ora, ogni giorno avrà guadagnato 60 euro, se lo fa per cinque giornate lavorative a settimana arriverà a 1200 euro lordi in un mese, che è molto più di quanto avrebbe percepito restando per otto ore al giorno in un call center. Momo avrà ottenuto una mensilità dignitosa, ma, nel contempo, non avrà rinunciato alle sue ‘orefiori’. Ma anche il manager, l’impiegato e perfino la casalinga, che si sono avvantaggiati delle prestazioni offerte da Momo avranno guadagnato un’ora di vita al ragionevole prezzo di dieci euro. La segretaria che si è rivolta a Momo affinché questa si recasse al supermercato al posto suo, oggi è potuta andare alla recita dei suoi figli e quanto vale un’ora con vostro figlio? Dieci euro? O di più?

La storia raccontata da Ende è qualcosa di più di una semplice fiaba, è un libro sul valore del tempo, il tempo da dedicare agli altri, a noi stessi, alle cose che ci fanno star bene e ai nostri pensieri. Ma se questo tempo viene sottratto da ritmi lavorativi sempre più frenetici, cercare di risparmiar tempo adesso, per essere felici poi, altro non fa che spegnere la vita, distruggendo così il tempo stesso. Diversamente, vivere consuma sì il tempo, ma ne conserva la qualità vitale. La fiaba di Ende racconta l’antico conflitto tra la vita e la morte in termini più sottili e moderni: a Momo, la bambina capace di ascoltare tanto da udire e fare udire le musiche, i silenzi e le avventure della vita interiore, si oppongono i signori grigi, nebbiosi, freddi e insinuanti che possono trasformare la vita in un vuoto insensato e ripetitivo e il cuore umano in un luogo sterile e chiassoso. Se non è possibile, al giorno d’oggi, opporsi a questi signori, possiamo, però, sconfiggerli, pur continuando a giocare alle loro regole, posto che riuscire a volare tra i petali e ridare agli uomini il tempo perduto è pressoché improbabile.

Se, quindi, pensavate che l’unica cosa che il denaro non potesse comprare fosse proprio il tempo, vi sbagliavate. La mia non era solo teoria. C’è, infatti, gente che offre di ‘vendere’ il proprio tempo agli altri. La settimana tra scuola o lavoro, impegni vari, sport, imprevisti, hobby disparati si riempie subito e con molta facilità, tant’è che diventa praticamente impossibile realizzare tutto. Avremmo bisogno di un clone per farcela.
Pioniera in questa fetta di mercato finora ignorata è stata qualche anno fa una donna cinese, Chen Xiao, che, dopo aver perso il lavoro e aver sofferto per il terremoto del Sichuan, ha avuto l’idea di vendere il suo tempo alle altre persone. Molto semplicemente, ha iniziato a fare quello che gli altri le chiedevano, vendendo la propria vita secondo un tariffario ben preciso: otto minuti per un euro. Non parliamo di proposte indecenti o ai margini della legalità, ma di impegni quotidiani. Le richieste per Chen Xiao variavano dalla consegna di un libro a una persona che lo aveva dimenticato all’università, al portare un caffè, al ritirare lettere presso l’ufficio postale o altro. Sempre per conto di terzi. Vi dirò di più, la donna ha svolto anche occupazioni in cui davvero sembrava immedesimarsi nell’altra persona: leggere un libro, vedere un film, comunicare un messaggio, e così via. E ancora, richieste di andare a svegliare una persona ad una determinata ora, incoraggiare qualcuno, chiedere scusa a un altro. Il risultato? La sua idea non è andata per nulla male: nel primo mese accumulò una cifra che corrispondeva a circa 1250 euro. Aveva inventato un lavoro.

Anche in Italia la crisi ha portato qualcuno a scoprirsi ‘tuttofare’, vendendo, appunto, il proprio tempo e riuscendo a sopravvivere alla disoccupazione. E’ solo di qualche mese fa la notizia di un meridionale trapiantato a Milano che per dieci euro all’ora si offriva di svolgere le nostre piccole e noiose commissioni quotidiane. Ed oggi è sempre più frequente trovare in rete annunci simili, provenienti da ogni regione.
A ciò si aggiungano, inoltre, le Banche del Tempo, associazioni no profit, nate in Gran Bretagna ed oggi molto diffuse anche da noi, che, in cambio di tempo e di un eventuale rimborso spese, offrono ai soci lezioni di cucina, di manutenzione casalinga, accompagnamenti e ospitalità, baby sitting, cura di piante e animali, scambio, prestito o baratto di attrezzature varie, ripetizioni scolastiche e italiano per stranieri. Anche il tempo dedicato all’organizzazione, all’accoglienza, e alle riunioni o feste viene in genere valutato come tempo scambiato e quindi accreditato o addebitato nel conto personale del socio. Il tempo viene, praticamente, ‘conferito’ nel patrimonio della Banca: ciascun socio, infatti, mette a disposizione qualche ora per dare ad un altro socio una certa competenza. Le “ore” date vengono “calcolate” e “accreditate” ovvero “addebitate” nella Banca. Può succedere, così, che non sia la stessa persona a “rimborsarle”, ma un’altra. Impropriamente, dunque, potremmo dire che il conferimento delle ore sostituisce quello dei beni nel capitale societario.

Siete ancora sicuri che il tempo non sia un bene economico? Sebbene l’idea possa sembrarvi eccentrica e particolare, bisogna, però, pensare come il limite del tempo sia uno dei più grandi freni a cui è ancorato l’uomo dei nostri tempi. Negli ultimi anni il progresso ha fatto passi da gigante, ma nulla è ancora riuscito né a renderci immortali, né a permetterci di fare più cose contemporaneamente. La clonazione umana esiste solo nei film e, d’altra parte, il nostro cervello non è capace di gestire consciamente pensieri diversi nello stesso momento; oltretutto, è impossibile trovarsi fisicamente in posti diversi, la bilocazione appartiene ai santi, non agli uomini. Per giunta, sebbene da Adam Smith in poi nei processi produttivi sia divenuta prassi quella di suddividere un’operazione tra diversi individui, ognuno atto ad uno specifico compito, ciò, tuttavia, non è possibile per quanto riguarda strettamente la persona in sé: non possiamo domandare a qualcuno di imparare qualcosa per noi, come non possiamo chiedere che magari esca al posto nostro con i nostri amici. Questi soggetti, che ho chiamato ‘mercanti del tempo’, servono proprio a consentirci di fare ciò che non possiamo delegare ad altri: vivere. E noi stessi possiamo entrare in questo business. O, più modestamente, contribuire, su base volontaria, alla Banca del Tempo più vicina alla nostra comunità. Il nostro tempo ha un valore!

Siete ancora scettici? Pensate che un’ora sola non basti? Ovviamente, questo dipende da voi. Di una cosa io sono certo: se il tempo è suscettibile di valutazione economica, il prezzo della felicità che deriverà da questo acquisto non è stimabile. La felicità appartiene, infatti, ad ognuno di noi ed è soltanto nostra, come nostra ne è la percezione. La felicità non ha prezzo perché è soggettiva (quanto effimera), perciò, se domani qualcuno suonerà al vostro campanello, proponendovi l’acquisto di un’ora di felicità, chiudetegli la porta in faccia: è soltanto un ciarlatano!

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