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Le novità contenute nel Decreto correttivo del Jobs Act in materia di lavoro accessorio

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di Germano De Sanctis

Premessa. Lo scorso 8 ottobre è entrato in vigore il D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 185, il quale ha corretto o integrato i vari decreti legislativi attuativi del Jobs Act. In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 185/2016 ha novellato l’art. 49, comma 3, D.Lgs. 81/2015 in materia si lavoro accessorio. Esaminiamo insieme le novità introdotte.

Il dato normativo. I committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono obbligati, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, mediante sms o posta elettronica, i seguenti dati:

  • i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore;

  • il luogo dove avverrà la prestazione;

  • il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione.

Invece, i committenti imprenditori agricoli devono a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità poc’anzi descritte, i seguenti dati:

  • i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore;

  • il luogo dove avverrà la prestazione;

  • la durata della prestazione con riferimento ad entro un arco temporale non superiore a 3 giorni.

Pertanto, i committenti imprenditori agricoli non devono comunicare l’inizio e la fine della prestazione.

Non è previsto l’obbligo di comunicazione in questione in presenza di:

  • enti pubblici;

  • attività non commerciali;

  • imprese familiari;

  • lavoro domestico.

In caso di violazione di tale  obbligo di comunicazione, è comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da € 400 ad € 2.400, in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione medesima. Relativamente a tale sanzione, non si applica la procedura di diffida prevista dall’art. 13 D.Lgs. n. 124/2004.

La novella legislativa in esame prevede che, con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali possono essere individuate nuove modalità applicative e di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie.

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Primi problemi pratici legati alla comunicazione. Il legislatore ha voluto limitare eventuali abusi nell’utilizzo delle prestazioni di lavoro accessorio. A tal fine, ha previsto in capo a chi utilizza tali prestazioni, l’obbligo di comunicare via sms o posta elettronica l’intenzione di usare i voucher per lavoro accessorio prima che inizi la prestazione stessa.

In realtà, non si tratta di una novità assoluta, in quanto tale obbligo era già previsto, ma la novella lo ha reso più stringente. Infatti, in precedenza, la comunicazione in questione prevedeva un più ampio periodo di 30 giorni. Adesso, invece, la comunicazione deve essere effettuata ogni volta che viene utilizzato il voucher. Ne consegue che è necessaria ripetere la comunicazione più volte nell’arco della stessa giornata, qualora vengano effettuate ore di lavoro frazionate.

Abbiamo visto che la comunicazione telematica alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha un contenuto vincolato individuato in modo dettagliato. Invece, la norma non indica specificatamente il numero di telefono o la casella di posta elettronica da utilizzare rispettivamente per l’invio dell’sms o della email. Inoltre, l’operatività della nuova previsione normativa non è condizionata dall’emanazione di alcun apposito decreto ministeriale. Quindi, è già vigente e vincolante. 

A tal proposito, ci viene in aiuto la relazione di accompagnamento del D.Lgs. n. 185/2016, la quale ha precisato che la comunicazione preventiva deve essere effettuata utilizzando le modalità previste per il lavoro intermittente, relativamente al quale l’sms è inviato al numero 3399942256 e l’email è inviata all’indirizzo intermittenti@pec.lavoro.gov.it. Tuttavia, per il momento, non esiste alcun atto amministrativo che conferma questa conclusione, in quanto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali non ha ancora fornito indicazioni in materia. Ad ogni modo, stante il silenzio della prassi amministrativa, la scelta di inviare l’sms o la email agli indirizzi esistenti per il lavoro intermittente pare essere una soluzione prudente, in quanto permette al committente di provare, in sede di accertamento ispettivo una “data certa” della comunicazione.

In alternativa, si potrebbe ottenere lo stesso risultato, continuando a utilizzare la modalità prevista finora per la comunicazione telematica prevista per i voucher, con l’accesso a un’apposita sezione esistente sul sito internet dell’INPS.

Ognuna di queste due modalità di comunicazione dovrebbe tutelare il committente dal rischio di incorrere nella comminazione della sanzione introdotta dal D.Lgs. n. 185/2016, nelle more del rilascio di indicazioni ufficiali da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

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La sanzione amministrativa pecuniaria. Come abbiamo visto, il D.Lgs. n. 185/2016 ha introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria non diffidabile di importo variabile da un minimo edittale di € 400 ad un massimo edittale di € 2.400, in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.

Questa sanzione si può cumulare alla maxisanzione sul lavoro nero, la quale, lo si ricorda, era applicabile già prima della novella legislativa in esame in presenza di un utilizzo illecito dei voucher.

Inoltre, si ricorda che il numero di prestatori di lavoro accessorio non oggetto di comunicazione preventiva all’Ispettorato Territoriale del Lavoro concorre al calcolo della percentuale complessiva del 20% di lavoratori sconosciuti alla Pubblica Amministrazione al momento dell’accesso ispettivo, il cui raggiungimento comporta la comminazione della sospensione dell’attività imprenditoriale ex art. 14 D.Lgs.  n. 81/2008.

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INPS: ASSEGNI FAMILIARI E QUOTE DI MAGGIORAZIONE DI PENSIONE 2016.

Dal 1° gennaio 2016 sono stati rivalutati, come ogni anno, i limiti di reddito per gli assegni familiari e le quote di maggiorazione di pensione, oltreché i limiti di reddito mensili ai fini dei diritto agli stessi assegni.

MDS – BlogNomos

Con circolare n. 211 del 31 dicembre 2015, l’INPS ha reso note le tabelle dei limiti di reddito familiare da applicare ai fini della cessazione o della riduzione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione di pensione. Nella stessa circolare sono stati altresì rivalutati i limiti di reddito mensili da considerare ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari.

Fate attenzione, perché non stiamo parlando dell’assegno al nucleo familiare. Gli assegni familiari sono una diversa prestazione rispetto all’ANF che l’INPS eroga a sostegno delle famiglie di alcune categorie di lavoratori italiani, comunitari ed extracomunitari attivi sul territorio italiano, il cui nucleo familiare abbia un reddito complessivo al di sotto dei limiti che tra poco illustreremo.

L’assegno familiare, in particolare, spetta:

– ai coltivatori diretti, coloni e mezzadri;

– ai piccoli coltivatori diretti;

– ai titolari delle pensioni a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri).

Diversamente, l’assegno al nucleo familiare spetta ai lavoratori dipendenti, ai lavoratori dipendenti agricoli, ai lavoratori domestici, ai lavoratori iscritti alla gestione separata, ai titolari di pensioni (a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti, fondi speciali ed Enpals), ai titolari di prestazioni previdenziali ed ai lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.

Pertanto, gli assegni familiari e le maggiorazioni di pensione sono prestazioni economiche che l’INPS eroga a quei soggetti che risultano esclusi dalla normativa sugli assegni al nucleo familiare.

L’assegno familiare spetta per ogni familiare vivente a carico. La legislazione sociale del nostro Paese considera viventi a carico i familiari che abbiano redditi personali mensili non superiori ad un determinato importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente.

Tali sono:

– il coniuge, anche se legalmente separato purché sia a carico, solo se il richiedente è titolare di pensione a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi;

– i figli o equiparati anche se non conviventi:

• di età inferiore a 18 anni;

• apprendisti o studenti di scuola media inferiore (fino a 21 anni);

universitari (fino a 26 anni e nel limite del corso legale di laurea);

• inabili al lavoro (senza limiti di età);

– i fratelli, le sorelle e i nipoti, conviventi:

• di età inferiore a 18 anni; apprendisti o studenti di scuola media inferiore (fino a 21 anni);

• universitari (fino a 26 anni e nel limite del corso legale di laurea);

• inabili al lavoro (senza limiti di età);

gli ascendenti (genitori, nonni, ecc..) ed equiparati, solo se il richiedente è piccolo coltivatore diretto;

– i familiari di cittadini stranieri residenti in Paesi con i quali esista una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.

Infine, il coniuge affidatario che non abbia titolo autonomo alla percezione di assegni può avere diritto al riconoscimento del diritto sulla posizione del coniuge non affidatario.

Si noti, inoltre, che nei confronti dei contribuenti aventi titolo alla corresponsione dell’assegno, l’eventuale cessazione del diritto, per effetto delle disposizioni in materia di reddito familiare, non implica la cessazione di altri diritti e benefici dipendenti dalla vivenza a carico e/o ad essa connessi.

  

Ad ogni buon conto, si precisa che gli importi delle prestazioni sono:

Euro 8,18 mensili spettanti ai coltivatori diretti, coloni, mezzadri per i figli ed equiparati;

Euro 10,21 mensili spettanti ai pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi e ai piccoli coltivatori diretti per il coniuge e i figli ed equiparati;

Euro 1,21 mensili spettanti ai piccoli coltivatori diretti per i genitori ed equiparati;

LIMITI DI REDDITO MENSILE DA CONSIDERARE PER LA CORRESPONSIONE DELLA PRESTAZIONE.

In applicazione delle vigenti norme per la perequazione automatica delle pensioni, il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti risulta fissato dal 1° gennaio 2016 e per l’intero anno nell’importo mensile di euro 501,89.

In relazione a tale trattamento, i limiti di reddito mensili da considerare ai fini dell’accertamento del carico (non autosufficienza economica) e quindi del riconoscimento del diritto agli assegni familiari risultano così fissati per tutto l’anno 2016: 

– Euro 706,82 per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio od equiparato;

– Euro 1236,94 per due genitori ed equiparati.

I nuovi limiti di reddito valgono anche in caso di richiesta di assegni familiari per fratelli, sorelle e nipoti (indice unitario di mantenimento).                   

Il limite di Euro 706,82 è, inoltre, preso in considerazione per la corresponsione delle quote integrative delle rendite INAIL per figli maggiorenni e fino ai 26 anni (purché studenti scolastici ovvero universitari regolarmente iscritti a un corso di studi) che percepiscano redditi.

Clicca qui e scorri fino al fondo della pagina per visualizzare le tabelle allegate alla circolare 211/2015.

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INPS: Assegni familiari e quote di maggiorazione di pensione 2015.

Dal 1° gennaio 2015 sono stati rivalutati, come ogni anno, i limiti di reddito familiare per gli assegni familiari e le quote di maggiorazione di pensione, oltreché i limiti di reddito mensili ai fini dei diritto agli stessi assegni.

M. De Sanctis
Redazione BlogNomos

Con circolare n. 181 del 23 dicembre 2014, l’INPS ha reso note le tabelle dei limiti di reddito familiare da applicare ai fini della cessazione o della riduzione degli assegni familiari e delle quote di maggiorazione di pensione. Nella stessa circolare sono stati altresì rivalutati i limiti di reddito mensili da considerare ai fini del riconoscimento del diritto agli assegni familiari.

Fate attenzione, perché non stiamo parlando dell’assegno al nucleo familiare. Gli assegni familiari sono una diversa prestazione rispetto all’ANF che l’INPS eroga a sostegno delle famiglie di alcune categorie di lavoratori italiani, comunitari ed extracomunitari lavoranti nel territorio italiano, il cui nucleo familiare abbia un reddito complessivo al di sotto dei limiti che tra poco illustreremo.

Questa prestazione, in particolare, spetta:
– ai coltivatori diretti, coloni e mezzadri;
– ai piccoli coltivatori diretti;
– ai titolari delle pensioni a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri).
Diversamente, l’assegno al nucleo familiare spetta ai lavoratori dipendenti, ai lavoratori dipendenti agricoli, ai lavoratori domestici, ai lavoratori iscritti alla gestione separata, ai titolari di pensioni (a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti, fondi speciali ed Enpals), ai titolari di prestazioni previdenziali ed ai lavoratori in altre situazioni di pagamento diretto.
Pertanto, questi assegni familiari e le maggiorazioni di pensione sono prestazioni economiche che l’INPS eroga a quei soggetti che risultano esclusi dalla normativa sugli assegni per il nucleo familiare.

L’assegno familiare spetta per ogni familiare vivente a carico.
La legislazione sociale del nostro Paese considera viventi a carico i familiari che abbiano redditi personali mensili non superiori ad un determinato importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente.
Tali sono:
– il coniuge, anche se legalmente separato purché sia a carico, solo se il richiedente è titolare di pensione a carico delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi;
– i figli o equiparati anche se non conviventi:
• di età inferiore a 18 anni;
• apprendisti o studenti di scuola media inferiore (fino a 21 anni);
• universitari (fino a 26 anni e nel limite del corso legale di laurea);
• inabili al lavoro (senza limiti di età);
– i fratelli, le sorelle e i nipoti, conviventi:
• di età inferiore a 18 anni;
apprendisti o studenti di scuola media inferiore (fino a 21 anni);
• universitari (fino a 26 anni e nel limite del corso legale di laurea);
• inabili al lavoro (senza limiti di età);
– gli ascendenti (genitori, nonni, ecc..) ed equiparati, solo se il richiedente è piccolo coltivatore diretto;
– i familiari di cittadini stranieri residenti in Paesi con i quali esista una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.
Infine, il coniuge affidatario che non abbia titolo autonomo alla percezione di assegni può avere diritto al riconoscimento del diritto sulla posizione del coniuge non affidatario.

Si noti, inoltre, che nei confronti dei contribuenti aventi titolo alla corresponsione dell’assegno, l’eventuale cessazione del diritto, per effetto delle disposizioni in materia di reddito familiare, non implica la cessazione di altri diritti e benefici dipendenti dalla vivenza a carico e/o ad essa connessi.

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Ad ogni buon conto, si precisa che gli importi delle prestazioni sono:

Euro 8,18 mensili spettanti ai coltivatori diretti, coloni, mezzadri per i figli ed equiparati;
Euro 10,21 mensili spettanti ai pensionati delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi e ai piccoli coltivatori diretti per il coniuge e i figli ed equiparati;
Euro 1,21 mensili spettanti ai piccoli coltivatori diretti per i genitori ed equiparati.

Tabelle dei limiti di reddito familiare per l’anno 2015.

Ai fini della cessazione o riduzione dei suddetti assegni familiari e maggiorazione di pensione, i limiti di reddito familiare da considerare sono rivalutati ogni anno in ragione del tasso d’inflazione programmato. Per il 2015 questo tasso è pari al 2,1%.

Limiti di reddito mensile da considerare per la corresponsione della prestazione.

I limiti di reddito mensili da considerare ai fini dell’accertamento del carico (vale a dire alla non autosufficienza economica) e quindi del riconoscimento del diritto agli assegni familiari per tutto il 2015 risultano così fissati:

Euro 707,54 per il coniuge, per un genitore, per ciascun figlio od equiparato;
Euro 1238,19 per due genitori ed equiparati.
Detti limiti valgono anche per le richieste di assegni familiari per fratelli, sorelle e nipoti del richiedente.

Il limite di Euro 707,54 è, inoltre, preso in considerazione per la corresponsione delle quote integrative delle rendite INAIL per figli maggiorenni e fino ai 26 anni (purché studenti scolastici ovvero universitari regolarmente iscritti a un corso di studi) che percepiscano redditi.

Clicca qui e scorri fino al fondo della pagina per visualizzare le tabelle allegate alla circolare 181/14.

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Il Decreto Legislativo attuativo del Jobs Act che istituisce la NASpI e l’ASDI

di Germano De Sanctis
Premessa.

Nel corso del Consiglio dei Ministri tenutosi il giorno della vigilia di Natale sono stati approvati i primi due decreti attuativi della Legge delega n. 183/2014, meglio nota come “Jobs Act”.

Il primo decreto legislativo disciplina il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, mentre il secondo, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 2, Legge n. 183/2014, prevede l’istituzione della NASpI e dell’ASDI. Entrambi i decreti legislativi dovranno essere sottoposti al parere non vincolante delle Commissioni Lavoro della Camera dei Deputati e del Senato.

In tale sede, esaminiamo il secondo decreto legislativo. Esso prevede che il 1° maggio 2015 entrerà in vigore la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), che sostituisce Aspi e miniAspi. Tale decreto attuativo disciplina anche il nuovo Assegno di Disoccupazione (denominato ASDI). Il decreto in esame è composto da 16 articoli, a loro volta, suddivisi in due Titoli.

Fatta questa premessa passiamo all’esame, articolo per articolo, del decreto legislativo che istituisce la NASpI e l’ASDI.

Articolo 1 – La nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI).

I primi quattordici articoli del decreto legislativo in esame sono racchiusi nel Titolo I, il quale è esclusivamente dedicato alla disciplina della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI).

In virtù dell’articolo 1, a decorrere dal 1° maggio 2015, è istituita presso la Gestione Prestazioni Temporanee ai Lavoratori Dipendenti (ex art. 24, Legge n. 88/1989) e nell’ambito dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (c.d. ASpI ex art. 2, Legge n. 92/2012), una indennità mensile di disoccupazione, denominata Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano involontariamente perduto la propria occupazione. La NASpI sostituisce le prestazioni di AspI e miniASpI introdotte dall’art. 2, Legge n. 92/2012, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015.

Articolo 2 – I destinatari della NASpI.

Sono destinatari della NASpI i lavoratori dipendenti con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001.

Inoltre, le disposizioni relative alla NASpI non si applicano nei confronti degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato, per i quali trovano applicazione le norme di cui all’art. 7, comma 1, Legge n. 160/1988, all’art. 25, Legge n. 457/1972, all’art. 7, Legge n. 37/1977 e all’art. 1, Legge n. 247/2007.

Articolo 3 – I requisiti per ottenere la NASpI.

La NASpI è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:

  • siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 181/2000;
  • possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
  • possano far valere diciotto giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

La NASpI è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, Legge n. 604/1966. Si ricorda che tale norma prevede, nelle imprese con più di 15 dipendenti, il ricorso ad un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione istituita presso ogni Direzione Territoriale del Lavoro.

Articolo 4 – Il calcolo e la misura della NASpI.

La NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni utili, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

Nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore, nel 2015, all’importo di € 1.195 mensili (rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT intercorsa nell’anno precedente), l’indennità mensile è pari al 75% della retribuzione. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo, l’indennità è pari al 75% del predetto importo incrementato di una somma pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. L’indennità mensile non può in ogni caso superare, nel 2015, l’importo massimo mensile di € 1.300 (rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT intercorsa nell’anno precedente).

L’indennità è ridotta progressivamente nella misura del 3% al mese dal primo giorno del quinto mese di fruizione. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2016, tale riduzione si applica dal primo giorno del quarto mese di fruizione.

Articolo 5 – La durata della NASpI.

La NASpI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata, non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2017, la durata di fruizione della prestazione è, in ogni caso, limitata a un massimo di 78 settimane.

Articolo 6 – La presentazione della domanda e decorrenza della prestazione.

La NASpI è presentata all’INPS in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La NASpI spetta a decorrere dal giorno successivo alla data di presentazione della domanda e in ogni caso non prima dell’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Articolo 7 – La condizionalità.

L’erogazione della NASpI è condizionata, a pena di decadenza dalla prestazione:

  • alla permanenza dello stato di disoccupazione di cui all’art. 1, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 181/2000, n. 181;
  • alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa, nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. g), D.Lgs. n. 181/2000.

Con l’emanando decreto legislativo in materia di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive previsto all’art. 1, comma 3, Legge n. 183/2014, saranno introdotte ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della NASpI alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo.

Con un apposito emanando decreto del Ministro del Lavoro, di natura non regolamentare, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto saranno determinate le condizioni e le modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, nonché il sistema di sanzioni in caso di inottemperanza ai predetti obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva.

Articolo 8 – L’incentivo all’autoimprenditorialità.

Il lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASpI può richiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività di lavoro autonomo o di un’attività in forma di impresa individuale o per associarsi in cooperativa.

L’erogazione anticipata in un’unica soluzione della NASpI non dà diritto, né alla contribuzione figurativa, né all’Assegno per il Nucleo Familiare.

Il lavoratore che intende avvalersi della liquidazione in un’unica soluzione della NASpI deve presentare all’INPS domanda di anticipazione in via telematica entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività autonoma o dell’associazione in cooperativa.

Se il lavoratore, aderendo a una cooperativa, instaura un rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 1, comma 3, Legge n. 142/2001, l’importo della prestazione anticipata compete alla cooperativa.

Il lavoratore che instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la NASpI è tenuto a restituirne per intero l’anticipazione ottenuta.

Articolo 9 – La compatibilità e la cumulabilità della NASpI con un rapporto di lavoro subordinato.

Il lavoratore in corso di fruizione della NASpI che instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia superiore al reddito minimo escluso da imposizione decade dalla prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi. In tale caso, la prestazione è sospesa d’ufficio per la durata del rapporto di lavoro e fino a un massimo di sei mesi. La contribuzione versata durante il periodo di sospensione è utile ai fini di cui agli articoli 3 e 5 del decreto legislativo in esame.

Il lavoratore in corso di fruizione della NASpI che instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione mantiene la prestazione, a condizione che comunichi all’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività il reddito annuo previsto e che il datore di lavoro o, qualora il lavoratore sia impiegato con un contratto di somministrazione, l’utilizzatore, siano diversi dal datore di lavoro o dall’utilizzatore per i quali il lavoratore prestava la sua attività quando è cessato il rapporto di lavoro che ha determinato il diritto alla NASpI e non presentino rispetto ad essi rapporti di collegamento o di controllo ovvero assetti proprietari sostanzialmente coincidenti. In caso di mantenimento della NASpI, la prestazione è ridotta nei termini di cui all’articolo 10 e la contribuzione versata è utile ai fini di cui agli articoli 3 e 5 del decreto legislativo in questione.

Il lavoratore titolare di due o più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale che cessi da uno dei detti rapporti a seguito di licenziamento, dimissioni del rapporto per giusta causa, risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, Legge n. 604/1966 e il cui reddito sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, ha diritto, ricorrendo tutti gli altri requisiti previsti, di percepire la NASpI, ridotta nei termini di cui al successivo articolo 10, a condizione che comunichi all’INPS entro un mese dalla domanda di prestazione il reddito annuo previsto.

Articolo 10 – La compatibilità e la cumulabilità della NASpI con lo svolgimento di un’attività lavorativa in forma autonoma.

Il lavoratore in corso di fruizione di NASpI che intraprenda un’attività lavorativa autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne.

La NASpI è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno. Tale riduzione è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

Il lavoratore esentato dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi è tenuto a presentare all’INPS un’apposita autodichiarazione concernente il reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma.

Articolo 11 – La decadenza dalla NASpI.

Il lavoratore decade dalla fruizione della NASpI nei seguenti casi:

  • perdita dello stato di disoccupazione;
  • inizio di un’attività lavorativa subordinata senza provvedere alle comunicazioni di cui al precedente articolo 9, commi 2 e 3;
  • inizio di un’attività lavorativa in forma autonoma senza provvedere alla comunicazione di cui al precedente articolo 10;
  • raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per la NASpI;
  • violazione delle regole di condizionalità di cui al precedente articolo 7.

Articolo 12 – La contribuzione figurativa.

La contribuzione figurativa è rapportata alla già esaminata retribuzione di cui al precedente articolo 4, comma 1. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2016, la contribuzione figurativa è rapportata alla retribuzione di cui al precedente articolo 4, comma 1 entro un limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della prestazione della NASpI.

Le retribuzioni computate nei predetti limiti, rivalutate fino alla data di decorrenza della pensione, non sono prese in considerazione per la determinazione della retribuzione pensionabile qualora siano di importo inferiore alla retribuzione media pensionabile ottenuta neutralizzando tali retribuzioni.

Articolo 13 – Misura dell’indennità per le nuove categorie di lavoratori assicurati dal 1° gennaio 2013.

Per i soci lavoratori delle cooperative di cui al D.P.R. n. 602/1970 e per il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato, a decorrere dal 1° maggio 2015, la misura della NASpI è allineata a quella della generalità dei lavoratori.

Articolo 14 – Disposizione di rinvio agli istituti in vigore.

Alla NASpI si applicano le norme già operanti in materia di AspI in quanto compatibili.

Articolo 15 – L’Assegno di Disoccupazione (ASDI).

Il Titolo II del decreto legislativo in esame, agli articoli 15 e 16, disciplina le ulteriori prestazioni ulteriori di sostegno al reddito.

In virtù dell’articolo 15, a decorrere dal 1° maggio 2015, è istituito, in via sperimentale per l’anno 2015, l’Assegno di disoccupazione (ASDI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori percettori della NASpI, che ne abbiano fruito per l’intera sua durata senza trovare occupazione e che si trovino in una condizione economica di bisogno in termini di ISEE.

Nel primo anno di applicazione gli interventi saranno prioritariamente riservati ai lavoratori appartenenti a nuclei familiari con minorenni e quindi ai lavoratori in età vicina al pensionamento, ma che non abbiano maturato i requisiti per i trattamenti di quiescenza. Al termine di tale primo anno di applicazione, con apposito decreto del Ministro del Lavoro potranno essere stabilite le modalità di estensione sino eventualmente a coprire la predetta intera platea di beneficiari della NAsPi.

L’ASDI è erogato per una durata massima di sei mesi ed è pari al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della NASpI, se non superiore alla misura dell’assegno sociale, di cui all’art. 3, comma 6, Legge n. 335/1995. Tale ammontare sarà incrementato per gli eventuali carichi familiari del lavoratore, secondo le modalità che verranno specificate con un apposito decreto del Ministro del Lavoro, che stabilirà anche l’ammontare massimo complessivo della prestazione.

Al fine di incentivare la ricerca attiva del lavoro, saranno stabiliti con apposito decreto del Ministro del Lavoro i limiti nei quali i redditi derivanti da nuova occupazione potranno essere parzialmente cumulati con il sostegno economico e le modalità attraverso cui il sostegno sarà gradualmente declinato al perdurare dell’occupazione e in relazione al reddito da lavoro.

Il sostegno è condizionato all’adesione ad un progetto economico personalizzato redatto dai competenti servizi per l’impiego, secondo modalità definite con apposito decreto del Ministro del Lavoro e comunque contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di attivazione lavoro. La partecipazione alle iniziative proposte è obbligatoria, pena la perdita del beneficio.
Il sostegno economico è erogato per il tramite di uno strumento di pagamento elettronico, secondo le modalità che saranno definite da un apposito decreto del Ministro del Lavoro.

Descrivendo l’ASDI, si è più volte citato un emanando decreto del Ministero del Lavoro. Tale decreto non avrà natura regolamentare e dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame.

Al finanziamento dell’ASDI si provvede mediante le risorse di uno specifico fondo istituito nello stato di previsione del Ministero del Lavoro. All’attuazione e alla gestione dell’intervento provvede l’INPS.

Articolo 16 – L’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto (DIS-COLL).

In attesa degli interventi di semplificazione, modifica o superamento delle forme contrattuali previsti all’art. 1, comma 7, lett. a), Legge n. 183/2014, in via sperimentale per il 2015 ed in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1° gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015, è riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, una indennità di disoccupazione mensile denominata DIS-COLL.

La DIS-COLL è riconosciuta a tali soggetti, purché essi siano congiuntamente in possesso dei seguenti requisiti:

  • siano, al momento della domanda di prestazione, in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 181/2000;
  • possano far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione dal lavoro al predetto evento;
  • possano far valere, nell’anno solare in cui si verifica l’evento di cessazione dal lavoro, un mese di contribuzione, oppure un rapporto di collaborazione di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà del importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione.

La DIS-COLL è rapportata al reddito imponibile ai fini previdenziali (risultante dai versamenti contributivi effettuati in virtù di rapporti di collaborazione), relativo, sia all’anno in cui si è verificato l’evento di cessazione dal lavoro, sia all’anno solare precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione, o frazione di essi.

La DIS-COLL, rapportata al reddito medio mensile nel predetto modo, è pari al 75% dello stesso reddito nei casi in cui il reddito mensile sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di € 1.195 mensili (annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice ISTAT intercorsa nell’anno precedente). Nei casi in cui il reddito medio mensile sia superiore al predetto importo l’indennità è pari al 75% del predetto importo incrementata di una somma pari al 25% del differenziale tra il reddito medio mensile e il predetto importo. L’indennità mensile non può in ogni caso superare l’importo massimo mensile di € 1.300 nel 2015 (annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice ISTAT intercorsa nell’anno precedente).

A partire dal primo giorno del quinto mese di fruizione l’indennità è ridotta progressivamente nella misura del 3% al mese.
La DIS-COLL è corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione presenti nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno solare precedente l’evento di cessazione del lavoro al predetto evento. Ai fini della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione della prestazione. La DIS-COLL non può in ogni caso superare la durata massima di sei mesi.

Per i periodi di fruizione della DIS-COLL non sono riconosciuti i contributi figurativi.

La DIS-COLL è presentata all’INPS in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La DIS-COLL spetta a decorrere dal giorno successivo alla data di presentazione della domanda e in ogni caso non prima dell’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

L’erogazione della DIS-COLL è condizionata al possesso congiunto dei seguenti requisiti:

  • permanenza dello stato di disoccupazione di cui all’art. 1, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 181/2000;
  • regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti ai sensi dell’art.1, comma 2, lett. g), D.Lgs. n. 181/2000.

Con l’emamando decreto legislativo in attuazione dell’art. 1, comma 3, Legge n. 183/2014 concernente il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, saranno introdotte ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della DIS-COLL alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo.

In caso di nuova occupazione del lavoratore con contratto di lavoro subordinato, la DIS-COLL è sospesa d’ufficio, fino ad un massimo di cinque giorni. Al termine di un periodo di sospensione di durata inferiore a cinque giorni l’indennità riprende a decorrere dal momento in cui era rimasta sospesa. Nei casi di sospensione, i periodi di contribuzione legati al nuovo rapporto di lavoro possono essere fatti valere ai fini di un nuovo trattamento nell’ambito della NASpI.

Il beneficiario della DIS-COLL che intraprenda un’attività lavorativa autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne. La DIS-COLL è ridotta di un importo pari all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno. La riduzione di cui al periodo precedente è ricalcolata d’ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi. Il lavoratore esentato dall’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi è tenuto a presentare all’INPS un’apposita autodichiarazione concernente il reddito ricavato dall’attività lavorativa autonoma.

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La disciplina del contratto “a tutele crescenti” contenuta nel primo decreto legislativo attuativo del Jobs Act

di Germano De Sanctis
Premessa

Il Consiglio dei Ministri tenutosi il giorno della vigilia di Natale ha approvato i primi due decreti attuativi della Legge delega n. 183/2014, meglio nota come “Jobs Act”. Tali decreti sono in attesa di essere pubblicati sulla Gazzetta Uficiale.
Il primo decreto legislativo disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”, mentre il secondo prevede l’estensione dell’Aspi a 24 mesi.

In tale sede, esaminiamo, il decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato a “tutele crescenti”. Si tratta di una delle novità più rilevanti del Jobs Act, che, tra l’altro, è stata, nei mesi scorso, oggetto di un accesso dibattito politico e sindacale.
Tale nuova tipologia contrattuale si caratterizza per il fatto che le tutele riconosciute in capo ai lavoratori che firmeranno un simile contratto aumenteranno con il passare del tempo. Tuttavia, i nuovi assunti, se verranno licenziati, avranno un indennizzo soltanto di natura economica, il quale aumenterà in base all’anzianità di servizio maturata. In pratica, si esclude la possibilità del reintegro del lavoratore, fatta eccezione per i licenziamenti nulli e discriminatori.
Il contratto a tutele crescenti si applica soltanto nei confronti dei nuovi assunti. Infati, chi è già titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato continuerà a vedere disciplinato il proprio rapporto di lavoro dalle norme previgenti. Pertanto, il contratto “a tutele crescenti” sarà effettivamente vantaggioso soltanto per chi attualmente è disoccupato, ovvero è titolare di lavoro a tempo determinato, o di un contratto di collaborazione, in quanto la nuova tipologia contrattuale in esame abbatte il costo del lavoro di circa trenta punti percentuali.

Fata questa premessa, come già accennato, passiamo all’esame, articolo per articolo, del decreto legislativo che disciplina il contratto di lavoro a tempo indeterminato “a tutele crescenti”.

Articolo 1 – Il campo di applicazione.

A far data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo da esso dettato deve essere applicato nei confronti di tutti i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo in questione, integri il requisito occupazionale di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, occupi più di quindici dipendenti), il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del decreto legislativo in esame.

Articolo 2 – Il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale.

Qualora venga emanata una sentenza che dichiari la nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio o riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, il giudice deve ordinare al datore di lavoro (imprenditore o non imprenditore) di procedere alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito del predetto ordine giudiziale di reintegrazione, il rapporto di lavoro s’intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’apposita indennità prevista dal decreto legislativo in esame. Tale regime si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace, in quanto intimato in forma orale.
Con la predetta sentenza, il giudice condanna il datore di lavoro anche al risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito del licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia. A tal fine, il giudice deve stabilire un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è, altresì, condannato, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando tale diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Articolo 3 – Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa.

Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Soltanto in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento), il giudice deve annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, fatto salvo quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 181/2000. In ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Anche in questo caso, al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro e non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
Tale disciplina applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli artt. 4, comma 4, e 10, comma 3, Legge, n. 68/1999.
Infine, si evidenzia che nei confronti del licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 del decreto legislativo in esame non trova applicazione l’art. 7, Legge n. 604/1966, così come modificato dall’art. 1, comma 40, Legge n. 92/2012. Tale norma prevede che, nelle imprese con più di quindici dipendenti (nel settore agricolo, con oltre i cinque dipendenti), il ricorso ad un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione provinciale istituita in ogni Direzione Territoriale del Lavoro, attivabile attraverso una procedura che inizia con una comunicazione inviata a tale organo periferico del Ministero del Lavoro, nonché, per conoscenza, all’interessato, con la quale il datore di lavoro comunica la propria intenzione di procedere al recesso, indicando, sia le motivazioni, sia le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione.

Articolo 4 – I vizi formali e procedurali.

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato violando il requisito di motivazione previsto dall’art. 2, comma 2, Legge n. 604/1966, ovvero non rispettando la procedura disciplinare ex art. 7, Legge n. 300/1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle poc’anzi esaminate tutele previste dagli articoli 2 e 3 del decreto legislativo in questione.

Articolo 5 – La revoca del licenziamento.

In caso di revoca del licenziamento effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro s’intende ripristinato senza soluzione di continuità, con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca. In tale ipotesi, non si applicano i regimi sanzionatori previsti dal decreto legislativo in esame.

Articolo 6 – L’offerta di conciliazione.

In caso di licenziamento dei lavoratori di cui al già esaminato articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all’art. 2113 c.c. (che disciplina le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge) ed all’art. 82, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 (che disciplina le rinunce e transazioni in sede di certificazione dei contrati di lavoro), un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e che non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L’ammontare di tale importo è pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

Articolo 7 – Il computo dell’anzianità negli appalti.

Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa che subentra in un appalto si deve computare tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

Articolo 8 – Il computo e la misura delle indennità per frazioni di anno.

Per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità e l’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4, e di offerta di conciliazione ex articolo 6, devono essere riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si devono computare come mese intero.

Articolo 9 – Le piccole imprese e le organizzazioni di tendenza.

Qualora il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, Legge n. 300/1970 (cioè, non occupi più di quindici dipendenti), non trova applicazione la disciplina prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3 e l’ammontare delle indennità e dell’importo da erogare in caso di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa ex articolo 3, di vizi formali e procedurali ex articolo 4 e di offerta di conciliazione ex articolo 6 deve essere dimezzato e non può, in ogni caso, superare il limite di sei mensilità.
Inoltre, la disciplina contenuta nel decreto legislativo in questione trova applicazione anche nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto.

Articolo 10 – Il licenziamento collettivo.

In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24, Legge n. 223/1991 intimato senza l’osservanza della forma scritta, si deve applicare il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo in esame. In caso di violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, comma 12, Legge n. 223/1991 o dei criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, Legge n. 233/1991, si deve applicare il regime contenuto nell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo in questione.

Articolo 11 – Il contratto di ricollocazione.

È istituito, presso l’INPS, il Fondo per le Politiche Attive per la Ricollocazione dei Lavoratori in Stato di Disoccupazione Involontaria, al quale affluisce la dotazione finanziaria del Fondo istituito dall’art. 1, comma 215, Legge n. 147/2013, il quale era stato costituito per avviare alcune sperimentazioni in sede regionale del contratto di ricollocazione, al fine di favorire il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in regime di deroga e di lavoratori in stato di disoccupazione.
Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24 Legge n. 223/1991, ha il diritto di ricevere dal Centro per l’Impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione che egli effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, ai sensi dell’emanando decreto legislativo attuativo della delega contenuta nella Legge n. 183/2014 ( meglio nota come “Jobs Act”), in materia di politiche attive per l’impiego.
Inoltre, presentando il voucher ad una Agenzia per il Lavoro pubblica o privata accreditata secondo quanto previsto dal predetto emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego, il lavoratore interessato ha diritto a sottoscrivere con essa un contratto di ricollocazione che deve, a sua volta, prevedere:

  • il diritto del lavoratore a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’Agenzia per il Lavoro;
  • il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’Agenzia per il Lavoro di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
  • il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’Agenzia per il Lavoro nelle iniziative da essa predisposte.

L’ammontare del voucher è proporzionato in relazione al predetto profilo personale di occupabilità e l’Agenzia per il Lavoro ha diritto ad incassarlo soltanto a risultato ottenuto secondo quanto stabilito dall’emanando decreto legislativo in materia di politiche attive per l’impiego.

Articolo 12 – Il rito applicabile.

Infine, i licenziamenti disciplinati dal decreto legislativo in esame non sono sottoposti alle disposizioni contenute dall’art. 1, commi da 48 a 68, Legge n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”).

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CONTRIBUTO FINO A 600 EURO ALLE LAVORATRICI MADRI. MODALITÀ, TERMINI E SCADENZE.

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Pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 287 dello scorso 11 dicembre 2014 le misure a sostegno delle mamme lavoratrici, di cui al DM 28 ottobre 2014, per l’erogazione del fondo perduto fino a € 3.600 per l’acquisto di servizi di baby sitting.

Al termine del periodo di congedo per maternità e, comunque, entro gli 11 mesi successivi, le madri lavoratrici, sia del settore pubblico sia del settore privato, nonché quelle che risultino iscritte alla gestione separata, di cui all’art. 2, L. n.335/95, potranno fare richiesta di accesso al contributo a fondo perduto per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure per usufruire di servizi per l’infanzia presso strutture pubbliche e private. L’intervento, introdotto con la legge 28 giugno 2012, n. 92 di riforma del mercato del lavoro, stabilisce che a beneficiare del contributo saranno anche le donne libere professioniste. Il beneficio in parola, tuttavia, non è esteso alle coltivatrici dirette, mezzadre e colone, alle artigiane, alle imprenditrici del settore commerciale, alle imprenditrici agricole a titolo principale e alle pescatrici autonome.

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La misura è dotata di risorse complessive per € 20.000.000. Il contributo per ogni singola lavoratrice viene erogato sottoforma di voucher del valore massimo di 600 euro mensili per 6 mesi (con un importo totale di € 3.600) ed è spendibile nei 6 mesi successivi al termine del congedo per maternità.

La richiesta – che deve essere inoltrata per via telematica all’INPS entro il 31 dicembre di ciascun anno 2014 e 2015 – può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia usufruito in parte del congedo parentale.
La graduatoria è definita tenendo conto dell’ISEE.

I voucher, per l’importo riconosciuto, saranno ritirati dalla lavoratrice presso la Sede INPS territorialmente competente individuata in base alla residenza o al domicilio temporaneo.

DM 28 ottobre 2014

MDS
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LE DELEGHE LEGISLATIVE CONTENUTE NEL JOBS ACT

di Germano De Sanctis

Premessa.

Nel corso della giornata del 3 dicembre scorso, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge delega di riforma del lavoro, meglio nota come “Jobs Act”. Entro entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, dovranno essere emanati i suoi Decreti Legislativi attuativi.

Esaminiamo nel dettaglio il contenuto delle deleghe conferite al Governo, evidenziando che esse interessano le seguenti cinque importanti aree tematiche:

  1. gli ammortizzatori sociali;
  2. i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro;
  3. le procedure e gli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro;
  4. la disciplina dei rapporti di lavoro e l’attività ispettiva;
  5. la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

La delega in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, contiene una specifica delega al Governo per la riforma degli di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi e senza produrre nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (cfr., art 1, comma 12).

In particolare, tale delega interviene nella materia della disoccupazione involontaria, prevedendo l’introduzione di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, attraverso:

  • la razionalizzazione della normativa in materia di integrazione salariale;
  • il coinvolgimento attivo di quanti siano stati espulsi dal mercato del lavoro, ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali;
  • la semplificazione delle procedure amministrative;
  • la riduzione degli oneri non salariali del lavoro.

L‘art. 1, comma 2, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega in esame.

In primo luogo, con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, la legge delega prevede:

  • l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa;
  • la semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati a livello nazionale di concessione dei trattamenti prevedendo strumenti certi ed esigibili;
  • la necessità di regolare l’accesso alla CIG solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
  • la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della CIG ordinaria e della CIG straordinaria;
  • la previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
  • la riduzione degli oneri contributivi ordinari e la rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
  • la revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà ex art. 3 Legge n. 92/2012, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi, anche attraverso l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione;
  • la revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà ex Legge n. 863/1984;

Invece, per quanto concerne gli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, la legge delega dispone:

  • la rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
  • l’incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
  • l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
  • l’introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • l’eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale.

Inoltre, i beneficiari degli ammortizzatori sociali dovranno essere destinatari di meccanismi ed interventi che incentivino la ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati (di cui all’art. 1, comma 4, lett. v)) d’istruzione, formazione professionale e lavoro, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica. Coerentemente, viene previsto l’adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, o a programmi di formazione.

La delega in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro.

L’art. 1, comma 3, contiene la delega al Governo in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro. L’attività riformatrice oggetto di siffatta delega legislativa intende garantire un’effettiva fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva per il lavoro su tutto il territorio nazionale, unitamente all’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

L’art. 1, comma 4, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega cui il Governo deve attenersi. Essi sono:

  • la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti;
  • la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, anche nella forma dell’acquisizione delle imprese in crisi da parte dei dipendenti;
  • l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (qui, di seguito, denominata “Agenzia”), partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente;
    il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
  • l’attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro e ASpI;
  • la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
  • la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità ex Legge n. 68/1999;
  • l’individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
  • la determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
  • il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
  • la valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, nonché operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
  • la valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia;
  • l’introduzione di principi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
  • l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
  • la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS (sia a livello centrale, che territoriale), al fine di favorire una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito;
  • la previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che (a livello centrale e territoriale) esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
  • il mantenimento in capo alle Regioni ed alle Province Autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
  • l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati di istruzione, formazione professionale e lavoro.

La delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro.

La delega legislativa contenuta nell’art. 1, comma 5, concerne il conseguimento di obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure in materia di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

I principi ed i criteri direttivi da osservare durante l’esercizio della delega legislativa in esame sono contenuti nell’art. 1, comma 6. Essi sono:

  • la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
  • la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
    l’unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse Amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
  • l’introduzione del divieto per le Pubbliche Amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
  • il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
  • la revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
    la previsione di modalità semplificate per garantire data certa, nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
  • l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
  • la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, anche con riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
  • la promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).

La delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti e per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

L’art. 1, comma 7, reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti, nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, l’art. 1, comma 7, ha delegato il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi. Uno di tali decreti legislativi deve contenere un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro.

L’esercizio della delega legislativa avverrà nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, in funzione dei predetti interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
  • la promozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
  • la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento;
  • il rafforzamento degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro;
  • la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando gli interessi dei datori di lavori con gli interessi dei lavoratori, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento;
  • la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
  • l’introduzione (anche in via sperimentale) del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • la previsione, nel rispetto dell’art. 70 D.Lgs. n. 276/2003, della possibilità di estendere, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi;
    l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
  • la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia Unica per le Ispezioni del Lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, prevedendo, altresì, strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

La delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare le cure parentali, la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

L‘art. 1, comma 8, prevede una specifica delega al Governo, finalizzata a garantire un adeguato sostegno alle cure parentali, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici, nonché a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. Tale delega sarà attuata entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla revisione e all’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

I principi ed i criteri direttivi di tale delega sono rinvenibili nell’art. 1, comma 9. Essi sono:

  • la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
  • la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
  • l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici (anche autonome) con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo;
  • l’armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
  • l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
  • l’eventuale riconoscimento (compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite) della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al CCNL in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
  • l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle imprese e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative;
  • la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • l’introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza.

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La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act

di Germano De Sanctis

Premessa

Come è noto, dopo l’approvazione da parte della della Camera dei Deputati avvenuta lo scorso 25 novembre, il Jobs Act è ritornato al Senato per la terza lettura. Il disegno di legge sarà discusso in aula il 2 dicembre con l’obiettivo di giungere alla sua approvazione entro il 4 dicembre senza ulteriori modifiche.

Con l’entrata in vigore del Jobs Act (cioè, il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale), inizieranno a decorrere i sei mesi che il Governo avrà a disposizione per emanare i vari decreti legislativi attuativi della legge delega.

In particolare, il Jobs Act interviene in materia di ammortizzatori sociali. Esaminiamo come tali istituti giuridici muteranno con l’approvazione del disegno di legge in questione, ricordando velocemente come sono attualmente disciplinati.

La disciplina vigente degli ammortizzatori sociali.

La normativa in vigore (cioè, la Legge n. 92/2012, c.d. “Riforma Fornero”), prevede che, in caso di licenziamento, al lavoratore debbano essere erogate due indennità: l’ASpI e la Mini ASpI.

L’ASpI viene riconosciuta alle seguenti tipologie di lavoratori che risultano aver perso il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà:

  • i lavoratori dipendenti del settore privato;
  • i lavoratori assunti con contratto di apprendistato;
  • i lavoratori di cooperativa.

Sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’AspI:

  • i dipendenti a tempo indeterminato delle Pubbliche Amministrazioni;
  • gli operai agricoli;
  • i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno di lavoro stagionale.

Per poter essere beneficiari dell’ASpI, bisogna possedere due requisiti:

  • essere assicurati all’INPS da minimo due anni;
  • aver pagato almeno un anno di contributi nei due che precedono il momento in cui si è perso il lavoro.

I lavoratori che non possiedono i predetti requisiti possono beneficiare della Mini ASpI, a condizione che abbiano versato almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 12 mesi. In tale ipotesi, costoro riceveranno un’indennità per un lasso di tempo pari alla metà delle settimane lavorate nel corso dell’ultimo anno.

La riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act.

Il Jobs Act riforma interamente il poc’anzi descritto sistema degli ammortizzatori sociali contenuto nella Riforma Fornero. L’AspI e la Mini ASpI vengono radicalmente trasformate con lo scopo di tutelare una platea più ampia di lavoratori e, di conseguenza, aumentare il livello di equità dei sussidi garantiti dal Governo.
In particolare, l’ASpI verrà estesa ed universalizzata anche a coloro che perdono il lavoro senza possibilità di reintegro ed estenderà il suo ambito di applicazione anche a favore dei co.co.pro. (però, con l’esclusione degli amministratori e dei sindaci), mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, nonché attraverso l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e dell’automaticità delle prestazioni. A tal fine, è previsto, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite.
In estrema sintesi, l’AspI e la Mini AspI saranno unificate in un’unica indennità, la cui durata sarà direttamente proporzionale al periodo contributivo maturato dal lavoratore. Pertanto, in virtù di tale stretto rapporto con la pregressa storia contributiva del lavoratore, coloro che hanno lavorato per molti anni, saranno beneficiari del sussidio di disoccupazione per un tempo maggiore.

L’universalizzazione dell’AspI comporterà le seguenti modifiche sostanziali all’intero sistema contributivo vigente:

  • introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
  • attivazione a favore del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali di meccanismi ed interventi finalizzati all’incentivazione della ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati;
  • previsione di un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di ammortizzatori sociali, tale da consistere anche nello svolgimento di attività a beneficio delle comunità locali, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alla Pubblica Amministrazione;
  • adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito, che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione, o ad attività a beneficio di comunità locali.

Vista la chiara volontà d’introdurre un sistema di garanzia universale, sarebbe auspicabile che i decreti legislativi prevedano, in caso di disoccupazione involontaria, la costituzione di un sistema di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché una riduzione adeguata della severità dei criteri di accesso per l’AspI, al fine di garantire un effettivo ampliamento della platea dei lavoratori tutelati. Ovviamente, una operazione del genere manterrebbe una sua equità, a condizione che la durata del sostegno al reddito sia modulato in relazione alla anzianità contributiva del lavoratore interessato ed, nel rispetto della delega legislativa, incrementando l’attuale durata a favore di quei lavoratori che posseggono una importante anzianità contributiva.

Gli interventi del Jobs Act in materia di cassa integrazione.

In primo luogo, il Jobs Act prevede che l’erogazione della CIGS venga sospesa in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo della stessa. Inoltre, è stato specificato che i meccanismi standardizzati per la concessione di ammortizzatori saranno definiti a livello nazionale.
Il Jobs Act ha, altresì, previsto che l’accesso alla cassa integrazione guadagni può avvenire soltanto a seguito dell’esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà. Appare evidente l’intenzione contenuta in tale previsione di responsabilizzare le imprese, obbligandole a farsi direttamente carico della situazione, prima di poter accedere alle nuove tutele previste dal sistema previdenziale.
In altri termini, le previsioni di carattere generale poc’anzi indicate rendono evidente che siamo di fronte ad un totale cambio di prospettiva, caratterizzato dall’idea di rivedere i limiti di durata dell’integrazione salariale in stretta correlazione ai singoli lavoratori e non, come attualmente accade, alla condizioni in cui si trova l’impresa ed alle circostanze che ne rendono necessario l’utilizzo.

A fronte di tale affermazioni di carattere generale, il disegno di legge in esame fornisce la delega al Governo per:

  • operare la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
  • prevedere una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
    ridurre gli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo.

Per quanto concerne le risorse finanziare disponibili, stante la permanenza in vigore nel 2015 della cassa integrazione, l’ASpI e la Mini ASpI eroderanno la quantità di risorse finora esclusivamente destinate alla CIG ed alla CIGS, pari a circa 1,5 miliardi di euro, a cui si dovrebbero aggiungere i circa 400 milioni di euro stanziati dal Governo Renzi per il biennio 2015/2016. Poi, come noto, la cassa integrazione e la mobilità in deroga scompariranno a partire dall’anno 2016.

Il ruolo attribuito all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione in materia di ammortizzatori sociali.

Il Jobs Act attribuisce all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (di seguito, denominata Agenzia) la competenza gestionale in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI.
Tale Agenzia si occuperà anche di servizi per il lavoro e di politiche attive e sarà partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali e meccanismi di raccordo con l’INPS.
In un ottica di diritto comparato, appaiono evidenti le assonanze con l’agenzia federale per il lavoro tedesca.
L’intenzione del legislatore delegato è quella di creare un’Agenzia capace di coordinare e gestire il collocamento, le politiche del lavoro, la formazione e gli ammortizzatori sociali, realizzando un autentico raccordo tra le politiche attive e le politiche passive del lavoro, finalizzato all’inserimento e/o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori inoccupati e/o disoccupati. Sarà interessante analizzare come il decreto attuativo in materia declinerà tali indicazioni contenute nella delega legislativa.

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Le previsioni del Jobs Act sull’Agenzia Nazionale per l’Occupazione

di Germano De Sanctis

Come è noto, la Camera dei Deputati ha licenziato il disegno di legge denominato “Jobs Act”, modificandone il contenuto rispetto al testo già approvato in sede di prima lettura dal Senato e che, quindi, dovrà essere riesaminato da quest’ultimo ramo del Parlamento.

Tale disegno di legge prevede l’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (di seguito, denominata Agenzia; cfr. art. 1, comma 4, lett.c), per l’esercizio della delega legislativa (prevista dall’art. 1, comma 3) finalizzata al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. Si tiene a precisare, che nonostante l’istituzione dell’Agenzia in questione, l’art. 4, comma 1, lett. u) prevede il mantenimento in capo alle Regioni e alle Province autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro.

In particolare, ai sensi del predetto art. 1, comma 4, la citata delega legislativa dovrà fissare alcuni principi e criteri direttivi, volti a delineare specificatamente le funzioni e le competenze dell’Agenzia, le quali sono solo declinate in maniera generica nell’articolato del Jobs Act.

Venendo all’esame specifico delle disposizioni dedicate all’Agenzia, emerge, in primo luogo, il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia (cfr., art. 1, comma 4, lett. d). Tale aspetto assume un’importanza peculiare se si considera che è stata attribuita all’Agenzia la competenza gestionale in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI (cfr., art. 1, comma 4, lett. e).

Invece, per quanto concerne il processo istitutivo dell’Agenzia, il Jobs Act chiarisce che essa sarà istituita (anche ex art. 8, D.Lgs. n. 300/1999) senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e sarà, altresì, partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome. Inoltre l’Agenzia sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro (cfr., art. 1, comma 4, lett. c).

Al funzionamento dell’Agenzia si provvederà attraverso l’utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente (cfr., art. 1, comma 4, lett. c), nonché mediante la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia (cfr., art. 1, comma 4, lett. f).
Con specifico riferimento al conferimento delle risorse umane destinate al funzionamento dell’Agenzia, è stata prevista la possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli dell’Agenzia stessa il personale proveniente dalle Amministrazioni o dagli uffici soppressi o riorganizzati in attuazione del poc’anzi esaminato art. 1, comma 4, lett. f), nonché proveniente da altre Amministrazioni (cfr., art. 1, comma 4, lett. h). L’immissione nel ruolo dell’Agenzia del personale in questione comporterà l’individuazione del comparto contrattuale da adottare, assicurando modalità tali da garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica (cfr., art. 1, comma 4, lett. i).
La determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia sarà garantita attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle Amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima (cfr., art. 1, comma 4, lett. l).

Venendo ai rapporti interistituzionali dell’Agenzia, si dispone, innanzi tutto, la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS, sia a livello centrale che a livello territoriale, al fine di tendere a una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito (cfr., art. 1, comma 4, lett. r). Inoltre, sono previsti meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità (cfr., art. 1, comma 4, lett. s).

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CASSAZIONE: SE IL DATORE DI LAVORO NON VI HA VERSATO I CONTRIBUTI…

di Michele De Sanctis

In caso di mancato versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, ai fini dell’ammissibilità della domanda di condanna, oltre allo stesso datore di lavoro, è necessario citare anche l’Istituto previdenziale. Peraltro, resta precluso il pagamento dei contributi in favore del lavoratore.

È quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 19398/2014, Sez. Lavoro in tema di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali.

In particolare, il caso di specie riguardava un dipendente che, dopo aver perso il posto di lavoro, aveva adito il Giudice del Lavoro per impugnare il licenziamento e contestualmente chiedere che il datore di lavoro venisse condannato al pagamento dei contributi INPS, dovuti in virtù del rapporto di lavoro e dell’attività lavorativa effettivamente prestata.

Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che in questi casi l’INPS (come qualunque altro ente previdenziale) deve essere necessariamente citato in causa, pena l’inammissibilità della domanda. Nella citata sentenza, infatti, la Suprema Corte ha ritenuto infondata l’impugnazione del licenziamento, relativamente all’obbligo di pagamento del datore di lavoro in favore dell’INPS, escludendo che il Giudice potesse emettere una condanna in tal senso, senza che il lavoratore avesse preventivamente citato in giudizio anche l’INPS.

“In caso di omissione contributiva – affermano gli Ermellini – il lavoratore può chiedere la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali in favore dell’ente previdenziale sole se quest’ultimo sia parte nel medesimo giudizio, restando esclusa in difetto l’ammissibilità di tale pronuncia (che sarebbe una condanna nei confronti di terzo, non ammessa nel nostro ordinamento in difetto di espressa previsione)”.

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Le norme processuali, in effetti, richiedono che il procedimento si svolga tra tutti i soggetti che possano costituirsi quali parti in causa, dal momento che l’ordinamento repubblicano riconosce loro il diritto di interloquire e contraddire sulle questioni che li riguardano (art. 24 Cost.), fatti salvi taluni casi eccezionali, per i quali si ammette una pronuncia che incida anche su un terzo, non convenuto. Nondimeno, la precedente giurisprudenza, in tema di omissione contributiva, aveva costantemente ammesso l’insussistenza in capo agli enti previdenziali della qualità di necessario contraddittore (cfr. Cass. Sent. n. 169/94 Sez. Lav.), vista la natura della controversia, che riguardava direttamente il rapporto di lavoro e non quello previdenziale, di cui il primo costituiva, piuttosto, il presupposto giuridico. In passato, quindi, secondo la Corte, ciò implicava un accertamento solo in relazione al rapporto di lavoro, mentre le conseguenze sul rapporto assicurativo obbligatorio (cioè la necessaria relazione tra lavoratore ed Istituto previdenziale) erano solo riflesse.

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Ebbene, la portata rivoluzionaria della sentenza in parola sta proprio in questo: se fino ad oggi l’esigenza di integrità del contraddittorio non era condizione di ammissibilità della domanda di condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali, adesso la Corte, senza entrare nel merito dei fatti e senza alcun riferimento al diritto soggettivo costituzionalmente tutelato dalla posizione assicurativa (ricordiamo sempre che quello della Cassazione è un giudizio di legittimità), ha stabilito una nuova prassi procedurale ai fini dell’ammissibilità di questo tipo di ricorsi – prassi, in realtà, già prevista del Legislatore – evidenziando la circostanza che “l’interesse del lavoratore è connesso con il diritto di credito dell’Istituto, sia geneticamente, perché nasce dal medesimo fatto che a quello dà origine (la costituzione del rapporto di lavoro), sia funzionalmente perché l’adempimento del debito contributivo realizza anche la soddisfazione del diritto alla posizione assicurativa”.

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Pertanto, “la sussistenza del suddetto interesse del lavoratore, ed il riconoscimento di una sua tutelabilità mediante la regolarizzazione della posizione contributiva, danno ragione del riconoscimento da parte dell’ordinamento della facoltà del lavoratore di chiamare in causa il datore di lavoro e l’ente previdenziale, convenendoli entrambi in giudizio, al fine di accertare l’obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente) nei confronti del secondo, a valere sulla sua posizione contributiva, impedendo il verificarsi di un danno nei suoi confronti (e nei limiti in cui a ciò il lavoratore vi abbia interesse, come avviene quando non operi in suo favore, o c’è il rischio che possa non operare, per qualsiasi ragione, il principio di automaticità delle prestazioni). Resta per converso esclusa per ragioni processuali la possibilità per il lavoratore di agire per ottenere una condanna del datore al pagamento dei contributi nei confronti dell’INPS che non sia stato chiamato in causa, stante la generale esclusione dei provvedimenti nei confronti di terzo ed il carattere eccezionale della condanna c.d. a favore di terzo. Infatti, di regola il processo deve svolgersi tra tutti coloro che sono parti del rapporto sostanziale dedotto, i quali hanno diritto ad interloquire sulle questioni che li riguardano (art. 24 Cost.), e il provvedimento che definisce il processo fa stato solo nei confronti delle parti e loro aventi causa, mentre solo in alcuni casi eccezionali (ne sono un esempio, nella materia del lavoro, le due condanne in favore di terzo previste dall’art. 18 stat. lav. in materia di licenziamenti illegittimi) è ammessa una pronuncia in favore di terzo”.

In conclusione, se non chiamate in causa l’INPS, il datore di lavoro che vi ha licenziato potrebbe non essere condannato al versamento dei contributi che vi spettano. E oltre a perdere qualcosa che vi siete guadagnati col vostro lavoro, correte il rischio concreto di essere, altresì, condannati al pagamento delle spese di lite.

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