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LA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE IN SINTESI.

È stato pubblicato in G.U.R.I. dello scorso 12 settembre il d.l. 123/2014, con cui il Governo intende smaltire l’arretrato degli Uffici Giudiziari italiani. A distanza di due settimane dal via libera del Consiglio dei Ministri, è arrivato, dunque, il primo testo della riforma della giustizia civile, sotto forma di decreto legge, che dovrà adesso seguire il normale iter parlamentare di conversione. In realtà, il decreto in questione costituisce solo una parte della riforma della giustizia voluta dal Governo Renzi. L’intero pacchetto prevede, infatti, ulteriori interventi, alcuni regolati con decreto legge e altri con disegno di legge delega, in materia penale, oltreché una serie di disposizioni relative all’ordinamento giudiziario. Analizziamo in questa sede i punti principali degli interventi sul processo civile previsti dal d.l. 123/2014.

di Michele De Sanctis

POSSIBILITÀ DI SPOSTARE IL PROCEDIMENTO DAL CONTENZIOSO CIVILE A QUELLO ARBITRALE. Nelle cause civili pendenti sia in primo che secondo grado, le parti potranno richiedere congiuntamente di promuovere un procedimento arbitrale (già regolato dalle disposizioni ordinarie contenute nel codice di procedura civile ed espressamente richiamate dal decreto). Facoltà esclusa, tuttavia, per due materie di una certa rilevanza: le liti sui diritti indisponibili e le cause del lavoro. Quanto agli effetti, il lodo arbitrale avrà la stessa forza di una sentenza.

PROCEDURA NEGOZIALE ASSISTITA. Si tratta di una procedura di conciliazione tra le parti effettuata con l’assistenza di un avvocato e volta al raggiungimento di un accordo che eviti il giudizio, consentendo, peraltro, una rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale. La relativa convenzione dovrà avere forma scritta perché sia efficace. Non si tratta solo di una facoltà, poiché in taluni casi (liti in materia di risarcimento danni da circolazione stradale e nautica o nelle richieste di pagamento fino a € 50.000) il preventivo tentativo di conciliazione viene previsto come condizione di procedibilità, senza cui non sarà, pertanto, possibile adire il giudice.

NEGOZIAZIONE ASSISTITA NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO. La procedura di conciliazione appena illustrata ha una forte ricaduta nel diritto di famiglia, dal momento che, anche in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, il decreto prevede la facoltà di ricorrere alla negoziazione, assistita da un avvocato o meno. I coniugi, infatti, oltre ad avere la facoltà di ricorrere alla procedura di conciliazione co-gestita con l’assistenza di un legale, potranno, in alternativa, recarsi semplicemente al cospetto di un ufficiale dello stato civile per formalizzare l’intesa raggiunta. Si tratta, dunque, di un’importante semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio, che renderà l’Italia uno dei Paesi europei, in cui lo scioglimento del matrimonio sarà più rapido.

DICHIARAZIONI RESE AL DIFENSORE. La riforma prevede la possibilità di raccogliere direttamente da terzi dichiarazioni utili sul procedimento giudiziario in corso per accelerare e razionalizzare la fase istruttoria. Il legale potrà, infatti, sentire testimoni al di fuori del processo. L’intervento in parola risulta, peraltro, complementare all’ampio spazio concesso dalla riforma alla risoluzione stragiudiziale delle controversie. In pratica, si introduce una specifica norma mediante cui si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l’onere di provare.

PASSAGGIO DAL RITO ORDINARIO AL RITO SOMMARIO. Nelle cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, si affida al giudice unico, nelle materie di sua competenza, la possibilità di convertire d’ufficio il procedimento dal rito ordinario di cognizione al rito sommario, con ordinanza non impugnabile – e previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta.

RIDUZIONE DEI TERMINI DI SOSPENSIONE FERIALE DEI PROCEDIMENTI. Nonostante l’opposizione ricevuta dalla magistratura sul punto, il decreto stabilisce che il periodo interlocutorio di sospensione feriale nei Tribunali sia compreso dal 6 agosto al 31 agosto (anziché dal 1 agosto al 15 settembre). Mentre si prevede la riduzione delle ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni.

MODIFICA AL REGIME DELLA COMPENSAZIONE DELLE SPESE E INTERESSI SULLE SPESE DI LITE. Chi perde è tenuto a rimborsare le spese del processo. Il decreto se da una parte tenta di scoraggiare le cd. liti temerarie, dall’altra appronta una limitazione a certe condotte processuali meramente dilatorie. Nel primo caso, riduce i margini di discrezionalità delle Autorità Giudiziarie in ordine alla compensazione delle spese di lite, di cui, nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica si continuava a fare larghissimo uso, specie se una delle parti in causa era un’Amministrazione Pubblica. La soccombenza, adesso, assume un suo naturale e rilevante costo, incrementato, peraltro, dall’attribuzione di un tasso d’interesse nel corso dei procedimenti di cognizione pari a quello per i ritardi nelle transazioni commerciali. Quest’ultima disposizione dovrebbe, peraltro, disincentivare le pratiche dilatorie.

ESECUZIONE FORZATA. In fase esecutiva si consente l’accesso telematico degli Uffici Giudiziari alle banche dati delle P.A. per individuare con esattezza l’ammontare dei beni aggredibili del debitore soccombente in giudizio. L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è finalizzato a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei. La via seguita è evidentemente quella di implementare i poteri di ricerca dei beni da parte dell’Ufficiale Giudiziario, colmando così la ‘asimmetria informativa’ tra creditore e debitore in riferimento agli asset patrimoniali di quest’ultimo. Al creditore spetta trasmettere in Cancelleria per via telematica la nota di iscrizione a ruolo, unitamente all’atto di pignoramento, al titolo esecutivo e al precetto. Ulteriori provvedimenti in materia di esecuzione sono l’eliminazione dei casi in cui la dichiarazione del terzo debitore sia resa in udienza e l’obbligo di ordinare la liberazione dell’immobile con la pronuncia di ordinanza di vendita.

COMPETENZA TERRITORIALE DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE. Il decreto stabilisce che, per tutti i soggetti diversi dalle Pubbliche Amministrazioni, la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti verrà radicata presso il Tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

INFRUTTUOSITÀ DELL’ESECUZIONE. Viene, infine, introdotta una fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (art. 164-bis disp. att. c.p.c.) nel caso in cui risulti che le pretese dei creditori non possano più conseguire un ragionevole soddisfacimento, tenuto altresì conto dei costi necessari ai fini della prosecuzione della procedura di esecuzione forzata, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo.

Clicca qui per leggere il testo del Decreto legge

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CONVERTITO IN LEGGE IL DECRETO DI RIFORMA DELLA P.A.

Con il voto della Camera al cd. ‘decreto P.A.’, senza modifiche rispetto al testo già passato in Senato, la prima parte della Riforma della Pubblica Amministrazione è ora legge. Tuttavia, come ha precisato il Ministro Madia, il fulcro della riforma sarà nel disegno di legge delega la cui discussione in Senato, per ora, è stata rinviata a settembre.

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di Michele De Sanctis

Dopo aver posto per tre volte la fiducia in una sola settimana, lo scorso 7 agosto il Governo ha incassato il via libera definitivo sulla prima parte della riforma P.A.: analizziamo i principali punti della legge di conversione del DL 90/2014.

Il decreto in parola introduceva una serie di disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa, oltreché all’efficienza degli uffici giudiziari. Nel corso dell’esame parlamentare sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto e la discussione di alcuni punti è stata rinviata all’approvazione di specifici provvedimenti.

Tra le novità più importanti, la norma appena approvata prevede la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, cui potrà essere applicata, anche senza il loro consenso, entro una distanza di 50 km, salvo alcune deroghe per coloro i quali abbiano figli con meno di tre anni e diritto al congedo parentale e per quei lavoratori che usufruiscano dei permessi di cui alla L. 104/92, per l’assistenza a un familiare disabile.

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Confermata l’abrogazione del trattenimento in servizio, con deroga parziale per i magistrati, cui la soppressione dell’istituto in parola si applicherà solo dal 2016. Viene, inoltre, resa più stringente la disciplina del collocamento ‘fuori ruolo’ di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede il collocamento obbligatorio in ‘fuori ruolo’ allorché questi soggetti intendano accettare incarichi di diretta collaborazione o consulenza giuridica con un’Amministrazione Pubblica. Tuttavia, vengono fatti salvi i collocamenti in aspettativa già concessi e ancora in essere alla data di entrata in vigore del decreto.

Per quanto riguarda l’urgente questione posta dall’attuale blocco del turn over, sono state riviste le percentuali in riferimento al periodo 2014-2018, diventate adesso più flessibili rispetto ai parametri imposti dall’austerity, in precedenza chiesti dall’Europa e che sul piano operativo hanno dimostrato un’insostenibilità pratica ed una totale irrazionalità giuridica. In pratica, con le modifiche apportate, le Amministrazioni Pubbliche potranno ora assumere nel limite del 20% della spesa relativa alle uscite di quest’anno; tale percentuale passerà poi al 40% nel 2015, fino ad arrivare al 100% nel 2018.

Viene contestualmente consentita l’ulteriore proroga, oltre quella già prevista fino al 31/12/2014, per quei contratti a termine in essere e in passato stipulati dalle Province per specifiche necessità. Inoltre, per alcune tipologie di lavoratori socialmente utili non verranno applicati i limiti di assunzione previsti, ma soltanto nel caso in cui il costo relativo al personale risulti coperto da specifici finanziamenti.

Altra novità in materia pensionistica interessa chi dopo la pensione intenderà accettare incarichi di studio o di consulenza nella Pubblica Amministrazione: potrà farlo, ma solo a titolo gratuito.

I Dirigenti della P.A. potranno essere mandati in pensione a 62 anni, ma è saltato il pensionamento a 68 anni per primari e professori universitari.

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Per qesti ultimi, inoltre, diventerà più facile ottenere l’abilitazione di cui alla L. 240/2010: saranno, infatti, sufficienti 10 pubblicazioni (e non più 12) per presentare la propria candidatura. Saranno altresì rivisti i criteri di valutazione.

In previsione fino al 2019 sono stati “spalmati” i 62 milioni già stabiliti per i prepensionamenti nel fondo triennale per l’editoria. Viene nel contempo fissato per legge l’obbligo di almeno un’assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Per quanto riguarda le provvidenze all’editoria di cui alla L. 416/81, viene finanziata la spesa di 3 milioni per il 2014, di 9 milioni nel 2015, di 13 milioni nel 2016, di altri 13 nel 2017, di 10,8 nel 2018 e di 2 milioni nel 2019. Fissato, inoltre, un altro limite al Fondo straordinario per l’editoria: il finanziamento concesso per i prepensionamenti sarà revocato qualora i giornalisti prepensionati stipulino contratti di collaborazione sia con la testata presso cui già lavoravano sia con un’azienda editoriale diversa, ma facente parte del medesimo gruppo editoriale.

Sul fonte dei dirigenti pubblici, si introduce una norma che ne consente l’assunzione presso gli Enti Locali con contratto a termine e senza concorso. La chiamata diretta vede un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’attuale, che passa dal 10% al 30% dei posti in pianta organica. È poi consentito agli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, di non applicare alcuna limitazione. Con questa disposizione sembrerebbe, quindi, che la dirigenza stia tornando sotto un più serrato controllo della politica.

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Novità anche presso le Camere di Commercio, dove le tariffe delle segreterie saranno ora definite sulla base di costi standard prefissati dal Ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver consultato le società per gli studi di settore e Unioncamere. Il taglio degli importi dovuti alle CCIA sarà graduale nei prossimi tre anni (-35% nel 2015, -40% nel 2016 e -50% nel 2017).

Per quanto concerne l’organizzazione degli Enti Territoriali, resta confermata, invece, l’eliminazione delle quote dei diritti di segreteria e dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali e provinciali.

Sono salve le sezioni distaccate dei Tar, che si trovano nelle città sedi di corti d’appello: Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. La soppressione delle altre sedi slitta di quasi un anno, da ottobre 2014 a luglio 2015.

Per quanto riguarda la disciplina dei lavori pubblici, sono conferiti maggiori poteri all’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di vigilanza. In sostanza, il diritto degli appalti pubblici si arricchisce di un importante elemento di novità: potranno, infatti, essere commissariate anche le società appaltatrici dei lavori, coinvolte in inchieste per casi di corruzione. Inoltre, al Presidente dell’ANAC – attualmente, Raffaele Cantone – verranno assegnati compiti di alta sorveglianza, con l’obiettivo di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere milanesi di Expo 2015. Viene creata, poi, una corsia veloce per accelerare il giudizio amministrativo in materia di appalti: si prevede la possibilità di definirlo con sentenza in forma semplificata pronunciata in udienza fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, con possibilità di rinvio a 45 giorni per effettuare approfondimenti istruttori. Sempre in materia processuale, è previsto un inasprimento delle sanzioni per le cd. ‘liti temerarie’: l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto d’appalto.

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I componenti delle Authority dovranno attendere 5 anni per prima di essere nuovamente nominati a capo di un’altra Autorità. La razionalizzazione delle strutture deve poi prevedere una concentrazione del personale nella sede centrale non inferiore al 70%. Inoltre, i dirigenti di BankItalia ed ISVAP non potranno avere collaborazioni, consulenze o impieghi con i soggetti regolati entro due anni dalla cessazione del proprio incarico.

Per quanto riguarda il personale scolastico, il Governo ha deciso di rimandare a fine mese, con uno specifico provvedimento, la soluzione del problema dei cd. ‘quota 96’, che era stato precedentemente accantonato in Senato. Inoltre, pare che il Ministero dell’Istruzione abbia già iniziato a lavorare su un pacchetto scuola che dovrebbe prevedere concorsi nazionali banditi ogni due-tre anni per l’assunzione di nuovi docenti, insieme al reclutamento per il 50%, derivante dallo scorrimento delle graduatorie.

Come sempre, noi vi terremo aggiornati su tutte le prossime novità.

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Documenti:

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Sintesi del contenuto ed elementi per l’istruttoria legislativa 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Schede di lettura 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-A/R Elementi per l’esame in Assemblea 30 luglio 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-B Schede di lettura 5 agosto 2014

Scarica QUI il testo del decreto DL PA AC 2486 – B

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La Riforma della Giustizia in dodici punti

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di Germano De Sanctis

 

Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha presentato al Consiglio dei Ministri del 30 giugno le linee guida della Riforma della Giustizia, sul cui contenuto si avvierà una fase di consultazione che si concluderà il 31 agosto 2014. Tali linee guida sono suddivise nei seguenti dodici punti che dovrebbero costituire l’ossatura della riforma:

  1. Giustizia civile: riduzione dei tempi. Un anno in primo grado
  2. Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato.
  3. Corsia preferenziale per le imprese e le famiglie
  4. Csm: più carriera per merito e non grazie alla ‘appartenenza’
  5. Csm: chi giudica non nomina, chi nomina non giudica;
  6. Responsabilità civile dei magistrati sul modello europeo
  7. Riforma del disciplinare delle magistrature speciali (amministrativa e contabile);
  8. Norme contro la criminalità economica (falso in bilancio, autoriciclaggio);
  9. Accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione;
  10. Intercettazioni (diritto all’informazione e tutela della privacy)
  11. Informatizzazione integrale del sistema giudiziario
  12. Riqualificazione del personale amministrativo

Innanzi tutto, si deve evidenziare che si tratta solo di linee guida, prive di ogni valenza giuridica, ma finalizzate a sviluppare un dibattito pubblico sul’argomento. Infatti, in coerenza con le decisioni assunte in occasione della Riforma della Pubblica Amministrazione, il Governo ha avviato una fase di consultazione pubblica della durata di due mesi, che terminerà il 31 agosto. Infatti, Il premier Renzi ha voluto invitare i cittadini italiani a «discutere di giustizia in modo non ideologico», riuscendo « ad aprire per due mesi, dal 1° luglio al 31 agosto, un confronto aperto, una pubblica consultazione per discutere di giustizia», utilizzando, l’ormai noto indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it.
Al termine di tale consultazione pubblica, seguirà un nuovo passaggio in Consiglio dei Ministri per il varo del testo normativo vero e proprio.

Esaminiamo nel dettaglio, le novità più salienti contenute nelle linee guida in questione.

 

La durata massima di un anno per il processo di primo grado
Innanzi tutto, le linee guida focalizzano la loro attenzione sulla giustizia civile, la quale dovrebbe essere oggetto di una riforma capace di ridurne i tempi processuali. L’obiettivo del Governo è di far durare i procedimenti civili di primo grado un anno al massimo. A tal fine, a seguito della consultazione pubblica, sarà approvato un disegno di legge in materia (che, secondo il Presidente Renzi, dovrebbe divenire legge entro mille giorni decorrenti dal 1° settembre prossimo), il quale garantirà il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo, in coerenza coni i tempi dei processi civili di primo grado dei Paesi maggiormente industrializzati.

 

Dimezzamento dell’arretrato civile
Un altro aspetto della riforma particolarmente rilevante è rinvenibile nel dimezzamento dell’arretrato del processo civile, oggi attestato sui 5 milioni ,di procedimenti pendenti.
A tal fine s’introdurranno diverse novità normative, come, ad esempio, la previsione che renderà non necessario l’intervento di un giudice in caso di separazione e divorzio consensuali.
In coerenza con tale obiettivo, sarà anche prevista una speciale corsia preferenziale processuale per le imprese e le famiglie.

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura
Un altro punto delle Linee guida riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura, il quale non subirà, nell’immediato, alcun intervento sul suo metodo di elezione, ma riceverà interventi finalizzati a garantire che la carriera dei magistrati si svolga esclusivamente su basi di merito.
Si intende anche modificare il procedimento disciplinare dei magistrati, prevedendo che coloro che saranno deputati a giudicare il loro operato per eventuali mancanze o negligenze non svolgano alcun ruolo nei procedimenti di nomina dei vertici degli uffici giudiziari, e viceversa. In altri termini, ci si avvia verso la separazione delle funzioni amministrative da quelle disciplinari». La riforma delle norme disciplinari varrà anche per la magistratura contabile e amministrativa.

 

Intercettazioni
Per quanto concerne le intercettazioni, il Governo ha comunicato che non esiste alcun testo già redatto. In particolare, è stato precisato che i magistrati devono essere sempre liberi d’intercettare. Infatti, la riforma in questione non intende bloccare la possibilità di effettuare intercettazioni, ma vuole porre solo un limite alla loro pubblicabilità, in caso di vicende personali con collegate alle indagini.

 

 

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Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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Le nuove norme sulla dirigenza pubblica contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 13 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha varato il c.d. “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita”, unitamente ad un altro decreto legge sull’ambiente e l’agricoltura ed ad un disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice”, contenente ben otto deleghe legislative e che, una volta approvato dal Parlamento, mediante un percorso legislativo da concludersi nei prossimi sei mesi, porterà a compimento la riforma della Pubblica Amministrazione avviata con il decreto legge in questione.
Da un punto di vista di tecnica legislativa il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” è un testo “omnibus”, contenente una enorme quantità di disposizioni afferenti a diverse ed eterogenee materie, ma che, al contempo, affronta questioni irrisolte da tempo.
Invece, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” è composto di dodici articoli, contenenti (come detto) otto deleghe legislative al Governo.
Siamo di fronte al quarto tentativo di riforma della Pubblica Amministrazione posto in essere negli ultimi vent’anni. Sicuramente, incontrerà critiche ed opposizioni, così come le incontrarono i predetti provvedimenti proposti illo tempore. Anche stavolta, il tentativo in questione nasce con le migliori intenzioni e con le più forti ambizioni. Tuttavia, dovrà affrontare un confronto serrato con la macchina burocratica statale attraverso una dialettica che si connoterà per una lunga serie di prove di forza poste a cui si contrapporranno i tentativi di preservare gli equilibri consolidati.
Ci sarà tempo per l’analisi più specifica delle singole norme e per l’esame della loro applicazione concreta. Nel frattempo, analizzeremo le novità più interessanti contenute, sia nel decreto legge, che nel disegno di legge delega, dedicando loro una serie di post suddivisi per area tematica, cominciando con la riforma della dirigenza pubblica.

 

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La riforma della dirigenza pubblica rappresenta una degli elementi più salienti dell’impianto riformatore, il quale si connota per la sua volontà d’introdurre criteri di valutazione e di responsabilità più stringenti, unitamente al ridimensionamento del numero massimo di dirigenti in rapporto al numero complessivo dei dipendenti assegnati ad ogni singola Pubblica Amministrazione.
Inoltre, il provvedimento in esame istituisce il ruolo unico dei dirigenti dello Stato, superando le due fasce attuali. Si potrà accedere al ruolo unico, mediante concorso, sia per le amministrazioni centrali, che per quelle periferiche e per le autorità indipendenti.
I dirigenti saranno distinti tra esperti (con professionalità specifiche) e responsabili di gestione.

I dirigenti avranno incarichi a termine di durata triennale. I risultati di ogni singolo dirigente saranno valutati da una Commissione, secondo una nuova e semplificata serie di criteri di valutazione (oggetto di delega), sia della performance individuale realizzata, che degli uffici diretti.
Tale sistema valutativo è direttamente collegato ad una completa ridefinizione del sistema retributivo della dirigenza pubblica, che sarà in parte ancorato all’andamento del PIL. Infatti, il 15% della retribuzione complessiva di risultato sarà agganciato all’andamento del PIL. Tale percentuale variabile sostituirà l’attuale indennità di posizione, che è attualmente definita in misura fissa dalla contrattazione collettiva.

Vi è anche la previsione della licenziabilità dei dirigenti, qualora, al termine di un contratto costoro rimangano senza l’assegnazione di un nuovo incarico per un lasso di tempo congruo, che verrà individuato in sede di approvazione del disegno di legge delega in Parlamento. Il licenziamento in questione sarà anticipato della messa in mobilità del dirigente interessato.
Verrà anche previsto il diritto all’aspettativa per i dirigenti pubblici che decideranno di vivere un’esperienza di lavoro presso datori di lavoro privati o all’estero.
Invece, vi sarà l’introduzione del divieto di assegnare nuovi incarichi ai dirigenti che avranno raggiunto l’età pensionabile (anche alle dipendenze di società partecipate).

A fronte di tali previsioni per i dirigenti di diritto pubblico (cioè assunti mediante concorso), il decreto legge stabilisce anche che, negli enti locali, la quota di dirigenti assunti per competenze specifiche ed al di fuori dal concorso pubblico passerà dal 10% al 30%.

Il Consiglio dei Ministri del 13 giugno ha anche introdotto un’altra novità consistente in una previsione speciale avente ad oggetto i vertici dirigenziali delle ASL. Infatti, è prevista l’introduzione di una graduatoria unica dei candidati direttori generali delle Aziende Sanitarie Locali, al fine di assicurare trasparenza ed evitare che vengano scelti nomi legati al mondo politico o latori di interessi di parte.
Si tratta di una enorme novità, atteso che attualmente, ogni Regione dispone di una propria lista di soggetti dichiarati idonei (secondo propri criteri) e che utilizza ogni qual volta necessiti di nominare un direttore di una ASL.
La norma in questione impone alle Regioni di nominare soltanto chi, dopo aver preso parte ad un concorso pubblico e aver frequentato un corso universitario di formazione in gestione sanitaria, è stato inserito nell’unica graduatoria nazionale, che sarà oggetto di aggiornamento a cadenza biennale.
Inoltre, al fine d’innalzare la qualità delle prestazioni dirigenziali e di creare una reale sistema di responsabilizzazione dei manager sanitari, è stato previsto che il direttore potrà essere dichiarato decaduto, qualora non raggiunga gli obiettivi di gestione o non garantisca l’equilibro di bilancio, unitamente ai livelli essenziali di assistenza nella sua legge. Analoga ipotesi di decadenza è prevista in caso di commissione di violazioni di legge e regolamento e di mancata imparzialità. Il direttore decaduto verrà cancellato dalla lista nazionale.

 

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In estrema sintesi, il ruolo unico della dirigenza, la flessibilità nell’attribuzione degli incarichi, le politiche retributive ed i percorsi di carriera correlati ai meriti ed alle competenze (unitamente alla revisione della disciplina della responsabilità) non possono che essere oggetto di plauso. Tuttavia, non si può nascondere la preoccupazione di come questo impianto riformatore, una volta approvato dal Parlamento, possa realmente sbloccare un settore che si connota per sua eccessiva rigidità e per il suo perdurante immobilismo, per valorizzare e favorire il lavoro delle persone capaci e competenti, sia già appartenenti al ruolo dei dirigenti pubblici, sia provenienti da altre esperienze lavorative.

In tale ottica, l’età media elevata della dirigenza pubblica rappresenta un’opportunità. Infatti, l’esame dei dati statistici evidenzia la possibilità di gestire senza conflitti con le parti sociali il ricambio generazionale di circa il 50% dei dirigenti attualmente in servizio, semplicemente ricorrendo al turn over fisiologico nell’arco di settennio, con l’avvertenza che, tale lasso temporale, è tempo destinato a ridursi in caso di abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, così come proposto dal Governo.
Tale ultima affermazione non vuole esprimere alcuna valutazione negativa sulla qualità della dirigenza pubblica attuale, la quale, al contrario, è una categoria professionale che si distingue per le tante persone di valore che la occupano. Tuttavia, è necessario prendere atto che il blocco del turn over nel Pubblico Impiego, ha provocato una evidente senescenza della Pubblica Amministrazione ed, in particolare della sua dirigenza, la quale si rende particolarmente evidente, quando si riscontra l’incoerenza dei criteri con cui in passato si selezionavano i dirigenti pubblici con le attuali e future esigenze del “Sistema Paese” .
Pertanto, il primo vero problema da affrontare sarà una radicale riforma delle modalità di selezione concorsuali. Il concorso pubblico deve abbandonare le sue modalità tradizionali di svolgimento, finalizzate alla mera verifica di una formazione teorica di base. Invece, i futuri concorsi pubblici per dirigenti dovranno essere rispettosi delle più moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone, tenendo anche conto dei risultati professionali conseguiti, nonché dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro.

 

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P.A.: SCATTA IL 6 GIUGNO L’OBBLIGO DI FATTURAZIONE ELETTRONICA.

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Il prossimo 6 giugno partirà l’obbligo per i fornitori della PA di fatturare le cessioni di beni e le prestazioni di servizio realizzate nei confronti di ministeri, agenzie fiscali ed enti
di previdenza soltanto con modalità elettroniche. In questa prima fase l’obbligo sarà valido per le sole Amministrazioni centrali, ma sarà esteso a tutti gli Uffici periferici entro il 31 marzo 2015, data in cui nei rapporti con tutte le altre PA le fatture emesse o trasmesse in forma cartacea non potranno più essere né accettate né pagate. Il termine originariamente stabilito era quello del 6/6/2015, ma è stato anticipato al 31 marzo 2015 dal recente Decreto Legge 24 aprile 2014, n. 66 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2014, n. 95 (cd. Decreto Renzi).

Il processo, porterà ad un risparmio complessivo di circa 60 milioni di euro coinvolgendo, a regime, 21.200 Uffici, oltre a tutti i soggetti in relazione con essi.

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Il vantaggio principale sarà che l‘Ente Pubblico avrà l’obbligo di assolvere al pagamento nei tempi previsti; altrettanto importante è il fatto che il fornitore avrà la certezza che il proprio documento sia stato recapitato all’ufficio di destinazione in tempi e modalità certe. Ne consegue che sia le aziende private, come i fornitori, che le PA dovranno obbligatoriamente attivare un processo di archiviazione e Conservazione Elettronica delle fatture. Gestire un archivio elettronico significa diminuire i tempi di ricerca, eliminare le duplicazioni dei documenti, ridurre i costi di stampa e consumo di carta e degli spazi dedicati all’archiviazione. Insomma, questo percorso di digitalizzazione che la PA ha iniziato produrrà un effetto benefico anche sulle aziende private. L’obbligo sarà un’opportunità concreta per innovare ed economizzare la gestione di tutti i documenti, non solo delle fatture.

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L’obbligo di fatturazione in forma elettronica risale alla Finanziaria 2008 (art. 1 commi dal 209 al 214 L. 244/2007) e prevede che la trasmissione delle fatture elettroniche destinate alle Amministrazioni dello Stato sia effettuata attraverso il Sistema di Interscambio (SDL), sistema informatico di supporto al processo di “ricezione e successivo inoltro delle fatture elettroniche alle Amministrazioni destinatarie” nonché alla “gestione dei dati in forma aggregata e dei flussi informativi anche ai fini della loro integrazione nei sistemi di monitoraggio della finanza pubblica”. Le modalita` di funzionamento dello SDL sono state definite con il decreto ministeriale 3 aprile 2013, n. 55.

Gli utenti coinvolti nel processo di fatturazione elettronica sono:
– gli operatori economici, cioè i fornitori di beni e servizi verso le PA, obbligati alla compilazione/trasmissione delle fatture elettroniche e all’archiviazione sostitutiva prevista dalla legge. Va precisato che le fatture emesse dagli intermediari per la trasmissione delle dichiarazioni dei redditi e per la riscossione mediante modello F24 sono, al momento, derogate dagli obblighi;
– le Pubbliche Amministrazioni, che devono effettuare una serie di operazioni collegate alla ricezione della fattura elettronica;
– gli intermediari (banche, Poste, altri intermediari finanziari, intermediari di filiera, commercialisti, imprese ICT), vale a dire quei soggetti terzi ai quali gli operatori economici possono rivolgersi per la compilazione/trasmissione della fattura elettronica e per l`archiviazione sostitutiva prevista dalla legge. Possono servirsi degli intermediari anche le PA per la ricezione del flusso elettronico dei dati e per l’archiviazione sostitutiva.

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Le prime indicazioni operative sono state fornite dal Dipartimento delle Finanze con Circolare 1/2014, oltreché indicato una stretta tempistica per l’inserimento nell’IPA delle anagrafiche degli uffici adibiti alla ricezione delle fatture elettroniche. Infatti, ad oggi il sito dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) è già in grado di fornire l’elenco di tutti gli Enti che aderiscono al processo di Fattura Elettronica: testimonianza, questa, che le PA sono pronte ad accogliere questo nuovo documento.

La fattura elettronica consiste in un documento in formato XML, sottoscritto con firma elettronica qualificata o digitale, da inviare mediante il Sistema di interscambio. Una volta predisposta dal fornitore, la fattura va inviata allo SDI il quale assegna un identificativo ed effettua una serie di controlli propedeutici all’inoltro del documento. Tuttavia, come già accennato, per poter ricevere la fattura elettronica attraverso lo SDI, le PA sono prima tenute ad inserire all’interno dell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) l’anagrafica degli Uffici (centrali o periferici) destinatari delle stesse. Tali uffici saranno identificati con un Codice Univoco da comunicare ai fornitori i quali dovranno indicarlo in fattura.

La fattura elettronica riporterà i dati e le informazioni contenute nell’allegato A al D.M. 55/2013; in particolare, sarà d’obbligo riportare le informazioni fiscali e quelle per la trasmissione attraverso il sistema di interscambio. Nell’ambito dell’art. 25 del recente D.L. 66/2014, viene stabilito, inoltre, che le fatture elettroniche emesse nei confronti delle PA, devono indicare, tra gli altri elementi previsti:
– il Codice identificativo di gara (CIG), salvo gli specifici casi di esclusione della tracciabilità ex L. n. 136/2010;
– il Codice Unico di Progetto (CUP) per le fatture riferite a opere pubbliche, manutenzioni straordinarie, interventi finanziari da contributi comunitari nonché se previsto ai sensi dell’art. 11, L. n. 3/2003. In carenza di detti codici, la PA non può effettuare il pagamento della fattura.

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La trasmissione delle fatture allo SDI e da questo alle PA destinatarie avverà attraverso l’utilizzo di uno dei seguenti canali:
– PEC o analogo sistema di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni, nonché l’integrità del contenuto delle stesse;
– SDICoop un sistema di cooperazione applicativa esposto su rete internet fruibile attraverso protocollo HTTPS per i soggetti non attestati su rete SPC (Sistema Pubblico di Connettività);
– SPCoop un sistema di cooperazione applicativa tramite porte di dominio attestate su rete SPC (Sistema Pubblico di Connettività);
– SDIFTP un sistema di trasmissione dati tra terminali remoti basato su protocollo FTP all’interno di circuiti chiusi che identificano in modo certo i partecipanti e assicurano la sicurezza del canale;
– Internet un sistema di trasmissione telematica esposto su rete internet fruibile attraverso protocollo HTTPS per i soggetti accreditati (sito http://www.fatturapa.gov.it per i soggetti abilitati a Entratel, Fisconline o Carta nazionale dei servizi).

Si precisa che il divieto di accettare le tradizionali fatture, in realtà, non sarà immediatamente operativo; l’art. 6 del D.M. 55/2013 prevede, infatti, che le PA fino a tre mesi dalla data di decorrenza dell’obbligo potranno ancora accettare e pagare le fatture emesse in forma cartacea. Per i fornitori, invece, sarà già valido il divieto di emettere fattura cartacea.

Da ultimo, corre l’obbligo di ricordare che restano salve tutte le disposizioni in merito ai termini di pagamento delle fatture; in particolare, il D.Lgs 231/2002 fissa in 30 giorni il termine ordinario per il pagamento delle fatture, con decorrenza dalla data di ricevimento della fattura, trascorsi i quali sono dovuti al creditore gli interessi moratori sull’importo dovuto senza che sia necessaria la costituzione in mora.

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Continua, quindi, il cammino delle riforme della PA. L’Italia riparte e cambiano le abitudini, soprattutto in ambito lavorativo. La percezione di efficienza data dall’abitudine nello svolgere le azioni quotidiane sarà, forse, un freno nei primi tempi, che impedirà ai soggetti coinvolti di valutare positivamente l’introduzione di questi nuovi sistemi organizzativi, che il cambiamento richiede. Ma oggi l’informatica offre la possibilità di valutare la gestione dei documenti aziendali in modo più agile, introducendo anche sistemi di archiviazione elettronica graduale. La gestione delle fatture elettroniche permetterà, perciò, di capire ‘sul campo’ in che modo il lavoro quotidiano possa cambiare. Eliminare la stampa quando non serve, oltreché annullare la duplicazione dei documenti ed archiviarli elettronicamente: queste saranno presto azioni possibili, attivando semplici strumenti e a costi inferiori di quelli finora sostenuti per gestire un archivio cartaceo. Il Governo sembra davvero avere intenzione di snellire e svecchiare una volta per tutte l’Amministrazione Pubblica. E, intanto, si avvicina l’altro appuntamento promesso con le riforme in questo campo. Il 13 giugno ci sarà la tanto attesa ‘rivoluzione’ della PA? Noi ve ne daremo notizia. Voi continuate a seguirci, anche su FACEBOOK E TWITTER.

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Cottarelli: tagli alle invalidità civili

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di Michele De Sanctis

«Se sarà necessario non è da escludere una mobilitazione nazionale, tale da esprimere, con tutta la forza possibile, la disperazione che tali misure generano in una già grave situazione per le persone con disabilità e le loro famiglie». 
La società civile all’attacco del piano Cottarelli. Queste sono state, infatti, le prime dichiarazioni a caldo rilasciate da Pietro Barbieri e Giovanni Pagano, presidenti rispettivamente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), le due organizzazioni che rappresentano la quasi totalità delle Associazioni impegnate sul fronte della disabilità, dopo la diffusione delle Proposte di revisione della spesa pubblica, elaborate da Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la Spending Review, fra le cui ipotesi sono contemplati anche alcuni interventi sulla spesa per le invalidità civili «particolarmente preoccupanti».

Parliamo di 500 euro per 12 mensilità che l’INPS corrisponde, spesso dopo mesi di attesa, a famiglie sull’orlo della disperazione, che si trovano in casa una persona non più autosufficiente, gravemente malata e che necessita di un accudimento costante. Accudimento, rispetto al quale quel misero forfait è poco o nulla, tant’è che spesso non è neanche sufficiente a coprire quanto previsto dal contratto nazionale delle collaboratrici familiari e le famiglie si ritrovano costrette a ricorrere al lavoro nero o a dichiarare nel contratto con la badante un numero di ore di assistenza inferiori a quelle effettivamente prestate. Ad ogni buon conto, la stretta sulle pensioni di invalidità e accompagnamento si aggira intorno ai 30.000 euro individuali e ai 45.000 euro di reddito familiare: oltre questa soglia di reddito le stesse potrebbero essere negate.

«Le nostre Federazioni – dichiarano i Presidenti di FISH e FAND – rigettano ogni ipotesi di intervento sulle uniche provvidenze certe a favore delle gravi disabilità e intendono intervenire in tutte le sedi istituzionali, senza escludere il ricorso a una mobilitazione nazionale, per contrastare questa previsione».

La principale critica mossa ai rilievi di Cottarelli è quella circa la rilevata disomogeneità del territorio che non corrisponderebbe alla distribuzione demografica dei disabili; sul punto, le associazioni fanno notare che il «Commissario non ha incrociato i dati con la spesa per i non autosufficienti in quelle stesse Regioni». Diversamente, avrebbe scoperto che, «laddove le Regioni (esempio Calabria) spendono pochissimo per i disabili gravi, il numero delle indennità di accompagnamento lievita proporzionalmente. E soprattutto non ha presente i tagli massicci che la spesa sociale ha subito nell’ultimo decennio che spingono gli stessi Comuni a consigliare i propri cittadini ad avviare le procedure di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento».

E’ come dire che, dove ci sono più servizi a livello locale, meno si ricorre al parastato che, nelle realtà prive di assistenza alla persona a livello sanitario, quindi regionale, viene visto come l’ultima (e forse la sola) spiaggia, cui far ricorso per chiedere un aiuto.

Il cuore della questione è quindi il grafico, presentato da Cottarelli, che visualizza la distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, dimostrandone lo squilibrio interregionale: i numeri, riferiti solo alle persone con 65 e più anni, evidenziano che per 100 prestazioni di accompagnamento riconosciute in Piemonte (regione con il numero più basso) ce ne sono oltre 200 in Calabria (regione con il numero più alto) e picchi evidenti anche in Campania, Umbria e Sardegna, seguite da Puglia e Sicilia. All’estremo opposto, con il Piemonte, anche Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana. Le altre, chi più chi meno, nel mezzo. “Tale andamento – scrive la FISH – dimostra sicuramente una differente distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, ma nulla ci dice rispetto alle motivazioni che potrebbero stare alla base degli squilibri evidenziati”.

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«Il documento del Commissario Straordinario – dichiarano Barbieri e Pagano – ripropone vetuste e discutibili proiezioni, evidenziando come in alcune Regioni vi siano percentuali maggiori di indennità di accompagnamento rispetto ad altre. Abusi, quindi, che sarebbero dimostrati appunto dai “picchi territoriali” e da un aumento della spesa non dimostrata da “flussi demografici”. Ma, come appena evidenziato, è “piuttosto semplicistico” affermare che il maggior numero di indennità di accompagnamento concesse in alcune regioni rispetto ad altre derivi da una serie di “abusi” che andrebbero contrastati. Lo si legge anche su una fonte autorevole in questo campo come Superabile, il portale che INAIL ha dedicato alle tematiche della disabilità. E’, perciò, diventata una guerra di numeri quella che in queste ore vede contrapposti da un lato chi spinge per una stretta sulle pensioni di invalidità e sulle indennità di accompagnamento e dall’altro chi invece quegli stessi interventi vorrebbe evitarli.

La FISH sul suo portale Condicio.it critica aspramente questi dati apparentemente incomprensibili e incontrovertibili rispondendo con altri numeri e tabelle, usando elaborazioni ISTAT che provano a dare una spiegazione al fenomeno, rilevato da supercommissario. Senza mancare di far notare che le indennità di accompagnamento sono concesse soprattutto agli ultra65enni (a loro va il 73% del totale, dati Istat al 1° gennaio 2012) e che la stessa presenza di “picchi territoriali” risulta alquanto strana sia in considerazione del ruolo che, nella validazione dei verbali di invalidità, hanno i medici INPS (che agiscono secondo criteri omogenei in tutta Italia), e sia considerando il fatto che fra il 2009 e il 2014 oltre un milione di posizioni è stato sottoposto a controllo. Evidente il riferimento alle azioni contro i cosiddetti “falsi invalidi”, da sempre criticate dalla Fish per gli scarsi risultati raggiunti. Lo stesso neo Presidente dell’Istituto di previdenza sociale, Vittorio Conti, ha, peraltro, ribadito che i controlli contro i falsi invalidi sono già stati fatti e che, comunque, se davvero si volessero ottenere tagli consistenti, occorrerebbe abbassare ancora di più la soglia degli aventi diritto all’indennità di accompagnamento. 

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Come dire che il programmato taglio non sarebbe, evidentemente, sufficiente. La sperequazione a livello regionale tra aree virtuose e meno, d’altro canto, ne risulterebbe incrementata, con il solo risultato che i disabili residenti in quelle zone prive di una sanità pubblica efficiente resterebbero di fatto senza una tutela garantita, peraltro, dalla Costituzione. Secondo chi scrive, c’è poi da considerare un ultimo aspetto: discriminare la concessione dell’accompagnamento con una simile soglia di reddito, non porterebbe questo beneficio a perdere la sua natura previdenziale, divenendo quasi un contributo assistenziale per disabili non abbienti? Previdenza e assistenza: sono concetti di legislazione sociale su cui si basa la differenza di taluni interventi che il nostro stato sociale ha previsto in situazioni diverse di bisogno. E mi viene anche un sospetto, a breve si tornerà a parlare di assoggettamento a IRPEF delle pensioni di invalidità civile? Questa spending che è stata presentata come la cura che ci salverà dalla lunga malattia che avvilisce la nostra economia, necesssaria per finanziare le promesse riforme del jobs act, millantato dal premier col fare di un teleimbonitore che illustra le caratteristiche del prodotto del giorno, mi sembra una specie di ‘fake’. E alla fine mi resta un dubbio: era così indispensabile colpire di nuovo questa categoria di soggetti, che è già stata nel mirino di tutti gli ultimi governi?

Ocse: Italia riformi tasse e lavoro e tagli i tempi della giustizia

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Gli obiettivi chiave per la politica economica italiana restano quelli di risolvere la pesante eredità della disoccupazione lasciata dalla crisi e di rianimare la competitività. Lo sottolinea l’Ocse nel rapporto “Obiettivo crescita”, pubblicato in occasione del G20 di Sydney, che fa il check up delle riforme strutturali realizzate dal 2012 nei Paesi industrializzati.

La lista di priorità per la Penisola resta lunga, secondo quanto riferisce sul rapporto l’agenzia Radiocor: si va dalla riforma del lavoro, all’istruzione, alle privatizzazioni, al rispetto della legge e ai tempi della giustizia, fino alla tassazione – tema su cui l’Ocse raccomanda semplificazione -, lotta all’evasione e riduzione della pressione sui salari più bassi. «Svariati anni di consolidamento fiscale, bassa fiducia e scarso credito hanno lasciato l’Italia con un tasso di disoccupazione a doppia cifra e nessun chiaro segnale di una rapida ripresa», scrivono gli esperti dell’Ocse.

La Penisola è in effetti al sesto posto tra i 34 Paese aderenti all’Organizzazione con un tasso di disoccupazione oltre il 12 per cento. Il rapporto torna a sottolineare la necessità di riequilibrare la protezione del lavoro, riducendola in alcuni tipi di contratto e migliorando la rete di salvataggio del welfare. Per ridurre il rischio della disoccupazione di lungo termine, l’Ocse raccomanda di rafforzare le politiche attive del lavoro. Inoltre, «riforme del mercato del lavoro mirate a ridurne la dualità – scrivono gli economisti dell’Organizzazione – con in particolare l’attuazione di una rete di salvataggio universale, una migliore istruzione professionale e il sostegno per l’apprendistato possono ridurre l’ineguaglianza dei redditi».

Sul fronte delle tasse, l’Ocse raccomanda di «migliorare la struttura delle imposte, semplificando il codice fiscale, combattendo l’evasione fiscale e, quando la situazione di bilancio lo permetterà, riducendo il cuneo fiscale sui lavoratori a basso reddito».

Vanno inoltre ridotte le barriere alla concorrenza «rafforzando il rispetto della legge a tutti i livelli di Governo, riducendo la proprietà pubblica e i ritardi della giustizia civile». L’Ocse ribadisce anche che va migliorata l’equità e l’efficienza del sistema di istruzione, sia per utilizzare meglio i fondi convogliati sull’istruzione, sia per migliorare le possibilità di quanti hanno basse qualifiche.

Il rapporto peraltro prende nota anche delle riforme fatte nei due ultimi anni, come l’assegno di disoccupazione universale o la nuova normativa per le industrie di rete, i maggiori poteri dati all’Antitrust e la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozia. Con la postilla tuttavia, che «vanno fatti altri sforzi per assicurarsi l’effettiva attuazione delle riforme».

Fonte: Il Sole 24 Ore