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La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la “Riforma Madia” nella parte in cui prevede il parere della Conferenza Stato-Regioni e non l’intesa

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di Germano De Sanctis

Con la sentenza n. 251 depositata il 25 novembre 2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune norme della Legge delega, 7 agosto 2015 n. 124 (meglio nota come “Riforma Madia”) avente ad ad oggetto la riforma della Pubblica Amministrazione

Nello specifico, gli articoli della Legge n. 124/2015 oggetto del vaglio di legittimità costituzionale sono stati i seguenti:

  • art. 1, comma 1, lett. b), c) e g);

  • art. 1, comma 2;

  • art. 11, comma 1, lett. a), b), n. 2, c), nn. 1 e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q);

  • art. 11, comma 2,;

  • art. 16, comma 1;

  • art. 16, comma 4;

  • art. 17, comma 1, lett. a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t);

  • art. 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), nn. da 1 a 7;

  • art. 19, lett. b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u);

  • art. 23, comma 1.

In estrema sintesi, il giudizio di illegittimità costituzionale interessa quella parte della Legge 124/2015 in cui è stato previsto che l’attuazione della stessa attraverso appositi decreti legislativi, possa avvenire a seguito di un semplice parere della Conferenza Stato-Regioni o Unificata. Invece, secondo la Consulta, la quale si è pronunciata a seguito di un ricorso della Regione Veneto, è necessaria una previa intesa.

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Entrando nel dettaglio, le norme impugnate hanno ad oggetto la delega al Governo ad adottare una serie di decreti legislativi per il riordino di numerosi settori delle Pubbliche Amministrazioni, comprese quelle regionali e degli enti locali.

Tali decreti legislativi interessano:

  • la cittadinanza digitale (art.1);

  • la dirigenza pubblica (art, 11);

  • il conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario delle Aziende UU.SS.LL. (art. 11);

  • il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni (art. 17);

  • le partecipazioni azionarie delle Pubbliche Amministrazioni (art. 18);

  • i servizi pubblici locali di interesse economico generale (art. 19).

Come si vede, si stratta di diverse materie che vedono coinvolti, in una prospettiva unitaria, interessi e competenze, sia statali, che regionali (ed, in alcuni casi, anche degli enti locali).

Per tale ragione, la Corte costituzionale ha affermato che, in primo luogo, necessita verificare se, nei singoli settori in cui intervengono le norme impugnate, vi siano alcune materie rispetto alle quali risulti evidente la competenza prevalente dello Stato. Siffatta prevalenza escluderebbe la violazione delle competenze regionali.

Qualora non fosse possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, la normativa impugnata, poiché sussiste una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, il legislatore statale deve necessariamente rispettare il principio di leale collaborazione e prevedere adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze.

Tale impostazione ermeneutica era già stata evidenziata in precedenti occasioni da parte della Consulta. Infatti, la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato che il legislatore statale deve vincolare l’attuazione della propria normativa al raggiungimento di un’intesa, basata sulla reiterazione delle trattative al fine del raggiungimento di un esito consensuale, nella sede della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata, a seconda che siano in discussione solo interessi e competenze statali e regionali o anche degli enti locali.

Si tiene a precisare che la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale qualifica le Conferenze come le sedi più qualificate per realizzare la leale collaborazione e, in particolare, per consentire alle Regioni di svolgere un ruolo costruttivo nella determinazione del contenuto di atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale.

In coerenza con tale filone giurisprudenziale, la Corte Cost. n. 251/2016 ha affermato che l’intesa nella Conferenza è un necessario passaggio procedurale anche qualora la normativa statale debba essere attuata con decreti legislativi delegati adottati dal Governo nel rispetto dell’art. 76 Cost. Infatti, questi decreti legislativi delegati sono sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega. Pertanto, essi non possono sottrarsi alla procedura concertativa appositamente prevista per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze.

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In virtù di siffatto ragionamento ermeneutico, la Corte Costituzionale ha respinto i gravami di legittimità costituzionale proposti dalla Regione Veneto nei confronti delle norme recanti la delega a modificare e integrare il D.Lgs., 7 marzo 2005, n. 82, meglio noto come Codice dell’Amministrazione Digitale (cfr., art. 1, Legge n. 124/2015). Infatti, queste norme costituiscono un’espressione, in maniera prevalente, della competenza statale in tema di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’Amministrazione statale, regionale e locale (cfr., art. 117, comma 2, lett. r), Cost.), poiché esse garantiscono una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, necessaria per rendere possibile la comunicabilità tra i sistemi informatici della Pubblica Amministrazione (cfr., in tal senso, Corte Cost. n. 17/2004), nell’ottica della piena realizzazione dell’Agenda Digitale Italiana, a sua volta, rispettosa delle indicazioni provenienti dall’Unione Europea.

Per di più, tali norme assolvono anche all’esigenza primaria di offrire ai cittadini garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale nell’accesso ai dati personali, come pure ai servizi. Si tratta evidentemente di una esigenza riconducibile alla competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali (cfr., art. 117, comma 2, lett. m), Cost.).

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Invece, per quanto concerne le norme contenenti la delega al Governo in materia riorganizzazione della dirigenza pubblica (cfr., art. 11, Legge n. 124/2015), la Corte costituzionale ha riscontrato un chiaro ed inestricabile concorso di competenze statali e regionali, tale impedire che le une fossero prevalenti sulle altre.

Quest’ultima considerazione è apparsa particolarmente pregnante in relazione all’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali e alla definizione, da un lato, dei requisiti di accesso, delle procedure di reclutamento, delle modalità di conferimento degli incarichi, nonché della durata e della revoca degli stessi (aspetti inerenti all’organizzazione amministrativa regionale, di chiara competenza regionale), dall’altro, di regole unitarie inerenti al trattamento economico ed al regime di responsabilità dei dirigenti (aspetti inerenti al rapporto di lavoro privatizzato e, quindi, sicuramente riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, di competenza statale).

Pertanto, la Corte Costituzionale ha dovuto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 Legge n. 124/2015, nella parte in cui, incidendo su materie di competenza sia statale, che regionale, prevede che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è l’intesa, ma il semplice parere, che, come è noto, non garantisce un confronto autentico con le autonomie regionali.

Anche la sede individuata dalle norme impugnate risulta non essere idonea, in quanto le norme impugnate interessano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali. Infatti, l’unico luogo idoneo per l’intesa è la Conferenza Stato-Regioni e non la Conferenza unificata.

Anche le norme contenenti le deleghe al Governo per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, nonché di partecipazioni azionarie delle Pubbliche Amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale interessano una pluralità di materie e di interessi, ineludibilmente connessi e riconducibili, sia a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica), che regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale).

Pertanto, la Corte Cost. n. 251/2016 ha dovuto dichiarare l’illegittimità costituzionale di tali norme nella parte in cui, incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, è stato previsto che i decreti legislativi attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell’intesa, ma quella del semplice parere, la quale, come detto, non è idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali.

Anche in tal caso, la previa intesa deve essere raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni per l’adozione delle norme attuative della delega in tema di riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, in quanto sono in gioco interessi che coinvolgono lo Stato e le Regioni, mentre in sede di Conferenza Unificata sono coinvolti anche gli interessi degli enti locali.

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Infine, si tiene a precisare che la Corte Costituzionale ha circoscritto il giudizio di legittimità solo alle disposizioni di delega specificamente impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. Si ricorda che le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa.

Ne consegue che eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tenere necessariamente conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, esercitando il suo potere discrezionale, riterrà opportuno adottare in ossequio al principio di leale collaborazione.

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La presunta sospensione della dematerializzazione dei documenti delle Pubbliche Amministrazioni

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di Germano De Sanctis

È opinione diffusa che il legislatore abbia disposto una sospensione a favore delle Pubbliche Amministrazioni delle regole tecniche sulla formazione dei documenti informatici. In realtà, l’attenta lettura del dato normativo delinea un quadro fattuale molto diverso.

Lo scorso 13 settembre 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179 che ha apportato alcune modifiche al D.Lgs. n. 82/20005, meglio noto come Codice dell’Amministrazione Digitale (C.A.D.).

In particolare, tale novella legislativa prevede la sospensione dell’efficacia del D.P.C.M. 13 novembre 2014 per un tempo congruo all’emanazione di nuove regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici pienamente conformi alle disposizioni del Codice. In altri termini, si è in presenza di una parziale sospensione a breve termine di parte delle regole tecniche e solo a favore delle Pubbliche Amministrazioni che decidano di avvalersene. Fatta questa debita premessa, passiamo ad esaminare nel dettaglio il dato normativo.

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In primo luogo, chiariamo la situazione. L’obbligo di dematerializzare i documenti delle Pubbliche Amministrazioni risale a ben undici ani fa, quando entrò in vigore il D.Lgs. n. 82/2005. Tuttavia, le Pubbliche Amministrazioni sono state messe nelle condizioni di rispettare tale obbligo solo a seguito dell’approvazione del D.P.C.M. 13 novembre 2014, contenente le Regole Tecniche del Codice dell’Amministrazione Digitale. Nello specifico, l’art. 17, comma 2, D.P.C.M. 13 novembre 2014 prevede che le Pubbliche Amministrazioni devono formare gli originali dei propri documenti con mezzi informatici secondo le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 82/2005, con particolare riferimento alle regole tecniche di cui all’art. 71 D.Lgs. n. 82/2005. In altri termini, tali riferimenti normativi contengono le caratteristiche fondamentali per considerare legale un documento informatico redatto da una Pubblica Amministrazione, o da consegnare ad una Pubblica Amministrazione.

In attuazione dell’art. 17, comma 2, D.P.C.M. 13 novembre 2014, a far data dal 12 agosto 2016, le Pubbliche Amministrazioni devono procedere alla dematerializzazione dei loro documenti amministrativi. Come vedremo, non esiste alcuna certezza circa la tempistica della presunta sospensione di tale obbligo, né, tanto meno, che esso sia stato oggetto di rinvio.

Infatti, l’art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 179/2016 dispone che, con decreto del Ministro della Semplificazione e la Pubblica Amministrazione da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto (avvenuta 14 settembre 2016), sono aggiornate e coordinate le regole tecniche previste dall’art. 71 D.Lgs. n. 82/2015. Le regole tecniche vigenti nelle materie del D.Lgs. n. 82/2005 restano efficaci fino all’adozione del decreto in questione.

Inoltre, sempre fino all’adozione del suddetto decreto ministeriale, l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti, di cui all’art. 17 D.P.C.M. 13 novembre 2014, è sospeso, salva la facoltà per le Pubbliche Amministrazioni medesime di adeguarsi anteriormente.

Ne consegue che tutte le regole tecniche attualmente in vigore devono essere aggiornate entro quattro mesi decorrenti dal 14 settembre 2016. Tuttavia, si deve precisare che tale termine sembrerebbe avere natura meramente ordinatoria, sia perché non sono previste conseguenze per il suo mancato rispetto, sia anche perché appare molto difficile regolamentare una normativa così complessa in un lasso di tempo veramente ridotto.

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Pertanto, nell’attesa che venga emanato il decreto in questione contenente tutte le regole tecniche previste dall’art. 71 D.Lgs. n. 82/2005, restano efficaci e vincolanti per le Pubbliche Amministrazioni le regole preesistenti, nel rispetto delle quali si devono formare, gestire e conservare i documenti amministrativi in modalità esclusivamente digitale.

Per quanto concerne i contenuti della citata modalità digitale, l’art. 23-ter D.Lgs. n. 82/2005 ha chiarito che gli atti formati dalle Pubbliche Amministrazioni con strumenti informatici, nonché i dati e i documenti informatici detenuti dalle stesse, costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, duplicazioni e copie per gli usi consentiti dalla legge. Inoltre, l’art. 41 D.Lgs. n. 82/2005 ha previsto che le Pubbliche Amministrazioni debbano:

  • formare, senza alcuna eccezione, gli originali dei propri documenti e registri con mezzi informatici secondo le disposizioni del D.Lgs. n. 82/2005 e delle regole tecniche in vigore;

  • gestire i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Anche la lettura degli artt. 3, 3-bis e 5-bis, D.Lgs. n. 82/2005 conferma l’immediata vigenza dell’obbligo di dematerializzare i propri documenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Infatti, tali norme prevedono che, sia i cittadini, che le imprese devono hanno il diritto di comunicare in modalità digitale con le Pubbliche Amministrazioni e che, di conseguenza, le Pubbliche Amministrazioni hanno il preciso obbligo di accettare la presentazione di istanze e dichiarazioni in modalità digitale, nonché di formare i propri documenti come originali esclusivamente informatici.

Orbene, tornando all’esame dell’art. 61, D.Lgs. n. 179/2016, esso specifica che fino all’adozione del citato emanando decreto ministeriale contenente le regole tecniche, l’obbligo in capo alle Pubbliche Amministrazioni di adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti, ex art. 17 D.P.C.M. 13 novembre 2014, è sospeso, fatta salva la facoltà in capo alle Pubbliche Amministrazioni medesime di adeguarsi anteriormente.

Ricordiamo che l’art. 17 D.P.C.M. 13 novembre 2014 prevede che la sua entrata in vigore decorsi trenta giorni decorrenti dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Le Pubbliche Amministrazioni devono adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti entro diciotto mesi dalla sua entrata in vigore, cioè entro il 12 agosto 2016 e che, fino al completamento di siffatto processo, si possono applicare le previgenti regole tecniche (anche se, in precedenza, non sono mai state rilasciate altre regole tecniche formazione dei documenti informatici). Fatta questa premessa, l’art. 17 D.P.C.M. 13 novembre 2014 prevede che, decorso tale termine, si applicano le attuali regole tecniche.

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Giunti a questo punto, viene da chiedersi come si sia generata la convinzione diffusa che sia entrata in vigore una sospensione. Infatti, esaminando il dato letterale dell’art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 179/2016 emergerebbe la sospensione soltanto dei sistemi di gestione documentale delle Pubbliche Amministrazioni e non anche della fase della formazione dei documenti.

Tale conclusione appare logica se si tiene conto che, ragionando “a contrario”, non troverebbero più applicazione tutti gli altri principi contenuti nel D.Lgs. n. 82/2005 e nel D.P.C.M. 13 novembre 2014, concernenti la fase attuativa della dematerializzazione dei documenti amministrativi (cioè, l’avvio delle istanze on line, la gestione documentale, l’archiviazione, la conservazione etc.), con la conseguenza che risulterebbero inattuabili tutte le regole sulla formazione dei documenti informatici, i quali costituiscono il presupposto dell’attività amministrativa informatica.

Si potrebbe ritenere che la sospensione riguardi soltanto gli obblighi di fascicolazione informatica da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Tuttavia, anche questa interpretazione non è esente da critiche, poiché la sospensione delle regole tecniche di cui al D.P.C.M. 13 novembre 2013 contrasterebbe con l’art. 43, comma 1-bis, D.Lgs. n. 82/2005, secondo il quale se il documento informatico è conservato per legge dalle Pubbliche Amministrazioni ex art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 (cfr., art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 82/2005) cessa l’obbligo di conservazione a carico dei cittadini e delle imprese che possono, in ogni momento, richiedere l’accesso al documento stesso. Infatti, sembrerebbe assurdo prevedere una norma che impone alle Pubbliche Amministrazioni di conservare i documenti informatici, garantendo il diritto di accesso ai cittadini e alle imprese ed, al contempo, sospendere gli obblighi di fascicolazione informatica di tali documenti. Infatti, se la Pubblica Amministrazione non crea e conserva il fascicolo informatico relativo ad un procedimento, il cittadino è impossibilitato ad effettuare un accesso digitale ai documenti che gli interessano.

In estrema sintesi, non è intervenuta alcuna una reale sospensione delle regole tecniche, anche se si è diffusa questa opinione.

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Le norme della Legge di Stabilità 2016 sulla erogazione dei servizi sanitari nel rispetto delle disposizioni dell’Unione europea in materia di orario di lavoro

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di Germano De Sanctis

Premessa

Come è noto, a far data dal 25.11.2015, in virtù dell’art. 14, comma 1, Legge n. 161/2014, la normativa italiana in materia di orario di lavoro dei medici e dirigenti sanitari si è ufficialmente riallineata alla normativa europea vigente.

Tale norma ha obbligato le PP.AA. a garantire in modo diretto ed immediato i seguenti obblighi normativi nella gestione dell’orario di lavoro della dirigenza medica:

  • il rispetto del limite massimo di lavoro giornaliero pari a 12 ore e 50 minuti di lavoro giornaliero;

  • il rispetto del limite massimo di orario di lavoro settimanale pari a 48 ore di durata media, compreso il lavoro straordinario;

  • il rispetto del limite minimo di riposo giornaliero pari a 11 ore continuative nell’arco dell’intera giornata.

Nello specifico, l’art. 14, comma 1, Legge, n. 161/2014, abrogando l’art. 41, comma 13, D.L. n. 112/2008 (conv. dalla Legge n. 133/2008), ha soppresso l’espressa previsione legislativa che consentiva alla contrattazione collettiva di gestire il regime derogatorio delle disposizione ex art. 7 D.Lgs. n. 66/2003, con il solo limite di assicurare modalità e condizioni di lavoro idonee a garantire un pieno recupero delle energie psico-fisiche.

In coerenza con tale previsione abrogatrice, l’art. 14, comma 2, Legge n. 161/2014 dispone che, per fare fronte alle esigenze derivanti dalle disposizioni di cui all’art. 14, comma 1, Legge n. 161/2014, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano devono garantire la continuità nell’erogazione dei servizi sanitari e l’ottimale funzionamento delle strutture, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili sulla base della legislazione vigente, attuata attivando appositi processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dei propri enti sanitari.

Peraltro, l’art. 14, comma 3, Legge n. 161/2014 prevede che, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 17, D.Lgs., n. 66/2003, al fine di garantire la continuità nell’erogazione dei LEA, i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità devono disciplinare le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del S.S.N. preposto ai servizi relativi all’accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo anche equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso.

Il medesimo art. 14, comma 3, Legge n. 161/2014 stabilisce, altresì, che, nelle more del rinnovo dei contratti collettivi vigenti, le disposizioni contrattuali in materia di durata settimanale dell’orario di lavoro e di riposo giornaliero, attuative degli abrogati art. 41, comma 13, D.L. n. 112/2008 (convertito dalla Legge, n. 133/2008) e art. 17, comma 6-bis, D.Lgs. n. 66/2003, cessano di avere applicazione a decorrere dal 25.11.2015.

Tale nuovo assetto normativo impone alle Direzioni delle Aziende U.S.L. di:

  • modificare immediatamente modificare l’organizzazione del lavoro di ciascun reparto e/o servizio;

  • riformulare, se necessario, gli obiettivi aziendali, al fine di renderli raggiungibili alla luce delle disposizioni in materia di orario di lavoro contenute nel D.Lgs. 66/2003.

In caso di mancato rispetto delle disposizioni previste dal D.Lgs. n. 66/2003, saranno irrogate le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo medesimo.

Il rispetto di tali previsioni legislative ha creato non pochi problemi operativi alle PP.AA. interessate.

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La Legge 28.12.2015, n. 208 (c.d. Legge di Stabilità 2016)

A fronte di tale quadro normativo, è intervenuto l’art. 1, commi da 541 a 544 Legge 28.12.2015, n. 208 (c.d. Legge di Stabilità 2016), con l’intento di fornire una soluzione normativa alle difficoltà poc’anzi indicate.

Esaminiamo le norme appena introdotte nel dettaglio.

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Art. 1, comma 541, Legge n. 208/2015

Nell’ambito della cornice finanziaria programmata per il S.S.N. e in relazione alle misure di accrescimento dell’efficienza del settore sanitario previste dall’art. 1, commi da 521 a 552, Legge n. 208/2015 e alle misure di prevenzione e gestione del rischio sanitario di cui all’art. 1, commi da 538 a 540, Legge n. 208/2015, al fine di assicurare la continuità nella erogazione dei servizi sanitari, nel rispetto delle disposizioni dell’Unione europea in materia di articolazione dell’orario di lavoro, le Regioni e le Province Autonome:

  • ove non abbiano ancora adempiuto a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, D.M., n. 70/2015, adottano un provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del S.S.R., nonché i relativi provvedimenti attuativi. Le Regioni sottoposte ai piani di rientro, nel rispetto dell’art. 1, comma 4, D.M. n. 70/2015, devono adottare i relativi provvedimenti nel rispetto dei tempi e delle modalità operative definiti nei programmi operativi di prosecuzione dei piani di rientro (cfr., art. 1, comma 541, lett. a), Legge n. 208/2015);

  • predispongono un piano concernente il fabbisogno di personale, contenente l’esposizione delle modalità organizzative del personale, tale da garantire il rispetto delle disposizioni dell’Unione Europea in materia di articolazione dell’orario di lavoro attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili, in coerenza con quanto disposto dall’art. 14, Legge n. 161/2014 (cfr., art. 1, comma 541, lett. b), Legge n. 208/2015);

  • trasmettono entro il 29.02.2016 i provvedimenti di cui all’art. 1, comma 541, lett. a) e b), Legge n. 208/2015 al Tavolo di verifica degli adempimenti e al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA, nonché al Tavolo per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento di cui al D.M. n. 70/2015. Il Tavolo di verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA valutano congiuntamente, entro il 31.03.2016, i provvedimenti di cui all’art. 1, comma 541, lett. a) e b), Legge n. 208/2015 (cfr., art. 1, comma 541, lett. c), Legge n. 208/2015);

  • ferme restando le disposizioni vigenti in materia di contenimento del costo del personale e quelle in materia di piani di rientro, se sulla base del piano del fabbisogno del personale emergono criticità, si applica l’art. 1, commi 543 e 544, Legge n. 208/2015 (cfr., art. 1, comma 541, lett. d), Legge n. 208/2015).

 

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Art. 1, comma 542, Legge n. 208/2015

Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani di cui all’art. 1 comma 541, lett. b), Legge n. 208/2015, nel periodo intercorrente dal 01.01.2016 al 31.07.2016, le Regioni e le Province Autonome, previa attuazione delle modalità organizzative del personale al fine di garantire il rispetto delle disposizioni dell’Unione Europea in materia di articolazione dell’orario di lavoro, qualora si evidenzino criticità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere, in deroga a quanto previsto dall’art. 9, comma 28, D.L. n. 78/2010 (conv. dalla Legge n. 122/2010), a forme di lavoro flessibile, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese quelle relative al contenimento del costo del personale e in materia di piani di rientro.

Se al termine del medesimo periodo temporale permangono le predette condizioni di criticità, tali contratti di lavoro possono essere prorogati fino al termine massimo del 31.10.2016.

Ovviamente, deve essere data tempestiva comunicazione ai Ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze del ricorso a tali forme di lavoro flessibile, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese quelle relative al contenimento del costo del personale e in materia di piani di rientro.

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Art. 1, comma 543, Legge n. 208/2015

In deroga a quanto previsto dal D.P.C.M. 06.03.2015 e in attuazione dell’art. 4, comma 10, D.L. n. 101/2013 (conv. dalla Legge n. 125/2013), gli enti del S.S.N. possono indire, entro il 31.12.2016, e concludere, entro il 31.12.2017, procedure concorsuali straordinarie per l’assunzione di:

  • personale medico;

  • personale tecnico-professionale;

  • personale infermieristico.

Deve risultare che tale personale è necessario per a far fronte alle eventuali esigenze assunzionali emerse in relazione alle valutazioni operate sul piano di fabbisogno del personale, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 541, Legge n. 208/2015.

Nell’ambito di tali procedure concorsuali, gli enti del S.S.N. possono riservare i posti disponibili, nella misura massima del 50%, al personale medico, tecnico-professionale e infermieristico:

  • in servizio alla data di entrata in vigore della Legge n. 208/2015;

  • che abbia maturato, alla data di pubblicazione del bando, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni con i medesimi enti con:

    • contratti a tempo determinato;

    • contratti di collaborazione coordinata e continuativa;

    • altre forme di rapporto di lavoro flessibile.

Nelle more della conclusione delle medesime procedure, gli enti del S.S.N. continuano ad avvalersi del personale contrattualizzato in forma flessibile, anche in deroga ai limiti di cui all’art. 9, comma 28, D.L. n. 78/2010 (conv. dalla Legge n. 122/2010). In relazione a tale deroga, gli enti del S.S.N., oltre alla prosecuzione dei rapporti di lavoro flessibile già in essere, sono autorizzati a stipulare anche nuovi contratti di lavoro flessibile esclusivamente ai sensi dell’art. 1, comma 542, Legge n. 208/2015, fino al termine massimo del 31.10.2016.

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Art. 1, comma 544, Legge n. 208/2015

Per il biennio 2016-2017, le previsioni di cui all’art. 1 comma 543, Legge n. 208/2015, sono attuate nel rispetto della cornice finanziaria programmata e delle seguenti disposizioni:

  • art. 2, comma 71, Legge n. 191/2009, in virtù del quale le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle PP.AA. e dell’IRAP, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento;

  • art. 17, comma 3, D.L. n. 98/2011 (conv. dalla Legge n. 111/2011), secondo il quale le disposizioni di cui all’art. 2, commi 71 e 72, Legge, n. 191/2009 si applicano, ogni anno, fino al 2020;

  • art. 17, comma 3-bis D.L. n. 98/2011 (conv. dalla Legge n. 111/2011), il quale dispone che la verifica dell’effettivo conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 17 comma 3, D.L. n. 98/2011 viene svolta con le modalità previste dall’art. 2, comma 73, Legge n. 191/2009. La Regione è giudicata adempiente, ove sia accertato l’effettivo conseguimento di tali obiettivi. In caso contrario, per gli anni dal 2013 al 2019, la Regione è considerata adempiente, ove abbia raggiunto l’equilibrio economico e abbia attuato, negli anni dal 2015 al 2019, un percorso di graduale riduzione della spesa di personale fino al totale conseguimento nell’anno 2020 degli obiettivi previsti all’art. 2, commi 71 e 72, Legge n. 191/2009;

  • art. 17, comma 3-ter, D.L. n. 98/2011 (conv. dalla Legge n. 111/2011), in virtù del quale le Regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari o ai programmi operativi di prosecuzione dei predetti pianirestano comunque fermi gli specifici obiettivi ivi previsti in materia di personale;

  • i piani di rientro previsti per le Regioni a loro sottoposte, i quali impongono specifici obiettivi in materia, da ritenersi comunque vincolanti, anche a fronte delle citate norme di rango nazionale.

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Il nuovo regolamento sugli standard dell’assistenza ospedaliera

di Germano De Sanctis

Premessa

Lo scorso 19 giugno è entrato in vigore il Decreto del Ministero della Salute 2 aprile 2015 n. 70 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 127 del 4 giugno 2015), il quale è stato emanato in attuazione dell’art. 1, comma 69, Legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell’art. 15, comma 13, lett. c). D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 135).

Il D.M. n. 70/2015 è un complesso documento di programmazione sanitaria che introduce, mediante le disposizioni contenute nel suo allegato tecnico, una serie di importanti novità per la sanità italiana, a cui le Regioni e le strutture sanitarie dovranno adeguarsi entro il 2016.

Nello specifico, il decreto ministeriale in questione è un regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera.

In altri termini, il D.M. n. 70/2015 ridisegna, sia la mappa, che l’organizzazione dell‘intera rete ospedaliera italiana. Infatti, il regolamento in tende garantire, nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, dei livelli qualitativi appropriati e sicuri, favorendo, al contempo, una significativa riduzione dei costi, nel rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (c.d. LEA). Infatti, si è in presenza di un complesso documento tecnico, che si caratterizza per l’enorme numero di previsioni finalizzate ad assicurare, su tutto il territorio nazionale, un’uniforme definizione degli standard delle strutture sanitarie dedicate all’assistenza ospedaliera.

Anzi, si può tranquillamente affermare che l’adozione del D.M. n. 70/2015 segna l’avvio della fase applicativa del processo di quel riassetto strutturale e di qualificazione della rete assistenziale ospedaliera, che rappresenta, ormai da diversi anni, una fondamentale linea programmatica del Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, tale riassetto dovrà fornire risposte effettive alle nuove esigenze del mutato quadro di riferimento sanitario, così come delineato dalle tre principali transizioni degli ultimi decenni: l’epidemiologica, la demografica e la sociale.

Infatti, la definizione degli standard dimensionali, l’analisi dei volumi di attività e l’individuazione delle soglie minime di esito rappresentano gli strumenti essenziali per rendere effettiva la valutazione della qualità delle prestazioni, garantendo al contempo, un recupero sostanziale di risorse. Quest’ultima considerazione trova ulteriore conforto nel recente accordo raggiunto in seno alla Conferenza Stato Regioni circa un’ulteriore riduzione della dotazione finanziaria del Fondo Sanitario Nazionale e che impone, di conseguenza, una revisione sostanziale degli standard ospedalieri, al fine di garantire il contenimento della spesa e la sostenibilità del sistema sanitario.

Appare evidente che il conseguimento di simili ambiziosi obiettivi necessita della costruzione di un sistema capace di integrare rete ospedaliera con la rete dei servizi territoriali. In altri termini, il regolamento in esame intende rafforzare la missione assistenziale affidata agli ospedali, al fine di rendere possibile a ciascuna componente del Servizio Sanitario Nazionale lo svolgimento del proprio specifico ruolo di presa in carico delle persone, assicurando, al contempo, i dovuti livelli di qualità degli interventi.

Fatta questa premessa passiamo all’esame del regolamento in questione, dedicando preliminarmente qualche riga all’evoluzione storica dell’argomento in questione, al fine di meglio comprendere le novità introdotte.

Cenni storici

Sin dall’introduzione del Servizio sanitario nazionale (SSN) con la Legge 23 dicembre 1978 n. 833, il legislatore nazionale ha cercato di individuare le forme più idonee per la sua gestione, al fine di migliorare le prestazioni fornite al cittadino, nel rispetto del principio di ottimizzazione delle risorse disponibili.

Tale intento è rinvenibile anche nel successivo D.Lgs. n. 502/1992, il quale, nel riordinare la disciplina sanitaria, dedica un intero Titolo alle prestazioni in ambito sanitario.

Tuttavia, nel tempo, l’attenzione del legislatore non si è esclusivamente soffermata sulle sole strutture di erogazione dei servizi, bensì anche sulla struttura centrale ministeriale. Infatti, il D.Lgs. 30 giugno 1993 n. 266 ha riorganizzato Ministero, assegnandoli (per espressa previsione dell’articolo 1) le funzioni di programmazione sanitaria ed individuando i livelli delle prestazioni da assicurare uniformemente sul territorio nazionale, nonché il coordinamento del sistema informativo e la verifica comparativa dei costi e dei risultati conseguiti dalle singole Regioni. Infine, l’art. 5 D.Lgs. n. 266/1993 ha istituito l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), con funzione di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle risorse personali e materiali e nelle forniture.

In seguito, il D.P.R. 14 gennaio 1997 ha individuato i criteri per l’erogazione dei servizi sanitari da parte delle varie strutture presenti sul territorio nazionale. Nello specifico, sono dettagliatamente indicati i requisiti specifici per le strutture che erogano prestazioni all’interno del SSN, suddividendoli in tre macro aree:

  1. l’assistenza specialistica in regime ambulatoriale, da erogarsi in strutture, intra o extraospedaliere, preposte all’erogazione di prestazioni sanitarie di prevenzione, diagnosi;

  2. la terapia e la riabilitazione, da svolgersi in situazioni che non richiedono ricovero neanche a ciclo diurno;

  3. il ricovero ospedaliero, a ciclo continuo e/o diurno per acuti.

Infine, merita una specifica segnalazione il D.P.C.M. del 29 novembre 2001 (in vigore dal 23 febbraio 2002), il quale ha definito i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè le prestazioni e i servizi che il SSN deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il c.d. ticket). A tal proposito, si ricorda che le principali fonti normative sui LEA il D.Lgs. n. 502/1992 ss.mm.ii. e la Legge n. 405/2001.

I LEA sono organizzati in tre grandi aree:

  1. l’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro: essa ricomprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività ed ai singoli. Nello specifico, sono ascrivibili a tale area:

    • la tutela dagli effetti dell’inquinamento;

    • la tutela dai rischi infortunistici negli ambienti di lavoro;

    • la sanità veterinaria;

    • la tutela degli alimenti;

    • la profilassi delle malattie infettive;

    • le vaccinazioni e i programmi di diagnosi precoce;

    • la medicina legale;

  2. l’assistenza distrettuale: essa ricomprende tutte le attività ed i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio. Nello specifico, sono ascrivibili a tale area:

    • la medicina di base;

    • l’assistenza farmaceutica;

    • la specialistica e diagnostica ambulatoriale;

    • la fornitura di protesi ai disabili;

    • i servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi;

    • i servizi territoriali consultoriali (consultori familiari, Sert, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per i disabili, etc.);

    • le strutture semiresidenziali e residenziali (residenze per gli anziani e i disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche);

  3. l’assistenza ospedaliera: essa ricomprende le seguenti attività:

    • pronto soccorso;

    • ricovero ordinario;

    • day hospital e day surgery, in strutture per la lungodegenza e la riabilitazione.

Nonostante gli sforzi operati dai singoli Governi che si sono succeduti nel tempo, per assicurare ai cittadini un’erogazione delle prestazioni sanitarie efficaci, efficienti e omogenee su tutto il territorio nazionale, i Servizi Sanitari Regionali (intesi nel loro complesso) non sono mai riusciti finora a garantire un corrispondente assetto organizzativo, al punto da giustificare la produzione da parte del legislatore nazionale di norme sulla formazione del bilancio finalizzate al contenimento delle spese ed al miglioramento delle prestazioni.

Un norma esemplificativa di tale situazione è rinvenibile nella Legge 30 dicembre 2004 n. 311 che fissa criteri e limiti per le assunzioni del personale (tuttora sostanzialmente vigente: cfr., art. 1, comma 584, Legge 23 dicembre 2014 n. 190), nonché il rispetto degli obblighi di programmazione a livello regionale, razionalizzando le reti strutturali della domanda e dell’offerta ospedaliera e garantendo l’equilibrio economico-finanziario dei singoli sistemi sanitari regionali (cfr., l’art. 1, comma 98 e comma 173, lettera d), Legge 30 dicembre 2004 n. 311).

Le novità contenute nel D.M. n. 70/2015 in materia di standard ospedalieri

Gli obiettivi.

In primo luogo, necessita evidenziare che il punto 1 dell’Allegato I individua gli obiettivi e gli ambiti di azione, sottolineando la necessità di ridurre il tasso di occupazione dei posti letto, la durata della degenza media, nonché il tasso di ospedalizzazione, che consente un aumento della produttività ed un conseguente miglioramento delle performance del SSN.

La classificazione degli ospedali.

Ai sensi del punto 2 dell’Allegato I, gli obiettivi del D.M. n. 70/2015 sono fondati sull’integrazione dei servizi offerti dalle reti dell’emergenza-urgenza, dell’ospedale e del territorio. In particolare, il punto 2 dell’Allegato I classifica gli ospedali vengono classificati in tre livelli:

  1. ospedali di base con un bacino di utenza compreso tra 80.000 e 150.000 abitanti (cfr., punto 2.2 dell’Allegato I);

  2. ospedali di I livello con un bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti (cfr., punto 2.3 dell’Allegato I);

  3. ospedali di II livello con un bacino di utenza compreso tra 3.000.000 e 1.200.000 abitanti (cfr., punto 2.4 dell’Allegato I).

Inoltre, si prevede espressamente che i singoli ospedali devono disporre, in relazione al livello di appartenenza, di unità operative di complessità e specialità crescente.

Il dimensionamento delle strutture in funzione del bacino di utenza rappresenta un aspetto molto positivo del D.M. n. 70/2015, in quanto di vincola l’individuazione della struttura sanitaria più appropriata ad un parametro oggettivo, scevro da ogni forma di discrezionalità. In tal modo, sarà possibile evitare inutili duplicazioni delle strutture, con evidenti benefici in termini di efficienza nell’utilizzo delle risorse a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale. Al contempo, il dimensionamento delle strutture per bacino di utenza renderà oggettivamente necessaria l’attivazione di servizi e/o strutture in aree geografiche che attualmente ne risultano sguarnite.

Il rapporto posti letto per abitante.

In tale contesto organizzativo, il regolamento in esame dispone che la programmazione regionale deve attribuire le funzioni di lungodegenza e di riabilitazione entro il limite di 0,7 posti letto per mille abitanti, di cui almeno 0,2 per la lungodegenza (cfr., punto 2.6 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015). A tal proposito, si evidenzia che le funzioni di riabilitazione sono quelle indicate nel piano di indirizzo per la riabilitazione allegato all’Accordo Stato-Regioni del 10 febbraio 2011.

I rapporti con gli erogatori privati.

Il punto 2.5. dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 si sofferma sui rapporti con gli erogatori privati. Tale punto adotta un criterio vincolante di programmazione ospedaliera ed indica alle Regioni un parametro da rispettare nel conferire la dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio Sanitario Regionale.

In primo luogo, si evidenzia che il regolamento dispone che le strutture ospedaliere private devono essere accreditate, mediante la sottoscrizione di appositi accordi contrattuali annuali e in base alla programmazione regionale. Tale ultima precisazione presuppone che gli erogatori privati svolgano compiti coerenti ed integrati all’interno della rete ospedaliera.

Inoltre, sin da quest’anno, la soglia di accreditabilità non può essere inferiore a 60 posti letto per acuti ed a 40 posti letto per singole strutture facenti parte di un unico gruppo, con la sola espressa esclusione delle strutture monospecialistiche. In altri termini, siamo alla vigilia di un complesso processo di riconversione e/o fusione, finalizzato al raggiungimento di una dotazione di posti letto adeguata, con l’avvertenza che, dal 1° gennaio 2017, non sarà più possibile sottoscrivere contratti con strutture accreditate con posti letto compresi tra i 40 ed i 60 posti letto per acuti e che non siano state oggetto delle predette aggregazioni.

Gli standard minimi e massimi di strutture per singola disciplina.

Il punto 3.1 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 individua le strutture di degenza e dei servizi relativi ai posti letto, nonché il tasso di ospedalizzazione. Inoltre, si precisa che l’indice di occupazione dei posti letto deve attestarsi su valori del 90% tendenziale e che la durata media della degenza per i ricoveri ordinari non deve essere superiore a 7 giorni.

Conseguentemente il regolamento in esame ha anche individuato il tasso di ospedalizzazione atteso di ricoveri appropriati, fissandolo nella misura di 160 posti letto per 1000 abitanti (di cui circa un quarto per day hospital).

Si tratta di una riduzione del fabbisogno di posti letto resasi necessaria anche in virtù del percorso che prevede, sia la conversione dei ricoveri ordinari in day hospital, che la conversione dei ricoveri in day hospital in prestazioni territoriali.

In virtù di tali parametri, il regolamento afferma, altresì, che il numero di 17,5 posti letto per struttura complessa ospedaliera risulta essere perfettamente compatibile con quanto previsto dal Comitato LEA.

I volumi e gli esiti.

Per quanto concerne i volumi e gli esiti, il punto 4 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 introduce una novità normativa che ha un solo precedente rinvenibile nelle disposizioni in materia di dimensionamento dei punti nascita contenute nell’Accordo della Conferenza Stato-Regioni in sede di Conferenza Unificata del 16 dicembre 2010. Infatti, il punto 4.2. dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 introduce le soglie minime di volume di attività e le individua attraverso una specifica tabella.

Per di più, viene specificato che tali soglie, entro sei mesi dall’emanazione del D.M. n. 70/2015, debbano essere monitorate, ridefinite ed eventualmente implementate per volumi di attività specifici, correlati agli esiti migliori.

Questa introduzione di un rapporto tra volume di prestazioni, esiti delle cure e numerosità delle strutture risulta essere molto importante. Infatti, l’introduzione della regola seconda la quale una struttura può continuare a svolgere le sue funzioni in base al volume e agli esiti rappresenta un elemento di sicura novità, nonché di garanzia della qualità e sicurezza delle cure erogate ai cittadini su tutto il territorio nazionale.

Gli standard generali di qualità

Innanzi tutto, preme ricordare che, relativamente agli standard generali di qualità ed ai requisiti di autorizzazione e accreditamento è intervenuta la recente approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni dell’Intesa in materia di adempimenti relativi all’accreditamento delle strutture sanitarie (cfr., n. 32/CSR del 19 febbraio 2015).

Invece, in tema di standard organizzativi, strutturali e tecnologici, il punto 6.2 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 stabilisce che il rapporto percentuale tra il numero del personale del ruolo amministrativo ed il numero totale del personale impegnato nei Presidi ospedalieri che non può superare il limite del 7%.

Le reti ospedaliere.

Il punto 8 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 dedica la sua attenzione all’articolazione anche delle reti ospedaliere, istituendo le seguenti 10 reti focalizzate per patologie che integrano l’attività ospedaliera:

  1. rete infarto;

  2. rete ictus;

  3. rete traumatologica;

  4. rete neonatologica e punti nascita;

  5. rete medicine specialistiche;

  6. rete oncologica;

  7. rete pediatrica;

  8. rete trapiantologica;

  9. rete terapia del dolore;

  10. rete malattie rare.

Inoltre, nell’ambito di tali reti vengono evidenziate le reti infarto, ictus e traumatologica come le tre reti in riferimento alle quali la dimensione “tempo” assume un ruolo determinate.

La rete dell’emergenza-urgenza.

Il punto 9 dell’Allegato I al D.M. n. 70/2015 dedica la sua attenzione all’articolazione delle reti di assistenza del Servizio sanitario nazionale ed, in particolare, alla rete dell’emergenza-urgenza.

A tal proposito, il regolamento prevede che la rete ospedaliera dell’emergenza sia costituita da strutture di diversa complessità assistenziale, le quali si devono relazionare secondo il modello hub and spoke integrato con una serie di strutture articolare su quattro livelli di operatività. Tali strutture devono essere in grado di rispondere alle necessità d’intervento secondo livelli di capacità crescenti in base alla loro complessità, alle competenze del personale, nonché alle risorse disponibili.

La continuità ospedale-territorio.

Merita una particolare attenzione la lettura del punto 10 dell’Allegato I del D.M. n. 70/2015, il quale è dedicato alla continuità tra le reti dell’assistenza ospedaliera e quella del territorio. Infatti, tale punto afferma espressamente che la riorganizzazione della rete ospedaliera sarà insufficiente se, in una logica di continuità assistenziale, non verrà affrontato il tema del potenziamento delle strutture territoriali, la cui carenza, o mancata organizzazione in rete, produce forti ed immediate ripercussioni sull’utilizzo appropriato dell’ospedale.

L’ospedale di comunità.

In virtù di questa importante affermazione di principio, il punto 10.1 dell’Allegato I del D.M. n. 70/2015 qualifica il c.d. ospedale di comunità, come la struttura che può fungere da elemento d’unione tra la rete ospedaliera e quella del territorio, coerentemente con quanto espressamente previsto, sia dalla Conferenza Stato-Regioni con l’Accordo n. 36 del 13 febbraio 2013 (contenente le linee di indirizzo per la riorganizzazione del sistema di emergenza-urgenza in rapporto alla continuità assistenziale), sia dall’art. 5 del Patto per la Salute 2014-2016 (avente ad oggetto l’assistenza territoriale).

Nello specifico gli ospedali di comunità devono essere strutture capaci di erogare una serie di cure che, pur non richiedendo il ricovero nelle strutture ospedaliere ordinarie, necessitano di un livello assistenziale superiore a quello domiciliare.

Esse devono avere 15-20 posti letto, devono fare riferimento ai distretti sanitari e devono essere gestite esclusivamente da personale infermieristico.

L’assistenza medica al loro interno deve essere assicurata da medici di medicina generale, pediatri o altri medici, secondo criteri da definirsi al livello regionale.

Le modalità di attuazione del D.M. n. 70/2015

Il D.M. n. 70/2015 prevede ben dodici suoi provvedimenti attuativi, fatta eccezione delle ulteriori indicazioni attuative contenute nella sua Appendice 2.

Inoltre, la tempistica di tre provvedimenti attuativi è già oggetto di mancato rispetto.

In particolare, si evidenzia il provvedimento attuativo previsto dall’art. 1, comma 2, del D.M. n. 70/2015. Tale norme dispone che, entro il 31 dicembre 2014, le Regioni devono adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio Sanitario Regionale, a un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza postacuzie, nonché i relativi provvedimenti attuativi, assicurando, al contempo, il progressivo adeguamento agli standard definiti all’interno dello stesso D.M. n. 70/2015 nel corso del triennio 2014-2016. Tuttavia, come detto in premessa, il D.M. n. 70/2015 è entrato in vigore il 19 giugno 2015 e, di conseguenza, al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la tempistica in esame era già scaduta da quasi sei mesi.

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L’ITALIA PUÒ TORNARE COMPETITIVA?

di Germano De Sanctis

L’economia italiana, al pari di gran parte delle altre economie degli Stati Membri della Unione Europea, non riesce ad uscire dalla crisi economica e finanziaria. Infatti, siamo quotidianamente “bombardati” dagli allarmanti dati sulla costante recessione e dalle costanti previsioni sulla permanente deflazione.

Questa incapacità di uscire dalla crisi è principalmente cagionata dall’assenza di una reale ripresa dell’economia nazionale, la quale, a sua volta, è determinata da una perdurante assenza di competitività.

Per comprendere meglio questa affermazione, basta considerare il fatto che la crisi finanziaria del 2007 ha colpito in modo differente i singoli Paesi europei. Infatti, gli Stati europei che avevano investito nei decenni precedenti nelle aree fondamentali per la crescita economica (come, ad esempio, l’istruzione, la formazione del capitale umano, la ricerca e lo sviluppo etc.) hanno saputo gestire meglio questa difficile fase. Invece, i Paesi denominati dalla poco edificante etichetta di “Pigs” (cioè, Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) hanno subito maggiormente gli effetti negativi della crisi, proprio perché avevano in precedenza dedicato pochissime risorse a questo genere di investimenti. Inoltre, in Italia, la crisi economica è accompagnata anche dalla difficile gestione del proprio debito sovrano. Appare evidente come un simile quadro produca una seria crisi di competitività.

Inoltre, le generiche politiche di austerità finora adottate hanno contribuito ad aggravare i fenomeni recessivi in atto, in quanto, l’Italia, al pari dei Paesi europei che versano nelle sue medesime condizioni, necessita prioritariamente di riforme “strutturali”, capaci di stimolare la crescita.

Tuttavia, in un quadro di così profonda crisi, la crescita non può essere prodotta soltanto facendo ricorso agli investimenti privati in un’ottica di loro autoregolamentazione neoliberista.

Forse è il caso di ragionare sull’utilità di nuove politiche di stampo keynesiano, dove lo Stato interviene nell’aumentare gli investimenti in quei settori capaci di aumentare la produttività e di generare la crescita. In altri termini, lo Stato deve investire sull’istruzione, sulla formazione e sulla ricerca.

Tuttavia, simili politiche d’intervento necessitano di istituzioni pubbliche dinamiche, capaci di assicurare un efficace collegamento tra il mondo scientifico, i settori industriali ed il sistema finanziario. Soltanto in tal modo, si potrà garantire la ricaduta tecnologica della migliore ricerca scientifica, attraverso l’avvio di politiche industriali innovative e supportate da investimenti finanziari a lungo termine.

Personalmente, ritengo che lo sforzo che la BCE intende compiere attraverso il c.d. il “Quantitative Easing” sia un’operazione necessaria, ma non sufficiente. Infatti, tale operazione fallirebbe se la sua iniezione di denaro fosse destinata solo al sostegno del credito. Invece, bisogna dirottare questo futuro aumento di liquidità monetaria verso i settori produttivi dell’economia reale. Però, per raggiungere un simile risultato, è imprescindibile l’intervento delle istituzioni pubbliche, così come l’esperienza passata ha già avuto modo di insegnare. Basti pensare, ad esempio, all’operazione compiuta recentemente negli USA con il programma di misure di stimolo promosso da Barak Obama.

Appare, quindi, evidente che l’Eurozona deve immediatamente elaborare politiche d’intervento unitarie, se non vuole attraversare l’intero 2015, inseguendo un ripresa che, altrimenti, non arriverà mai. Le istituzioni comunitarie ed i Singoli Stati Membri devono avere il coraggio di avviare politiche “solidali” di crescita e sviluppo, capaci di eliminare gli squilibri macroeconomici attualmente esistenti tra le singole economie nazionali. Anche la “locomotiva tedesca” ne beneficerebbe, godendo del maggiore potere di acquisto dei cittadini dell’intero continente europeo, il quale rappresenta, tuttora, il suo principale mercato d’esportazione.

Tuttavia, la competitività non si raggiunge abbattendo i costi della manodopera, ma acquisendo la capacità di produrre in maniera competitiva prodotti di alta qualità, che il resto mondo intende acquistare, ma che non è ancora capace di produrre, o di realizzare con i medesimi standard di fabbricazione.

Pertanto, bisognerebbe ricercare subito le risorse per avviare un simile genere di investimenti, partendo dai fondi strutturali comunitari, che dovrebbero essere prioritariamente destinati all’avvio di progetti innovativi, fattibili e con forti ricadute sociali. Risulta chiaro il fatto che una simile politica comporterebbe anche un necessario ripensamento del ruolo della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Inoltre, bisognerebbe contestualmente rivedere il sistema dei controlli legati a tali finanziamenti. Le Pubbliche Amministrazioni e le imprese degli Stati Membri che ricevono risorse comunitarie devono garantire modalità gestionali adeguate per prevenire ed evitare ogni forma di truffa, nonché per garantire un utilizzo efficace delle medesime. Non sto alludendo all’imposizione di mere politiche di austerity, capaci solo di provocare circoli viziosi di assenza di crescita. Sto alludendo a politiche capaci di verificare ex ante il reale raggiungimento dei risultati attesi.

Tengo a precisare che l’assenza di crescita in Italia non è condizionata soltanto da una Pubblica Amministrazione eccessivamente burocratizzata, ma è anche limitata da un settore privato che da troppo tempo non si distingue più (salvo rare e felici eccezioni) per essere adeguatamente dinamico e innovativo.

Ciò detto, non si può pretendere che il settore privato sia dinamico ed innovativo, in assenza di un settore pubblico altrettanto dinamico e innovativo. Il problema della Pubblica Amministrazione non risiede principalmente nel suo eccesso di burocratizzazione, ma nella sua incapacità (a differenza di molti altri Stati europei) di finanziare adeguatamente l’istruzione, la ricerca e l’innovazione, allo scopo di incrementare lo sviluppo del capitale umano. In altri termini, la Pubblica Amministrazione italiana non è stata finora in grado di favorire l’implementazione di quei settori che determinano la crescita e la produttività.

Ovviamente, il settore pubblico non può determinare da solo l’avvio di una nuova fase di crescita, in quanto necessita di un settore privato capace di raccogliere una simile sfida. Affinché si riesca a garantire una efficace ricaduta tecnologica degli investimenti pubblici in materia di ricerca ed innovazione, vi deve essere un settore privato capace di comprendere e sfruttare le opportunità di profitto offerte dall’innovazione tecnologica, introducendo nuove tipologie di prodotti, la cui utilità marginale è insita nel valore aggiunto del prodotto in sé, e non nel suo basso costo di produzione.

In estrema sintesi, il settore pubblico ed il settore privato devono assumere insieme i rischi della ricerca, per, poi, goderne insieme dei benefici conseguenti.

Questa sinergia tra pubblico e privato in materia di ricerca ed innovazione deve divenire una sorta di cooperazione allargata tra imprese private e Pubbliche Amministrazioni, capace di produrre ricchezza attraverso la crescita della società italiana.

Si tiene a precisare che non si sta delineando un politica economica statalista e/o assistenziale. Si sta solo evidenziando che un sistema di imprese private, per quanto innovativo e dinamico voglia e possa essere, non ha la forza di affrontare da solo alcune tipologie di investimenti aventi ad oggetto ricerche con ricadute tecnologiche ed economiche soltanto di lungo periodo. Invece, tali tipi di investimento devono essere supportati dal settore pubblico, il quale deve avere la forza e la lungimiranza di garantire alla propria economia nazionale una riserva di risorse all’uopo dedicate. Soltanto operando in tal modo, si potrà garantire la crescita necessaria per garantire uno sviluppo sostenibile della società.

L’assenza di un ruolo dello Stato nel promuovere l’innovazione e la ricerca è la ragione dell’entropia di un sistema economico nazionale ed è, altresì, la base di un costante ed irreversibile fenomeno d’impoverimento per assenza di crescita. Pertanto, lo Stato deve svolgere un ruolo essenziale nel sostenere i primi passi dei grandi processi di innovazione, in quanto, di fronte a progetti d’investimento molto ampi ed a lunga gittata, il settore privato non è disposto a correre rischi giudicati troppo alti.

Chiaramente, un simile ragionamento impone un totale ripensamento “culturale” della Pubblica Amministrazione italiana, la quale, fin quanto sarà ritenuta una macchina burocratica inefficiente e parassitaria, difficilmente riuscirà ad attrarre al suo interno figure professionali capaci realmente di innovare.

In estrema sintesi, l’Italia ha smesso di essere competitiva e non riesce ad avere un’economia in crescita, in quanto lo Stato ha smesso di svolgere da troppo tempo il suo ruolo di promotore dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico, supportando adeguatamente le risorse intellettuali disponibili.

Bisogna, quindi, abbandonare le concezioni che vedono l’intervento diretto dello Stato, solo come evento sussidiario di ultima istanza in caso di fallimento del mercato. Infatti, tutte le grandi scoperte tecnologiche hanno sempre visto protagonista lo Stato, nel ruolo di finanziatore iniziale della ricerca scientifica pura, per, poi, “trasferire” le ricadute tecnologiche di tale ricerca finanziata al sistema imprenditoriale privato.

Non è possibile supportare l’innovazione, soltanto attraverso l’abbattimento dell’imponibile fiscale e mediante la riduzione della regolamentazione giuslavoristica. Un prodotto industriale non diventerà mai competitivo, soltanto riducendone i costi di produzione, ma rendendolo appetibile per il mercato, in modo tale che il suo costo di produzione sia rilevante solo relativamente alla quantificazione dei ricavi ottenuti dalla sua vendita. Tale affermazione trova riscontro nell’analisi dei fatti, la quale dimostra esattamente il contrario e, cioè, che l’aumento del costo unitario del lavoro è il diretto risultato del calo della produttività dovuto alla diminuzione degli investimenti pubblici e privati e pubblici in tutti i settori capaci d’incrementare la crescita del capitale umano e lo sviluppo dell’innovazione.

In conclusione l’Italia tornerà a crescere soltanto se il settore pubblico sarà capace di avviare una politica industriale, capace di promuovere lo sviluppo di imprese (anche piccole) innovative, attraverso investimenti a medio e lungo termine.

L’intervento pubblico dovrà essere comunque d’ausilio (e non sostitutivo) dei  pur sempre necessari investimenti privati, i quali dovranno essere, a loro volta, supportati da un settore finanziario finalmente riformato. In tal modo, si potrà ottenere un felice ricongiungimento tra la finanza e l’economia reale, in grado di garantire un lungo periodo di crescita stabile e costante. In altri termini, necessita un intervento del settore finanziario a favore degli investimenti di lungo termine e a supporto dei processi d’innovazione tecnologici e produttivi.

Inoltre, l’economia reale dovrà anche beneficiare di una politica fiscale progressiva (e non regressiva) a lungo termine, posta a sostegno del processo d’innovazione e che esuli da meri tagli orizzontali della tassazione, i quali sono capaci soltanto di favorire gli speculatori.

Infine, lo Stato dovrà attivarsi per costruire un nuovo sistema di dinamiche relazionali con le parti sociali. Soltanto in tal modo, sarà possibile negoziare condizioni migliori per tutti i lavoratori, senza pregiudicare la redditività delle singole produzioni, in un periodo in cui i profitti continuano a crescere in rapporto ai salari. Il mondo sindacale non deve essere confinato in un ruolo di strenuo difensore di diritti acquisiti dalle precedenti generazioni di lavoratori, ma, al contempo, incapace di proporre un modello condiviso di sviluppo. Esso deve essere coinvolto dal settore pubblico nel processo d’innovazione, fino a trasformarlo in un soggetto che contribuisce attivamente all’avvio di una nuova fase di crescita nazionale, trainata dall’innovazione tecnologica e dai nuovi cicli produttivi.

Questa sinergia di interventi dovrebbe infondere al settore privato quel necessario coraggio ad investire nell’innovazione che è ormai assente in Italia da troppo tempo.

In estrema sintesi, l’Italia tornerà a crescere, soltanto se si riscontrerà la presenza congiunta delle politiche pubbliche per l’innovazione, della riforma del settore finanziario e del riconoscimento delle ruolo delle organizzazioni sindacali nella creazione di un nuovo dialogo sociale.

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LE DELEGHE LEGISLATIVE CONTENUTE NEL JOBS ACT

di Germano De Sanctis

Premessa.

Nel corso della giornata del 3 dicembre scorso, il Senato ha approvato in via definitiva la Legge delega di riforma del lavoro, meglio nota come “Jobs Act”. Entro entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, dovranno essere emanati i suoi Decreti Legislativi attuativi.

Esaminiamo nel dettaglio il contenuto delle deleghe conferite al Governo, evidenziando che esse interessano le seguenti cinque importanti aree tematiche:

  1. gli ammortizzatori sociali;
  2. i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro;
  3. le procedure e gli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro;
  4. la disciplina dei rapporti di lavoro e l’attività ispettiva;
  5. la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

La delega in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, contiene una specifica delega al Governo per la riforma degli di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi e senza produrre nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (cfr., art 1, comma 12).

In particolare, tale delega interviene nella materia della disoccupazione involontaria, prevedendo l’introduzione di tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, attraverso:

  • la razionalizzazione della normativa in materia di integrazione salariale;
  • il coinvolgimento attivo di quanti siano stati espulsi dal mercato del lavoro, ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali;
  • la semplificazione delle procedure amministrative;
  • la riduzione degli oneri non salariali del lavoro.

L‘art. 1, comma 2, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega in esame.

In primo luogo, con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro, la legge delega prevede:

  • l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva di attività aziendale o di un ramo di essa;
  • la semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati a livello nazionale di concessione dei trattamenti prevedendo strumenti certi ed esigibili;
  • la necessità di regolare l’accesso alla CIG solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
  • la revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della CIG ordinaria e della CIG straordinaria;
  • la previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
  • la riduzione degli oneri contributivi ordinari e la rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
  • la revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà ex art. 3 Legge n. 92/2012, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi, anche attraverso l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione;
  • la revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà ex Legge n. 863/1984;

Invece, per quanto concerne gli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, la legge delega dispone:

  • la rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
  • l’incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
  • l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
  • l’introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
  • l’eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
  • l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale.

Inoltre, i beneficiari degli ammortizzatori sociali dovranno essere destinatari di meccanismi ed interventi che incentivino la ricerca attiva di una nuova occupazione, ricorrendo a percorsi personalizzati (di cui all’art. 1, comma 4, lett. v)) d’istruzione, formazione professionale e lavoro, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica. Coerentemente, viene previsto l’adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, o a programmi di formazione.

La delega in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro.

L’art. 1, comma 3, contiene la delega al Governo in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive per il lavoro. L’attività riformatrice oggetto di siffatta delega legislativa intende garantire un’effettiva fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva per il lavoro su tutto il territorio nazionale, unitamente all’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

L’art. 1, comma 4, contiene i principi ed i criteri direttivi per l’esercizio della delega cui il Governo deve attenersi. Essi sono:

  • la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti;
  • la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, anche nella forma dell’acquisizione delle imprese in crisi da parte dei dipendenti;
  • l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (qui, di seguito, denominata “Agenzia”), partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente;
    il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
  • l’attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro e ASpI;
  • la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
  • la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità ex Legge n. 68/1999;
  • l’individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
  • la determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
  • il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
  • la valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, nonché operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
  • la valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia;
  • l’introduzione di principi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
  • l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
  • la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS (sia a livello centrale, che territoriale), al fine di favorire una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito;
  • la previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che (a livello centrale e territoriale) esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
  • il mantenimento in capo alle Regioni ed alle Province Autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
  • l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati di istruzione, formazione professionale e lavoro.

La delega per la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti concernenti la costituzione e la gestione dei rapporti di lavoro.

La delega legislativa contenuta nell’art. 1, comma 5, concerne il conseguimento di obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure in materia di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

I principi ed i criteri direttivi da osservare durante l’esercizio della delega legislativa in esame sono contenuti nell’art. 1, comma 6. Essi sono:

  • la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
  • la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
    l’unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse Amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
  • l’introduzione del divieto per le Pubbliche Amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
  • il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
  • la revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
    la previsione di modalità semplificate per garantire data certa, nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
  • l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
  • la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, anche con riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
  • la promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).

La delega per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti e per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

L’art. 1, comma 7, reca una delega al Governo per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti, nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva.

Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, l’art. 1, comma 7, ha delegato il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi. Uno di tali decreti legislativi deve contenere un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro.

L’esercizio della delega legislativa avverrà nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  • l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, in funzione dei predetti interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
  • la promozione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
  • la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento;
  • il rafforzamento degli strumenti per favorire l’alternanza tra scuola e lavoro;
  • la revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando gli interessi dei datori di lavori con gli interessi dei lavoratori, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento;
  • la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
  • l’introduzione (anche in via sperimentale) del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • la previsione, nel rispetto dell’art. 70 D.Lgs. n. 276/2003, della possibilità di estendere, il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi;
    l’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
  • la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia Unica per le Ispezioni del Lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, prevedendo, altresì, strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle ASL e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

La delega per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare le cure parentali, la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

L‘art. 1, comma 8, prevede una specifica delega al Governo, finalizzata a garantire un adeguato sostegno alle cure parentali, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici, nonché a favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori. Tale delega sarà attuata entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge delega attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi finalizzati alla revisione e all’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

I principi ed i criteri direttivi di tale delega sono rinvenibili nell’art. 1, comma 9. Essi sono:

  • la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
  • la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
  • l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici (anche autonome) con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo;
  • l’armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
  • l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
  • l’eventuale riconoscimento (compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite) della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al CCNL in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
  • l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali forniti dalle imprese e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona in coordinamento con gli enti locali titolari delle funzioni amministrative;
  • la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
  • l’introduzione di congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza.

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Le previsioni del Jobs Act sull’Agenzia Nazionale per l’Occupazione

di Germano De Sanctis

Come è noto, la Camera dei Deputati ha licenziato il disegno di legge denominato “Jobs Act”, modificandone il contenuto rispetto al testo già approvato in sede di prima lettura dal Senato e che, quindi, dovrà essere riesaminato da quest’ultimo ramo del Parlamento.

Tale disegno di legge prevede l’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione (di seguito, denominata Agenzia; cfr. art. 1, comma 4, lett.c), per l’esercizio della delega legislativa (prevista dall’art. 1, comma 3) finalizzata al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. Si tiene a precisare, che nonostante l’istituzione dell’Agenzia in questione, l’art. 4, comma 1, lett. u) prevede il mantenimento in capo alle Regioni e alle Province autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro.

In particolare, ai sensi del predetto art. 1, comma 4, la citata delega legislativa dovrà fissare alcuni principi e criteri direttivi, volti a delineare specificatamente le funzioni e le competenze dell’Agenzia, le quali sono solo declinate in maniera generica nell’articolato del Jobs Act.

Venendo all’esame specifico delle disposizioni dedicate all’Agenzia, emerge, in primo luogo, il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia (cfr., art. 1, comma 4, lett. d). Tale aspetto assume un’importanza peculiare se si considera che è stata attribuita all’Agenzia la competenza gestionale in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI (cfr., art. 1, comma 4, lett. e).

Invece, per quanto concerne il processo istitutivo dell’Agenzia, il Jobs Act chiarisce che essa sarà istituita (anche ex art. 8, D.Lgs. n. 300/1999) senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e sarà, altresì, partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province Autonome. Inoltre l’Agenzia sarà sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro (cfr., art. 1, comma 4, lett. c).

Al funzionamento dell’Agenzia si provvederà attraverso l’utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente (cfr., art. 1, comma 4, lett. c), nonché mediante la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del Lavoro allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia (cfr., art. 1, comma 4, lett. f).
Con specifico riferimento al conferimento delle risorse umane destinate al funzionamento dell’Agenzia, è stata prevista la possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli dell’Agenzia stessa il personale proveniente dalle Amministrazioni o dagli uffici soppressi o riorganizzati in attuazione del poc’anzi esaminato art. 1, comma 4, lett. f), nonché proveniente da altre Amministrazioni (cfr., art. 1, comma 4, lett. h). L’immissione nel ruolo dell’Agenzia del personale in questione comporterà l’individuazione del comparto contrattuale da adottare, assicurando modalità tali da garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica (cfr., art. 1, comma 4, lett. i).
La determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia sarà garantita attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle Amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima (cfr., art. 1, comma 4, lett. l).

Venendo ai rapporti interistituzionali dell’Agenzia, si dispone, innanzi tutto, la previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l’Agenzia e l’INPS, sia a livello centrale che a livello territoriale, al fine di tendere a una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito (cfr., art. 1, comma 4, lett. r). Inoltre, sono previsti meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità (cfr., art. 1, comma 4, lett. s).

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Il DPCM sul trasferimento delle risorse finanziarie e umane delle Province

di Germano De Sanctis

Lo scorso 12 novembre, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (n. 263 del 12 novembre 2014) il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 settembre 2014, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 92, Legge n. 56/2014 (c.d. Legge “Delrio”) e rubricato “Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni provinciali”.
Tale decreto detta i criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni provinciali. In altri termini, il DPCM detta le regole del “passaggio delle consegne” tra le Province e gli Enti che subentreranno nell’esercizio delle loro funzioni.

Esaminiamo nel dettaglio gli aspetti più salienti del DPCM in questione, evidenziando i principali contenuti di ogni suo singolo articolo.

Articolo 1 – Finalità e ambito di applicazione.

Ai sensi del primo comma dell’articolo 1, il DPCM in esame:

  • stabilisce i criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dell’art. 1, commi da 85 a 97, Legge n. 56/2014, dalle Province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. Appare, quindi, evidente l’inserimento di una chiara clausola di garanzia in materia di personale;
  • tiene conto delle risorse finanziarie, già spettanti alle Province ai sensi dell’art. 119 Cost. e che devono essere trasferite agli enti subentranti per l’esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali
  • dispone, altresì, in ordine alle funzioni amministrative delle Province in materie di competenza statale;
  • stabilisce le modalità ed i termini procedurali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni oggetto di riordino, fermo il rispetto di quanto previsto all’art. 1, comma 96, Legge n. 56/2014. Tale norma prevede che nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino si applicano le seguenti disposizioni:
    • il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all’ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell’ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all’applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge;
    • il trasferimento della proprietà dei beni mobili e immobili è esente da oneri fiscali; l’ente che subentra nei diritti relativi alle partecipazioni societarie attinenti alla funzione trasferita può provvedere alla dismissione con procedura semplificata stabilita con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze;
    • l’ente che subentra nella funzione succede anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso; il trasferimento delle risorse tiene conto anche delle passività; sono trasferite le risorse incassate relative a pagamenti non ancora effettuati, che rientrano nei rapporti trasferiti;
    • gli effetti derivanti dal trasferimento delle funzioni non rilevano, per gli enti subentranti, ai fini della disciplina sui limiti dell’indebitamento, nonché di ogni altra disposizione di legge che, per effetto del trasferimento, può determinare inadempimenti dell’ente subentrante, nell’ambito di variazioni compensative a livello regionale ovvero tra livelli regionali o locali e livello statale, secondo modalità individuate con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali, sentita la Conferenza unificata, che stabilisce anche idonei strumenti di monitoraggio.

Alla luce di questa analitica previsione dell’ambito di applicazione del DPCM, il secondo comma dell’articolo 1 si preoccupa di dettare le modalità procedurali per l’individuazione anche delle risorse finanziarie, strumentali, patrimoniali oggetto del trasferimento, prevedendo che lo Stato, le Regioni e gli enti locali interessati devono applicare le disposizioni del decreto in esame, secondo i rispettivi ambiti.

Articolo 2 – Criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse.

Il primo comma dell’art. 2 precisa che l’individuazione dei beni e delle risorse connessi alle funzioni oggetto di riordino deve tenere prevalentemente conto della correlazione e della destinazione delle funzioni alla data di entrata in vigore della Legge n. 56/2014, anche ai fini del subentro nei rapporti attivi e passivi in corso.

In particolare, al comma 2, si stabilisce che, entro il 27 novembre 2014 (cioè, entro quindici giorni dalla pubblicazione del DPCM in Gazzetta Ufficiale), le Province (ivi comprese quelle che, a far data dal 1˚ gennaio 2015, diventeranno Città metropolitane) devono effettuare una mappatura dei beni e delle risorse connesse a tutte le funzioni (diverse da quelle fondamentali e con esclusione dei beni e delle partecipazioni in altri enti ed in società di capitali) presenti alla data del 12 novembre 2014 (cioè, alla data di pubblicazione del DPCM). Tale documento ricognitivo dei beni e delle risorse deve contenere il contingente numerico complessivo del personale, nonché l’equivalente finanziario in termini di spesa del personale riferito alle singole funzioni tenendo conto anche del personale in posizione di comando o di distacco.

I risultati di questa rilevazione devono essere comunicati alla Regione, che procede alla verifica della coerenza della ricognizione con i criteri dettati dal DPCM, per, poi, validarne i contenuti entro i successivi quindici giorni giorni (cioè entro il 12 dicembre 2014), trasmettendo tempestivamente la documentazione all’Osservatorio nazionale, previsto dall’accordo Stato-Regioni dell’11 settembre 2014 (comma 3).

Per quanto concerne l’attribuzione delle funzioni ex art. 1, comma 89, Legge n. 56/2014, il DPCM dispone che le Amministrazioni interessate devono concordano, entro i termini previsti e nei modi stabiliti dalle Regioni, il trasferimento dei beni e delle risorse, comprese quelle assegnate dallo Stato in conto capitale o interessi. Nel caso in cui le Amministrazioni interessate non concordino nei termini previsti, la Regione ha il potere di assumere autonomamente le Determinazioni che ritiene opportune (comma 4).

Si ricorda che l’art. 1, comma 89, Legge n. 56/2014 prevede che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali indicate dal comma 85 del medesimo articolo, perseguendo le seguenti finalità:

  • individuazione dell’ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione;
  • efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei comuni e delle unioni di comuni;
  • sussistenza di riconosciute esigenze unitarie;
  • adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante intese o convenzioni.

Una volta, definita l’attribuzione delle funzioni, le amministrazioni interessate concordano entro il termine e secondo le modalità stabiliti dalla Regione il trasferimento dei beni e delle risorse, compreso il personale. Infine, le Regioni trasmettono all’Osservatorio nazionale quanto concordato con le amministrazioni, ai fini della conseguente presa d’atto con più decreti ricognitivi del Ministro dell’Interno e del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie (comma 5).

In estrema sintesi, è stata prevista una procedura decisamente complessa, la cui realizzazione richiederà un importante sforzo amministrativo da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti.

Articolo 3 – Criteri generali per l’individuazione delle risorse finanziarie.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, nell’ambito della ricognizione delle proprie risorse finanziarie, le Province (comprese quelle che si trasformeranno in città metropolitane) devono tener conto:

  • dei dati desumibili dai rendiconti di bilancio provinciali dell’ultimo triennio;
  • dei dati forniti dalle Province relativamente alla quantificazione della spesa provinciale ascrivibile a ciascuna funzione o a gruppi omogenei di funzioni;
  • della necessità che siano attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite le risorse finanziarie già spettanti alle Province ai sensi dell’art. 119 Cost., dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali in relazione ai rapporti attivi e passivi oggetto della successione, compresi i rapporti di lavoro e le altre spese di gestione, compatibilmente con il quadro finanziario di riferimento.

Invece, per quanto concerne la spesa del personale, il DPCM precisa che bisogna calcolare la spesa complessiva del personale dirigenziale e non dirigenziale risultante dagli impegni del rendiconto di bilancio dell’ultimo anno (comma 2).

Inoltre, il terzo comma dell’art. 3 ha tenuto a precisare che le risorse finanziarie trasferite non potranno in ogni caso superare l’ammontare di quelle utilizzate dalle Province per l’esercizio delle funzioni precedente al riordino, tenuto conto del D.L. 24 aprile 2014, n. 66 (c.d. “Decreto Irpef”, poi, convertito con modificazioni dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89). Pertanto, si dovrà tener conto dei tagli ai trasferimenti verso le Province operati dal predetto D.L., ai fini della riduzione della spesa per acquisizione di beni e servizi. Il comma 4 prevede, altresì, che eventuali recuperi da parte dello Stato saranno effettuati direttamente dall’Agenzia delle Entrate a valere sui versamenti dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.

Relativamente al rispetto del Patto di stabilità interno, viene disposto che gli obiettivi con corrispondenza fra funzione svolta, oneri finanziari, risorse trasferite e revisione degli spazi sul Patto di stabilità interno per ciascun Ente coinvolto sono modificati ai sensi dell’art. 1, comma 94, Legge n. 56/14 (comma 5).

Infine, gli effetti derivanti dal trasferimento delle funzioni per gli Enti subentranti non sono rilevanti ai fini della disciplina sui limiti dell’indebitamento (comma 6).

Ad ogni buon conto, il trasferimento delle funzioni non potrà determinare inadempimenti per l’ente subentrante e si provvederà a rimodulare il Patto di stabilità in applicazione della disciplina contenuta nella Legge n. 56/2014, ricorrendo al recupero degli ulteriori tagli previsti dall’art. 1, comma 150-bis, della predetta legge. Le modalità di tale recupero saranno stabilite da un apposito Decreto del Ministero dell’Interno (comma 7).

Articolo 4 – Criteri generali per l’individuazione delle risorse umane.

L’articolo 4 disciplina i criteri generali per l’individuazione delle risorse umane da traferire nel rispetto, sia dell’art. 1, comma 96, lett. a), Legge n. 56/2014, sia delle forme di esame congiunto con le organizzazioni sindacali previste dalla normativa vigente.

Si ricorda che l’art. 1, comma 96, lett. a), Legge n. 56/2014 prevede che il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata. Le corrispondenti risorse sono trasferite all’ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell’ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all’applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge.

In attuazione di tale riferimento normativo, l’art. 4, comma 1, del DPCM stabilisce i seguenti principi e criteri fissati per l’individuazione del personale e dei rapporti di lavoro interessati dal trasferimento:

  • il rispetto dei limiti finanziari e numerici previsti dall’accordo sottoscritto ai sensi dell’art. 2, comma 4, del DPCM;
    la garanzia dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nonché di quelli a tempo determinato fino alla scadenza per essi prevista;
  • lo svolgimento in via prevalente, alla data di entrata in vigore della Legge n. 56/14 e ferme restando le cessazioni eventualmente intervenute, di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento;
  • il subentro anche nei rapporti attivi e passivi in corso, compreso il contenzioso e, con riferimento ai posti di organico correlati alle funzioni oggetto di trasferimento, le procedure concorsuali e le graduatorie vigenti.

Fermo restando quanto previsto dal primo comma, il comma 2 prevede la possibilità da parte delle Province di adottare (anche attraverso un esame congiunto con le organizzazioni sindacali) criteri integrativi nel rispetto di principi di trasparenza ed imparzialità, tenendo, altresì, conto dei carichi di famiglia, delle condizioni di disabilità e delle condizioni di salute, dell’età anagrafica, dell’anzianità di servizio e della residenza.

Infine, al termine del processo di trasferimento del personale, gli enti subentranti dovranno presentare una relazione illustrativa all’Osservatorio regionale e gli osservatori regionali a quello nazionale (comma 3).

Articolo 5 – Criteri metodologici per il trasferimento dei beni e delle risorse strumentali e organizzative.

L’art. 5, comma 1 affronta il tema dei beni del Demanio provinciale, i quali sono trasferiti tenendo conto del valore loro attribuito dall’ultimo bilancio approvato dall’Ente che trasferirà il bene stesso, od eventualmente attribuibile sulla base dei principi contabili nazionali in materia di valutazione degli immobili e tenuto conto della capitalizzazione degli investimenti effettuati su di essi.

La base di calcolo del valore dei beni del patrimonio immobiliare sarà il loro costo storico desumibile dall’ultimo inventario dell’Ente, attualizzato alla fine dell’esercizio antecedente il trasferimento e aumentato di eventuali capitalizzazioni intervenute nel corso degli anni (comma 2).

Invece, i beni mobili saranno trasferiti al loro costo storico al netto del relativo fondo di ammortamento, così come risultante dall’ultimo inventario dell’Ente (comma 3). In particolare, le partecipazioni aventi valore economico saranno trasferite al valore del patrimonio netto, asseverato dal Collegio sindacale della Società (comma 4).

Infine, per quanto riguarda le Società o altri Enti partecipati che esercitano tutta o parte delle funzioni oggetto di riordino, le relative partecipazioni sono trasferite. Invece, non sono assoggettate al trasferimento le partecipate (o gli Enti partecipati) che risultano essere in fase di scioglimento o liquidazione (comma 5).

Articolo 6 – Attribuzione delle funzioni amministrative oggetto di riordino nelle materie di competenza statale.

L’art. 6 si occupa dell’individuazione delle modalità di attribuzione alle Province (nella loro qualità quali enti di area vasta) ed alle città metropolitane delle funzioni amministrative statali in materia di tutela delle minoranze.

Articolo 7 – Decorrenza dell’esercizio delle funzioni da parte dell’ente subentrante.

L’articolo 7 prevede che, ai sensi dell’art. 1, comma 89, Legge n. 56/2014, le funzioni di cui all’art. 6 saranno esercitate, per quanto riguarda le Province, dal momento dell’entrata in vigore del presente decreto e, per quanto riguarda le città metropolitane a far data dal 1° gennaio 2015 (comma 1).
Inoltre, l’effettivo avvio di esercizio da parte dell’ente subentrante delle funzioni trasferite dalle Regioni ai sensi del DPCM in esame sarà determinato dalle singole Regioni con l’atto attributivo delle funzioni oggetto del trasferimento (comma 2).

Articolo 8 – Disposizione finale.

Eventuali ulteriori DPCM integrativi o esplicativi del presente saranno adottati solo previa intesa acquisita nella Conferenza Unificata.

Articolo 9 – Pubblicazione e diffusione.

Tale articolo si limita ad evidenziare che il DPCM viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e che deve essere e diffuso anche mediante pubblicazione sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

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DANNI DA INSIDIE STRADALI: ECCO UN CASO IN CUI SPETTA IL RISARCIMENTO.

Per i danni da omessa manutenzione della strada a risponderne è il Comune, a meno che non venga dimostrato il caso fortuito – Corte di Cassazione Civile, sentenza 23 ottobre 2014, n. 22528.

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di Michele De Sanctis

Se il pedone scivola su un ‘cubetto instabile’ non visibile né segnalato, il Comune deve risarcire il danno. È quanto ha stabilito la IV Sezione della Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 23 ottobre 2014, n. 22528. I giudici di Piazza Cavour nel cassare la precedente decisione d’appello, che aveva risparmiato il Comune dalla condanna, ha richiamato un ragionamento giuridico su cui si fonda un orientamento ormai pacifico sia in giurisprudenza che in dottrina. Tale ragionamento poggia sulla figura pretoria della cd. insidia stradale e del trabocchetto, per cui la Pubblica Amministrazione è tenuta a mantenere il patrimonio stradale in uno stato tale da impedire che l’utente possa subire conseguenze pregiudizievoli a causa dell’esistenza di situazioni di pericolo occulte e imprevedibili.

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Questi i fatti. In primo grado il Tribunale accoglieva la richiesta di risarcimento danni avanzata da un pedone per un sinistro occorsogli nel comune di Guardia Sanframondi. Tuttavia, tale decisione veniva rigettata in secondo grado dalla Corte di Appello di Napoli, che dava ragione al Comune.

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Per la Cassazione, al contrario, il caso doveva essere esaminato alla luce dei principi di cui all’art. 2051 c.c. (Danno cagionato da cosa in custodia). La Corte, infatti, ha dapprima richiamato una consolidata sequenza di decisioni in materia (per tutte cfr. Cass. n. 9546/2010), basata, peraltro, su una lettura costituzionalmente orientata delle norme di tutela riferite alla responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, rispetto alla non corretta manutenzione del manto stradale e del marciapiede, che costituisce il normale percorso di calpestio dei pedoni). Successivamente il giudice ha affermato che “la presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell’art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato”. Questa presunzione può essere superata solo con la prova del caso fortuito che – ha rilevato la Cassazione – non sussiste nel caso in esame, dal momento che il danneggiato è caduto “in presenza di un avvallamento sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, ma lasciato aperto al calpestio del pubblico, senza alcuna segnalazione delle condizioni di pericolo”.

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Per questi motivi, la Corte ha accolto il ricorso del pedone e rinviato il giudizio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.

Di seguito in testo della sentenza Cass. n. 22528 del 23 ottobre 2014.

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Fatto e diritto

R.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 28.5.2010 che ha accolto l’appello proposto dal Comune di Guardia Sanframondi in un giudizio di risarcimento danni da sinistro stradale, causato dallo scivolamento dell’attuale ricorrente, all’epoca dei fatti minore, su un cubetto instabile della pavimentazione stradale “non visibile, né segnalato”, che gli aveva causato lesioni personali alla caviglia sinistra.
Resiste con controricorso il Comune di Guardia Sanframondi.
I motivi esaminati congiuntamente sono fondati ed il ricorso va , quindi, accolto.
L’errore del ragionamento giuridico, compiuto dalla Corte di merito sta nell’avere applicato al caso in esame una giurisprudenza ormai superata basata sui caratteri dell’insidia e trabocchetto.
Questa Corte, viceversa, con una sequenza consolidata di decisioni, da Cass. 6 luglio 2006 n. 15383 a Cass. 22 aprile 2010 n. 9546 sino a recentissime pronunciate – con una lettura costituzionalmente orientata delle norme di tutela riferite alla responsabilità civile della pubblica amministrazione in relazione alla non corretta manutenzione del manto stradale e del marciapiede, che costituisce il normale percorso di calpestio dei pedoni – ha stabilito che la presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell’art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato. La presunzione in tali circostanze resta superata dalla prova del caso fortuito, e tale non appare il comportamento del danneggiato che cade in presenza di un avvallamento sul marciapiede coperto da uno strato di ghiaino, ma lasciato aperto al calpestio del pubblico, senza alcuna segnalazione delle condizioni di pericolo.
Le censure, unitariamente considerate, pongono in evidenza gli errori di applicazione delle norme giuridiche rispetto alla fattispecie come circostanziata, per fatto illecito e responsabilità da custodia, dovendo, viceversa, il caso essere esaminato alla luce dei principii di cui all’art. 2051 c.c..
La cassazione avviene con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, con vincolo di attenersi ai principi di diritto come sopra enunciati, e ribaditi nel precedente di questa Corte del 22.4.2010 n. 9546; Cass. 15.10. 2010 n. 21329). Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

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Jobs Act, ecco il testo del maximendamento approvato dal Senato

Il Senato ha approvato con 165 “si”, 111 “no” e 2 astenuti il maxiemendamento del Governo che ha completamente sostituito il testo della legge delega sulla riforma del lavoro e sul quale, lo si ricorda, il Governo ha posto la fiducia.

Di seguito, si riporta il testo del predetto maxiemendamento.

Gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 6 sono sostituiti dal seguente:
ART. 1
(Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro)
1. Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo si attiene, rispettivamente, ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro:
1) impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa;
2) semplificazione delle procedure burocratiche attraverso l’incentivazione di strumenti telematici e digitali, considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati di concessione prevedendo strumenti certi ed esigibili;
3) necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione guadagni solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà;
4) revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria e individuazione dei meccanismi di incentivazione della rotazione;
5) previsione di una maggiore compartecipazione da parte delle imprese utilizzatrici;
6) riduzione degli oneri contributivi ordinari e rimodulazione degli stessi tra i settori in funzione dell’utilizzo effettivo;
7) revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà di cui all’articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi e previsione della possibilità di vincolare destinare gli eventuali risparmi di spesa derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui alla presente lettera al finanziamento delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4;
8) revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riferimento all’articolo 2 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, nonchè alla messa a regime dei contratti di solidarietà di cui all’articolo 5, commi 5 e 8, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
b) con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria:
1) rimodulazione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore;
2) incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti;
3) universalizzazione del campo di applicazione dell’ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite;
4) introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa;
5) eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti;
6) eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale;
c) con riferimento agli strumenti di cui alle lettere a) e b), individuazione di meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario dei trattamenti di cui alle lettere a) e b), al fine di favorirne l’attività a beneficio delle comunità locali, tenuto conto della finalità di incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione da parte del medesimo soggetto secondo percorsi personalizzati, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alle amministrazioni pubbliche;
d) adeguamento delle sanzioni e delle relative modalità di applicazione, in funzione della migliore effettività, secondo criteri oggettivi e uniformi, nei confronti del lavoratore beneficiario di sostegno al reddito che non si rende disponibile ad una nuova occupazione, a programmi di formazione o alle attività a beneficio di comunità locali di cui alla lettera c).
3. Allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. In mancanza dell’intesa nel termine di cui all’articolo 3 del citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata ai sensi del medesimo articolo 3. Le disposizioni del presente comma e quelle dei decreti legislativi emanati in attuazione dello stesso si applicano nelle province autonome di Trento e di Bolzano in conformità a quanto previsto dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione nonché dal decreto legislativo 21 settembre 1995, n. 430.
4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 3 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione, e a criteri di valutazione e di verifica dell’efficacia e dell’impatto;
b) razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome;
c) istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, di seguito denominata “Agenzia”, partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e mediante quanto previsto dalla lettera f);
d) coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia;
e) attribuzione all’Agenzia di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI;
f) razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente;
g) razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e degli altri soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, al fine di favorirne l’inserimento e l’integrazione nel mercato del lavoro;
h) possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonché di altre amministrazioni;
i) individuazione del comparto contrattuale del personale dell’Agenzia con modalità tali da garantire l’invarianza di oneri per la finanza pubblica;
l) determinazione della dotazione organica di fatto dell’Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l’Agenzia medesima;
m) rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;
n) valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, a tal fine, la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;
o) valorizzazione della bilateralità attraverso il riordino della disciplina vigente in materia, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, flessibilità e prossimità anche al fine di definire un sistema di monitoraggio e controllo sui risultati dei servizi di welfare erogati;
p) introduzione di princìpi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell’effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale;
q) introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle buone pratiche realizzate a livello regionale;
r) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), sia a livello centrale che a livello territoriale;
s) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;
t) attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale;
u) mantenimento in capo alle regioni e alle province autonome delle competenze in materia di programmazione di politiche attive del lavoro;
v) attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso dal mercato del lavoro o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica;
z) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate, anche attraverso l’istituzione del fascicolo elettronico unico contenente le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche ed ai versamenti contributivi;
aa) integrazione del sistema informativo di cui alla lettera z) con la raccolta sistematica dei dati disponibili nel collocamento mirato nonché di dati relativi alle buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità e agli ausili ed adattamenti utilizzati sui luoghi di lavoro;
bb) semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’impiego delle tecnologie informatiche, secondo le regole tecniche in materia di interoperabilità e scambio dei dati definite dal codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, allo scopo di rafforzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e favorire la cooperazione con i servizi privati, anche mediante la previsione di strumenti atti a favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti.
5. Allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonch← in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, il Governo │ delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
6. Nell’esercizio della delega di cui al comma 5 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
e) rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
f) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
g) previsione di modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso del lavoratore;
h) individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
i) revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
l) promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso (2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)).
7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:
a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali;
b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti;
c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio;
d) revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera;
e) revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore;
f) introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale;
g) previsione, tenuto conto di quanto disposto dall’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, della possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva di cui all’articolo 72, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
h) abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con le disposizioni del testo organico semplificato, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative;
i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.
8. Allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, il Governo │ delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o pi decreti legislativi per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternit¢ e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
9. Nell’esercizio della delega di cui al comma 8 il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;
b) garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;
c) introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori o disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;
d) incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;
e) eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;
f) integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;
g) ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all’interno delle imprese;
h) estensione dei principi di cui al presente comma, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
10. I decreti legislativi di cui ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 della presente legge sono adottati nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
11. Gli schemi dei decreti legislativi, corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di essi siano espressi, entro trenta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza dei termini previsti ai commi 1, 3, 5, 7 e 8 ovvero al comma 13, questi ultimi sono prorogati di tre mesi.
12. Dall’attuazione delle deleghe recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, per gli adempimenti dei decreti attuativi della presente legge, le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni. In conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti attuativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, ivi compresa la legge di stabilità, che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
13. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 10, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la medesima procedura di cui ai commi 10 e 11, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
14. Sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, le competenze delegate in materia di lavoro e quelle comunque riconducibili all’articolo 116 della Costituzione e all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.”.

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