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L’APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONE E RICERCA

di Germano De Sancits

La definizione

L’apprendistato di alta formazione e ricerca è attualmente disciplinato l’art. 5, D.Lgs., 14 settembre 2011, n. 167. L’istituto in questione non è una novità per l’ordinamento giuslavoristico italiano, in quanto era stato precedentemente previsto dall’ormai abrogato art. 50, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, anche se diversamente denominato come apprendistato per l’acquisizione di un diploma e per percorsi di alta formazione.

Similmente a tutte le forme di apprendistato, l’ordinamento vigente definisce, all’art. 1, D.Lgs. n.167/2011, l’apprendistato di alta formazione e ricerca come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.

L’ambito di applicazione

L’art. 5, comma 1 D.Lgs., n. 167/2011, prevede l’utilizzo di tale forma di apprendistato in tutti i settori di attività, sia pubblici, che privati, purché venga perseguita una delle seguenti finalità:

  • l’attività di ricerca;
  • il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore;
  • il conseguimento di un titolo di studio universitario e/o di alta formazione, ivi compreso il dottorato di ricerca;
  • la specializzazione tecnica superiore di ex art. 69, Legge 17 maggio 1999, n. 144, con particolare riferimento al conseguimento del diploma afferente ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori previsti dall’art. 7, D.P.C.M. 25 gennaio 2008;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche;
  • lo svolgimento del praticantato per l’accesso ad esperienze professionali.

I destinatari

Il contratto di alta formazione e ricerca è riservato a soggetti di età compresa tra i 18 anni (compiuti) ed i 29 anni (e 364 giorni). È possibile anticipare la stipulazione del contratto in questione a partire dal diciassettesimo anno di età (compiuto) nei confronti di coloro che risultano essere già in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi del D.Lgs. 17 ottobre 2005, n. 226.

Sempre per quanto concerne i limiti minimi di età richiesti per la stipulazione, l’art. 8-bis, comma 2, D.L., 12 settembre 2013, n. 104 (convertito in Legge, 8 novembre 2013, n. 128) ha previsto una specifica deroga. Infatti, tale norma ha statuito che, con apposito decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, è avviato un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il triennio 2014-2016. Il programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Tale decreto ministeriale deve definire la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.

La durata

L’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 167/2011 non ha stabilito alcun limite minimo o massimo alla durata dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, limitandosi, invece, a prevedere un rinvio alla disciplina delle singole Regioni relativamente alla regolamentazione ed alla durata, relativamente, però, ai soli profili che attengono alla formazione,

Si evidenzia che tale regolamentazione regionale deve essere effettuata in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico.

In assenza di regolamentazioni regionali per l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca, l’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 167/2011 rinvia ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

A tal fine, la Circ. Min. Lav. 11 novembre 2011, n. 29 ha chiarito che tale forma di apprendistato può essere immediatamente attivata, anche quando le singole Regioni e/o la contrattazione collettiva non abbiano disciplinato gli aspetti di rispettiva competenza, facendo ad apposite intese stipulate tra il datore di lavoro e l’istituzione formativa e/o di ricerca prescelta. La Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha specificato che, in presenza di siffatte intese, il personale ispettivo, nell’individuare eventuali responsabilità datoriali, deve tenere esclusivamente conto dei seguenti elementi di valutazione:

  • la formazione esterna, rispetto alla quale il datore di lavoro rimane responsabile, qualora essa sia stata effettivamente attivata da parte dell’ente competente;
  • la quantità, i contenuti e le modalità di svolgimento della formazione interna, rispetto alla quale il personale ispettivo deve valutare come sono stati declinati nel piano formativo individuale la qualità, i contenuti e le modalità di svolgimento previsti dal contratto collettivo di riferimento.

L’alternanza scuola e lavoro

La già citata Legge, 8 novembre 2013, n. 128 (c.d. Decreto Carrozza) ha previsto diverse misure mirate ad intensificare i contatti tra il sistema dell’istruzione scolastica ed mercato del lavoro. In particolare, tale atto legislativo si è soffermato anche sulle potenzialità che il contratto di apprendistato ha sotto questo peculiare aspetto. In estrema sintesi, è stato previsto quanto segue:

  • gli studenti egli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado impegnati nei percorsi di formazione, senza pregiudizio per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e nei laboratori, sono oggetto di nuove misure finalizzate ad implementare l’alternanza scuola-lavoro, gli stage e i tirocini, la didattica in laboratorio. L’ativazione di tali misure necessita dell’emanazione di un apposito regolamento disciplinante i diritti ed i doveri dei predetti studenti (cfr., art. 5, comma 4-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • è stata prevista l’attivazione di percorsi di orientamento e di piani di intervento. Tali percorsi contengono specifiche misure miraste alla diffusione della conoscenza del valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di formazione presso un datore di lavoro. I percorsi in questione sono riservati agli studenti della scuola secondaria di secondo grado (in particolare, quelli iscritti agli istituti tecnici e professionali). Per di più, la norma in esame chiarisce che il suo intento consiste nel favorire la diffusione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca nei percorsi degli istituti tecnici superiori. Come già detto, l’inserimento preso una compagine produttiva degli studenti interessati a seguito di stipulazione di un contratto di apprendistato può avvenire anche in deroga al limite di età (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • l’emanazione, nel corso del triennio 2014-2016, di un apposito decreto ministeriale avente ad ogetto l’attivazione di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado mediante la stipulazione di contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese. Tale decreto ministeriale definirà anche i requisiti delle imprese ammesse, il contenuto delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche e le imprese, i diritti degli studenti, il numero minimo di ore di didattica curriculare, nonché i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi (cfr., art. 8-bis, comma 2, Legge, 8 novembre 2013, n. 128);
  • la previsione che tutte le università (fatta eccezione per quelle telematiche) possano stipulare convenzioni con singole imprese o gruppi di imprese, finalizzate alla promozione di un’esperienza lavorativa diretta degli studenti durante la formazione post-secondaria. Nello specifico è prevista la realizzazione di progetti formativi congiunti che vedano il coinvolgimento dello studente, nell’ambito del proprio curriculum di studi, in un adeguato periodo di formazione presso le imprese aderenti al progetto mediante la stipulazione di un contratto di apprendistato (cfr., art. 14, comma 1-ter, Legge, 8 novembre 2013, n. 128).

Le conseguenze della violazione dell’obbligo formativo

L’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 167/2011 dispone che, qualora venga riscontrata l’esclusiva responsabilità dell’inadempimento nella erogazione della formazione in capo al datore di lavoro e che tale inadempimento impedisca l’effettiva realizzazione delle finalità di cui al predetto art. 5, D.Lgs., n. 167/2011, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%, con l’esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione. Qualora a seguito dell’attività di vigilanza sul contratto di apprendistato in corso di esecuzione emerga un inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale deve adottare il provvedimento di disposizione previsto dall’art. 14 D.Lgs.., 23 aprile 2004, n. 124, assegnando un congruo termine al datore di lavoro per adempiere.

A tal proposito, la Circ. Min. Lav., 21 gennaio 2013, n. 5 ha chiarito che è possibile applicare la sanzione in esame soltanto in presenza della contemporanea sussistenza, sia della esclusiva responsabilità del datore di lavoro, sia di una gravità della violazione, tale da impedire il raggiungimento dell’obiettivo formativo.

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Jobs Act breaking news. Il D.L. n. 34/2014 è diventato legge.

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 15 maggio, la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato il D.L. n. 34/2014, con 279 voti favorevoli, 143 contrari e 3 astenuti.

Come è noto, la nuova legge contiene importanti novità in materia di contratti a tempo determinato e di apprendistato.

In particolare, la legge in questione ha fissato in trentasei mesi da durata dei contratti a tempo determinato senza causale, prevedendo, al contempo, un massimo di cinque proroghe. Rispetto al testo varato in prima lettura dalla Camera dei Deputati, il testo definitivo si contraddistingue per la modifica apportata al sistema sanzionatorio previsto in caso di sforamento del tetto del 20% di contratti di lavoro a tempo determinato rispetto al totale della forza lavoro. Infatti, inizialmente, la legge prevedeva l’obbligo d’assunzione a favore dei lavoratori interessati dallo sforamento in questione. Invece, la versione definitiva della legge ha eliminato tale obbligo, prevedendo, in sua sostituzione, il pagamento da parte dei datori di lavoro di una sanzione amministrativa ammontante tra il 20% ed il 50% della retribuzione del lavoratore.

Invece, per quanto concerne gli apprendisti, si evidenzia che il previsto obbligo di stabilizzarne almeno il 20% prima di assumerne di nuovi sussiste soltanto in capo ai datori di lavoro con oltre 50 dipendenti. Inoltre, il testo definitivo ha ripristinato la formazione pubblica degli apprendisti, seppur ponendo qualche paletto.

Il testo della legge in questione è consultabile al seguente indirizzo:

http://www.camera.it/leg17/465?area=25&tema=1055&Il+Jobs+act+(decreto-legge+n.34%2F2014)

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Pillole di Jobs Act. Le principali novità del testo di conversione del D.L. n. 34/2014 approvato dalla Camera dei Deputati

 

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Nel corso della seduta del 24 aprile, la Camera dei Deputati ha approvato con 263 voti favorevoli e 161 voti contrari il testo di legge di conversione del D.L. n. 34/2014 (il quale, come è noto, è, unitamente al disegno di legge delega, è uno dei due pilastri del Jobs Act), dopo che il Governo aveva posto la questione di fiducia. Adesso, il testo in questione deve essere approvato dal Senato entro il prossimo 20 maggio.

Ma la maggioranza non è compatta ed al suo interno si discute in modo animato su alcuni punti più controversi. Tra essi è annoverabile, innanzi tutto, l’obbligo di non superare il tetto del 20 per cento nell’introduzione di contratti a tempo determinato, pena l’assunzione della quota eccedente a tempo indeterminato. Sempre in materia di contratti a termine il dibattito rimane acceso sulle previsione di sole cinque proroghe massime previste nei tre anni dei contratti a termine, mentre per i rinnovi contrattuali non sono stati previsiti limiti.
Inoltre, risulta molto problematica la norma sulla formazione pubblica obbligatoria per l’apprendistato, in quanto il testo in questione prevede che le Regioni debbano fornire il servizio entro quarantacinque giorni ed, in caso di loro inadempienza, le imprese saranno esonerate da tale obbligo.

Esaminiamo tutte le novità introdotte nel testo di conversione.

Contratti a tempo determinato

Rispetto alla Legge n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero), il testo di conversione del D.L. n. 34/2014 estende da uno a tre anni la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato senza causale, ovvero senza ragione dell’assunzione (cfr., art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo). Il testo approvato dal Governo prevedeva un massimo di otto proroghe contrattuali in 36 mesi, invece, in sede di Commissione Lavoro, il tetto è stato abbassato a cinque proroghe (cfr., art. 1, comma 1, lett. b)).
Inoltre, presso ciascun datore di lavoro, i lavoratori a tempo determinatonon possono essere più del 20% degli lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato (nello specifico un lavoratore a tempo determinato per i datori di lavoro con fino a cinque dipendenti)cfr., art. 1, comma 1, lett. a), secondo periodo) . Qualora tale limite venga superato, i contratti stipulati in eccesso devono essere considerati a tempo indeterminato (cfr., art. 1, comma 1, lett. b-septies).

Diritto di precedenza per le donne in congedo di maternità

La legge di conversione ha previsto che il congedo maternità può concorrere a determinare il periodo minimo di sei mesi di attività, affinché la lavoratrice acquisisca un diritto di precedenza per contratti successivi presso lo stesso datore di lavoro (cfr., art. 1, comma 1, lett. b-quinquies).

Apprendistato

La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha ripristinato l’obbligo di un piano formativo individuale redatto in forma scritta, inizialmente soppresso nella redazione originaria del D.L. n. 34/2014, anche se ha calmierato tale reintroduzione, prevedendo modalità semplificate di redazione sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali (cfr., art. 2, comma 1, lett. a), n. 1)). Inoltre, è stato previsto l’obbligo in capo ai datori di lavoro con più di trenta dipendenti di assumere il 20% degli apprendisti, in totale dissonanza con la formulazione originaria del D.L. n. 34/2014, il quale non contemplava questa previsione normativa (cfr., art. 2, comma 1, lett. a), n. 2)).

Semplificazione del DURC

Come è noto, il DURC (documento unico di regolarità contributiva) attesta l’assolvimento da parte di un datore di lavoro degli obblighi legislativi e contrattuali nei confronti di INPS, INAIL e Cassa Edile. La legge di conversione prevede la smaterializzazione di tale documento, attraverso una semplificazione degli adempimenti burocratici (cfr. art. 4).

Contratti di solidarietà

La legge di conversione prevede la possibilità di stabilire mediante apposito decreto interministeriale i criteri per individuare i datori di lavoro beneficiari della riduzione contributiva in caso di ricorso al contratto di solidarietà (cfr., art. 5, comma 1). Vengono incrementate le risorse finanziarie, a decorrere dal 2014, con un limite di spesa di 15 milioni di euro contro i precedenti 5,6 milioni di euro (cfr., art. 5, comma 1-bis, lett. a)).

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Jobs Act breaking news. La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha apportato diverse modifiche al D.L. n. 34/2014.

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di Germano De Sanctis

Come è noto, il D.L. n. 34/2014, uno dei due pilastri del Jobs Act, è all’esame della Camera dei Deputati per la sua conversione in legge.
Nel corso della giornata di ieri, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha apportato diverse e significative modificazioni al testo originario licenziato dal Governo, al punto da suscitare un aspro scontro politico in seno alla maggioranza di Governo.

Infatti, il Nuovo Centrodestra si è duramente opposto a tali modifiche, giudicandole capaci di stravolgere l’impianto originario licenziato dal Consiglio dei Ministri.
Invece, il Partito Democratico è stato di diverso avviso, al punto da essere l’unico partito di maggioranza ad aver votato il provvedimento in Commissione Lavoro, in quanto il Nuovo Centrodestra non ha partecipato al voto e Scelta civica si è astenuta.
Ciononostante, il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è dimostrato sereno, affermando che non è stato minimamente stravolto l’impianto del D.L. n. 34/2014 ed, al contempo, ha lodato l’attività mediatrice svolta dal relatore Carlo dell’Aringa (PD).
A tal proposito, il relatore, Carlo Dell’Aringa ha tenuto a precisare che le modifiche approvate dalla Commissione sono il frutto di un serrato confronto tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, ivi comprese, ovviamente, quelle che compongono la maggioranza di Governo.

Vendendo all’esame delle singole modifiche apportate, bisogna, in primo luogo, evidenziare la decisione di ridurre da otto a cinque il numero delle proroghe possibili per i contratti a termine acausali nei tre anni di durata massima, con l’esclusione dei contratti di somministrazione.

In secondo luogo, è stata introdotta una specifica sanzione per le imprese che, a far data dal 01-01-2015, non rispetteranno il tetto del 20% dei contratti a termine acausali sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato. Nello specifico, la fattispecie sanzionatoria in esame prevede che ogni lavoratore a termine impiegato superando tale limite sarà automaticamente assunto a tempo indeterminato. Tuttavia, la novella prevede la possibilità per i datori di lavoro di riportarsi al di sotto del predetto limite del 20% entro la data del 31-12-2014, senza alcuna conseguenza sanzionatoria.

Infine, muta sensibilmente l’intera previsione riformatrice in materia di apprendistato. Infatti, le modifiche che interessano tale istituto sono molteplici:

  1. viene reintrodotto l’obbligo della forma scritta per il progetto di formazione, anche se in forma semplificata ed inserita nel contratto stesso;
  2. è stata ripristinata la previsione di una percentuale obbligatoria di stabilizzazioni di apprendisti, pari al 20% (più bassa di quella previgente) e operante soltanto nei confronti dei datori di lavoro con almeno trenta lavoratori dipendenti;
  3. è stata recuperata anche la formazione pubblica obbligatoria dell’apprendista, ma prevedendo che l’obbligo in capo alle Regioni d’inviare al datore di lavoro il piano formativo per la formazione trasversale e di base entro quarantacinque giorni dall’avvio del rapporto di apprendistato, con l’espressa previsione che, in caso di mancato tempestivo invio, il datore di lavoro è libero dall’osservanza di tale obbligo.

L’ultima modifica apportata concerne le donne occupate con contratti a termine di almeno sei mesi che entrano in gravidanza. In tal caso, l’indennità di maternità dovrà essere conteggiata ai fini del diritto di precedenza, nei casi in cui il datore di lavoro decida di assumere a tempo determinato od indeterminato nei dodici mesi successivi.

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Pillole di Jobs Act. L’apprendistato.

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di Germano De Sanctis

La finalità dell’intervento riformatore in materia di apprendistato.

Nel corso del Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, il Governo ha varato il tanto atteso provvedimento in materia di riforma del lavoro, meglio conosciuto come Jobs Act. Come è noto, si tratta della combinata emanazione di un decreto legge e di un disegno di legge delega.

In particolare, il decreto legge interviene anche sul contratto di apprendistato, con l’intento di attenuare le rigidità introdotte all’istituto dell’apprendistato dalla Legge. n. 92/2012 (c.d “Riforma Fornero”), le quali lo hanno reso meno facilmente utilizzabile rispetto alla sua originaria formulazione contenuta nel D.Lgs. n. 167/2011 (c.d. “Testo Unico dell’Apprendistato”).

Lo scorso 15 marzo, le anticipazioni governative sull’apprendistato, divulgate subito dopo il Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, sono state oggetto di un comunicato del Ministero del Lavoro, il quale ha ulteriormente specificato alcuni passaggi che sono risultati essere particolarmente controversi.

L’abrogazione dell’obbligo della forma scritta per il piano formativo.

Il decreto legge prevede l’abrogazione della necessità di redigere in forma scritta il piano formativo individuale. La forma scritta permane esclusivamente per il contratto di apprendistato tout court e per il patto di prova.

L’abrogazione dell’obbligo di forma scritta per il piano formativo individuale rischia di snaturare il rapporto di apprendistato stesso, in quanto una sua assenza potrebbe comportare una più facile elusione del suo momento formativo.

L’abrogazione della quota percentuale di apprendisti da stabilizzare.

Inoltre, è prevista l’abrogazione dell’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, D.Lgs. n. 167/2011, introdotti dalla Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), con la conseguenza che vengono eliminate le previsioni normative, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è condizionata alla conferma in servizio di una ben determinata quota percentuale di precedenti apprendisti al termine del loro percorso formativo (fissata al 30% fino al 2015, per, poi, salire al 50%).

Tale previsione normativa non è stata coordinata con la disciplina di settore prevista dalla contrattazione collettiva, la quale non risulta essere minimamente condizionata dalla novella in questione. In altri termini, fin quando permarranno i vincoli di stabilizzazione contenuti nei contratti collettivi, tale norma rischia di rimanere una mera affermazione di principio.

Gli interventi in materia di apprendistato di primo livello.

Il decreto legge interviene anche in materia di apprendistato di primo livello, cioè quella forma di apprendistato finalizzata al conseguimento di un diploma o di una qualifica.

Infatti, in vista dell’ormai prossima sperimentazione biennale (anni 2013-2015) dell’apprendistato a scuola contenuto nel c.d. “Decreto Carrozza”, è stata prevista una norma a favore delle imprese, la quale stabilisce che la parte di retribuzione dell’apprendista concernente le ore di formazione, debba essere pari al 35% della retribuzione del livello di inquadramento.

Gli interventi in materia di apprendistato di secondo livello.

Per quanto concerne l’apprendistato di secondo livello, il decreto legge elimina l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione professionalizzante, con la formazione trasversale e di base contenuta nell’offerta formativa pubblica, diventando quest’ultima un mero elemento discrezionale.

Di conseguenza, scompare l’obbligatorietà, per il datore di lavoro, di assicurare all’apprendista di secondo livello una formazione «pubblica» avente carattere trasversale e di base, ovvero di garantirgli la frequenza dei corsi regionali, qualora essi risultino istituiti, oppure di organizzarglieli ad hoc. L’immediata conseguenza di tale previsione normativa consisterà nel fatto che la formazione trasversale e di base, perdendo la sua natura obbligatoria, smetterà di essere oggetto di sanzioni cospicue (anche in termini di contributi versati).

Tale eliminazione dell’obbligatorietà della formazione pubblica può creare seri problemi con l’Unione Europea, atteso che l’apprendistato gode di sgravi contributivi proprio in virtù della sua valenza formativa. In altri termini, rendere la formazione pubblica soltanto eventuale comporta il rischio fondato che i predetti sgravi siano ritenuti dall’Unione Europea non più giustificabili, alla luce della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.