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La riforma delle Province è stata approvata dal Senato con il voto di fiducia.

 

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di Germano De Sanctis

Il voto di fiducia al Senato

Ieri sera, dopo un serrato e sofferto confronto, il Senato ha approvato il Disegno di Legge “Delrio” avente ad oggetto la riforma delle Province. Adesso, il testo modificato dal Senato tornerà all’esame della Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva.

Tale risultato è stato raggiunto, dopo che il Governo ha deciso di sottoporre al voto di fiducia un maxiemendamento, contenente il testo già approvato dalla Camera dei Deputati, le modifiche apportate dalla Commissione Affari Costituzionali ed alcuni emendamenti proposti dalla Commissione Bilancio.
La presentazione di tale maxiemendamento è stata ufficializzata nell’aula del Senato dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, la quale ha anche comunicato la volontà da parte del Governo di porre la questione di fiducia.
La decisione di blindare con il voto di fiducia il testo di riforma delle Province è stata presa durante un breve Consiglio dei Ministri tenutosi ieri mattina ed è stata assunta a causa delle difficoltà sorte nel corso della giornata del 24 marzo, quando la maggioranza è risultata sconfitta in due occasioni, prima in Commissione Affari Costitituzionali, durante la votazione dei singoli emendamenti, e, poi, in Aula, durante la votazione delle pregiudiziali di costituzionalità bocciate per tre soli voti di differenza. Pertanto, al fine di evitare ulteriori e sgradite sorprese, la maggioranza ha optato per porre la questione di fiducia sul testo che dovrebbe riformare radicalmente le Province.

La fiducia all’esecutivo è passata con 160 voti a favore e 133 voti contrari. Per la prima volta il Governo Renzi. già al suo quarto voto di fiducia, rimane sotto l’asticella della maggioranza assoluta. Si evidenzia che, al momento del suo insediamento, il Governo Renzi aveva ottenuto 169 voti a favore e 139 voti contrari. Secondo alcuni commentatori politici, tale risultato è il prodotto dei malumori che serpeggiano nella maggioranza.

Nonostante l’avvenuta approvazione del predetto maxiemendamento, continuano a permanere i dubbi concernenti gli effettivi risparmi garantiti dalla riforma in questione. Secondo le stime governative, una volta messa a regime, la riforma dovrebbe generare un risparmio di 111 milioni di indennità non più erogate e di 318 milioni di euro per mancati turni elettorali, in virtù dell’eliminazione degli assessori e delle elezioni provinciali. Invece, in sede di dibattito sul maxiemendamento in Commissione Bilancio del Senato, qualcuno non ha nascosto le proprie riserve sui reali risparmi, che potrebbero derivare dal testo finale del disegno di legge “Delrio”, alimentando, anzi, lo spettro di un aggravio di costi. Soltanto l’esame del Decreto del Presidente della Repubblica attuativo di tale riforma (ed espressamente previsto dal maxiemendamento) potrà sciogliere siffatti dubbi.

Fatte queste dovute considerazioni, passiamo all’esame delle novità più rilevanti contenute nel testo di legge approvato.

La trasformazione delle Province in enti territoriali di area vasta.

Nell’attesa della riforma costituzionale avente ad oggetto l’abolizione delle Province, quest’ultime sono trasformate in “enti territoriali di area vasta”, amministrati da organi di secondo livello e con specifiche competenze residuali soltanto in materia di edilizia scolastica, pianificazione dei trasporti e tutela dell’ambiente.
Le restanti funzioni esercitate dalle Province saranno trasferite alle Regioni e/o ai Comuni secondo quanto verrà disposto da un apposito Decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, a seguito di specifico confronto in seno alla Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.
Nessun problema per il mantenimento in servizio degli impiegati pubblici alle dipendenze delle Province, i quali continueranno a lavorare nelle strutture che li vedono attualmente occupati, mantenendo il medesimo stipendio.

Per quanto riguarda gli organi di rappresentanza delle nuove Province, sono previsti un Presidente eletto fra i Sindaci dei Comuni che fanno parte della Provincia, un Consiglio Provinciale (composto da un numero ristretto di Sindaci e Consiglieri Comunali) ed un’Assemblea dei Sindaci. Costoro percepiranno soltanto l’indennità loro spettante come Sindaco o come Consigliere Comunale.

L’entrata in funzione del nuovo assetto provinciale dovrebbe avvenire il 1° gennaio 2015. Nel frattempo, non saranno più celebrate le votazioni per il rinnovo di Presidenti e Consigli Provinciali. Si ricorda che, il 25 maggio prossimo, si sarebbero dovuti rinnovare gli organi di rappresentanza di ben 52 Province, le quali, saranno commissariate come già avvenuto ad altre 23 Province nel corso del biennio 2012-2013. Tutte le Province commissariate saranno amministrate fino a gennaio 2015 dall’attuale Presidente in veste di commissario.

La creazione delle città metropolitane.

Una delle novità più importanti contenute nel testo di legge approvato consiste nella creazione di dieci città metropolitane. Il territorio di ogni singola città metropolitana coinciderà con quella della omonima Provincia soppressa. Il testo ne prevede nove: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria. Accanto a tali città metropolitane, bisogna tenere conto del fatto che Roma assume lo status di Capitale.

Inoltre, il testo prevede la facoltà di creare ulteriori città metropolitane nelle Regioni a Statuto Speciale. Ne sono state già create cinque: Palermo, Messina, Catania, Cagliari e Trieste. Le modifiche apportate dal Senato rispetto al testo licenziato dalla Camera dei Deputati hanno escluso la sussistenza dello status di città metropolitana rispetto a Brescia, Bergamo, Salerno, Varese e Monza.
Il testo dispone che la città metropolitana venga gestita da un Sindaco Metropolitano e da due assemblee, entrambe presiedute da Sindaco medesimo. Si tratta del Consiglio Metropolitano e della Conferenza Metropolitana. Ovviamente, siffatti organi collegiali subentrano in seguito alla soppressione della Giunta Provinciale e del Consiglio Provinciale.
Le Città metropolitane dovrebbero anch’esse entrare in funzione il 1° gennaio del 2015. Il Sindaco del Comune capoluogo dovrà indire entro il 30 settembre del 2014 le elezioni, di secondo grado, per la creazione di una conferenza statuaria. Nelle more del varo dello statuto rimane in carica, fino al 31 dicembre 2014, il Presidente della Provincia (il quale sarà retribuito) e la Giunta in carica (con l’avvertenza che i suoi componenti non percepiranno alcuna indennità).

Le Unioni di Comuni.

Il testo di legge approvato prevede la possibilità di realizzare più Unioni di Comuni nell’ottica di ottimizzare e semplificare i servizi resi alla cittadinanza. Tutti gli organi di rappresentanza delle Unioni di Comuni svolgeranno le loro funzioni a titolo gratuito.
Anche in tal caso, il testo approvato dal Senato ha introdotto alcune modifiche rispetto al testo approvato dalla Camera dei Deputati. Ad esempio, il nuovo articolato dispone che, nei Comuni con una popolazione inferiore a 3.000 abitanti, il Sindaco possa restare in carica per tre mandati, invece di due. Inoltre, è stata reintrodotta la presenza dei Consiglieri Comunali nei piccoli Comuni, con un numero crescente legato alla popolazione. Tali modifiche hanno suscitato non poche polemiche durante il dibattito in Aula. Infatti, le opposizioni hanno eccepito che tale previsione introduce ulteriori 26.000 cariche elettive, mentre il Governo e la sua maggioranza hanno risposto che la modifica non comporterà nuove spese aggiuntive.
Infine, il testo ha introdotto anche una norma per la democrazia paritaria con un rapporto fra il 60% ed il 40% per cento fra i generi, ma soltanto a far data dall’anno 2017.

La riduzione dei costi.

Uno degli temi centrali della riforma in questione concerne il risparmio economico sulle indennità che oggi ricevono i Presidenti, gli Assessori ed i Consiglieri Provinciali. Su tale aspetto sono sorti dubbi in Commissione Bilancio del Senato.
A tal proposito, la riforma ha ricevuto il parere positivo da parte della Ragioneria dello Stato, la quale ha evidenziato che, nonostante i rilievi della Commissione Bilancio circa un possibile aumento delle spese future, il costo di 1774 amministratori provinciali, per il solo anno 2011, è stato di 111 milioni di euro. Inoltre, bisogna tenere conto del risparmio generato dalle mancate nuove elezioni provinciali, il cui costo è stato stimato in 318, 7 milioni di euro, di cui circa 118,4 milioni di euro a carico dello Stato.
Ovviamente, l’approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati del testo modificato ieri al Senato taglierebbe ulteriormente i costi ancora previsti per gli amministratori provinciali. Secondo le stime governative, se il provvedimento sarà approvato velocemente e, di conseguenza, non vi sarà più l’obbligo di celebrare le elezioni amministrative provinciali previste per il 25 maggio prossimo, il risparmio totale dovrebbe essere di oltre 400 milioni di euro.

Il trasferimento delle competenze.

Il Governo ha l’intenzione di avviare un percorso, sia legislativo, che amministrativo, capace di non generare disagi in capo ai cittadini interessati dalla riforma dell’amministrazione provinciale. Il testo approvato dal Senato dispone che, in attesa che la riforma del Titolo V elimini la previsione costituzionale in materia di Province e ridefinisca i rapporti tra lo Stato e le Regioni, unitamente alle competenze legislative di Camera dei Deputati e Senato, l’assetto amministrativo vigente non verrà stravolto.

Infatti, le Città metropolitane e gli “enti territoriali di area vasta” continueranno a ricevere i finanziamenti attualmente loro spettanti e rimarranno titolari degli immobili di loro proprietà, relativamente alle funzioni che rimarranno in capo alle nuove Province.
Inoltre, relativamente al trasferimento di funzioni, gli dipendenti provinciali occupati nell’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento, conserveranno il posto di lavoro e continueranno a svolgere i loro compiti presso le amministrazioni riceventi le funzioni, le quali ne cureranno il corretto esercizio del rapporto di lavoro, sotto ogni profilo (ovviamente, anche retributivo e contributivo), senza soluzione di continuità.

Le funzioni fondamentali che permarranno in capo alle nuove Province riguarderanno la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, l’ambiente, il trasporto e l’edilizia scolastica. Inoltre, i nuovi organismi avranno il compito di assistenza amministrativa ai Comuni, il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, le pari opportunità sul territorio provinciale. D’intesa con i Comuni, le nuove Province potranno esercitare anche le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive.

Infine, come già accennato, il trasferimento di tutte le altre funzioni attualmente ricadenti nella sfera di competenza delle Province, sarà oggetto di un apposito Decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro sei mesi dall’approvazione della presente legge, d’intesa con la Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome.