Ecco come funziona il cervellone che protegge l’euro (e perché al Sud viene imposta austerity anche in fasi recessive).

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di Vito Lops, da Il Sole 24 Ore del 16 aprile 2014

A fine maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo.Il dibattito politico ed economico si concentra su maggioranze, coalizioni, pro-euro e anti-euro. Delle tecnicalità, quelle che però spesso incidono più di qualsiasi altro aspetto sul futuro dei cittadini, si parla poco.
Ma è bene soffermarvicisi. E quando parliamo di tecnicalità nell’area euro ci riferiamo in particolare al funzionamento del sistema Target2. Alzi la mano chi sa di cosa stiamo parlando. A voi tutti, sinceri che le mani non le avete alzate, è rivolto questo articolo.

Il Target 2 è il sistema di compensazione dei pagamenti tra le banche commerciali e le rispettive banche centrali dei Paesi dell’Eurozona (vi aderiscono anche Danimarca, Bulgaria, Polonia, Lituania e Romania). Con la supervisione finale della Banca centrale europea. E’ stato introdotto nel novembre del 2007. Prima c’era il sistema Target, più altre stanze di compensazione (clearing house). Da fine 2007 c’è solo il Target 2, dove Target sta per Trans-European Automated Real-time Gross settlement Express Transfer system.
Ogni pagamento, dall’acquisto di un frigorifero in un centro commerciale all’ordine di una maschera da sub dalla Grecia, passa attraverso questo cervellone elettronico. Una piramide, alla base della quale c’è la Bce, immediatamente sotto ci sono le banche centrali nazionali (Banca d’Italia, Bundesbank, Banco d’Espana, ecc.). E poi nel terzo gradino ci sono le banche commerciali.

Per entrare nel cuore di questo cervellone bisogna però conoscere un po’ di come viene creata oggi la moneta a livello bancario. Ci sono due tipi di moneta. La prima è creata dalle banche centrali, la seconda è creata dalle banche commerciali.
La prima moneta è creata dalle banche centrali attraverso la semplice immissione di un impulso elettronico su un computer. Si tratta di moneta che non può circolare nell’economia reale ma viene utilizzata in un conto bancario che le banche commerciali devono detenere presso le banche centrali nazionali (dove sono obbligate a tenere delle riserve un apposito “conto riserve”). Anche le banche commerciali emettono moneta attraverso impulsi elettronici e lo fanno nel momento in cui concedono prestiti ai clienti. Ma è importante sapere che nel sistema Target 2 circola solo la moneta delle banche centrali, quella delle riserve bancarie, che serve per i pagamenti interbancari.
Nel “conto corrente riserve” presso la banca centrale deve essere presente una riserva obbligatoria (in % dei depositi o delle obbligazioni emesse dalla banca, viene stabilita dalla Bce come strumento di politica monetaria, viene aumentata quando intende sottrarre liquidità dal sistema per drenare la crescita, o aumentata per ottenere un effetto opposto).

Oltre alla riserva obbligatoria una banca può depositare in questo “conto riserve” presso la banca centrale anche riserve libere, per agevolare le operazioni di pagamenti con altre banche. Di giorno può utilizzare tutte le riserve ma la sera almeno la riserva obbligatoria deve rientrare. La riserva obbligatoria è remunerata al tasso refi, l’eccesso di riserva non viene remunerato.
Prima di procedere dobbiamo imparare questa importante distinzione. I depositi per le banche rappresentano una passività (un debito) mentre i prestiti rappresentano un’attività (un credito). Questo punto è fondamentale per capire il funzionamento del Target 2 e molte scelte politiche che vengono oggi adottate al netto di frasi e comportamenti di facciata da parte di alcuni politici europei.
Cosa succede se un italiano acquista in un centro commerciale un frigorifero venduto da una società tedesca? L’italiano ha il conto corrente presso la banca commerciale A, il tedesco presso la banca commerciale B. Poniamo che il frigorifero costi 1.000 euro. A livello interbancario (e di saldi Target 2) accade questo. La banca commerciale A elimina dal saldo del conto corrente del cliente italiano 1.000 euro ed effettua un bonifico presso la banca commerciale B tedesca che, di conseguenza, aumenta i depositi del cliente (la società che vende frigoriferi) per 1.000 euro.

L’operazione però passa anche attraverso il Target 2 e quindi coinvolge anche la Banca d’Italia, la Bundesbank e la Banca centrale europea e i conti dove sono depositate le riserve obbligatorie. In che modo? Il sistema Target 2 manda un segnale alla Banca d’Italia di “distruggere” (elettronicamente) 1.000 euro di riserve detenute nel “conto riserve” della banca commerciale A (dopodiché la Banca commerciale A ha meno riserve per l’equivalente di 1.000 euro nel conto che ha presso la Banca d’Italia). Allo stesso tempo il sistema Target 2 invia anche un segnale alla Bundesbank dicendo di accreditare 1.000 euro nel “conto riserve” che la Banca commerciale B ha presso la Bundesbank.
Alla fine di questo giro emerge che la banca commerciale B tedesca ha incrementato le riserve nel conto della Bundesbank per 1.000 euro e, contestualmente, la banca commerciale B italiana “vanta” meno riserve per 1.000 euro presso la Banca d’Italia. Tutto compensato, quindi, come una stanza di compensazione funzionante vuole.
Vi ricordate però cosa rappresentano i depositi per una banca? Sono una passività. Quindi a conti fatti la vendita del frigorifero avrà prodotto una passività sul conto riserve della banca commerciale B tedesca presso la Bundesbank mentre avrà liberato la banca commerciale A italiana della passività che aveva presso il conto riserve di Banca d’Italia.
Vi ricordate che i depositi detenuti dalle banche commerciali presso il conto della Banca centrale nazionale sono rappresentati da moneta di banca centrale che non può essere utilizzata nell’economia reale? Bene, questo è un passaggio importante perché questi 1.000 euro di depositi in più sul conto presso la Bundesbank, la banca commerciale B tedesca potrà utilizzarli solo per investire in titoli o per estendere credito ai propri clienti (maggiori sono le riserve più crediti si possono fare perché i crediti sono proporzioni alla riserve secondo il moltiplicatore dei depositi).

Quindi, quando un cittadino compra un frigorifero prodotto da una società straniera si crea un meccanismo per cui ballano le riserve nei “conti riserve” delle banche commerciali presso le banche centrali nazionali, sotto il coordinamento del sistema di compensazione Target 2. A livello bancario, è come se la banca commerciale B tedesca (e di conseguenza il sistema finanziario della Germania) accumulasse un credito nei confronti della banca commerciale A italiana (e di conseguenza sul sistema finanziario italiano) per aver venduto un bene fisico (il frigorifero) che è passato dalla Germania all’Italia. Ne consegue che quando un Paese dell’area è in deficit nella bilancia dei pagamenti (è in debito con l’estero) il meccanismo Target 2 impone automaticamente che questo deficit sia finanziato dal Paese creditore del Target 2. Oppure impone un intervento a sostegno da parte della Banca centrale europea (quello che è stato fatto dalla Bce a partire dal 2010). Perché se il banco salta il creditore resta con il cerino accesso in mano.

Si crea quindi uno squilibrio nei sistemi Target 2 che può essere compensato in due modi:
1) l’Italia vende un bene di pari valore alla Germania creando lo stesso meccanismo al contrario e azzerando i saldi Target 2 tra il sistema finanziario tedesco e quello italiano;
2) la Germania utilizza il surplus di riserve per acquistare titoli italiani
3) interviene la Banca centrale europea erogando liquidità aggiuntiva a favore dell’Italia
Quello che si è verificato fino al 2008 è stata proprio l’opzione numero due. I saldi risultavano in equilibrio, ma in realtà dietro c’era un forte squilibrio perché in buona sostanza la Germania vendeva prodotti al Sud Europa e compensava la posizione creditoria nel sistema Target 2 acquistando titoli di Stato del Sud Europa (Grecia, Italia, ecc.). Il credito Target 2 della Germania determinato dalla vendita del bene fisico veniva compensato dal debito Target 2 determinato dall’acquisto di titoli del Sud Europa.
Dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime il flusso degli acquisti si è interrotto, anzi è stato ancor più aggravato dalle vendite (ricordate quando Deutsche Bank ha venduto 8 miliardi in titoli di Stato italiani in pochissimo tempo?). Questo ha fatto esplodere i saldi Target 2 facendo venire a galla gli squilibri dell’Eurozona con un Paese (la Germania) che vantava crediti superiori a 700 miliardi rispetto al debito dei Paesi del Sud Europa (vicinissimo a quella cifra) speculare.

Ne consegue che l’esistenza stessa dell’Eurozona si fonda oggi su questo sistema di pagamenti attraverso cui oggi transita un controvalore giornaliero di circa 2mila miliardi di euro e che, tecnicamente, non prevede limiti. In caso di crollo del sistema Target 2 – in sostanza se la Germania interrompesse tramite il meccanismo delle riserve Target 2 – di finanziare il deficit dei Paesi del Sud Europa anche per un solo giorno, rischierebbe di crollare l’intero sistema e l’euro stesso.
A patto che non subentri la Bce (come ha fatto) con liquidità che rende meno brusca la correzione delle partite correnti dei Paesi in deficit.
Va anche detto – spiega un banchiere che preferisce restare anonimo – che il meccanismo di garanzia dei crediti vantati dal Nord Europa verso il Sud Europa ha come alter ego il meccanismo del collaterale, ossia garanzie tramite titoli governativi. Per essere più precisi più che di acquisti in senso assoluto si tratterebbe di acquisti repo (repurchase agreement) ossia pronti contro termine, titoli presi in garanzia fin a quando è in essere il relativo credito.

Come si correggono questi squilibri?
1) I Paesi del Sud Europa in deficit passano da una situazione di deficit a una di surplus di bilancia dei pagamenti
2) I Paesi del Sud Europa acquistano Bund tedeschi
La strada dell’austerità e del rigore che è stata finora praticamente imposta (pur in una fase di recessione economica) è quella che è stata praticata (punto 1). Non a caso i Paesi del Sud Europa, pur sperimentando una crescita debole e tassi di disoccupazione a livelli record (soprattutto quella giovanile) stanno riportando il saldo dei conti con l’estero in pareggio o in attivo. Questa sta favorendo un graduale rientro degli squilibri Target 2 e un ridimensionamento dell’enorme credito accumulato dalla Germania nei primi 15 anni dell’Eurozona.
E stanno ritornando flussi di capitale nella periferia dell’Eurozona
Che stanno contribuendo a far migliorare i saldi Target 2. Non a caso Il credito Target 2 della Germania è sceso da oltre 700 sotto i 500 miliardi.
Il rinnovato surplus della periferia dell’Eurozona non è però totalmente virtuoso. In molti casi è più figlio di una diminuzione delle importazioni (complice il calo del potere d’acquisto della domanda interna e dell’aumento del tasso di disoccupazione che a loro volta stanno causando un processo di disinflazione/deflazione) che non per un aumento spiccato delle esportazioni (per quanto in alcuni casi rifletta un aumento effettivo della competitività sul fronte export).

Grafico / I saldi Target 2

E’ quello che sta accadendo in un percorso lento e doloroso. La Germania cerca così lentamente di rientrare dei propri crediti che continuano ad essere massicci, così come gli irrisolti squilibri nell’Eurozona. Ed è probabilmente questo il motivo per cui l’euro non è crollato quando nel 2011-2012 molti economisti davano per spacciata una deflagrazione dell’Eurozona. In quel periodo è vero gli spread balzavano alle stelle ma l’euro sul mercato dei cambi si manteneva estremamente tonico, segnale che gli investitori non hanno mai creduto fino in fondo al crollo dell’euro. L’allarme finale prima della sua deflagrazione (una improvvisa svalutazione valutaria) non è mai scattato.
Capire come funziona il “cervellone dell’euro” (il sistema Target 2) ci aiuta anche a capire che più dei Paesi del Sud, ha interesse tecnico a far restare in piedi l’euro proprio la Germania, il principale creditore finanziario nell’Eurozona. Perché si sa quando un debitore è piccolo è molto fragile, ma quando il debitore è grande rischia di essere più potente del creditore. E questo la Germania lo sa. E probabilmente anche per questo ha insistito sull’applicazione di politiche di austerità nei Paesi del Sud Europa anche in fasi recessive. Per rientrare quanto prima dei crediti.

Fonte: Il Sole 24 Ore

LA SOCIAL BANK: DA CANDY CRUSH AL DIGITAL CASH.

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di Michele De Sanctis

Di iscritti a Facebook ne a siamo oltre un miliardo, ma pare che a Mark Zuckerberg la condivisione dei nostri pensieri, foto e dati non basti più. Ne avevamo avuto sentore dopo l’acquisto di Whatsapp e dei visori di Oculus per portare ovunque la realtà aumentata, oltreché in seguito al tentativo, fatto fallire nelle ultime ore da Google, di acquisire i droni della Titan Aerospace per la diffusione di internet ad alta velocità. Adesso il Financial Times svela le prossime strategie commerciali della società di Palo Alto. Peraltro, in linea con i piani di diversificazione dichiarati dallo stesso Zuckerberg. Dopo l’esplosione del fenomeno Bitcoin, infatti, Facebook punterebbe ora anche a diventare una ‘banca’ di moneta elettronica. Negli Usa l’azienda ha già l’autorizzazione per alcune forme di trasferimento di denaro nell’ambito della piattaforma, ad esempio per l’acquisto delle app interne, soprattutto giochi, con 375 milioni di persone, che, secondo le ultime stime, gioca sulla piattaforma ogni mese a giochi ‘social’ tipo Candy Crush. Ma l’indiscrezione stavolta è che dopo il tentativo del 2012 (poi abbandonato) di lanciare i Credits – denaro ‘virtuale’ che nei piani di Mark Zuckerberg avrebbe dovuto essere usato in tutte le app del social network – la società starebbe per ottenere dall’Autorità irlandese – dove ha sede il proprio quartier generale europeo – l’approvazione per un servizio che consentirà agli utenti del vecchio continente di salvare denaro sulla piattaforma e usarlo per fare pagamenti, ma anche per scambi di denaro fra gli stessi iscritti: in pratica, una sorta di digital cash.

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Se il progetto andasse a buon fine, non solo i Facebook Credits diverrebbero una realtà, ma la società potrebbe iniziare a raccogliere e conservare i versamenti dei clienti europei in un conto corrente virtuale, per usarne i fondi all’interno come anche all’esterno del suo ecosistema. L’autorizzazione di Dublino, dunque, consentirebbe alla piattaforma di Zuckerberg di estendersi finalmente al settore dell’intermediazione finanziaria, offrendo servizi, tipo rimesse internazionali e pagamenti elettronici, propri dei tradizionali intermediari, come le banche, di cui diventerebbe competitor, affiancandosi, peraltro, a Paypal, che già da tempo ha sottratto loro una consistente parte dei pagamenti on line.

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Sebbene resti il dubbio circa la propensione degli utenti ad affidare a Facebook i propri soldi, considerando, peraltro, le loro costanti preoccupazioni sul fronte della privacy, le banche non dovrebbero comunque sentirsi troppo al sicuro. Negli ultimi anni abbiamo, infatti, assistito ad una fioritura di nuovi mercati del denaro, affiancati da nuovi servizi a valenza finanziaria e soprattutto da nuove monete digitali. Il Bitcoin, per esempio, ha conquistato l’attenzione di molti intermediari finanziari per la sua caratteristica capacità di proteggere l’anonimato delle persone che usano e accumulano la moneta elettronica. Considerando che non è solo solo Facebook, ma ci sono anche Google e Vodafone a muoversi in questa stessa direzione, potendo le tre società contare, tra l’altro, su una localizzazione più favorevole dal punto di vista fiscale e bancario, altri segmenti dell’attività bancaria corrono il rischio di essere disintermediati. Tanto più se pensiamo al fatto che qui si parla di aziende estremamente efficienti sia nella gestione dell’informazione che nel rapporto con enormi quantità di utilizzatori.

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La rivoluzione potrebbe non essere domani, ma logorare progressivamente le quote di mercato dei tradizionali intermediari, fino alla totale trasformazione del comportamento degli utenti. Un esempio? L’ho già citato: quanti di voi non hanno mai usato Paypal?
Quale nuovo concorrente di quest’ultima, poi, obiettivo (non dichiarato) di Facebook, che ha cassato l’indiscrezione del Financial Times con un secco ‘no comment’, sarebbe quello di intercettare i trasferimenti di denaro verso i Paesi dell’Est e dell’Africa, da cui provengono molte badanti, colf e tutti quelli che arrivano in Europa Occidentale per lavoro e mandano regolarmente denaro a casa. Senza poi trascurare l’enorme serbatoio di utenti indiani, che ha da poco raggiunto quota 100 milioni. A conferma di ciò, Facebook starebbe discutendo potenziali collaborazioni con almeno tre start up londinesi specializzate in servizi internazionali di trasferimento di denaro online e via smartphone. Si tratta di TransferWise, Moni Technologies e Azimo. Per quest’ultima, Zuckerberg avrebbe perfino offerto 10 milioni di dollari, ingaggiandone il co-fondatore come direttore dello sviluppo del prodotto.

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Non resta che attendere le prossime settimane, per scoprire se questa notizia resterà soltanto un rumor o se, piuttosto, siamo di fronte alla prossima rivoluzione finanziaria.
Se così fosse, noi vi terremo aggiornati. Voi, però, continuate a seguire il nostro blog anche su Facebook e Twitter @BlogNomos.
Alla prossima!

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Donna stuprata mentre rincasa dal lavoro: l’Inail le riconosce l’infortunio in itinere

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Stava tornando dalla palestra dove era addetta alle pulizie. Dall’Istituto un indennizzo di 10mila euro per il danno biologico subìto. L’avvocato generale La Peccerella: “I rischi tutelati dalla legge attengono a tutte le condizioni di percorrenza del tragitto, e non solo a quelle legate alla circolazione stradale”

MILANO – L’Inail ha riconosciuto l’infortunio in itinere a una donna straniera, poco meno che quarantenne, violentata a Milano mentre usciva dalla palestra dove lavorava come addetta alle pulizie. La vittima stava rincasando quando, nel tragitto, venne aggredita e stuprata da uno sconosciuto: un’esperienza terribile che si è tradotta, successivamente, nella manifestazione di ripetute crisi di panico e di uno stato crescente di depressione tali da rendere necessario il ricorso alla psicoterapia. L’Istituto – oltre all’indennizzo delle giornate di assenza giustificata dal luogo di lavoro – ha versato alla donna 10mila euro a seguito del danno biologico subìto: non solo quello all’integrità fisica, ma anche per le gravi conseguenze di carattere psico-emotivo.

Il caso è una declinazione del principio generale disciplinato dal dlgs n. 38/2000. “Non si tratta del primo caso di infortunio in itinere riconosciuto dall’Inail in relazione a una donna lavoratrice vittima di stupro, un episodio analogo è stato indennizzato di recente dalla Sede di Brescia – afferma l’avvocato generale dell’Istituto, Luigi La Peccerella – Da un punto di vista strettamente giuridico tale riconoscimento rappresenta una declinazione del principio generale relativo agli infortuni in itinere disciplinato dall’articolo 12 del 38/2000, che tutela il lavoratore contro, che tutela il lavoratore contro tutti i rischi legati alla strada, durante il percorso dal luogo di abitazione a quello di lavoro e viceversa”.

Escluse dalle tutele solo le situazioni riconducibili a ipotesi di ‘rischio elettivo’. Secondo quanto disposto dal legislatore, si definisce ‘infortunio in itinere’ l’infortunio occorso “durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”. In tale accezione sono ricomprese nella tutela tutte le modalità di spostamento (a piedi, su mezzi pubblici, su mezzo privato “necessitato”, su percorsi misti), se il tragitto è collegato ad esigenze e finalità lavorative. Vengono escluse, invece, solo le situazioni che possono essere ricondotte a ipotesi di ‘rischio elettivo’: per esempio, l’uso non necessitato del mezzo privato, le interruzioni o le deviazioni del normale percorso anch’esse non necessitate, oppure condotte colpevoli quali l’abuso di alcolici, ecc.

Già riconosciuto come infortunio in itinere un caso di rapina. “Di solito si tende a considerare gli infortuni in itinere solo in relazione ai rischi connessi alla circolazione dei veicoli, ma in realtà tale categoria è ovviamente assai più estesa e riguarda tutto ciò che attiene le condizioni di percorrenza del tragitto – aggiunge La Peccerella – Pertanto, rientrano nelle tutele previste dalla legge anche il pericolo di subire un’aggressione o una violenza nel caso una persona, nel tragitto per tornare a casa dal proprio luogo di lavoro, debba necessariamente percorrere una strada isolata. Proprio in virtù di questo stesso principio è stato, recentemente, riconosciuto come infortunio in itinere anche un episodio di rapina di cui è stato vittima un lavoratore”.

Fonte: INAIL

RICORDANDO GIANNI RODARI.

Il 14 aprile di 34 anni fa moriva a Roma Gianni Rodari, autore di libri per ragazzi (e non solo) e grande pedagogista.

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“Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo”.
Con queste sue parole, noi di BlogNomos vogliamo ricordare il papà dei libri d’infanzia, con cui i nostri genitori ci hanno trasmesso l’amore per la lettura, che, sola, ha il potere di rendere l’uomo libero: è questo il messaggio più grande che il Maestro Rodari ha lasciato in eredità alle future generazioni. E che noi coltiviamo, con l’auspicio che anche i nostri figli e nipoti possano crescere con questi stessi valori.

Grazie, Gianni!
MDS

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Per l’occasione, vi salutiamo con una favola al telefono.

IL PALAZZO DI GELATO

Una volta, a Bologna fecero un palazzo di gelato proprio in Piazza Maggiore, e i bambini venivano da lontano a dargli una leccatina.

Il tetto era di panna montata. Il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato ad un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato,il più buono.

Una guardia del Comune, ad un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa. “Presto!” gridò la guardia. “Più presto ancora”. E tutti giù a leccare più presto, per non lasciare andare perduta una sola goccia di quel capolavoro. “Una poltrona!” implorava una vecchiettina che non riusciva a farsi largo fra la folla.

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“Una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se é possibile”. Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.

Fu un gran giorno, quello e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia. Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: ” Eh, già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna”.

da Gianni Rodari ‘Favole al telefono’ Einaudi, 1962

IL TUO PROSSIMO LIBRO? TE LO FINANZIA IL LETTORE.

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di Michele De Sanctis

Il crowdfunding è una particolare forma di finanziamento collettivo, una sorta di micro-finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. Il crowdfunding, che spesso è utilizzato per promuovere innovazione e cambiamento sociale dal basso, abbattendo, cioè, le barriere tradizionali dell’investimento finanziario, può essere utilizzato per iniziative di qualsiasi genere: dal giornalismo partecipativo all’imprenditoria innovativa ed alla ricerca scientifica, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie, fino al sostegno all’arte e ai beni culturali. In questo processo, la rete gioca un ruolo da centravanti. In particolare per ciò che concerne il finanziamento di un particolare settore commerciale, l’editoria, dove il web sta mettendo in atto una vera e propria rivoluzione culturale. Se, infatti, una volta il primo approccio con il libro avveniva direttamente in libreria, oggi il lettore può, invece, partecipare attivamente alla fase di realizzazione dello stesso, fino al punto di ricevere indietro la cifra sborsata, qualora non venisse raggiunto l’obiettivo finale: la pubblicazione. È questo il crowdfunding del libro. Ad essere messi in vendita, dunque, non sono i tradizionali volumi di carta, recapitati a casa nostra dal corriere espresso entro 48 ore dall’acquisto, né il download di un e-pub o di un PDF, bensì le parole, l’anteprima di un libro e la scommessa sul suo successo.

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Nel nostro Paese è BookAbook la prima piattaforma dedicata alla raccolta di denaro online per il finanziamento di opere letterarie. Nato sulla scorta del modello del britannico Unbound e dello statunitense Pubslush, BookAbook è una creazione degli imprenditori digitali Emanuela Furiosi e Tomaso Greco, che, in collaborazione con gli agenti letterari Claire Sabatié-Garat e Marco Vigevani, responsabili dei contenuti letterari, hanno dato il via a questa interessante startup made in Italy.

Chiunque può sottoporre il proprio progetto editoriale allo staff di Bookabook, sia che si tratti di esordienti che di autori affermati: se selezionato, il progetto entra a far parte delle tre campagne mensili proposte dalla piattaforma. Per finanziare le opere, invece, basta collegarsi al portale e scegliere tra le tre offerte mensili di titoli proposti. Una volta individuato il titolo si può accedere gratuitamente all’anteprima, e qualora fossimo interessati alla trama, possiamo avanzare la nostra offerta. La base minima per partecipare ammonta a tre euro e il contest dura trenta giorni. Se si raggiunge un plafond minimo, questo coprirà i costi di realizzazione e il libro potrà essere pubblicato.

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La piattaforma contiene, inoltre, uno spazio dedicato al dialogo tra autore e lettori/finanziatori, dove potersi confrontare direttamente, così come ricevere informazioni sul making of dei testi ed interagire con altri lettori.
Se non fosse per l’oggetto del contendere, perciò, non si tratterebbe d’altro che di una classica piattaforma di crowdfunding e di finanziamento dal basso, sulla fiducia. La novità di Bookabook, però, è che per la prima volta in Italia il prodotto su cui scommettere è un libro. La filosofia alla base di Bookabook è quella di realizzare un modello economico partecipato nel settore dell’editoria, così come già sperimentato in altri segmenti di mercato, evitando il confronto con gli operatori del settore come editori, librerie e catene di distribuzione.

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La prima proposta di BookAbook è stata ‘Solovki’, un giallo di Claudio Giunta, docente presso l’Università di Trento e già autore di saggi accademici, ma esordiente nel campo della narrativa, seguita dalla campagna per la produzione de ‘Gli scaduti’, progetto firmato dalla scrittrice Lidia Ravera.

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Nel corso del 2013 l’editoria tradizionale ha perso, rispetto all’anno precedente, il 9% dei lettori. Tuttavia, per quanto il mercato elettronico sia ancora piccolo, nel 2013 i lettori di e-book sono aumentati del 17% rispetto all’anno precedente. Complici di questa crescita sono stati sia lo strumento di lettura sia i prezzi dei titoli: il costo medio (dati 2013 al netto di IVA) di un libro cartaceo è di 17,31 euro mentre quello di un titolo digitale è di 8,63.
Non è possibile per adesso una previsione sul successo dell’iniziativa, che, nelle intenzioni dei suoi startupper, è destinata a cambiare il tradizionale rapporto tra autori e lettori, rivoluzionando il modo di leggere, ma, se la pubblicazione collettiva può servire ad alterare i tradizionali equilibri dell’editoria e a far emergere nuovi talenti, c’è da augurarsi che la fortuna di questa piattaforma vada ben oltre le loro speranze. Sebbene, infatti, nessun ruolo sia previsto per gli editori e benché BookAbook non sia un loro concorrente, gli utenti della community, che sono i soli a veder pubblicato in anteprima il libro, potrebbero diventare per gli editori stessi un pubblico-campione ai fini della verifica circa l’accoglienza di un libro, dunque offrendo loro un servizio, che, in ultima istanza, avrebbe il giusto potenziale per incrementare le vendite e, nel contempo, la qualità dell’offerta editoriale. Che sia la volta buona per veder sparire dagli scaffali delle librerie Barbara d’Urso e Bruno Vespa?

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Campagna choc in USA: mandare messaggi mentre si guida può essere mortale

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A nessuno piace essere fermato dalla polizia per una multa. Ma se l’avessi vista l’avrei multata. E quella multa avrebbe potuto salvarle la vita”. Queste le parole del vigile alla fine del video. 3.300 persone sono morte nel 2012 e altre 421mila sono rimaste ferite a causa di distrazioni sulle strade statunitensi. Molte stavano usando uno smartphone: per questo la NHTS (National Highway Traffic Safety) ha ideato una campagna in tv e sui social network: si chiama #Justdrive e questo è il video che la presenta. E attenzione, non vale solo in America: mandar messaggi o controllare le mail mentre si è alla guida può essere fatale in ogni parte del mondo. Anche in Italia.

Lo spot choc Usa che spaventa i cattivi guidatori

Fonte: La Stampa

Sicurezza stradale, vittime di incidenti in calo in Italia e nell’Unione Europea

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I dati diffusi dalla Commissione Ue registrano un calo dell’8% dei casi. Nel nostro paese la contrazione è del 6%: un andamento che si riflette anche su quello degli infortuni con mezzo di trasporto e in itinere che interessano i lavoratori e nel cui contrasto l’Inail è impegnato con numerose attività di prevenzione

BRUXELLES – Migliora la sicurezza stradale in Europa: nel 2013 il numero di vittime degli incidenti stradali in Ue è sceso dell’8% rispetto all’anno precedente. In Italia, invece, il calo registrato è pari al 6%. E’ quanto emerge dai nuovi dati sulla sicurezza stradale pubblicati dalla Commissione europea.

Per il secondo anno un miglioramento nelle statistiche. Il 2013 è secondo anno in cui si registra una diminuzione del numero di vittime di incidenti stradali in Europa: tra il 2011 e il 2012 si era, infatti, già verificata una contrazione del 9%. Anche allora il miglioramento aveva interessato l’Italia dove, nello stesso arco temporale, era stata registrata una diminuzione dei decessi legati alla strada pari al 5%. Dunque, lo scenario complessivo mostra segnali incoraggianti: a conferma di tutto questo anche i numeri dell’ultimo rapporto Aci-Istat che registrano una flessione del numero dei morti per incidenti – dal 2001 a oggi – da 8mila a circa 3600 casi.

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Miglioramento positivo, ma la realtà resta drammatica. La sicurezza stradale è un fenomeno complesso, il cui andamento si riflette in modo significativo anche su quello relativo agli infortuni sul lavoro, in particolare per quanto riguarda gli incidenti che accadono con mezzi e trasporto e in itinere (che si verificano nel corso del tragitto casa/lavoro e viceversa). Quanto “fotografato” dalla Commissione Ue trova, infatti, una conferma indiretta anche nei dati Inail relativi al 2012. Secondo le denunce pervenute all’Istituto, infatti, gli infortuni in occasione di lavoro – con mezzi di trasporto – nel 2012 sono state 43.959 (il 5,90% del totale), per una flessione del 14,40% rispetto all’anno precedente. Importanti anche i dati relativi agli incidenti in itinere: in generale, in Italia, nel 2012 sono stati 76.181 (il 10,23% del totale), per un calo del 7,76% sul 2011. Nello specifico degli infortuni in itinere con mezzo di trasporto, questi sono stati 56.913: il 14,12% in meno rispetto ai 66.271 casi dell’anno prima. L’andamento, pur segnalando un miglioramento certamente positivo, conferma tuttavia il permanere di una realtà ancora grave e per il cui contrasto l’Inail sta promuovendo una capillare attività di prevenzione lungo tutto il territorio nazionale.

Kallas: “Più vicino il dimezzamento dei casi entro il 2020”. I dati della Commissione Ue fanno valutare adesso con rinnovato ottimismo la possibilità di raggiungere l’obiettivo strategico del dimezzamento del numero di vittime di incidenti stradali entro il 2020. “Era estremamente importante che i buoni risultati del 2012 non restassero un fatto estemporaneo – ha spiegato il commissario Ue per la mobilità e i trasporti, Siim Kallas – L’Ue è sulla buona strada per conseguire gli obiettivi di sicurezza stradale fissati per il 2020. Ma non c’è spazio per alcun compiacimento se pensiamo che, ogni giorno, sulle strade d’Europa perdono la vita ancora 70 persone. È necessario continuare il nostro impegno congiunto a tutti i livelli per migliorare ulteriormente la sicurezza sulle strade europee”. E per ribadire l’importanza del valore della sicurezza sulle strade europee il 9 maggio prossimo la Commissione, in collaborazione con la presidenza greca dell’Ue, organizzerà ad Atene la Giornata europea della sicurezza stradale.

Fonte: INAIL

Non è penalmente responsabile il datore di lavoro per omessa vigilanza sul lavoratore negligente

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di Germano De Sanctis

Di recente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15490 del 7 aprile 2014, ha affermato che il datore di lavoro è garante del puntuale rispetto delle misure prevenzionali, anche delegando un soggetto preposto, dotato dei necessari poteri e delle specifiche competenze, qualora le dimensioni aziendali rendano inevitabile tale scelta organizzativa.

La sentenza in questione ha dovuto decidere in merito alla correttezza della sentenza con cui la Corte d’appello aveva in precedenza confermato la sentenza del GIP che dichiarava il legale rappresentante di una società colpevole del reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., avendo, per colpa generica e specifica, causato la morte del lavoratore dipendente, deceduto a seguito delle gravi ustioni riportate dopo essere stato investito dalle fiamme improvvisamente sviluppatesi dai vapori di carburante, ancora presenti all’interno di un autoveicolo, non bonificato, che il predetto era intento a demolire, mediante l’uso di un cannello ossipropanico, senza che il medesimo avesse indossato adeguati indumenti ignifughi di protezione e avesse seguito le dovute procedure di cautela.

Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che la Corte d’Appello, aveva ignorato la rilevante circostanza, evidenziata dalla difesa, circa il fatto che l’organigramma aziendale (peraltro, acquisito agli atti del processo) dimostrava la presenza di un dipendente preposto dal legale rappresentante al taglio delle carcasse dei mezzi da demolire.
Invece, il giudice di merito, non valutando adeguatamente tale elemento probatorio, aveva concluso semplicisticamente per la penale responsabilità del legale rappresentante che non poteva discolparsi in quanto l’avere adempiuto a tutti gli obblighi di prevenzione degli infortuni previsti dalla legge non lo esonerava dall’obbligo di controllare e garantire l’effettiva osservanza delle misure di prevenzione da parte dei lavoratori.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato, secondo il quale la Corte d’Appello aveva basato la sentenza di secondo grado su una giustificazione illogica ed apparente in ordine alla penale responsabilità per omessa vigilanza, finendo per condannare il ricorrente su basi oggettive, a cagione della mera posizione ricoperta.

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Pillole di Jobs Act. Analisi e commento della legge delega in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive

 

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di Germano De Sanctis

Come è ben noto, il Jobs Act si suddivide in due atti normativi distinti. Il primo atto è il D.L. n. 34/2014 che ha affrontato il tema dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato e che deve essere convertito in legge entro il 20 maggio prossimo.
Invece, il secondo atto normativo consiste in una legge delega recentemente presentata al Senato, in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive. Si tratta di un documento composto di in sei articoli, al loro volta, suddivisi in due capi.
Il disegno di legge in questione si occupa delle seguenti materie, con l’espressa previsione di una delega al Governo per ciascuna di esse da esercitarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento legislativo:

  • la riforma degli ammortizzatori sociali, al fine grado di creare tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori;
  • il riordino dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, allo scopo di garantire l’erogazione e la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario ed onogeneo delle relative funzioni amministrative;
  • la razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, attraverso la semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi;
  • il riordino delle forme contrattuali, al fine di implementare le opportunità dìingresso nel mercato del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti, rendendoli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo;
  • il sostegno alla maternità ed allaconciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire un effettivo sostegno alla genitorialità, attraverso strumenti di tutela della maternità delle lavoratrici e soluzioni capaci di garantire le opportunità di conciliazione per la generalità dei lavoratori.

Esaminiamo nel dettaglio il testo del disegno di legge delega.

La delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali.

L’art. 1, comma 1, del disegno di legge delega, allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, delega il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi.
In particolare, l’art. 1, comma 2, lett. b), n. 3, del disegno di legge delega prevede espressamente l’universalizzazione del campo di applicazione dell’ASPI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e con l’esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l’abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l’eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l’automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell’entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite.
Si tratta di una diretta conseguenza della previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. a), n. 1, del disegno di legge delega che dispone l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa.
In altri termini, la recisione del “cordone ombellicale” tra l’impresa ed il suo lavoratore dipendente, già avviata con la Legge n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”), viene generalizzata, rendendo la nuova ASpI l’unica forma di sostegno al reddito in caso di disoccupazione volontaria, riconosciuta dall’ordinamento giuslavoristico, stante anche l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale (cfr., art. 1, comma 2, lett. b), n. 6, del disegno di legge delega).
Tale impostazione risulta ancor più evidente se si considera il fatto che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b), n. 5, del disegno di legge delega, è prevista, dopo la fruizione dell’ASpI, soltanto una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti.

La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

Allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, l’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega impegna il Governo ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive.
In mancanza del raggiungimento dell’intesa entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato – Regioni in cui tale riforma dei servizi per il lavoro sarà posta, all’ordine del giorno provvederà il Consiglio dei Ministri esercitando il suo potere sostitutivo mediante apposita deliberazione motivata ex art. 3, D.Lgs. n. 281/1997.

Per quanto concerne la riforma dei servizi per il lavoro, appare molto interessante la previsione, contenuta nell’art. 2, comma 2, lett. c) del disegno di legge delega, dell’istituzione di un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, partecipata dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al cui funzionamento si provvederà con le risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente. Inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. e) del disegno di legge delega, verranno attribuzione all’Agenzia Nazione per l’Occupazione tutte le competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI.
Questo processo di costituzione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione verrà definito con il coinvolgimento delle parti sociali, le quali parteciperanno anche alla definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia medesima (cfr., art. 2, comma 2, lett. d), del disegno di legge delega).
Si tratta di una previsione importante, in quanto l’art. 2, comma 2, lett. f) del disegno di legge delega prevede una conseguente razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, delle Regioni e delle Province Autonome, operanti in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali, allo scopo di evitare sovrapposizioni e di consentire l’invarianza di spesa, mediante l’utilizzo delle risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente. In coerenza con quest’ultima previsione, l’art. 2, comma 2, lett. g), del disegno di legge delega prevede la possibilità di far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione il personale proveniente dalle Amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della predetta lettera f), nonché di altre Amministrazioni. In altri termini, appare evidente la consapevolezza da parte del legislatore dell’impossibilità di governare un processo di razionalizzazione così complesso senza un’adeguata concertazione con le parti sociali.

Venendo al contenuto della delega in materia di politiche attive del lavoro, l’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega elenca una serie di interventi “mirati”. Essi sono:
1. la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione (cfr., lett. a);
2. la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome (cfr., lett. b);
3. il rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi (cfr., lett. c);
4. l’introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle esperienze più significative realizzate a livello regionale (cfr., lett. l);
5. il mantenimento in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale (cfr., lett. o);
6. il mantenimento in capo alle Regioni e Province autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro (cfr., lett. p);
7. l’attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica (cfr., lett. q).
Come appare evidente, si tratta di una serie di soluzioni che traggono il proprio fondamento dal meglio delle sperimentazioni effettuate negli ultimi anni in materia di politiche attive del lavoro, con l’intento di trasformarle da esperienze episodiche e sperimentali in attività sistematicamente garantite ai cittadini.

La delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti.

L’art. 3, comma 1, del disegno di legge delega impegna il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, uno o più decreti legislativi, contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
Ai sensi dell’art. 1, comma 2, del disegno di legge delega, il Governo eserciterà la delega, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, anche mediante abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione, del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) l’eliminazione e la semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi, quali in particolare gli infortuni sul lavoro, e obbligo delle stesse amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) il rafforzamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione della tenuta di documenti cartacei;
e) la revisione del regime delle sanzioni, che tengano conto della eventuale natura formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
f) l’individuazione di modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, esclusivamente in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
g) la revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione nell’ambito della dorsale informativa di cui all’art. 4, comma 51, della Legge n. 92/2012 e della banca dati delle politiche attive e passive del lavoro di cui all’articolo 8 del D.L. n. 76/2013, n. 76, convertito in Legge n. 99/2013.

La delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali.

L’art. 4, comma 1, del disegno di legge delega evidenzia l’intento del legislatore di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo. Per raggiungere tale scopo, le legge in questione delega il Governo ad adottare, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore di tale legge, uno o più decreti legislativi recanti misure per il riordino e la semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi che tengano, altresì, conto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione Europea in materia di occupabilità:
1. l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di semplificazione delle medesime tipologie contrattuali (cfr., art. 4, comma 1, lett. a), del disegno di legge delega);
2. la redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, semplificate secondo quanto indicato all’art. 4, comma 1, lett. a), del disegno di legge delega, che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti (cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega);
3. l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (cfr., art. 4, comma 1, lett. c), del disegno di legge delega);
4. la previsione della possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali, in tutti i settori produttivi, attraverso la elevazione dei limiti di reddito attualmente previsti e assicurando la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati (cfr., art. 4, comma 1, lett. d), del disegno di legge delega).
5. l‘abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega, al fine di eliminare duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative (cfr., art. 4, comma 1, lett. e), del disegno di legge delega).
L’art. 4 della legge delega è probabilmente la norma più significativa dell’intero articolato, in quanto contiene una serie di previsioni innovatrici che, qualora fossero realizzate, porterebbero un profondo mutamento dell’intero ordinamento giuslavoristico italiano.
Entrando nel dettaglio, appare evidente come la prima novità contenuta nella legge delega che balza subito all’attenzione dell’interprete sia la previsione di un codice semplificato del lavoro (definito “Testo organico”: cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega). Si tratta di un obiettivo ambizioso, atteso che la realizzazione di un codice “di sintesi” dell’eterogenea e frammentaria disciplina in materia di diritto del lavoro risulta essere un compito molto arduo, sia da un punto di vista concettuale, che redazionale.
Inoltre, la legge delega prevede l’introduzione, eventualmente in via sperimentale di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti e l’introduzione (cfr., art. 4, comma 1, lett. b), del disegno di legge delega), nonché, anche in questo caso in forma eventualmente in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale (cfr., art. 4, comma 1, lett. c), del disegno di legge delega). Siamo di fronte ad un’ipotesi legislativa che, da un lato, cerca di circoscrivere tutte le forme di lavoro flessibile che hanno caratterizzato il mercato del lavoro negli ultimi dieci anni dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 276/203, dall’altro, delinea un percorso progressivo che favorisce l’applicazione più ampia possibile del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., attraverso un riconoscimento graduale in capo al lavoratore dei suoi diritti normativi e retributivi riconosciuti dall’ordinamento. Lo strumento giuridico per realizzare quest’intento sarebbe un contratto d’inserimento a tutele e retribuzioni crescenti, i cui contenuti sono, per il momento fumosi e non ben chiariti. Sarà compito dell’attuazione della delega (ove concessa dal Parlamento) a dover evitare che siffatta tipologia contrattuale non si trasformi in uno strumento di eversione dei diritti dei lavoratori, riuscendo a contemperare i confliggenti interessi dei datori di lavoro a contenere i casti della manodopera e quelli dei lavoratori ad avere un pieno riconoscimento dei propri diritto, attraverso la costituzione di stabili e duraturi rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

La delega al Governo in materia di maternità e conciliazione.

Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del disegno di legge delega, allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione per la generalità dei lavoratori, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in questione, uno o più decreti legislativi recanti misure per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Ai sensi dell’art. 5, comma 2 del disegno di legge in questione, il Governo dovrà esercitare la delega in materia attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:
1. la ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici (cfr., art. 5, comma 2, lett. a), del disegno di legge delega);
2. la garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. b), del disegno di legge delega);
3. l’introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico (cfr., art. 5, comma 2, lett. c), del disegno di legge delega);
4. l’incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti, con l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. d), del disegno di legge delega);
5. il favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico – privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi (cfr., art. 5, comma 2, lett. e), del disegno di legge delega);
6. la ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. f), del disegno di legge delega);
7. l’estensione dei principi in materia di maternità e conciliazione contenuti nel disegno di legge delega, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (cfr., art. 5, comma 2, lett. g), del disegno di legge delega).
Dall’esame dei molteplici criteri direttivi della delega su questa materia, risulta molto interessante l’introduzione di un c.d. “tax credit”, inteso come strumento d’incentivazione del lavoro (subordinato ed autonomo) femminile, mirato a favorire un ben determinato target di lavoratrici madri in specifiche condizioni di disagio economico (cfr., art. 5, comma 2, lett. c), del disegno di legge delega). Si ha l’impressione che il legislatore nazionale voglia trasferire all’interno dell’ordinamento giuslavoristico l’esito delle varie sperimentazioni effettuate in materia da parte delle Regioni italiane attraverso l’utilizzo delle risorse del Fondo Sociale Europeo, nell’arco della programmazione 2007-2013. Tuttavia, tali esperienze privilegiavano l’erogazione di risorse economiche capace di fronteggiare, al contempo, anche la difficoltà di accesso al credito, attraverso l’erogazione di bonus (assunzionali o di autoimprenditorialità) capaci d’immettere liquidità finanziaria immediata nel circuito economico di riferimento. Invece, la scelta governativa parrebbe limitarsi ad un mero credito d’imposta che, per quanto salutare, non avrebbe la medesima forza dirompente.

Le disposizioni comuni per l’esercizio delle deleghe.

Infine, l’art. 6 del disegno di legge delega delinea una serie di disposizioni mirate a garantire un rapido esercizio della delega da parte del Governo, senza, peraltro, comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Merita attenzione la previsione contenuta nell’art. 6, comma 4, del disegno di legge delega, la quale dispone che, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della legge delega, il Governo può adottare, ovviamente nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal Parlamento, ulteriori disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse. Si tratta evidentemente di una clausola di salvaguardia che permette al legislatore delegato di operare le eventuali azioni di manutenzione legislativa che si possano rendere necessarie nel corso dell’immediatezza dell’esercizio della delega in una materia così delicata come è il diritto del lavoro.

ECCO LA TOP 20 DEI MESTIERI ANTI CRISI.

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di Michele De Sanctis

Gli ultimi dati sulla disoccupazione sono stati uno shock: quella generale è quasi giunta al 13%, mentre quella giovanile si attesta intorno al 43%, così come quella femminile che supera abbondantemente il 40%, con punte drammatiche nel Meridione, dove si arriva a toccare il 60%. Per non parlare, poi, dei tanti precari, che, sì, un lavoro ce l’hanno ma vivono nella costante incertezza del futuro.
Tuttavia, tra lo sconcerto di questi dati drammatici, capita ancora di leggere notizie migliori, di quelle che ti fanno tirare un mezzo sospiro di sollievo e sperare nella ripresa che, come Godot, continua a non arrivare, rimandando sempre a domani.

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A diffondere un po’ di ottimismo, stavolta, è la CGIA, Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato. Sulla base dei dati forniti dalle Camere di Commercio, uno studio della CGIA di Mestre analizza, infatti, il trend di crescita delle principali attività di artigianato dal 2009 al 2013, stilando una graduatoria dei settori che, nonostante la congiuntura, sono in forte espansione.
Pizza al taglio, gastronomie, rosticcerie, friggitorie, addetti alle pulizie, estetiste, serramentisti, panettieri, ma anche giardinieri, gelatai e tatuatori: sono queste le principali attività artigianali che battono la crisi.

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In testa alla classifica, tra le attività che nel corso del 2013 hanno fatto registrare un maggior incremento %, i tatuatori e tutto l’artigianato del food, a partire da quello dei gelatai e dei maestri pasticceri, settore che già a Rimini, durante l’ultimo Sigep, il Salone Internazionale della Gelateria e della Pasticceria Artigianale, aveva fatto parlare di sé.

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Ma bene vanno anche le altre tipologie di imprese comprese nella top 20 dei mestieri anti crisi. Stando, infatti, ai risultati diffusi dall’associazione degli artigiani, nel 2013 le prime 20 attività artigianali in maggiore crescita hanno creato almeno 24 mila nuovi posti di lavoro. Il criterio di discrimine tra le professioni artigiane più performanti dello scorso anno si è basato in primis sull’ordinamento delle imprese artigiane in senso decrescente rispetto al tasso di crescita (rapporto % tra nuove iscrizioni effettuate nel corso dell’anno e numero di imprese attive), dato che fornisce una misura relativa di quanto le nuove attività pesino effettivamente sullo stock di imprese. In seconda istanza, sono state incluse nella graduatoria le attività che hanno registrato un congruo numero di iscrizioni di nuove attività nel 2013 (almeno 400), che da sole rappresentano oltre il 75% delle nuove iscrizioni di imprese. Sono state da ultimo escluse dalla graduatoria quelle attività che non consentivano una descrizione sufficientemente specifica della professione associata a causa della molteplicità di figure professionali di riferimento.

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Da questo studio è emerso che al secondo posto, dopo i tatuatori, (che hanno segnato la più marcata variazione positiva con un +442,8%), seguono i pasticceri, con +348%.
Tuttavia, la CGIA invita alla cautela nell’interpretazione di questi incrementi; molte delle categorie, infatti, sono composte da un numero di attività abbastanza contenuto, il che significa che bastano piccoli incrementi in termini assoluti per far aumentare a dismisura il dato percentuale.
Infine, ecco la top 20 dei mestieri che battono la crisi:
1. Preparazione di cibi da asporto (Pizza al taglio, gastronomie, rosticcerie, friggitorie ecc.)
2. Addetti alle pulizie generali di edifici
3. Estetisti
4. Serramentisti e montatori di mobili
5. Panettieri
6. Giardinieri
7. Gelatai
8. Intonacatori/stuccatori
9. Sartoria e confezione su misura di abbigliamento
10. Confezione in serie di abbigliamento.
11. Tassisti
12. Confezioni di accessori per l’abbigliamento
13. Fotografi/riprese video matrimoni/commerciali
14. Fabbricazione di borse, pelletteria e selleria
15. Attività di tatuaggio e piercing
16. Programmatori di software
17. Riparatori/manutentori di computer e periferiche
18. Trasporti NCC (servizi di noleggio con conducente)
19. Disegnatori grafici
20. Pasticceri.

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Cautele a parte, io vorrei leggere analisi simili ogni giorno. 24 mila posti è un numero che, grosso modo, corrisponde a quello dei dipendenti FIAT in Italia, perciò evviva l’artigianato italiano: le nostre PMI che tengono nonostante tutto, che restano il cuore ancora pulsante della nostra economia.

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