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ROMA PRIDE 2014: CI VEDIAMO FUORI!

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“Guardateci bene. Guardateci il viso. Non è quello di chi chiede qualcosa, ma di chi sa cosa ci spetta di diritto. Non il viso di chi è stanco di lottare, ma quello di chi non si fermerà finché la storia non ci avrà dato ragione. Perché lo farà, di questo siamo certi. Perché la storia noi la facciamo tutti i giorni: in famiglia, a scuola, sul lavoro, in piazza. La facciamo sfidando i pregiudizi con l’intelligenza, la gioia, il coraggio. L’amore. Così sappiamo che arriverà un giorno in cui ogni diversità non sarà tollerata, ma celebrata. Ogni genere rispettato, ogni famiglia protetta, ogni individuo tutelato. E quel giorno no, non sarà solo bello poter dire “noi c’eravamo, ci siamo sempre stati”. Sarà molto di più. Sarà giusto. E sarà un vero orgoglio: il nostro”.

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È questo l’appello che si legge sulla pagina Facebook del Roma Pride.

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Siamo alla vigilia della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che si celebrerà come tutti gli anni domani 17 maggio 2014 in tutto il mondo, nel giorno in cui cade la ricorrenza della rimozione dell’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvenuta nel 1990. Soltanto 24 anni fa.

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Intanto a Roma, proprio in queste ore, è partita la campagna per la giornata dell’orgoglio LGBT, in programma il prossimo 7 giugno.
‘Ditelo con un fiore…’ recitava un vecchio slogan. Adesso, basta! Te lo dico urlando, a muso duro e senza paura. So quali sono i miei diritti e so che tu sei solo un razzista.

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CI VEDIAMO FUORI! È così che urla lo slogan ideato dai ragazzi di CondividiLove, con 100 volti appartenenti alla comunità LGBT, tutti segnati dal ‘war painting’ arcobaleno. Cento volti volti arrabbiati, fieri e coraggiosi che guardano diretti gli occhi dei loro interlocutori e li chiamano a raccolta, per un impegno concreto e un’azione comune.

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Era il giugno del 1994 quando a Roma sfilò il primo corteo italiano del Gay Pride. Il 7 giugno 2014 la comunità LGBT si ritroverà ancora una volta FUORI, per le strade di Roma, per celebrare i suoi 20 anni di storia appena trascorsi e iniziare a scrivere il prossimo futuro. Perché dopo 20 anni di Pride, la battaglia contro i pregiudizi è ancora più che attuale e stavolta la battaglia non riguarderà solo i ‘diversi’, ma tutta la società italiana. Perché non c’è il diverso, ci sono soltanto esseri umani.

Andrea Serpieri

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SÌ DEL SENATO ALLA FIDUCIA: IL DECRETO DROGA È LEGGE.

Dopo l’ok della Camera, via libera anche da Palazzo Madama al decreto legge Lorenzin sulle droghe leggere.

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di Michele De Sanctis

Lo scorso 14 maggio, il Senato ha votato, senza modifiche al testo, la fiducia richiesta dal Governo sul d.l. 36/2014. Con 155 voti a favore, 105 contrari e nessun astenuto, il provvedimento è ora legge e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Precedentemente il decreto era stato approvato il 30 aprile alla Camera, anche in quell’occasione dopo voto di fiducia.

Il d.l. 36/2014 sostituisce la cd. ‘legge Fini-Giovanardi’, già dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 32/2014, e la ‘legge Iervolino-Vassalli’, rientrata in vigore dopo la predetta declaratoria di illegittimità costituzionale. Con il Decreto Droga tornano le tabelle che distinguono tra droghe pesanti (Tab. 1) e droghe leggere (Tab. 2), in base agli effetti prodotti dall’assunzione e il relativo regime sanzionatorio.

In particolare, nella Tabella 1, insieme agli oppiacei, alla cocaina, all’eroina e alle anfetamine, troviamo altresì la cannabis di derivazione sintetica, mentre quella di origine naturale è classificata come droga leggera e, pertanto, ricompresa nella Tabella 2. Le Tabelle delle sostanze psicotrope, inoltre, ricomprendono tutti i nuovi stupefacenti identificati e classificati a partire dal 2006, anno di entrata in vigore della ‘Fini-Giovanardi’.

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Sebbene sia la vendita che la coltivazione di tali sostanze costituiscano tuttora condotta penalmente rilevante, la sanzione, in caso di spaccio di modiche quantità, viene ridotta a quattro anni nel suo massimo edittale, escludendo di fatto la reclusione, mentre, in caso di consumo personale, la sanzione non è penale, bensì amministrativa. Tuttavia, poiché in caso di piccolo spaccio non vi è differenziazione tra droghe pesanti e leggere, la graduazione dell’entità della pena spetta al giudice che dovrà valutare, di volta in volta, qualità e quantità della sostanza. In caso di condanna, infine, sono previste anche misure alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova al servizio sociale.

Ulteriori disposizioni, poi, vengono dedicate ai farmaci cd. off label, ossia quei medicinali registrati ma impiegati per patologie diverse da quelle per le quali sono previsti. La norma sugli off label, contenuta nel decreto, si è resa necessaria dopo la condanna da parte dell’Antitrust di Roche e Novartis a una multa di oltre 180 milioni di euro. L’accusa era stata quella di aver creato un cartello per favorire l’uso contro la maculopatia del farmaco Lucentis, più caro, rispetto all’Avastin, che avrebbe, però, avuto gli stessi effetti curativi dell’altro. Tuttavia, mentre il primo era nato apposta per affrontare il problema oculistico in questione, per il secondo, invece, trattandosi di un medicinale oncologico, Roche non aveva mai chiesto l’estensione delle indicazioni alla patologia che porta alla cecità di molte persone, soprattutto anziane.

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La legge finora non permetteva l’utilizzo di farmaci off label, nel caso in cui ne esistessero di on label. Per questo motivo in Italia non si poteva utilizzare l’Avastin per curare la maculopatia. Con il d.l. 36/14, adesso, l’impiego di tali farmaci viene, invece, consentito, anche in presenza di un farmaco concorrente specifico, a condizione che l’efficacia del medicinale off label per la patologia non inclusa risulti comprovata a livello scientifico. La condizione è, pertanto, che l’efficacia del primo farmaco sia nota e conforme a ricerche condotte dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale: vale a dire che devono esserci degli studi che ne provino l’efficacia per quella determinata patologia, che, pure, non rientra nelle sue indicazioni. Una volta concluso l’iter delle predette ricerche l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) potrà avviare la procedura di autorizzazione, valutando anche le condizioni di sicurezza concernenti la relativa assunzione del farmaco off label da parte dell’utenza finale. Soltanto nel caso in cui l’istruttoria dell’AIFA dovesse avere esito positivo, il prodotto off label potrà allora essere usato e dispensato, peraltro, dal Servizio Sanitario Nazionale.

Vai al testo del Decreto Droga d.l. 36/2014
Vedi anche il Testo Unico Stupefacenti DPR 309/90 (aggiornato alle modifiche introdotte dal d.l. 36/2014)

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L’UNIVERSITÀ CHE PARLA ALLE AULE VUOTE.

In Italia è crollo dei giovani laureati. Persi in un anno 34.000 neo dottori. E il trend per il futuro è in peggioramento.

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di Michele De Sanctis

Crolla il numero dei laureati: il bilancio vede quasi 18mila laureati triennali in meno – il 10 % – e circa 34mila laureati complessivi in meno, cioè l’11,5 % in un solo anno. A diffondere questi dati è il Cineca, il consorzio di università italiane che offre supporto alle attività della comunità scientifica tramite il cd. supercalcolo, realizza sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e il MIUR e, inoltre, progetta e sviluppa sistemi informativi per imprese, sanità e P.A. .

Il calo riguarda soprattutto le donne e l’area più colpita è quella sanitaria, medicina compresa, che accusa un crollo del 16 % sulle lauree brevi e del 13 % sul totale. L’area scientifica, invece, è quella che risente in misura minore di questa flessione: meno 8 %. Oltre alla discrepanza tra settori di studio, come appena accennato, si è resa evidente anche una certa differenza di genere: quasi 12mila laureati triennali in meno sui 18mila totali sono, infatti, donne. Ciò denoterebbe una propensione maggiore da parte del sesso maschile a voler conseguire il tanto agognato titolo di studio, ma è, altresì, conseguenza delle difficoltà che le donne, soprattutto nel meridione, incontrano nel momento in cui si approcciano al mercato del lavoro. L’Italia perde continuamente terreno rispetto agli altri Paesi europei, superata perfino da Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Portogallo. Con il suo 22,4 % di giovani laureati, l’Italia è in coda alla classifica delle 28 nazioni dell’Unione Europea. Ancora più allarmante allo stato attuale è, poi, il distacco con la media del vecchio continente che è al suo massimo storico dal 2002, quando ci separavano solo 10,4 punti, a fronte dei 14 del 2012/2013.

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Il nostro Paese, così, rischia di perdere terreno rispetto ai partner europei per quota di 30/34enni laureati, obiettivo principale della strategia Education and Training 2020, che mira a trasformare l’economia europea nella più competitiva e dinamica del mondo, poiché basata sulla conoscenza, e in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e, contestualmente, una maggiore coesione sociale. Come ho già scritto lo scorso 15 febbraio, ET 2020 è obiettivo irrinunciabile, vista l’emergenza rappresentata dalle attuali dinamiche del mercato del lavoro.

Se analizziamo i dati dei nostri partner, per esempio, scopriamo che in Francia la percentuale di 30/34enni in possesso della laurea è pari al 44 %, cioè oltre 20 punti in più rispetto a noi. In Germania si attestano intorno al 33,1 %, oltre un punto in più rispetto all’anno precedente. L’Italia procede, invece, a rilento: appena 0,7 punti in più in un anno. Mentre nel Regno Unito si viaggia sull’invidiabile quota del 47,1 %.

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E in futuro, visto il crollo degli immatricolati degli ultimi anni, il solco con gli altri Stati europei potrebbe diventare addirittura incolmabile. Gli studenti, ormai da tempo, chiedono di cancellare il numero chiuso in ingresso e di mettere in cantiere interventi concreti sul fronte del diritto allo studio. Il nostro Paese, infatti, è stato penalizzato dalle pessime politiche in materia di istruzione e formazione degli ultimi vent’anni, dalla famigerata scuola ‘delle tre i’ col ministro Moratti e il premier Berlusconi fino alla disastrosa riforma Gelmini, la quale, con la sua teoria sul tunnel di neutrini che partiva dal Gran Sasso per arrivare a Ginevra, ha solo rappresentato la scuola dell’unica ‘i’ possibile all’epoca del ‘bunga bunga’, quella dell’ignoranza. La crisi, poi, ha introdotto un concetto perverso, veicolato dal peggior populismo di sempre, che si fa strada tra i più disperati di noi, tra chi ha rinunciato a credere in un futuro migliore: quello che la laurea non serva a nulla perché costa soldi e non porta pane a casa. Un concetto che al nord, quando la Lega spopolava, aveva già attecchito qualche anno fa. Lavorare e guadagnare subito. Efficace, nel breve periodo, ma fondamentalmente sbagliato. Lavorare senza aver studiato, senza quindi un particolare tipo di specializzazione, ha, infatti, reso vulnerabile un’intera classe di lavoratori, manodopera non qualificata, che con l’arrivo della crisi è rimasta priva di lavoro e per lo più incapace di ‘riciclarsi’.

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A dimostrazione di quanto affermo, ci sono i dati diffusi da AlmaLaurea lo scorso 10 marzo, che evidenziano come ad essere più colpiti, in questi tempi di recessione, siano proprio i giovani sprovvisti di titoli accademici: tra il 2007 e il 2013 il differenziale tra tasso di disoccupazione dei neolaureati e neodiplomati è passato dal 2,6 % all’11,9. La laurea, quindi, anche se destinata a ‘rendere’ nel medio periodo, piuttosto che nel breve, è ancora un importante strumento nella ricerca di un lavoro.

C’è chi è convinto che con i libri non si mangia, la gente ha fame, si dice. Vero, ma non leggere e non studiare, diversamente, neppure aiuta a trovare lavoro prima. Se non Italia all’estero: sono stati circa 68.000 gli italiani che nel 2012 si sono trasferiti fuori dai confini del belpaese, in posti dove, peraltro, i lavori migliori non sono certo destinati agli individui meno qualificati.

Non si possono trascurare questi dati così preoccupanti. L’istruzione d’ogni ordine e grado è una priorità. Sempre. E poi è anche una questione di dignità personale. Qualsiasi sacrificio vale la pena per l’istruzione. Un solo euro dedicato alla formazione vale più di un lingotto d’oro ed è l’investimento migliore che si possa fare. Vale per lo Stato come per i cittadini.

La lettura rende l’uomo completo, diceva Bacon. La capacità di ragionare con la propria testa, di avere gli strumenti per farlo non ha davvero prezzo e un Paese che rinuncia alla propria conoscenza è un Paese che ha deciso di morire.

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MULTE INGIUSTE: COME MI DIFENDO?

Cosa fare quando ci viene ingiustamente elevata una sanzione? Quali sono gli strumenti giuridici che l’ordinamento offre in difesa dei nostri diritti (e dei nostri soldi)?

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di Michele De Sanctis

Comunemente le chiamiamo ‘multe’, ma sono in realtà sanzioni pecuniarie amministrative elevate per le infrazioni al Codice della Strada o agli ordinamenti locali, mentre la multa vera e propria consegue all’imputazione di un delitto. Diversa natura, quindi, diversi rimedi ai fini della tutela individuale. Ma per essere più chiaro, anche per chi è meno avvezzo ai termini giuridici, userò impropriamente il termine multa, per riferirmi alle sanzioni amministrative irrogate in occasione della circolazione stradale.

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Contro una multa considerata ingiusta esistono due tipi di ricorso (uno di natura giurisdizionale, l’altro di tipo amministrativo). Possiamo, infatti, impugnare il verbale davanti al Giudice di Pace (entro 30 giorni dalla notifica o dalla data di contestazione) ovvero davanti al Prefetto (entro 60 giorni).
Tra i motivi di nullità del verbale che possiamo impugnare troviamo:

1) la mancata notifica del verbale entro 90 giorni dalla data di accertamento (attenzione: non dalla data di infrazione) o 150 giorni (se siete residenti all’estero);
2) se la multa è stata irrogata per eccesso di velocità, la contestazione immediata è obbligatoria solo per gli autovelox mobili gestiti direttamente dalla Polizia su strade urbane o locali e su quelle extraurbane e urbane di scorrimento non segnalate dal Prefetto (in questi casi, a pena di nullità, i motivi della mancata contestazione immediata devono essere indicati a verbale);
3) la mancata segnalazione e/o mancata visibilità di un autovelox;
4) gli ausiliari del traffico possono elevare contravvenzioni solo per violazioni che riguardino la sosta o la fermata dei veicoli: se la multa è elevata per altre cause è nulla, ma state in guardia, perché la Cassazione ritiene costantemente che il potere sanzionatorio dell’ausiliario si estenda anche alla prevenzione e al rilievo di tutte le infrazioni ricollegabili alla sosta nella zona oggetto della concessione, anche se non strettamente collegate al parcheggio a pagamento cui sono adibiti;
5) quando gli apparecchi di rilevazione automatica delle infrazioni (autovelox, T-red) sono gestiti da enti privati e non direttamente dalla Polizia Stradale.

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Il ricorso contro la multa presentato al Giudice di Pace va depositato, in carta semplice, presso la cancelleria dello stesso giudice o inviato per posta raccomandata A/R, pagando un contributo unificato (in genere sui 37,00 €).

Sono, invece, più lunghi i termini per impugnare il verbale dinanzi al Prefetto. In questo caso, il ricorso dovrà essere presentato personalmente o con raccomandata A/R alla Prefettura territorialmente competente (ovvero all’Ufficio da cui dipende l’agente che ha accertato l’infrazione, ma sempre intestata al Prefetto del luogo della violazione) entro 60 giorni dalla notifica della multa.

La Prefettura ha 120 giorni di tempo per pronunciarsi sul ricorso ed emanare la relativa ordinanza, da notificare al ricorrente entro 150 giorni, pena l’annullamento del verbale. Il ricorrente può allegare al ricorso la documentazione ritenuta necessaria oltreché chiedere l’audizione personale. Sappiate che se il Prefetto respinge il vostro ricorso, la sanzione pecuniaria verrà raddoppiata. E ricordatevi che, qualora abbiate intenzione di fare ricorso, o al Prefetto o al Giudice di Pace, non dovete pagare la sanzione pecuniaria, neanche in misura ridotta, poiché il pagamento vi preclude la possibilità di impugnare il verbale, in ogni caso: è un comportamento concludente con cui accettate la contestazione. Anzi, contestualmente all’annullamento del verbale, sarebbe opportuno chiedere, nel ricorso dinanzi al Giudice di Pace, anche la sospensione della sua efficacia esecutiva, perché se non lo fate, in attesa dell’esito dell’impugnazione, vi potrebbe essere notificata anche la cartella di pagamento. E non credo che abbiate voglia di ricevere una cartella esattoriale…

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Da ultimo, in caso di vittoria del ricorso, insistete sull’addebito delle spese di giudizio (rimborso del contributo unificato versato, ecc.) all’Ente convenuto. Per la Suprema Corte di Cassazione, infatti, l’Amministrazione Pubblica, riconosciuta negligente, deve essere condannata al pagamento delle spese salvo che sussistano giustificati motivi, “che non possono essere ricercati solo nel modesto valore della controversia o nel semplice errore formale della multa” (Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 8 aprile 2011 n. 8114).

Nell’accomiatarmi, vi ricordo di allacciare sempre le cinture e di guidare con prudenza. Buona giornata!

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LA TOP 20 DEI PAESI IN CUI È PIÙ FACILE FARE SOLDI.

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di Michele De Sanctis

Loro ce l’hanno fatta da soli. Sono diventati miliardari partendo da zero. Parliamo dei ‘superimprenditori’, gente che è riuscita a creare imperi economici con le proprie mani. Richard Branson di Virgin, Amancio Ortega di Zara, Dietrich Mateschitz di Red Bull, Guy Laliberté de Cirque du Soleil, fino all’italianissimo Giorgio Armani. Sono questi alcuni esempi di persone che dal nulla hanno realizzato una vera fortuna.

Uno studio condotto dal London-based Centre for Policy Studies e recentemente riportato da BusinessInsider, analizzando le classifiche di Forbes degli uomini più ricchi del mondo dal ’96 ad oggi, identifica mille superimprenditori provenienti da 53 Paesi. Per essere considerato superimprenditore, è necessario aver guadagnato almeno un miliardo di dollari. La ricerca non prende in considerazione quei capitani d’industria che i miliardi e le attività li hanno ereditati. Oggetto, quindi, sono soltanto i veri Paperon de’ Paperoni, perché l’obiettivo è quello di individuare i Paesi che offrono le maggiori opportunità di realizzare il sogno di scalare la vette del business e diventare ‘billionaire’ a tutti gli effetti. In particolare, lo studio evidenzia che la terra promessa è essenzialmente frutto della giusta combinazione di tre fattori: 1) sistema educativo, 2) burocrazia e tasse 3) libertà di mercato.

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Vediamo insieme la classifica:

1. Hong Kong

2. Israele

3. Usa

4. Svizzera

5. Singapore

6. Norvegia

7. Irlanda

8. Taiwan

9. Canada

10. Australia

11. Gran Bretagna

12. Nuova Zelanda

13. Svezia

14. Germania

15. Giappone

16. Spagna

17. Repubblica Ceca

18. Turchia

19. Portogallo

20. Grecia

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Si noti che a Hong Kong e in Israele c’è una maggiore concentrazione di superimprenditori rispetto a qualunque altro Paese, considerando la loro percentuale sul totale della popolazione. Il che fa scendere gli USA dal primo e dal secondo posto, nonostante un numero elevato di paperoni, ma con una % sulla popolazione inferiore, restando, tuttavia, sul podio con la medaglia di bronzo. Nella top five si aggiungono, poi, Svizzera e Singapore.

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L’Italia è fuori dalla top 20. L’eccesso di burocrazia della nostra Pubblica Amministrazione non aiuta certo l’imprenditoria, ma speriamo che la ‘rivoluzione’ promessa dal Governo dia i frutti attesi e che il nostro PIL continui lungo la curva positiva degli ultimi tempi. Sorpresa finale: spuntano alla posizione 20 la Grecia e alla 19 il Portogallo. Fuori dalla classifica anche i nostri cugini d’oltralpe.

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A SARAJEVO RINASCE LA VIJEČNICA.

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di Michele De Sanctis

Dopo 22 anni, la città di Sarajevo ha riavuto la sua biblioteca nazionale, bombardata nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 dai serbo bosniaci. Aveva fatto il giro del mondo la foto della “Viječnica”, così i bosniaci chiamano la biblioteca nazionale di Sarajevo, in cui tra le macerie della volta distrutta, sotto la luce che entrava dall’alto, un uomo suonava il violoncello.

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Quell’uomo era Vedran Smajlovic, che fu, tra l’altro, uno dei primi civili ad accorrere sulla scena per tentare la messa in salvo degli oltre due milioni di volumi conservati nell’edificio in fiamme.

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Oggi, però, la biblioteca di Sarajevo è stata completamente ricostruita e ieri, 9 maggio 2014, è stata inaugurata nel suo nuovo splendore. La Viječnica è stata rifatta com’era. A mancare all’appello, sono purtroppo i moltissimi testi antichi: bruciati nel rogo del ’92.

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L’inaugurazione è avvenuta con un grande spettacolo all’aperto fuori dal municipio austro-ungarico che ospitava la Viječnica. «Oggi dopo 18 anni di lavori di ricostruzione e a 118 anni dalla sua prima inaugurazione, restituiamo la Viječnica ai cittadini di Sarajevo, perché essa fa parte della loro identità», così ha parlato il sindaco Ivo Komsic.

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L’edificio, non solo è stato ricostruito in maniera fedele alla sua antica architettura, ma per quanto possibile, sono stati recuperati i suoi materiali originali. D’ora in avanti, la Viječnica ospiterà l’amministrazione cittadina, oltreché una parte del patrimonio librario della Biblioteca Nazionale e il Museo di Sarajevo.

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La cerimonia di inaugurazione ha visto la partecipazione della Filarmonica di Sarajevo e di altri 200 solisti, danzatori, musicisti, ed è culminata con la proiezione sulla facciata della Viječnica di un video in 3D che raccontava la storia del palazzo intrecciata con la recente e più drammatica storia di Sarajevo.

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IL MAGGIO DEI LIBRI 2014.

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di Michele De Sanctis

Se a maggio la natura si risveglia, lo stesso capita alla voglia di leggere: anche quest’anno i libri tornano a sbocciare. Giunto ormai alla sua quarta edizione, il Maggio dei Libri è un’iniziativa promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, e ha l’obiettivo di sottolineare il valore sociale della lettura come elemento chiave della crescita personale, culturale e civile. ‘Leggere fa crescere’: è questo lo slogan con cui la campagna nazionale, nata nel 2011, tenta di incentivare la voglia di libri. Oltre a godere del supporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il Maggio dei Libri è altresì promosso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, in collaborazione con l’Associazione Italiana Editori. La campagna è iniziata lo scorso 23 aprile, in concomitanza con la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore (indetta dall’UNESCO) e terminerà il prossimo 31 maggio.

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Con il Maggio dei Libri 2014 ci si richiama alla tradizione popolare, all’idea di crescita, di maturazione, ma anche di rinascita, di risveglio della natura, di allegria, come testimoniano le radici di diverse feste popolari.
In fondo, cos’è un libro se non un amico, un compagno di vita. L’obiettivo del Maggio dei Libri 2014 è dunque quello di condurre questo compagno nella vita quotidiana di ognuno di noi, fra la gente, distribuendolo, incentivando la lettura, facendo sì che si stabilisca un legame affettivo, affinché il libro abbia finalmente il valore sociale che merita. Affinché la lettura risvegli le menti, letteralmente sbocci in chi avrà l’opportunità di avvicinarsi a un libro.

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Tantissimi sono gli eventi del Maggio dei Libri 2014, oltre 1700, da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli centri. A promuovere le iniziative, biblioteche, associazioni culturali, case editrici, club di lettori, comuni, province e regioni. Ma non solo. Il libro, infatti, evade dai contesti abituali per raggiungere gli innumerevoli ‘non lettori’, fino ad arrivare negli uffici postali, nei supermercati, sui treni e nei ristoranti grazie ad un accordo di partnership con Poste Italiane, UniCoop Tirreno, Librerie Coop, Italo Treno, Eataly e Librerie Feltrinelli. A disposizione di tutti c’è poi anche l’app, che tra i suoi contenuti offre il calendario degli appuntamenti in programma, le novità e le immagini della campagna. L’app Il Maggio dei Libri 2014 è disponibile gratuitamente per iPhone e iPad su AppStore e si può scaricare da qui. Potete, inoltre, trovare tutte le informazioni sul sito Il Maggio dei Libri. Sarà, infine, possibile accedere alle bacheche Facebook e Twitter de Il Maggio dei Libri per seguire e commentare gli eventi e i concorsi legati all’iniziativa.
Tempo fa Michael Crichton disse che frequentare le librerie può riservare sorprese perché si possono trovare libri che non ci si aspetta. Allora, perché non fare un salto in libreria? La lettura dei buoni libri è una sorta di conversazione con gli spiriti migliori dei secoli passati, diceva Cartesio, ed è per la mente ciò che l’esercizio fisico è per il corpo, secondo Joseph Addison.

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Potrei citarvi un altro centinaio di aforismi, per convincervi, ma credo che il modo migliore di concludere questo post sia quello di affidarmi alle parole di Ennio Flaiano. ‘Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni.’
Buona lettura! E fate bei sogni…

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I PAESI IN CUI I GIOVANI VIVONO MEGLIO.

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di Michele De Sanctis

Attualmente i giovani, non solo in Italia, sono spesso al centro dell’attenzione generale soprattutto a causa della situazione economica e sociale che stiamo attraversando e, nel nostro Paese in particolare, per via della ‘fuga di cervelli’, un fenomeno purtroppo sempre più persistente.
Tuttavia, si parla poco di salute pubblica in riferimento a questa categoria. È come se gli unici problemi dei giovani fossero di natura economica. Ma come stanno fisicamente? È l’interrogativo a cui cerca di rispondere l’‘Indice del benessere giovanile’, di cui si è avvalso il website newyorkese Business Insider per stilare la classifica “Qual è il Paese in cui la gioventù vive più beata?”. Si tratta di una ricerca condotta su trenta Paesi realizzata dalla ‘International youth foundation’, il ‘Center for strategic and international studies’ e l’azienda ‘Hilton Worldwide’.
Nel parlare di “salute pubblica”, infatti, non si possono non calcolare tutte quelle persone, i giovani per l’appunto, che si trovano a metà tra le due fasce generazionali estreme ovvero, i bambini e gli anziani, cui normalmente ci si riferisce quando si parla di salute pubblica.
Per creare l’indice, i ricercatori hanno usato 40 indicatori tra cui “la partecipazione alla vita sociale e politica, le opportunità economiche, l’istruzione, la sanità, l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza”.

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Secondo questo studio, i primi posti dell’elenco sono occupati da Australia (1°), Svezia (2°) e Corea del Sud (3°). Agli ultimi posti troviamo, invece: Tanzania, Uganda e Nigeria. Non si tratta, tuttavia, dei primi trenta Paesi al mondo, ma solo di quelli presi in esame dai ricercatori dell”International youth foundation’ e che per “giovani” è stata intesa la fascia di popolazione compresa tra 12 e 24 anni. Va considerato, tra l’altro, che le prime nove posizioni sono occupate dai Paesi più ricchi della lista, ad eccezione della sola Russia e che, sebbene nei Paesi ad alto reddito ci siano tassi di mortalità giovanile più bassi, ad essere più diffusi in questi posti sono, paradossalmente, stress ed autolesionismo.

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Nonostante i limiti dell’analisi qui riportata, i dati analizzati sono comunque interessanti per tutti in quanto, lo si legge nel rapporto, “le società che sono inclusive nei confronti dei giovani sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di crescere ed arricchirsi, mentre l’esclusione aumenta il rischio di recessione, criminalità e violenza diffusa”.
Uno spunto di riflessione per i Governi dei Paesi che occupano le ultime posizioni e anche per quelli non inclusi nella ricerca, al fine di procedere ad una revisione di alcuni capisaldi del proprio welfare.

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GUIDA IN STATO DI EBBREZZA: IL BILANCIAMENTO DI CIRCOSTANZE ATTENUANTI ED AGGRAVANTI NON HA ESCLUSO LA REVOCA DELLA PATENTE.

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di Michele De Sanctis

Con sentenza 17826 del 28 Aprile 2014, la Corte di Cassazione precisa che il giudizio di bilanciamento di circostanze eterogenee (contemporaneamente aggravanti e attenuanti) permette una modulazione del trattamento sanzionatorio che attui i precetti costituzionali in tema di pena, ma solo in relazione alle pene criminali e dunque non anche con riguardo alle sanzioni amministrative accessorie al reato.

Nel caso di specie, il Gip del Tribunale di Genova, ai sensi dell’articolo 444 cpp, aveva applicato all’imputato, finito sotto accusa per guida in stato di ebbrezza alcolica (art. 186, co. 2 lett. c) e co. 2 bis cds), la pena di mesi quattro di arresto ed € 3.400 di ammenda, con possibilità di sostituire la pena detentiva con la sanzione pecuniaria pari a € 30.000 di ammenda, concedendo, pertanto, la sospensione condizionale della pena ed ordinando la revoca della patente di guida e la confisca del veicolo. Ed è questa la sanzione amministrativa accessoria che esula dal giudizio di bilanciamento, motivo del ricorso davanti al Giudice di Legittimità.

Tuttavia, nel motivare il rigetto del ricorso, la Corte, precisa, peraltro, che, nella sua decisione, il giudice di merito non è in incorso in alcun vizio di legittimità, applicando la sanzione amministrativa accessoria, dal momento che la disciplina vigente fa coincidere l’ambito di esplicazione degli effetti del giudizio di bilanciamento solo con il trattamento sanzionatorio penale e non anche con quello amministrativo, previsto in questo caso dall’applicazione della circostanza di reato aggravata dalla guida in stato di ebbrezza.

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Né ci sono margini tali da delineare un profilo di dubbia legittimità costituzionale. Come, infatti, è già stato puntualizzato dalla Corte Costituzionale (cfr. ord. nn. 344/2004, 196/2010 e 266/2011) e dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 8488/1998), proprio in materia di violazioni penalmente rilevanti alle norme sulla circolazione stradale, la sanzione amministrativa accessoria al reato non cessa la propria natura di sanzione amministrativa per il fatto di essere posta a corredo di una violazione della legge penale. Ne consegue, pertanto, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, la decisiva rilevanza del principio in base al quale tra illecito penale e illecito amministrativo si danno “sostanziali diversità rilevanti anche sul piano costituzionale – per la esclusiva riferibilità alla materia penale degli artt. 27 e 25, secondo comma, Cost. – e su quello della rispettiva disciplina ordinaria (facendosi, in quella amministrativa, ricorso anche a istituti di diritto civile)”, tali da non giustificare l’estensione all’illecito amministrativo del regime penalistico.

In altre parole, vista la diversa natura dei due tipi di sanzioni e le diverse finalità che il Legislatore ha voluto dare a quelle penali e a quelle amministrative, le valutazioni relative al concorso di circostanze eterogenee hanno la capacità di produrre effetti sull’entità della pena principale (art. 69 cp) e sulle quelle accessorie (art. 37 cp), ma non anche sulle sanzioni amministrative che continuano, quindi, ad accedere al reato. D’altro canto, poiché tali differenze si riscontrano anche in alcune norme di rango costituzionale, l’irrilevanza del giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato rispetto alle sanzioni amministrative accessorie al reato medesimo non comporta neppure eventuali vizi di legittimità costituzionale e, pertanto, al trasgressore del caso in esame restano applicate la revoca della patente e la confisca del mezzo, oltreché il pagamento delle spese processuali.

Un consiglio, amici: se dovete guidare bevete con moderazione!

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LA TOP TEN DEI LAVORI MIGLIORI. E DEI PEGGIORI.

Anche quest’anno Careercast ha stabilito quali sono i migliori 10 lavori da intraprendere e i peggiori 10. Scopriamoli insieme.

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di Michele De Sanctis

È ormai un appuntamento fisso, dal 1988, quello con la relazione Jobs Rated, con cui Careercast misura le diverse carriere attraverso una serie di parametri sociali, culturali, ambientali ed economici. In particolare, ciò che viene rilevato è il rapporto tra retribuzione e stress, l’ambiente di lavoro e la percentuale di crescita professionale nel futuro. Sebbene l’analisi, comprensiva di salari medi, si riferisca principalmente al mercato del lavoro USA, la graduatoria stilata da Careercast costituisce un segnale importante anche in ambito internazionale. Risalta, infatti, la crescita nel settore delle professioni sanitarie, che sarà una tra le più importanti aree destinate a crescere nel prossimo futuro, con una domanda sempre maggiore di medici, infermieri e parasanitari. Non solo negli States. Al fine di comprendere le sfide da affrontare quotidianamente sul lavoro, oltreché le ricompense che una professione può offrire, questo ormai consueto rapporto annuale costituisce, pertanto, un dato particolarmente importante.

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Sono stati 200 i lavori valutati e su tutti vince quello del matematico. Nondimeno, i più interessanti da conoscere sono in fondo alla classifica, perchè se è vero che è umano lamentarsi ogni tanto del proprio lavoro, sarebbe, altresì, utile ricordarsi che potrebbe andare peggio. A meno che non facciate il boscaiolo. Già, perché, stando al Jobs Rated 2014, è proprio il taglialegna il lavoro peggiore dell’anno (200esima posizione). Ed io che non conosco neppure la differenza pratica tra un’ascia e un’accetta, se non la diversa nozione che ne leggo sul mio inseparabile Devoto, mi fido.
Ma vediamo meglio le due classiffiche, o meglio i primi dieci e gli ultimi dieci. Tra i peggiori, oltre ai boscaioli, nella classifica figurano i cronisti (gli aspiranti giornalisti italiani ne sanno qualcosa), il personale militare arruolato, i tassisti, i redattori radio e tv, i masterchef, ossia chi aspira a diventare capo cuoco (e forse c’è la vaga speranza di non assistere più agli insulti gratuiti di certi chef nei talent show televisivi), gli assistenti di volo, i netturbini, i vigili del fuoco, i supervisori interni di istituti penitenziari e gli installatori/riparatori di tetti.

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E i migliori 10? Dopo i matematici, vengono i professori universitari (ne avevate dubbi?), gli esperti di statistica, consulenti attuariali (a questo punto consiglio ai giovani diplomandi un corso di laurea in Scienze Statistiche), gli otorini, gli igienisti dentali (ed evitiamo battute scontate sulla Minetti), gli sviluppatori di software, gli analisti di sistemi operativi e ancora altre due professioni sanitarie (consideratele, ragazzi, se il calcolo delle probabilità proprio non vi piace), al nono posto troviamo, infatti, i fisioterapisti e al decimo i logopedisti.

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Come Careercast ci tiene a precisare, l’analisi dei lavori migliori e peggiori dell’anno assume un semplice carattere di curiosità. Non è detto, ad esempio, che chi ricopre uno dieci peggiori mestieri stia realmente facendo il lavoro peggiore del mondo. L’analisi viene proposta solo a carattere informativo e, come già detto, viene valutata in base a diversi parametri tutti, peraltro, oggettivi.

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Se su alcune professioni, per esempio, possiamo trovarci assolutamente d’accordo, su altre, forse, i diretti interessati potrebbero dissentire. Il lavoro migliore è quello che si ama. Essere un vigile del fuoco con passione, o un reporter, fa della tua professione la migliore che ci sia. L’unico parametro che conta, in ultima istanza, quando si cerca lavoro è quello soggettivo. Non ci sono, infatti, due esperienze di lavoro che garantiscano lo stesso successo, né percorsi di carriera differenti in grado di soddisfare competenze ed interessi unici. In definitiva, solo tu puoi determinare quale sia il miglior lavoro per le tue abilità e le tue passioni. Tuttavia, la relazione Jobs Rated può essere letta come una road map per aiutarti a decidere quale sia il la carriera più giusta per te.

Di seguito, l’infografica redatta da Careercast.

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