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RIFORME: FISCO PIÙ SEMPLICE E LEGGERO.

Nella riforma della Pubblica Amministrazione recentemente presentata è incluso anche uno specifico pacchetto di semplificazioni in materia fiscale, per il quale Consiglio dei Ministri ha, peraltro, già avviato un primo esame ai fini dell’attuazione alla delega fiscale, con l’obiettivo di introdurre la dichiarazione dei redditi precompilata. A tal proposito, il premier Matteo Renzi ha dichiarato: “Abbiamo fatto un primo esame. Il vice ministro Morando lo porterà in Parlamento e la prossima settimana lo approviamo definitivamente.”

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Dunque, la novità è che per il 730 si prevede l’invio di un modulo precompilato direttamente a casa del contribuente. La dichiarazione precompilata dovrebbe in un primo momento essere operativa solo per dipendenti pubblici e pensionati, vale a dire circa 18 milioni su 41 milioni di contribuenti (15 milioni di pensionati e 3 milioni di dipendenti pubblici). Successivamente, la riforma coinvolgerà tutti i lavoratori dipendenti, rendendo la dichiarazione precompilata disponibile per oltre 3 contribuenti su 4. Nel modulo compariranno una serie di informazioni di cui il Fisco già dispone come quelle anagrafiche e reddituali già presenti nel CUD. Si aggiungeranno, poi, le detrazioni per familiari a carico, per lavoro dipendente e pensione.
L’Erario, inoltre, già dispone dei dati sugli immobili, e per chi è in regime di cedolare secca anche dei dati sui beni concessi in locazione e adibiti ad abitazione principale. Ne dovrebbe, quindi, risultare alleggerito il lavoro dei CAF, ai quali potrebbero però essere affidate maggiori responsabilità in termini di certificazione della correttezza.

Per i titolari di p.i. viene, invece, meno il visto di conformità per i rimborsi IVA sopra i 10.000 euro. La norma attuale prevede, invece, l’obbligo di ottenere da un CAF imprese un pre-controllo formale sulla documentazione prima di poter ottenere il via libera al rimborso.

Sale, inoltre, il tetto sotto cui i contribuenti non devono presentare la dichiarazione di successione, qualora gli eredi siano il coniuge e i parenti in linea retta. L’importo, finora fissato in circa 25.800 euro (la norma, entrata in vigore con la vecchia valuta, parla di 50 milioni di lire) adesso passa a 75.000 euro. Semplificazioni ulteriori anche per ciò che concerne la documentazione da presentare, che potrà essere sostituita da un’autodichiarazione.

Le nuove norme fanno venir meno, infine, la responsabilità solidale dell’appaltatore nei casi di elusione contributiva ai danni del personale dipendente. Fino ad oggi, infatti, era previsto che l’appaltatore principale fosse responsabile in solido con il subappaltatore in caso di mancati versamenti da parte di quest’ultimo delle trattenute sui salari dei dipendenti per contributi previdenziali, oltreché per i premi assicurativi obbligatori INAIL. Con la riforma, unico obbligato sarà il solo subappaltatore, quale datore di lavoro dei dipendenti per i quali non risultano (o non risultano interamente) versati i contributi previdenziali e i premi assicurativi.

MDS
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RIVOLUZIONE PA: MADIA DISPOSTA A CONFRONTO CON I SINDACATI.

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Forse sarà davvero una rivoluzione, viste le premesse: consultazione dei lavoratori pubblici fino al 30 maggio tramite l’indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it, che ha consentito l’integrazione della prossima riforma con suggerimenti e proposte da parte dei diretti interessati. E l’auspicio è che più che una rivoluzione questa sia un vero e proprio terremoto e una ricostruzione, orientata alla semplificazione e alla tecnologia, ma anche e soprattutto alla valorizzazione delle risorse umane: ce n’è bisogno dopo la spending review del governo Monti, che per limitare la spese ha, tuttavia, aggravato un quadro già negativo a causa delle improvvide riforme dell’ex ministro Brunetta e della sua crociata contro la funzione pubblica. Stavolta non ce lo chiede l’Europa, ma l’Italia: la seconda tangentopoli ha dimostrato quanto la carenza di semplificazione nel rapporto con la P.A. e l’eccesso di burocrazia possano facilitare condotte illecite, di cui francamente preferiremmo fare a meno. Nelle sue intenzioni lo stesso premier sembra aver adottato questa linea, almeno stando alle sue dichiarazioni in seguito all’affare Mose.

Rivoluzione, però, lo sarà questa riforma anche (e finalmente) per un ritorno al confronto con le parti sociali. Dopo un decennio di esecutivi trincerati ed ostili al metodo delle concertazioni (con l’unica eccezione dei due anni di governo Prodi), ora l’annuncio di un incontro tra il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, e tutti i sindacati sulla riforma della P.A. alla vigilia del Consiglio dei Ministri che esaminerà il provvedimento in questione, il prossimo 13 giugno. Il Ministro ha, infatti, convocato le sigle dei lavoratori per la mattinata di giovedì mattina 12, a Palazzo Vidoni, per una riunione in vista degli interventi. E ai 44 punti indicati con il premier Matteo Renzi, a fine aprile, su cui c’è stata la consultazione, ha aggiunto il punto numero 45 sull’agognato rinnovo del contratto del pubblico impiego, attualmente fermo al 2009 (e fino a tutto il 2014). Punto questo, che, nell’ambito della consultazione del Governo, era stato vivamente sollecitato dai sindacati di categoria.

Ritenendo che il blocco della contrattazione abbia “prodotto un danno ingiusto” ai lavoratori pubblici e ricordando l’intervento degli 80 euro in più in busta paga, nel documento che il ministero ha inviato alle organizzazioni sindacali in vista della riunione, la Madia ha affermato che “il tema del rinnovo della parte economica del contratto merita di essere affrontato a partire dal prossimo anno”.

L’incontro con i sindacati, che, comunque, lo stesso Ministro aveva assicurato ci sarebbe stato prima del CdM, sarà a sua volta preceduto dall’appuntamento messo in calendario dalle principali sigle del pubblico impiego, Fp-CGIL, CISL-Fp e UIL-Pa, mercoledì mattina per illustrare le proprie proposte, unitarie, di riforma, che partono dallo riorganizzazione partecipata della P.A. fino allo sblocco del turnover e della contrattazione, senza cui non è neppure possibile parlare di una “vera” riforma.

Sul tavolo del Governo diversi sono i provvedimenti all’ordine del giorno del prossimo 13 giugno: modifica della mobilità volontaria (finora proclamata da ogni Governo, ma di fatto rimasta una sorta di ‘En attendant Godot’) e obbligatoria (anche senza l’assenso del lavoratore, ma con il mantenimento in tale ipotesi dello stesso trattamento economico e precisi limiti geografici); abrogazione del trattenimento in servizio (raggiunta l’età di pensione) che libererebbe oltre 10.000 posti nella PA a costo zero per i giovani (molti dei quali vincitori di concorsi pubblici, imprigionati in graduatorie mai esaurite) e consentirebbe quella staffetta generazionale per un rinnovo efficace ed efficiente dell’Amministrazione; part-time incentivato, considerato un altro strumento utile per creare spazio a nuove assunzioni e favorire conciliazione dei tempi di vita e lavoro e benessere organizzativo; e poi c’è anche la cosiddetta ‘opzione donna’ per le lavoratrici (se scelgono il regime contributivo per andare in pensione con i requisiti ante Fornero). Per coloro vicini alla pensione era anche emersa l’ipotesi di reintrodurre l’esonero dal servizio (con il 65% dello stipendio), ipotesi che, tuttavia, è stata esclusa: nel documento inviato dal ministero ai sindacati, infatti, si ritiene “non opportuno” proporla perché avrebbe un “ritorno marginale oltre che il rischio” di determinare “nuove distorsioni”.

Quanto al turnover, l’obiettivo è di una “urgente” semplificazione, per assicurare maggiori ingressi ma anche consentire a ciascuna Amministrazione più discrezionalità nella programmazione, fermo restando il rispetto dell’equilibrio finanziario: questo anche “ad esempio eliminando il vincolo del computo delle teste”.

C’è poi la questione precariato, una “patologia” con numeri “vergognosi”, come definita nelle settimane scorse dalla stessa Madia, che va superata. Un tema che “chiederemo, nell’incontro di giovedì” che “entri a far parte della riforma”, dice il responsabile dei Settori pubblici della CGIL, Michele Gentile. Un altro di quegli effetti perversi della spending review che, in mancanza di un ricambio generazionale, ha costretto la P.A. ad un eccessivo ricorso all’uso distorto dell’istituto della somministrazione, dei co.co.co. e del t.d., acutizzando un fenomeno, quello del precariato nella Pubblica Amministrazione, la cui soluzione non può attendere oltre.

MDS
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LA TOP 20 DEI PAESI IN CUI È PIÙ FACILE FARE SOLDI.

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di Michele De Sanctis

Loro ce l’hanno fatta da soli. Sono diventati miliardari partendo da zero. Parliamo dei ‘superimprenditori’, gente che è riuscita a creare imperi economici con le proprie mani. Richard Branson di Virgin, Amancio Ortega di Zara, Dietrich Mateschitz di Red Bull, Guy Laliberté de Cirque du Soleil, fino all’italianissimo Giorgio Armani. Sono questi alcuni esempi di persone che dal nulla hanno realizzato una vera fortuna.

Uno studio condotto dal London-based Centre for Policy Studies e recentemente riportato da BusinessInsider, analizzando le classifiche di Forbes degli uomini più ricchi del mondo dal ’96 ad oggi, identifica mille superimprenditori provenienti da 53 Paesi. Per essere considerato superimprenditore, è necessario aver guadagnato almeno un miliardo di dollari. La ricerca non prende in considerazione quei capitani d’industria che i miliardi e le attività li hanno ereditati. Oggetto, quindi, sono soltanto i veri Paperon de’ Paperoni, perché l’obiettivo è quello di individuare i Paesi che offrono le maggiori opportunità di realizzare il sogno di scalare la vette del business e diventare ‘billionaire’ a tutti gli effetti. In particolare, lo studio evidenzia che la terra promessa è essenzialmente frutto della giusta combinazione di tre fattori: 1) sistema educativo, 2) burocrazia e tasse 3) libertà di mercato.

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Vediamo insieme la classifica:

1. Hong Kong

2. Israele

3. Usa

4. Svizzera

5. Singapore

6. Norvegia

7. Irlanda

8. Taiwan

9. Canada

10. Australia

11. Gran Bretagna

12. Nuova Zelanda

13. Svezia

14. Germania

15. Giappone

16. Spagna

17. Repubblica Ceca

18. Turchia

19. Portogallo

20. Grecia

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Si noti che a Hong Kong e in Israele c’è una maggiore concentrazione di superimprenditori rispetto a qualunque altro Paese, considerando la loro percentuale sul totale della popolazione. Il che fa scendere gli USA dal primo e dal secondo posto, nonostante un numero elevato di paperoni, ma con una % sulla popolazione inferiore, restando, tuttavia, sul podio con la medaglia di bronzo. Nella top five si aggiungono, poi, Svizzera e Singapore.

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L’Italia è fuori dalla top 20. L’eccesso di burocrazia della nostra Pubblica Amministrazione non aiuta certo l’imprenditoria, ma speriamo che la ‘rivoluzione’ promessa dal Governo dia i frutti attesi e che il nostro PIL continui lungo la curva positiva degli ultimi tempi. Sorpresa finale: spuntano alla posizione 20 la Grecia e alla 19 il Portogallo. Fuori dalla classifica anche i nostri cugini d’oltralpe.

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