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LAVORO ALL’ESTERO: COME FARE E DOVE ANDARE.

Parliamoci chiaro, sappiamo bene che trovare lavoro di questi tempi non è facile. Perciò sono tanti quelli che decidono di mollare tutto, cambiare vita e mettersi a cercare altrove. In un altro Paese.

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di Michele De Sanctis

Lavorare all’estero significa innanzitutto conoscere bene la lingua del posto in cui ci si vuol trasferire. L’avventura di chi parte senza saper parlare bene neppure la propria lingua, raramente ha un epilogo positivo. Ma, naturalmente, non è solo una questione di lingua. Ci sono anche altri aspetti che vanno considerati. Cerchiamo di capire insieme quali sono i primi passi per trovare un’occupazione fuori dall’Italia. Ricordate che se il vostro sogno è lavorare all’estero, riuscirete a realizzarlo solo se non vi arrenderete alle prime difficoltà.

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Iniziamo con il web. Mi sembra scontato: la rete ci viene in aiuto sempre. Esistono, infatti, diversi siti dove è possibile imparare tutte le lingue del mondo. Ed esistono anche valide app dedicate a questo scopo. Potreste anche procurarvi una buona grammatica, meglio se di tipo induttivo, ed esercitarvi con letture e visioni di film e telefilm in lingua. Anche per questo il web è una risorsa, da Amazon a Hoepli.it, non avete che da scegliere.

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Ora, facciamo conto che siate tutti perfettamente padroni di una lingua straniera. Cosa fare a questo punto? Internet offre moltissime risorse anche per trovare lavoro all’estero. Esistono, infatti, vere e proprie agenzie sia internazionali che italiane, che si occupano proprio di questo: programmi di collocamento, programmi di studio delle lingue, programmi combinati studio/lavoro, programmi di tirocini, programmi di volontariato e programmi di soggiorno alla pari. Molti sono i siti nati negli ultimi anni con l’obiettivo dichiarato di far incontrare domanda e offerta nel mercato del lavoro internazionale. Insomma, per lavorare all’estero dovete necessariamente fare questo passaggio attraverso il web.

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Inoltre, al fine di facilitare la ricerca di lavoro in ambito comunitario la Commissione Europea, con la raccomandazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 22.03.2002, suggerisce modalità omogenee di presentazione delle competenze e capacità professionali dei cittadini.
Sicuramente, già lo sapete tutti, ma repetita iuvant. Esiste un modello di curriculum vitae da utilizzare nei paesi comunitari, che, a differenza di quello tradizionalmente utilizzato qui in Italia, mette l’accento su capacità e competenze personali acquisite in qualunque contesto (non solo formativo e lavorativo) e sulle competenze trasversali. Parlo del C.V. europeo.

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CREA IL TUO CURRICULUM VITAE EUROPEO.

Ad ogni buon conto, presso tutti i Centri per l’Impiego sono disponibili informazioni sul curriculum vitae europeo oltreché altre informazioni e materiali realizzati dal Centro Risorse Europeo o da altri canali comunitari.
Prima che interrompiate la lettura, vi avverto: il post è rivolto a tutti quelli che stanno pensando di mollare tutto, non solo a quelli che vogliono spostarsi all’interno della UE. E siccome l’Italia è un Paese Membro è da qui che partiamo. Se state pensando di andare più lontano scorrete un po’ verso il basso.

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Senza la pretesa di essere esaustivi, perché sarebbe impossibile, vediamo adesso alcune delle agenzie più accreditate, presso le quali dovreste trovare anche un servizio di sostegno alla mobilità, principalmente europea.

EURES (European Employment Services). È una rete in cui collaborano assieme alla Commissione Europea i servizi pubblici per l’impiego dei paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo, compreso quelli del recente allargamento, allo scopo di favorire la mobilità geografica e professionale dei lavoratori rendendo il più possibile trasparente il mercato del lavoro europeo. Eures offre un servizio personalizzato a coloro che sono interessati a lavorare in Europa, fornendo informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro dei paesi membri e sulle proposte occupazionali disponibili e alle aziende locali che intendono assumere personale fuori dai confini nazionali. È inoltre possibile inserire all’interno della rete Eures il proprio curriculum vitae (modello europeo), così da poter essere sempre visionato dalle aziende o enti che presentano periodicamente le offerte di lavoro.
In particolare il Servizio Eures offre alle persone interessate a fare un’esperienza professionale in Europa
• informazioni e orientamento riguardo le opportunità lavorative presenti nella banca dati Eures
• informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro nei vari paesi europei
• sostegno alla ricerca lavorativa mediante l’indicazione di indirizzi utili e informazioni sulle tecniche di ricerca utilizzate nei vari paesi
• consulenza e supporto per le procedure da attivare alla partenza e al rientro da un lavoro all’estero

Eurosummerjobs. Si tratta di un progetto transnazionale finalizzato alla realizzazione di un database sulle opportunità di lavoro stagionale per giovani e studenti nell’ambito delle politiche a sostegno della mobilità dei giovani e nello spirito dell’alternanza scuola-lavoro. Il database viene messo on line ogni anno alla fine di marzo, in occasione della fiera annuale di orientamento per gli studenti di Parigi, e resta visibile fino all’autunno dell’anno successivo.

Jobs in Europe. Per 26 paesi europei è possibile consultare siti specializzati nella ricerca di lavoro, opportunità come au pair, insegnamento di inglese, giornali europei, incarichi dirigenziali, lavori stagionali/estivi/invernali.

ManPower. Tre le lingue selezionabili: Inglese, Francese, Tedesco; in bella evidenza il canale per la ricerca delle offerte di lavoro. In aggiunta due rubriche fondamentali: Job Carrer che fornisce tre opzioni: Regno Unito, Francia e una lista degli altri Paesi in cui ManPower è presente.

Ci sono, poi, alcune agenzie per il lavoro italiane che operano all’estero.

EUROMA. Agenzia di Roma. Tratta sia lavoro nel settore alberghiero, sia studio e stage in diversi settori. Paesi di destinazione: Francia e Germania (stage), Inghilterra, Irlanda e Spagna (job).

Intermediate. Agenzia di Roma. Tra i vari programmi di studio, studio e lavoro, tirocini, volontariato e alla pari di cui si occupa, promuove un interessante programma alla pari negli Stati Uniti d’America.
Programmi di volontariato in Ecuador, Costarica, Guatemala, Perù, India, Vietnam, Sri Lanka, e Tanzania.

Holidays Empire. Agenzia di Roma. Si occupa di vari programmi. Attualmente segnala i seguenti:
• Soggiorni lavoro studio “Work & Travel e Work & Study” in Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Australia e Nuova Zelanda;
• Collocamenti alla pari a Londra, Dublino, in vari Paesi europei e in più in Australia e Nuova Zelanda.

Erc-Euroeduca. Agenzia di Milano. Offre vari programmi tra cui il collocamento alla pari negli Stati Uniti d’America.

Sti Travels. Agenzia di Bologna. Organizza:
• Stage retribuiti per neolaureati in America con ottime capacita di lingua parlata;
• Work and travel in America;
• Anno di studio all’estero.

MB Scambi Culturali. Agenzia di Padova. Presenta diversi programmi tra i quali segnaliamo:
• Studio e lavoro in Inghilterra (a Ramsgate con corso di minimo 4 settimane);
• Studio e lavoro in Australia (a Sydney con corso di minimo 4 settimane, ma consigliate almeno 6).

Welcome Agency. Agenzia di Torino. Offre programmi di:
• Collocamento alla pari in tutti i Paesi dell’Unione Europea,
• Programmi di lavoro/studio nel Regno Unito, Irlanda ed in altri Paesi CE;
• Soluzioni di accommodation a Londra; Accommodations + corso di Inglese a Londra;
• Corsi di lingua in tutti i Paesi CE.

A.R.C.E. Agenzia di Genova. Propone:
• Soggiorni di studio-lavoro in Inghilterra (corso d’inglese e lavoro in hotel e ristoranti);
• Collocamenti alla pari in Inghilterra, Irlanda, Francia, Spagna, Germania, Austria, Nord Europa;
• Collocamenti alla pari di tre mesi e corso di lingua inglese a Dublino (Irlanda) per ragazze dai 18 ai 25 anni con livello intermedio di inglese ed alcune esperienze come baby-sitter;
• Sistemazione in Inghilterra come “ospite pagante” presso famiglie selezionate, con corso d’inglese.

3 ESSE. Agenzia di Varese. Tratta programmi Work and travel in vari Paesi tra cui Stati Uniti d’America, Australia e Nuova Zelanda.

T-Island (Isola dei Talenti). Agenzia di Imola. Si propone di aiutare gli italiani dotati di talento, ma senza prospettive di impiego all’orizzonte, a trovare lavoro all’estero. una vera propria agenzia di collocamento progettata per supportare chi aspira a trovare un lavoro ad andare oltre confine, superando gli ostacoli della burocrazia e fornendo anche un aiuto a districarsi nelle pratiche necessarie e nella ricerca di un alloggio.

I programmi completi offerti da ciascuna agenzia si trovano sui rispettivi siti. Scrivendo agli indirizzi mail indicati, si possono richiedere ulteriori chiarimenti e una consulenza personale.

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Adesso passiamo alla parte più impegnativa. Come fare l’abbiamo visto, ma cosa fare?
Lavorare all’estero. Quale lavoro intraprendere? Trasferirsi all’estero potrebbe implicare la necessità di doversi reinventare, soprattutto se non si è in possesso di una particolare specializzazione, o se si ha un titolo di studio che è spendibile per il 90% solo entro i confini italiani, come sappiamo bene noi giuristi. Occorre, quindi, analizzare il mercato del lavoro.

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La prima regola (anche se forse potrebbe sembrare un po’ controproducente) è quella di non buttarsi subito alla ricerca di un lavoro qualunque. Prendetevi prima del tempo per studiare il mercato del lavoro internazionale. E partite da questo punto: quali posti di lavoro sono richiesti e in quali Paesi? Naturalmente, è un presupposto questo che funziona solo se nelle vostre intenzioni non c’è quella di trasferirvi in un Paese specifico, ma solo quella di lavorare all’estero, ovunque sia. Se, invece, volete restringere il campo di ricerca dovreste cercare quali sono i settori su cui puntare nel mercato del lavoro del Paese che avete scelto.

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Attenzione. Spesso capita che le nazioni che offrono di più sono anche quelle in cui non è facile ottenere visti e permessi per il lavoro: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti, nel caso la vostra esperienza non sia limitata nel tempo, ma abbiate la seria intenzione di lavorare all’estero per un periodo piuttosto lungo. Se cercate un lavoro stagionale, potete puntare anche sull’Europa, tuttavia. E comunque in Europa i Paesi in cui trovare lavoro ‘più facilmente’ sono Regno Unito e Germania.

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Per quanto riguarda il resto del mondo, occhi puntati sul Messico, dove si prevede che si possano aprire nuovi mercati. Ma soprattutto sul Brasile, Paese dall’economia emergente, che offre interessanti opportunità anche per l’avvio di un nuovo business.

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Consigliamo, infine, il sito Lavorare all’estero, in cui troverete offerte di lavoro per italiani all’estero e notizie sull’economia dei Paesi esteri, per iniziare quest’avventura in modo consapevole e con le carte in regola per farcela.

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Selex Es, nasce a Chieti Scalo il polo Finmeccanica per la cyber security.

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Un supercalcolatore firmato Selex Es, azienda che da trent’anni è specializzata nella sicurezza contro i crimini informatici è quello che nella giornata di ieri la controllata di Finmeccanica ha inaugurato a Chieti Scalo, in Abruzzo, alla presenza del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, del numero uno di Selex Es, Fabrizio Giulianini oltreché del presidente di Finmeccanica, Giovanni De Gennaro. All’inaugurazione hanno partecipato anche il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini, il neo eletto presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, ed il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio. Il supercalcolatore di Finmeccanica-Selex Es è al 30/o posto nella lista dei 500 super computer più potenti del pianeta e si colloca nella seconda posizione della classifica mondiale green500 che valuta le infrastrutture di supercalcolo per il loro tasso di efficienza energetica.

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Il centro di eccellenza anti hacker di Chieti è costituito dal Security Operation Center (SOC) e
dall’Open Source Intelligence Center in cui è installato il Supercalcolatore (High Performance Computer). Attraverso queste infrastrutture Selex Es eroga rispettivamente servizi di sicurezza e di Cyber Intelligence per la protezione da attacchi informatici. Il security operation center assicura capacità di situational awareness identificando attività malevole di tipo cyber, analizzandole in maniera dinamica, correlandole con altri eventi e
valutando il rischio associato. Le attività di prevenzione e difesa da pericoli informatici sono basate su allarmi generati dal Soc relativi a scenari di attacco o alla individuazione di nuove vulnerabilità informatiche. «La cyber security è un punto essenziale per la sicurezza strategica del nostro Paese, la sicurezza informatica è un elemento importante nella modernità», ha sottolineato il ministro Alfano.

Il numero uno di Selex Es Giulianini ha poi confermato l’ok della Nato al sistema di cyber security per cui nel 2012 Selex ES, in collaborazione con Northrop Grumman, si è aggiudicata un contratto da 50 milioni di euro. «Abbiamo conseguito l’accettazione da parte della Nato – ha detto Giulianini durante l’inaugurazione – del più grande sistema di cyber security mai assegnato fuori dagli Stati Uniti». Si tratta di un sistema attraverso cui saranno protetti da attacchi informatici «50 siti» dell’Alleanza atlantica «in 28 Paesi». Il sito di Chieti che si occuperà quindi anche di apparati avionici e comunicazioni militari.

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«Registriamo, monitoriamo e preveniamo oltre 400 attacchi informatici di grave entità ogni giorno», ha aggiunto Giulianini ha riferito che, parlando di cifre, ricorda che sono ben 70mila gli utenti Selex. «Ci proponiamo di sviluppare questa capacità e di metterla al servizio del nostro paese e delle nostre istituzioni. Lo stabilimento di Chieti esiste dal 1972, successivamente è stato rinnovato ed ha ricevuto investimenti. Oggi si pone come centro di eccellenza, uno dei tre in Abruzzo insieme a quello di L’Aquila e di Carsoli. Gli addetti in questi centri sono 330, a Chieti circa 160, tutti specializzati in attività altamente tecnologiche». Gli investimenti su Chieti, riferiscono gli addetti della Selex Es, «sono importanti e riguardano diversi milioni di euro».

Redazione BlogNomos
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IL CASO DELLA DRAG QUEEN LICENZIATA.

Ricordate il caso ‘Lady Limoncella’, la drag queen del teramano che circa quattro anni fa fu licenziata dopo aver partecipato ad uno show serale di un locale omosessuale del litorale abruzzese? Lei sosteneva che si fosse trattato di un caso di discriminazione. Ma il suo ex datore di lavoro aveva smentito sostenendo che si trattasse, piuttosto, di licenziamento per giusta causa, legittimo poiché la drag, in quel periodo, risultava assente per malattia. Ebbene, il Tribunale di Teramo ha prodotto la sentenza di primo grado. Vediamo cos’ha stabilito il giudice.

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di Andrea Serpieri

Licenziamento per giusta causa. È questo il verdetto relativo al caso ‘Lady Limoncella’, al secolo Giuseppe Starace, secondo il giudice del lavoro Maria Rosaria Pietropaolo. Tuttavia, seppur legittimo, il magistrato non ha esitato a definire le modalità con cui il licenziamento è stato comunicato ed attuato discriminatorie e perciò lesive della dignità umana. La sentenza si è basata principalmente sulla normativa e sulla giurisprudenza comunitarie in materia di diritto antidiscriminatorio e antivessatorio. Il giudice ha ritenuto «che tali fatti al di là della loro incidenza sulla persistenza del rapporto di lavoro abbiano comunque rilevanza sul piano di tutela dell’integrità fisica e psichica del lavoratore dipendente, nonché del rispetto del generale obbligo del neminem laedere, con particolare riferimento al diritto all’intangibilità della sfera personale e alla libertà di esprimere la propria personalità in contesti estranei al luogo di lavoro».
Sostiene, dunque, il magistrato che Starace abbia sbagliato ad esibirsi durante un periodo in cui era assente dal lavoro per motivi di malattia «perchè ha, di fatto, pregiudicato e, comunque, ritardato la guarigione e il rientro in servizio, in aperta violazione degli obblighi preparatori e strumentali rispetto alla corretta esecuzione del contratto. La partecipazione del ricorrente allo spettacolo integra grave violazione dei doveri generali di buona fede e correttezza e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà». E quindi il licenziamento è da ritenersi legittimo «in quanto proporzionato all’illecito disciplinare commesso». Ciononostante, nella sentenza si sottolinea come «le modalità con cui la società è pervenuta a tale risultato» siano «censurabili, in quanto il comportamento di fatto tenuto dalla società e, comunque, ad essa riferibile evidenzia un atteggiamento non rispettoso della dignità del lavoro in quanto incentrato sulla valorizzazione di aspetti attinenti alle abitudini e al modo di essere di ogni persona, estranei al rapporto di lavoro». Per tale ordine di ragioni, il giudice ha disposto un risarcimento danni di 8 mila euro e annullato le lettere di dimissioni presentate da Starace in quanto prodotte «in un stato di ridotta capacità di discernimento e volizione sul quale hanno indubbiamente inciso i discorsi che hanno accompagnato la lettera di contestazione. Il timore del ricorrente che tale vicenda potesse giungere a conoscenza della madre dimostra, implicitamente, che i responsabili dell’azienda hanno fatto leva sull’unico aspetto che avrebbe potuto creare, secondo la morale corrente, un qualche imbarazzo o discredito sulla persona del ricorrente, vale a dire quello relativo all’esibizione tenuta in qualità di drag queen». E inoltre: «L’atteggiamento di censura disciplinare, nella specie oggettivamente connotato da subdoli pregiudizi moralistici o, comunque, non corretto da parte dell’azienda si palesa anche nel tenore letterale della comunicazione di licenziamento, nella quale risulta del tutto gratuito il riferimento a concetti estranei al rapporto di lavoro, quale quello dell’etica morale e del costume, evidentemente riferito alle tendenze personali del ricorrente rilevanti esclusivamente nella sfera del privato».
Ora il caso passerà alla Corte d’Appello, a cui l’avvocato Sigmar Frattarelli, difensore di Starace, ha fatto ricorso per ottenere il reintegro.

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STAGE: ECCO I COMPENSI MINIMI GARANTITI REGIONE PER REGIONE.

Sapevate che gli stage vanno pagati? E che il compenso varia da Regione a Regione? Scopriamo insieme in quali conviene di più frequentarne uno.

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di Michele De Sanctis

Abruzzo e Piemonte: sono queste le due Regioni, in cui gli stagisti vengono pagati meglio, con un rimborso minimo di 600 euro. Le più parsimoniose sono Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Umbria, in cui il compenso di base per i tirocinanti è di 300 euro. Le altre hanno scelto invece importi intermedi.

La legge Fornero impone, infatti, una retribuzione minima, la cui misura viene stabilita dalle Regioni, che sono competenti a regolare nel dettaglio i tirocini formativi. Sono esclusi: gli stage che si effettuano durante la frequenza di scuole, master, corsi di specializzazione; i periodi di pratica professionale o per l’accesso alle professioni ordinistiche (praticantato); i tirocini transnazionali (es.: Lifelong Learning Program); stage per stranieri inseriti nelle quote di ingresso; tirocini estivi.

La mappa delle scelte fatte dalle Regioni è stata tracciata un anno fa da Adapt, l’associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali fondata da Marco Biagi e attualmente diretta da Michele Tiraboschi.

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Il monitoraggio svolto ha consegnato un quadro normativo intricato e contraddittorio, in cui l’obiettivo di definire standard minimi omogenei, come indicato dal Legislatore, ha generato, al contrario, la proliferazione di discipline regionali diverse e in concorrenza tra di loro, con il risultato di creare maggiori incertezze a tutti gli operatori del mondo del lavoro coinvolti. Inoltre, il progressivo e vigoroso snaturamento di un metodo formativo, che viene ora ricostruito a immagine e somiglianza del contratto di primo inserimento al lavoro, fa sì che la qualità del percorso di tirocinio sia misurata in relazione alla fattispecie del lavoro dipendente e non invece in ragione della qualità dei soggetti promotori, dei fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro e dai relativi contenuti formativi di ogni singolo percorso di stage. È, quindi, aumentato il tasso di regolazione, ma non si è vista la costruzione di un sistema che possa garantire la collocazione del tirocinio in un reale percorso di integrazione tra scuola, università e lavoro. Come rivelato nel rapporto Adapt, a vincere sarebbero le burocrazie regionali, che sin qui hanno dato scarsa prova di saper gestire la competenza affidata loro dalla Costituzione, mentre a perdere sarebbero le imprese e quei numerosi giovani che vedono oggi nel tirocinio una imprescindibile chiave di occupabilità e di learnfare, nel senso di punto di incontro tra i fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro e i progetti di vita delle singole persone. Di certo, quello su cui, forse, il Legislatore ha puntato è stata l’introduzione di un diritto alla ‘retribuzione’ negli stage. Prima mancava anche quella. Rispetto al passato la maggiore novità per chi partecipa a i tirocinio formativo è proprio la possibilità di ricevere un’indennità. Può essere visto come un passo in avanti per l’Italia, ma non bisogna focalizzarsi solo sul rimborso: si rischia, infatti, di dimenticare che uno stage è prima di tutto formazione e ingresso nel mondo del lavoro. In effetti, su questi aspetti c’è ancora da lavorare.

Nel frattempo, vediamo quali sono le cifre minime che devono percepire, a seconda della Regione, gli stagisti in Italia, secondo il rapporto Adapt 2013 (il rapporto aggiornato non è ancora stato elaborato).

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Non dimentichiamo che a livello nazionale, secondo le “Linee guida” del gennaio 2013, le imprese e gli enti che attivano tirocini non possono, comunque, scendere al di sotto dei 300 euro al mese. Inoltre, i tirocini finanzianti dal programma comunitario “Garanzia Giovani” prevedono un rimborso spese standard di € 500. Pertanto, relativamente ai tirocini finanziati dalla Garanzia Giovani, le Regioni con rimborso spese più basso devono innalzare tale somma ad € 500. Nelle altre Regioni (cioè, l’Abruzzo ed il Piemonte), si applicheranno i costi standard regionali, essendo quest’ultimi più favorevoli.

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I 10 FILM PIÙ BELLI DI SEMPRE.

“Star Wars: L’Impero colpisce ancora” è ufficialmente il miglior film di tutti i tempi. Beh, almeno secondo i lettori della rivista Empire Magazine e stando all’ormai consueto sondaggio che il magazine propone ai suoi fan ogni anno.

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di Andrea Serpieri

Con la classifica “Greatest Movies”, fin dal primo sondaggio nel 2008, la rivista ha conquistato oltre 250.000 cinefili, che di anno in anno in scelgono le 301 pellicole più grandi di sempre.

La classifica 2014 vede il primo sequel di “Star Wars” detronizzare “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, che adesso occupa la posizione numero due.

Questa la top ten 2014 dei film belli di sempre:

1. “Star Wars: L’Impero colpisce ancora”

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2. “Il Padrino”

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3. “Il Cavaliere Oscuro”

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4. “Le ali della libertà”

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5. “Pulp Fiction”

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6. “Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza”

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7. “Il Signore Degli Anelli: La Compagnia dell’Anello”

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8. “Lo Squalo”

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9. “I predatori dell’arca perduta”

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10. “Inception”

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Per vedere l’intera classifica, clicca qui.

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I 12 PAESI CHE INQUINANO DI PIÙ AL MONDO.

Il World Resources Institute ha pubblicato uno studio aggiornato sulle emissioni di anidride carbonica per ogni Paese. Lo studio del WRI copre un periodo di tempo che va dal 1850 al 2011.

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di Michele De Sanctis

Se nel 1850, con le sue emissioni di anidride carbonica, era il Regno Unito la nazione più inquinante al mondo, nel 1888 il primato venne raggiunto dagli Stati Uniti. Primato che nel 1945 gli USA mantenevano ancora. Verso la fine del secolo scorso, tuttavia, l’Unione Sovietica, nel pieno della sua crisi, strappò allo zio Sam il record delle emissioni di Co2, era il 1991. In quello stesso anno la Cina raggiunse il secondo posto nella classifica mondiale, ma dal 2005 è proprio la Cina a essere il primo Paese per emissioni di anidride carbonica.

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Oggi i 12 Paesi che producono più Co2 sono:
1) Cina
2) Stati Uniti
3) India
4) Russia
5) Giappone
6) Germania
7) Corea del Sud
8) Iran
9) Canada
10) Arabia Saudita
11) Messico
12) Regno Unito.
La Cina inquina venti volte di più del Regno Unito.

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Nel 1997 era stato firmato il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Ciononostante, da allora le emissioni sono aumentate del 40%.

Su questo fallimento pesa innanzitutto il fatto che verso la fine del suo secondo mandato, il presidente Bill Clinton, incoraggiato dal vice Al Gore, aveva firmato il protocollo, ma George W. Bush, all’indomani del suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l’adesione inizialmente sottoscritta. Inoltre, India, Cina ed altri Paesi in via di sviluppo, pur avendo ratificato il protocollo, non sono tenuti a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo, benché la loro popolazione sia relativamente grande.

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In Italia, nonostante la dura opposizione di Silvio Berlusconi poco prima delle elezioni politiche 2001, il quale aveva sollecitato un intervento del premier Giuliano Amato per evitare che decisioni non più modificabili fossero assunte a Lussemburgo (per l’attuazione europea del Protocollo) dal rappresentante del ministro dell’Ambiente, sostenendo, peraltro, che il punto di riferimento per la politica ambientale italiana non fosse più l’Europa, ma gli Stati Uniti che osteggiavano apertamente Kyoto, si è tuttavia arrivati ad una ratifica attraverso la legge 1 giugno 2002 n. 120, in cui veniva illustrato il relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Con la Finanziaria 2007, poi, durante il governo Prodi e, in particolare, con i ministri Bersani e Pecoraro Scanio, il centrosinistra aveva istituito il ‘Fondo rotativo per Kyoto’ rimasto inattuato fino a due anni fa. Ricordiamo che nel 2008 il leader di Arcore ha ripreso le redini del Paese, su cui ha governato fino a tutto il 2011. Nel 2012, dunque, l’attuazione del Fondo ha previsto un finanziamento di 600 milioni di euro, con tassi agevolati di interesse ed investimenti in efficienza energetica, energie rinnovabili, tecnologie di cogenerazione e trigenerazione. A due anni dall’attuazione del Fondo, lo scorso 13 febbraio la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha presentato il “Dossier Clima 2014”, da cui emerge che «L’Italia prosegue nel suo percorso virtuoso di riduzione delle emissioni di gas serra e dopo aver centrato e superato nel 2012 l’obiettivo di Kyoto (-7,8% rispetto al 1990), nel 2013 ha ridotto le emissioni di un ulteriore 6% ed è sulla strada per centrare il target del 2020 del pacchetto clima-energia. Nel 2013 in Italia le emissioni di gas serra si sono attestate, infatti, a 435 MtCO2eq. Si tratta di un calo di oltre il 6% (30 Mt) rispetto all’anno precedente, alla base del quale c’è una significativa riduzione dei consumi di combustibili fossili: -5% (3,4 milioni di tonnellate di petrolio), di gas -6% (4,8 miliardi di m3) e di carbone -14% (3,7 milioni di tonnellate)». Il pacchetto clima-energia costituisce l’insieme delle misure pensate dalla UE per il periodo successivo al termine del Protocollo di Kyoto ed è contenuto nella Direttiva 2009/29/CE: entrato in vigore nel giugno 2009, è valido dal gennaio 2013 fino al 2020, con il conseguimento degli obiettivi fissati per ogni Membro dalla stessa Direttiva.

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Tuttavia, a livello globale la situazione resta molto critica; infatti, nel mondo, stando al report del World Resources Institute, le emissioni di anidride carbonica oggi sono di 150 volte superiori a quelle del 1850. Guarda la mappa interattiva dell’aumento di emissioni dal 1850 a oggi elaborata dalla rivista Slate.

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PIAZZA DELLA LOGGIA: QUARANT’ANNI DOPO.

Oggi, 28 maggio 2014, ricorre l’anniversario di una delle più oscure vicende della storia della Repubblica Italiana: la strage di Piazza della Loggia.

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di Michele De Sanctis

È la mattina del 28 maggio 1974, quando, alle 10:02, una bomba esplode sotto i portici di Piazza della Loggia a Brescia, mentre è in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. L’attentato, rivendicato da Ordine Nero, provoca otto morti e il ferimento di altre centodue persone. L’ordigno era stato posto in un cestino portarifiuti e fatto esplodere con un congegno elettronico a distanza.

La prima istruttoria della magistratura portò alla condanna nel 1979 di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d’appello, fu strangolato il 13 aprile 1981 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, la condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, le quali a loro volta vennero confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione. Tuttavia, un secondo filone di indagini, partito nel 1984 in seguito alle rivelazioni fornite da alcuni pentiti, mise sotto accusa altri rappresentanti della destra eversiva; nuovamente gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987, per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena.

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Nel corso di tutte le indagini e i procedimenti giudiziari relativi alla strage, si è sempre paventato un coinvolgimento dei servizi segreti e degli apparati dello Stato nella vicenda.

Il fatto più eclatante scaturito dalle indagini fu, in primo luogo, l’ordine proveniente da ambienti istituzionali, ma a tutt’oggi sconosciuti, impartito a meno di due ore dalla la strage affinché una squadra di vigili del fuoco ripulisse con le autopompe il luogo dell’esplosione, spazzando, peraltro, via indizi, reperti e tracce di esplosivo: ciò prima che la magistratura potesse effettuare i rilievi del caso.

In seguito, scomparvero, misteriosamente, anche taluni reperti prelevati in ospedale dai corpi dei feriti e dei cadaveri. Avvenimento che destò un certo sospetto. Sospetto accresciuto dall’ultima e recente perizia antropologica in cui si è individuata in una fotografia di quel giorno la presenza sul luogo di Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore del SID.

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Durante la terza ed ultima istruttoria, il 19 maggio 2005 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la richiesta di arresto per Delfo Zorzi. Oggi cittadino giapponese, non estradabile, con il nome di Hagen Roi, per il coinvolgimento nella strage di Piazza della Loggia.

In data 15 maggio 2008, poi, sono stati rinviati a giudizio sei imputati, tra cui tre esponenti e militanti di spicco di Ordine Nuovo, un capitano del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, oltreché il latitante collaboratore dell’allora Ministro degli Interni Taviani.

Il 21 ottobre 2010, dopo cinque giorni e mezzo di ricostruzione delle accuse, i PM titolari dell’inchiesta, hanno formulato l’accusa di concorso in strage per tutti gli imputati, ad eccezione di Pino Rauti, per il quale è stata, invece, richiesta l’assoluzione per insufficienza di prove, pur emergendone la responsabilità politica e morale.

Il 16 novembre 2010 la Corte D’Assise ha, peraltro, emesso la sentenza di primo grado della terza istruttoria, assolvendo tutti gli imputati (Maggi, Delfino, Tramonte, Zorzi e Rauti) con la formula dubitativa di cui all’art. 530 comma 2 c.p.p., corrispondente alla vecchia formula dell’insufficienza di prove. Oltre alle assoluzioni di Maggi, Delfino, Zorzi e Rauti, i giudici hanno disposto il non luogo a procedere per Tramonte, per intervenuta prescrizione in relazione al reato di calunnia, e revocato la misura cautelare nei confronti dell’ex militante di Ordine Nuovo Delfo Zorzi.

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Dopo quest’ultima sentenza, Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari caduti della strage di Piazza della Loggia ha dichiarato: “I processi per strage non possono più entrare in un’aula di giustizia. Capisco che la verità giudiziaria, diversa da quella storica, sia difficile da trovare, ma a questo punto non è facile avere fiducia nelle istituzioni”.

In occasione della Giornata della Memoria del 9 maggio 2012, il Presidente Napolitano ha commentato la vicenda dicendo che il corso della giustizia dovesse, pur nei limiti in cui era rimasto possibile, continuare con ogni scrupolo e che, nel contempo andasse messo in luce quanto era già emerso, dalle carte processuali e dalle inchieste parlamentari, sulla matrice di estrema destra neofascista di quell’azione criminale e sugli ostacoli che una parte degli apparati dello Stato frappose alla ricerca della verità.

Il 21 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha, infine, annullato le assoluzioni di due degli imputati, Maggi e Tramonte, e confermato quelle di altri due, Zorzi e Delfino.

Quarant’anni e tre inchieste, per arrivare a quest’ultima sentenza. Di quella strage, atto della strategia della tensione che insanguinò l’Italia e fu preludio degli Anni di Piombo, pur essendo stato ricostruito il contesto e identificati ambienti e collusioni in cui l’attentato venne ideato ed organizzato, nonostante la revoca dell’assoluzione per due degli imputati, resta, comunque, il dubbio che manchi ancora la parola fine a una vicenda, che, sul piano giudiziario, ha lasciato i principali autori e complici sostanzialmente impuniti.

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Il 40,1% delle Pubbliche Amministrazioni utilizza software open source

 

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di Germano De Sanctis

Recentemente, l’ISTAT ha pubblicato i risultati del censimento delle istituzioni pubbliche italiane, secondo il quale il 40,1% delle Pubbliche Amministrazioni utilizza software open source.
Inoltre, si è riscontrato che il 96,4% delle Pubbliche Amministrazioni ha un accesso ad internet, in quanto, a fronte di un campione di rilevamento di ben 12.146 istituzioni pubbliche, soltanto il 11.715 dispongono di un proprio sito web, presso il quale i cittadini possono accedere ad informazioni su orari degli uffici, come richiedere alcune documentazioni etc.. Inoltre, soltanto il 57,5% delle istituzioni pubbliche è dotato di una propria rete Intranet.
Sempre stando all’ISTAT, i dipendenti degli enti locali (Regioni, Province, Comuni, etc.), utilizzano principalmente pc desktop (73%), mentre solo il 7% utilizza pc portatili. Il rimanente 20% dei dipendenti interessati dal censimento utilizza device mobili come smartphone e tablet.
Si evidenzia che i dati rilasciati dall’ISTAT riguardano un censimento effettuato nel corso dell’anno 2011. Pertanto, è molto probabile che la percentuale di istituzioni pubbliche che attualmente utilizza software open source sia superiore al poc’anzi indicato 40,1%.

Venendo all’esame più dettagliato dell’utilizzo del software open source presso le Pubbliche Amministrazioni italiane, risulta interessante riscontrare subito che all’interno della platea del 40,1% delle istituzioni censite e che hanno dichiarato di utilizzare software open source, vi sono tutte le Regioni e oltre il 90% delle Province e delle Università.
Inoltre, emerge che il territorio italiano più votato all’uso del software libero è la Provincia Autonoma di Bolzano, dove l’86,2% dei Comuni utilizza software liberi.
Invece, le Regioni presso le quali si registra un basso ricorso all’open source sono il Molise (30,9%), l’Abruzzo (25,9%o) ed il Piemonte (23,7%).
A seguito dell’esame dell’utilizzo del software open source presso i Comuni, l’ISTAT ha riscontrato che la sua percentuale di utilizzo si è attestata al 40,7%. Inoltre, tale utilizzo risulta crescente all’aumentare dell’ampiezza demografica, passando dal 25,9% cento per i Comuni fino a 5.000 abitanti al 79,8%o per quelli oltre 100.000 abitanti. I più virtuosi sono risultati essere (come già detto) i Comuni della Provincia Autonoma di Bolzano (86,2%), seguiti da quelli della Toscana (67,9%) e dell’Emilia Romagna (61,4%).

 

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Il censimento dell’ISTAT è l’occasione per soffermarci sul fatto che la scelta operativa dalle Pubbliche Amministrazioni di utilizzare software open source deriva da un preciso fondamento normativo, spesso disatteso, se non, addirittura, ignorato.

Infatti, il rapporto tra software libero (meglio noto come open source) e Pubblica Amministrazione italiana è sempre stato problematico. Tuttavia, in data 12 agosto 2012, è entrata in vigore una modifica dell’articolo 68 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, nr. 82, meglio noto come Codice dell’Amministrazione Digitale, che ha mutato il quadro di riferimento.
Tale novella legislativa ha suscitato molti entusiasmi nell’immediatezza della sua approvazione, per, poi, generare grandi delusioni per la sua difficoltosa attuazione pratica.
Infatti, in virtù della norma citata, le Pubbliche Amministrazioni devono, di regola, acquisire software libero, mentre l’acquisto di software proprietario con licenza d’uso è stato circoscritto a casi eccezionali, ammissibili soltanto in particolari circostanze.
Dunque, come dicevamo, il 12 agosto 2012, si è avuta una riscrittura dell’articolo 68 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, nr. 82 (c.d. “Codice dell’Amministrazione digitale”), ad opera della Legge 7 agosto 2012, n. 134. Con tale riforma, è stata anche istituita l’Agenzia per l’Italia Digitale, in sostituzione di DigitPa.
Il nuovo articolo 68 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, nr. 82 prevede solo tre possibili modalità di acquisizione del software:

  1. software sviluppato per conto della Pubblica Amministrazione;
  2. riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della Pubblica Amministrazione;
  3. software libero o a codice sorgente aperto, oltre alla combinazione fra queste soluzioni.

In altri termini, il software proprietario non è compreso nel range delle possibili scelte, se non, come si evince leggendo nella prosecuzione della norma in questione, come extrema ratio.
Di conseguenza, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso soltanto quando la valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico dimostri l’impossibilità di accedere a soluzioni open source o già sviluppate all’interno della Pubblica Amministrazione ad un prezzo inferiore. Pertanto, il dettato normativo è talmente chiaro che la Pubblica Amministrazione può ricorrere al software proprietario solo quando sussista “l’impossibilità” di ricorrere al software libero od a programmi commissionati ad hoc.
Si tratta di una enorme novità. Se, da un lato, è possibile il verificarsi di casi in cui una Pubblica Amministrazione necessiti di applicazioni legate a specifiche attività istituzionali che non sono disponibili sotto forma di free software, e di cui non è economicamente conveniente commissionare la realizzazione, d’altro canto, è sicuramente certo che, relativamente ad altre esigenze, come, in primo luogo, i sistemi operativi e le suite da ufficio, sia assolutamente da escludere una evidente impossibilità di ricorrere all’open source. Infatti, sostenere che è “impossibile”, sia da un punto di vista tecnico, che economico, adoperare sistemi operativi open source come Ubuntu (o Linux Mint, o Fedora, o Open Suse etc.) al posto di Windows (o di Apple OSX), appare decisamente difficile. Analogo discorso vale per le suite da ufficio, dove LibreOffice (o Apache OpenOffice) possono tranquillamente sostituire Microsoft Office (come, d’altronde, è già avvenuto in molte Amministrazioni Pubbliche).

Ovviamente, una norma di tale portata ha scatenato nelle varie Pubbliche Amministrazioni reazioni diverse, in relazione alla eventuale presenza (sovente aleatoria) nelle dotazioni organiche di impiegati competenti nell’area del software open source, ovvero in stretta connessione alla necessità di aggiornare software obsoleto, o di rinnovare le licenze proprietarie scadute.
Infatti, la casistica disponibile ha dimostrato che la presenza di tecnici abituati a interfacciare le comunità del software libero ha permesso di garantire una decisa attuazione della citata disposizione di legge in questione. Al contempo, anche la necessità di aggiornare le licenze del software proprietario in scadenza ha trasformato in opportunità una migrazione attesa da tempo, a favore dei magri bilanci delle Amministrazioni Pubbliche italiane condizionati dalle forti ristrettezze economiche e dalle nuove regole di spending review.

 

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In attuazione di quanto previsto dall’articolo 68 del D.Lgs. n. 82/2005, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha emanato la Circolare 6 dicembre 2013 n. 63 , avente ad oggetto le Linee Guida per la valutazione comparativa prevista dal citato art. 68 del Codice dell’Amministrazione digitale. In particolare, La Circolare in questione illustra, attraverso l’esposizione di un percorso metodologico e di una serie di esempi, le modalità e i criteri per l’effettuazione della valutazione comparativa delle soluzioni prevista dall’articolo 68 del D.Lgs. n. 82/2005. Tali Linee Guida sono indirizzate alle Pubbliche Amministrazioni elencate nell’art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 82/2005, che devono acquisire prodotti e soluzioni software da utilizzare nell’ambito dei propri compiti istituzionali. Alcuni dei contenuti delle Linee Guida sono peraltro d’interesse anche per gli operatori del mercato ICT.

Orbene, la Circolare n. 63/2013, pur sancendo l’obbligo di preferire il software libero e ed il riuso, ha lasciato delle ombre sulla corretta applicazione dell’articolo 68 D.Lgs. n. 82/2005.
Venendo all’esame specifico del contenuto della Circolare in questione, si rileva che essa è partita dall’assunto già contenuto nell’art. 68 D.Lgs. n. 82/2005, secondo il quale le Pubbliche Amministrazioni che devono procedere ad acquisire i software necessari allo svolgimento della propria attività, hanno l’obbligo di procedere ad una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le differenti soluzioni disponibili (software sviluppato per conto della PA, riuso, software libero, cloud computing, software proprietario), da svolgersi secondo modalità e criteri definiti dall’Agenzia per l’Italia Digitale.
Tuttavia, siffatta valutazione comparativa è apparsa priva di un un vero e proprio criterio di preferenzialità, in quanto il legislatore ha disposto che, ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso.
In sede di redazione della Circolare n. 63/2013, ci si è divisi sull’interpretazione da fornire a questa norma (che, come detto in precedenza, è apparentemente chiara). Infatti, i diversi operatori seduti al tavolo tecnico costituito presso Agenzia per l’Italia Digitale si sono divisi: da un lato coloro che ritenevano l’assenza nel testo dell’art. 68 D.Lgs. n. 82/2005 di una specifica preferenza tra le diverse soluzioni, dall’altro coloro che rilevavano una inequivocabile preferenza del legislatore a favore delle soluzioni di riuso e di software libero o a sorgente aperto.
Alla fine del confronto, la Circolare n. 63/2013 ha dato ragione a questi ultimi, definendo i criteri che ciascuna Pubblica Amministrazione deve seguire per l’acquisizione di prodotti e soluzioni software da utilizzare per l’assolvimento dei propri compiti istituzionali.
Infatti, la Circolare n. 63/2013 ha chiarito definitivamente che le Amministrazioni Pubbliche che devono procedere all’approvvigionamento di software hanno l’obbligo di:

  1. definire le proprie esigenze, identificando i requisiti (funzionali e non) dei programmi da acquisire;
  2. ricercare le soluzioni disponibili;
  3. confrontare le soluzioni “eleggibili”.

Nell’ambito di tale processo, è richiesto alle Pubbliche Amministrazioni di redigere una griglia di valutazione sulla base dei criteri di valutazione definiti dal legislatore. Tali criteri sono i seguenti:

  1. il costo complessivo;
  2. il livello di utilizzo di formati di dati aperti, con particolare riferimento al livello di utilizzo delle interfacce e degli standard per l’interoperabilità e per la cooperazione applicativa;
  3. le garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza;
  4. la conformità del fornitore alla normativa in materia di protezione dei dati personali;
  5. i livelli di servizio offerti dal fornitore.

Solo dopo aver assegnato, alle diverse soluzioni confrontate, un punteggio su ciascuno dei criteri di valutazione, l’Amministrazione Pubblica procedente può procedere a determinare il risultato complessivo della valutazione.
Inoltre, al punto 3.3.9 della Circolare n. 63/2013, è previsto che, nel caso in cui all’esito della valutazione comparativa, la soglia minima di accettabilità venga superata da più soluzioni alternative, di cui una o più nelle categorie “software libero o a sorgente aperto” e/o “software in riuso“, queste ultime dovranno essere preferite a soluzioni proprietarie, salvo che l’Amministrazione non ne motivi l’impossibilità.

Tuttavia, a fronte di queste chiare indicazioni a favore del software open source, la Circolare n. 63/2013 si distingue anche per essere un documento molto pesante e farraginoso, il cui rispetto risulta essere particolarmente oneroso, specialmente per gli Enti Pubblici di piccole dimensioni.
Per di più, bisogna sottolineare il rischio di un potenziale contenzioso che può facilmente essere generato da una scorretta od incompleta valutazione comparativa, la quale, così come è stata descritta dalla Circolare in questione, riserva margini ancora troppo ampi di discrezionalità. In altri termini, sussiste un elevato rischio generato dalla possibilità di poter facilmente impugnare la scelta operata dalla Pubblica Amministrazione procedente, chiedendone la declaratoria di illegittimità e, quindi, del successivo affidamento, con relativo contenzioso dinanzi al TAR e conseguente responsabilità dirigenziale.
Per fortunatamente, in presenza di dubbi interpretativi, le Pubbliche Amministrazioni procedenti possono chiedere all’Agenzia per l’Italia Digitale di esprimere un parere (seppur non vincolante) sul rispetto delle norme in materia di valutazione comparativa.
In definitiva, l’analisi comparativa delle possibili soluzioni che una Pubblica Amministrazione deve effettuare prima di acquisire programmi informatici non può prescindere dalla preventiva conoscenza, da parte delle stessa Pubblica Amministrazione, delle diverse tipologie di licenza d’uso presenti sul mercato. Inoltre, la Circolare n. 62/2013 si sottolinea che, in ogni caso, la scelta del percorso metodologico da intraprendere per l’acquisizione di programmi informatici nelle PA dovrà essere basata sulla valutazione della complessità organizzativa della Pubblica Amministrazione interessata, sulle sue competenze informatiche e sulla rilevanza strategica della specifica acquisizione di software.

In conclusione, l’analisi fin qui svolta dimostra che la Pubblica Amministrazione italiana è all’inizio di un lungo cammino che la deve portare all’effettivo e generalizzato utilizzo del software open source, non soltanto per rispettare precise indicazioni fornite dal legislatore nazionale, ma anche e specialmente per liberare importanti risorse finanziare da poter destinare ad altri servizi che, in questi tempi di ristrettezze dei bilanci delle Amministrazioni Pubbliche, rischiano seriamente di non essere garantiti in maniera adeguatamente efficace.

 

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IN MEMORIA DI MASSIMO D’ANTONA.

Era il 20 maggio. Era il 1999. Un commando terrorista denominato Nuove Brigate Rosse uccideva a Roma il professor Massimo D’Antona.

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Da poco erano passate le 8.00 di mattina e il professore, all’epoca consulente del Ministero del Lavoro, si apprestava ad uscire dalla sua abitazione di via Salaria, angolo via Po, per recarsi al lavoro nel suo studio, poco lontano da lì. Superato l’incrocio con via Adda, all’altezza di un cartellone pubblicitario che lo nascondeva dalla vista dalla strada, intorno alle ore 8.13, il professore veniva fermato dal commando di brigatisti formato da Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, che già dalle 5.30 si nascondevano all’interno di un furgone parcheggiato al lato della via.

Fu un assassinio brutale, quello di D’Antona, che colpì una persona nota, uno studioso stimato, un uomo del sindacato. Ma fu anche un omicidio che colpì in maniera diretta un progetto di modernizzazione dello Stato e del welfare e, nel contempo, la sigla maggiormente rappresentativa del Paese, la CGIL.

I due terroristi lo bloccarono e Galesi svuotò 9 colpi del caricatore di una pistola semiautomatica senza silenziatore, una calibro 9×19, sul professore, infliggendogli il colpo di grazia al cuore. Subito dopo si davano alla fuga. I soccorsi non tardarono, D’Antona venne immediatamente portato al Policlinico Umberto I ma fu inutile: nel certificato di morte il medico dichiarò il decesso alle 9.30 di mattina.

20 maggio: non è un giorno come gli altri. Il 20 maggio è anche l’anniversario dello Statuto dei lavoratori, che nel 1970 segnò una conquista di civiltà, cambiando nel profondo gli assetti dei rapporti sindacali e politici. Massimo D’Antona si era formato proprio in quella stagione, all’università dove aveva ricevuto gli insegnamenti dal suo Maestro, Renato Scognamiglio, e poi alla “Rivista giuridica del lavoro”, in quel tempo impegnata in una rilettura costituzionalmente orientata di tutto l’impianto giuslavorista.

Nel 1980 aveva vinto la cattedra di diritto del lavoro, con un’opera di altissimo livello, “La reintegrazione nel posto di lavoro”, tuttora modello di ricerca per tutti quei giuristi che nelle loro analisi pongono in primo piano l’effettività degli interventi legislativi in materia di lavoro.

La sua opera scientifica non è nota solo a studiosi, lettori e operatori del diritto del lavoro, ma anche a quelli del diritto amministrativo e pubblico, dal momento che nei primi anni ’90 D’Antona aveva contribuito al processo di “privatizzazione” del pubblico impiego. Già da qualche anno, la riflessione del professor D’Antona si era incentrata sull’importanza della P.A. come fattore essenziale di equilibrio dinamico tra forze e soggetti che responsabilmente assolvono al loro ruolo di “produttori”, precisamente la sua indagine era partita da un suo saggio degli anni ’80 sull’amministrazione pubblica del diritto del lavoro.

Giunse nell’area di governo come un tecnico e subito si mise alla prova con temi complessi: dalla riforma del Ministero dei trasporti e della navigazione, alla regolamentazione dei conflitti sindacali nei servizi pubblici, fino all’unificazione delle disciplina del lavoro fra pubblico e privato, alla creazione di una nuova dirigenza pubblica, alla regolazione della rappresentanza sindacale nel settore pubblico.

Uomo della CGIL, s’è detto. Fu nella Consulta giuridica e nell’Ufficio legale della Confederazione. Il suo maggiore impegno è consistito nella ricerca di percorsi e di soluzioni che connotassero il sindacato quale soggetto della trasformazione e dell’innovazione, spesso mettendo in guardia da posizioni di mera conservazione dell’esistente.

D’Antona si è sempre battuto per il patto sociale, sostenitore convinto della concertazione, del rafforzamento di un sindacato che potesse sintetizzare un’investitura forte e concreta della base con un’adeguata centralizzazione del potere, in ordine ad una più effettiva tutela dei diritti costituzionalmente protetti e all’abolizione di un welfare risarcitorio e della sua sostituzione con il miglioramento delle possibilità offerte dal mercato del lavoro.
E non furono scelte di mediazione, nemmeno dal punto di vista politico. Con quelle scelte, infatti, sebbene necessitassero del metodo della mediazione, non fu proposta alcuna mediazione, nel senso di compromesso, tra gli interessi delle imprese, gli interessi dei lavoratori e quelli dei disoccupati e degli inoccupati. Quelle scelte, piuttosto, furono propedeutiche a soddisfare l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento del processo produttivo e, insieme, anche l’esigenza fondamentale di un ordinato svolgimento della vita civile. Di tali scelte Massimo D’Antona ha saputo individuare le coerenti motivazioni culturali e, soprattutto, i riferimenti di tecnica giuridica che li sorreggevano.

Ed è forse questo il patrimonio più cospicuo che il professor D’Antona ha lasciato in eredità alle future generazioni di giuslavoristi italiani. Un patrimonio che non possiamo dimenticare. Che vogliamo custodire, soprattutto oggi dinanzi a movimenti che attaccano continuamente l’operato dei sindacati e dopo oltre dieci anni di dialogo con l’esecutivo inesistente, che altro non ha fatto che indebolire le forze sociali e privare di tutela i lavoratori.

M. De Sanctis
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Tirocinio retribuito a Londra per neolaureati.

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L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA – European Medicines Agency), con sede a Londra, offre tirocini retribuiti del valore di 1.350 sterline nette al mese (all’incirca 1.600 euro). L’Agenzia Europea per i Medicinali è un organo della UE con sede a Londra. Il suo compito principale è tutelare e promuovere la sanità pubblica e la salute mediante la valutazione e il controllo dei medicinali per uso umano e veterinario. L’Agenzia Europea per i Medicinali è l’agenzia comunitaria dell’Unione Europea che si occupa della valutazione e del controllo di medicinali umani e veterinari. L’Agenzia è stata fondata nel 1995 con i contributi dell’Unione Europea, dei singoli stati membri e dell’industria farmaceutica, con lo scopo di affiancare il lavoro delle organizzazioni nazionali che si occupano del mercato dei farmaci.
Gli obiettivi che l’Unione Europea si è prefissa con la fondazione dell’EMA sono essenzialmente due: da un lato, la riduzione delle spese burocratiche (si parla di cifre a sei zeri) che ogni anno le case farmaceutiche devono sostenere per l’approvazione dei farmaci nei singoli Stati membri, dall’altro, per ridurre il protezionismo dei singoli Stati volto ad ostacolare l’inserimento sul mercato di farmaci concorrenti ad altri già inseriti nel mercato interno.

EMA Traineeship Programme

Il programma di tirocinio si rivolge a laureati all’inizio della loro carriera professionale. I requisiti richiesti sono:
– essere cittadini EU/EEA;
– aver conseguito una laurea alla data di scadenza per l’invio delle domande;
– avere una buona conoscenza della lingua inglese più la conoscenza di una seconda lingua ufficiale dell’Unione Europea.

Oltre a dare una comprensione dei compiti dell’Agenzia e del suo ruolo nell’ambito delle attività dell’Unione Europea, il programma fornirà ai tirocinanti un’esperienza professionale in un ambiente di lavoro a tutti gli effetti, altamente qualificato e riconosciuto in tutta l’Area Economica Europea.
I profili ricercati sono di vario genere: dai laureati in discipline core per l’attività dell’EMA (medicina, farmacia, chimica, biologia, veterinaria), a giovani con laurea nel settore delle comunicazioni, in scienze dell’informazione, relazioni pubbliche, risorse umane, giurisprudenza, fino a laureati in materie umanistiche specializzati in biblioteconomia.

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Per proporre la propria candidatura è necessario compilare l’apposito modulo disponibile sulla pagina dedicata al programma tirocini ed inviarlo all’indirizzo di traineeship@ema.europa.eu entro e non oltre il 15 giugno 2014. Per coloro che verranno selezionati, il Programma avrà inizio il 1 ottobre.

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