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PIAZZA DELLA LOGGIA: QUARANT’ANNI DOPO.

Oggi, 28 maggio 2014, ricorre l’anniversario di una delle più oscure vicende della storia della Repubblica Italiana: la strage di Piazza della Loggia.

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di Michele De Sanctis

È la mattina del 28 maggio 1974, quando, alle 10:02, una bomba esplode sotto i portici di Piazza della Loggia a Brescia, mentre è in corso una manifestazione indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. L’attentato, rivendicato da Ordine Nero, provoca otto morti e il ferimento di altre centodue persone. L’ordigno era stato posto in un cestino portarifiuti e fatto esplodere con un congegno elettronico a distanza.

La prima istruttoria della magistratura portò alla condanna nel 1979 di alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d’appello, fu strangolato il 13 aprile 1981 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, la condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, le quali a loro volta vennero confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione. Tuttavia, un secondo filone di indagini, partito nel 1984 in seguito alle rivelazioni fornite da alcuni pentiti, mise sotto accusa altri rappresentanti della destra eversiva; nuovamente gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987, per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena.

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Nel corso di tutte le indagini e i procedimenti giudiziari relativi alla strage, si è sempre paventato un coinvolgimento dei servizi segreti e degli apparati dello Stato nella vicenda.

Il fatto più eclatante scaturito dalle indagini fu, in primo luogo, l’ordine proveniente da ambienti istituzionali, ma a tutt’oggi sconosciuti, impartito a meno di due ore dalla la strage affinché una squadra di vigili del fuoco ripulisse con le autopompe il luogo dell’esplosione, spazzando, peraltro, via indizi, reperti e tracce di esplosivo: ciò prima che la magistratura potesse effettuare i rilievi del caso.

In seguito, scomparvero, misteriosamente, anche taluni reperti prelevati in ospedale dai corpi dei feriti e dei cadaveri. Avvenimento che destò un certo sospetto. Sospetto accresciuto dall’ultima e recente perizia antropologica in cui si è individuata in una fotografia di quel giorno la presenza sul luogo di Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nuovo e collaboratore del SID.

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Durante la terza ed ultima istruttoria, il 19 maggio 2005 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la richiesta di arresto per Delfo Zorzi. Oggi cittadino giapponese, non estradabile, con il nome di Hagen Roi, per il coinvolgimento nella strage di Piazza della Loggia.

In data 15 maggio 2008, poi, sono stati rinviati a giudizio sei imputati, tra cui tre esponenti e militanti di spicco di Ordine Nuovo, un capitano del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, oltreché il latitante collaboratore dell’allora Ministro degli Interni Taviani.

Il 21 ottobre 2010, dopo cinque giorni e mezzo di ricostruzione delle accuse, i PM titolari dell’inchiesta, hanno formulato l’accusa di concorso in strage per tutti gli imputati, ad eccezione di Pino Rauti, per il quale è stata, invece, richiesta l’assoluzione per insufficienza di prove, pur emergendone la responsabilità politica e morale.

Il 16 novembre 2010 la Corte D’Assise ha, peraltro, emesso la sentenza di primo grado della terza istruttoria, assolvendo tutti gli imputati (Maggi, Delfino, Tramonte, Zorzi e Rauti) con la formula dubitativa di cui all’art. 530 comma 2 c.p.p., corrispondente alla vecchia formula dell’insufficienza di prove. Oltre alle assoluzioni di Maggi, Delfino, Zorzi e Rauti, i giudici hanno disposto il non luogo a procedere per Tramonte, per intervenuta prescrizione in relazione al reato di calunnia, e revocato la misura cautelare nei confronti dell’ex militante di Ordine Nuovo Delfo Zorzi.

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Dopo quest’ultima sentenza, Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari caduti della strage di Piazza della Loggia ha dichiarato: “I processi per strage non possono più entrare in un’aula di giustizia. Capisco che la verità giudiziaria, diversa da quella storica, sia difficile da trovare, ma a questo punto non è facile avere fiducia nelle istituzioni”.

In occasione della Giornata della Memoria del 9 maggio 2012, il Presidente Napolitano ha commentato la vicenda dicendo che il corso della giustizia dovesse, pur nei limiti in cui era rimasto possibile, continuare con ogni scrupolo e che, nel contempo andasse messo in luce quanto era già emerso, dalle carte processuali e dalle inchieste parlamentari, sulla matrice di estrema destra neofascista di quell’azione criminale e sugli ostacoli che una parte degli apparati dello Stato frappose alla ricerca della verità.

Il 21 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha, infine, annullato le assoluzioni di due degli imputati, Maggi e Tramonte, e confermato quelle di altri due, Zorzi e Delfino.

Quarant’anni e tre inchieste, per arrivare a quest’ultima sentenza. Di quella strage, atto della strategia della tensione che insanguinò l’Italia e fu preludio degli Anni di Piombo, pur essendo stato ricostruito il contesto e identificati ambienti e collusioni in cui l’attentato venne ideato ed organizzato, nonostante la revoca dell’assoluzione per due degli imputati, resta, comunque, il dubbio che manchi ancora la parola fine a una vicenda, che, sul piano giudiziario, ha lasciato i principali autori e complici sostanzialmente impuniti.

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Fiscal compact: la paura (infondata) dei 50 miliardi.

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dal Blog di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano – Blog. Post del 9 aprile 2014

Possiamo mai tagliare 50 miliardi all’anno per un ventennio?”, si chiedeva Beppe Grillo nell’intervista al Fatto di sabato scorso. Risposta: no, perché non è sostenibile e no, perché non è questo che impongono i vincoli di bilancio europei, nonostante ormai si sia affermata l’idea che Fiscal Compact e Six Pack impongano manovre gigantesche ogni anno. Non è così, come spiega bene Franco Mostacci, ricercatore dell’Istat, sul suo sito.

Il cosiddetto Six Pack (regolamenti europei) impone di ridurre di un ventesimo all’anno la parte di debito pubblico che eccede il 60 per cento del Pil. Noi abbiamo il 132 per cento circa e quindi, con un conto a spanne, dovremmo ridurre il debito in valore assoluto di 50 miliardi all’anno. Ma la regola – combinata con il vincolo al rispetto del 3 per cento del deficit/Pil – funziona in un altro modo. L’Italia viene considerata in pari se il debito si sarà ridotto al giusto ritmo tra 2012 e 2014, oppure se lo farà nei due anni successivi oppure ancora se si sarà ridotto del ventesimo tra 2012 e 2014 considerato sia il Pil che il debito corretti per gli effetti della recessione.

Stando così le cose, l’Italia sarà a posto senza bisogno di alcuna manovra se si rispettano i numeri che hanno stimato Istat e Bankitalia: una crescita reale del Pil dello 0,6 nel 2014 e dell’1,2 per cento nel 2015 sarebbe sufficiente, tenendo ferme le altre variabili (purché non salga troppo il debito pubblico, per esempio per pagare gli arretrati della Pubblica amministrazione). È più stringente l’Obiettivo di medio termine (MTO) che riguarda l’indebitamento strutturale, cioè i conti pubblici al netto degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum. Si considera la distanza tra il Pil potenziale (quanto crescerebbe l’economia se corresse senza i freni della crisi e senza stimolare l’inflazione) e il Pil che si registra davvero. Una volta calcolato l’output gap, cioè quanto il Pil è frenato da dinamiche esterne che non dipendono dalle politiche adottate, si calcola il saldo di bilancio corretto per il ciclo, considerando l’elasticità delle entrate alle variazioni di Pil (per ogni 100 euro di Pil in meno, quanti sono gli euro che mancano al Tesoro?). Poi si tolgono le misure una tantum. Et voilà il saldo di bilancio strutturale. La correzione deve essere di almeno 0,5 punti di Pil all’anno, per ottenerla servono tagli duraturi di circa 4-5 miliardi all’anno.

Morale: incrociando le dita, se le previsioni di crescita vengono rispettate, se il debito non sale troppo e se non arriva la deflazione, la gabbia del rigore europeo ci costa circa 5 miliardi all’anno. Che non sono pochi, ma sempre meglio di 50.

Fonte: I blog de Il Fatto Quotidiano