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Selex Es, nasce a Chieti Scalo il polo Finmeccanica per la cyber security.

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Un supercalcolatore firmato Selex Es, azienda che da trent’anni è specializzata nella sicurezza contro i crimini informatici è quello che nella giornata di ieri la controllata di Finmeccanica ha inaugurato a Chieti Scalo, in Abruzzo, alla presenza del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, del numero uno di Selex Es, Fabrizio Giulianini oltreché del presidente di Finmeccanica, Giovanni De Gennaro. All’inaugurazione hanno partecipato anche il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini, il neo eletto presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, ed il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio. Il supercalcolatore di Finmeccanica-Selex Es è al 30/o posto nella lista dei 500 super computer più potenti del pianeta e si colloca nella seconda posizione della classifica mondiale green500 che valuta le infrastrutture di supercalcolo per il loro tasso di efficienza energetica.

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Il centro di eccellenza anti hacker di Chieti è costituito dal Security Operation Center (SOC) e
dall’Open Source Intelligence Center in cui è installato il Supercalcolatore (High Performance Computer). Attraverso queste infrastrutture Selex Es eroga rispettivamente servizi di sicurezza e di Cyber Intelligence per la protezione da attacchi informatici. Il security operation center assicura capacità di situational awareness identificando attività malevole di tipo cyber, analizzandole in maniera dinamica, correlandole con altri eventi e
valutando il rischio associato. Le attività di prevenzione e difesa da pericoli informatici sono basate su allarmi generati dal Soc relativi a scenari di attacco o alla individuazione di nuove vulnerabilità informatiche. «La cyber security è un punto essenziale per la sicurezza strategica del nostro Paese, la sicurezza informatica è un elemento importante nella modernità», ha sottolineato il ministro Alfano.

Il numero uno di Selex Es Giulianini ha poi confermato l’ok della Nato al sistema di cyber security per cui nel 2012 Selex ES, in collaborazione con Northrop Grumman, si è aggiudicata un contratto da 50 milioni di euro. «Abbiamo conseguito l’accettazione da parte della Nato – ha detto Giulianini durante l’inaugurazione – del più grande sistema di cyber security mai assegnato fuori dagli Stati Uniti». Si tratta di un sistema attraverso cui saranno protetti da attacchi informatici «50 siti» dell’Alleanza atlantica «in 28 Paesi». Il sito di Chieti che si occuperà quindi anche di apparati avionici e comunicazioni militari.

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«Registriamo, monitoriamo e preveniamo oltre 400 attacchi informatici di grave entità ogni giorno», ha aggiunto Giulianini ha riferito che, parlando di cifre, ricorda che sono ben 70mila gli utenti Selex. «Ci proponiamo di sviluppare questa capacità e di metterla al servizio del nostro paese e delle nostre istituzioni. Lo stabilimento di Chieti esiste dal 1972, successivamente è stato rinnovato ed ha ricevuto investimenti. Oggi si pone come centro di eccellenza, uno dei tre in Abruzzo insieme a quello di L’Aquila e di Carsoli. Gli addetti in questi centri sono 330, a Chieti circa 160, tutti specializzati in attività altamente tecnologiche». Gli investimenti su Chieti, riferiscono gli addetti della Selex Es, «sono importanti e riguardano diversi milioni di euro».

Redazione BlogNomos
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Scajola e il “dopo Diaz” della polizia.

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da MicroMega 9/5/2014

di Lorenzo Guadagnucci, Comitato Verità e Giustizia per Genova

Claudio Scajola e Gianni De Gennaro condividono il poco lodevole primato d’essere stati responsabili del caso di peggiore gestione dell’ordine pubblico che sia avvenuto in Italia, anzi in Europa, negli ultimi decenni. A Genova durante il G8 del 2001 fu ucciso un cittadino (non accadeva dal ’77), furono violati numerosi articoli della Costituzione, del codice penale e di quello civile, migliaia di persone uscirono schioccate da un episodio di repressione di massa inimmaginabile.

Scajola era all’epoca il ministro dell’Interno, De Gennaro il capo della polizia e responsabile operativo dell’ordine pubblico. Nelle torride giornate genovesi rimasero entrambi a Roma: a presidiare il ministero, com’è tradizione, spiegò Scajola, che si fece tuttavia beffare e scavalcare dal collega Gianfranco Fini, all’epoca vice presidente del Consiglio, protagonista di una famosa, irrituale e ancora misteriosa lunghissima sosta nella centrale operativa dei carabinieri a Genova.

Sia Scajola sia De Gennaro riuscirono a mantenere i loro posti nonostante il disastro e l’enorme discredito che colpì il nostro paese sul piano internazionale. Un discredito, quanto ad affidabilità democratica delle forze dell’ordine, tutt’altro che superato, anche per le scelte che furono compiute nell’immediato, quindi sotto la gestione Scajola, che lasciò il ministero un anno dopo il G8 genovese, nel luglio 2002, a causa di una terribile gaffe a proposito di Marco Biagi, il professore ucciso un mese prima dalle Brigate Rosse e da lui definito, davanti ad alcuni giornalisti, un “rompiscatole”. Di fronte allo scandalo di tanta indelicata affermazione, il premier Berlusconi si vide costretto ad escludere Scajola dal governo (salvo ripescarlo qualche anno dopo).

Fu comunque Scajola a gestire l’immediato dopo-Genova, a compiere e legittimare quelle scelte che sono state il preludio per il disastro successivo, con le clamorose condanne di altissimi dirigenti nel processo Diaz e quelle di decine di agenti e funzionati per le torture nella caserma-carcere di Bolzaneto. Condanne giunte al termine di un durissimo contrasto fra i magistrati inquirenti da un lato, e la polizia di stato e il ministero dell’Interno dall’altro.

Fu sotto la gestione Scajola che prese forma questa velenosa e pericolosa contrapposizione. Gianni De Gennaro fu mantenuto al suo posto e si decise di non ammettere pubblicamente le responsabilità dei vertici di polizia nelle innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute in particolare alla Diaz e a Bolzaneto. I funzionari finiti sotto inchiesta furono mantenuti al loro posto e ci si limitò a trasferire ad altri ruoli il debole questore di Genova Francesco Colucci (condannato poi in primo e secondo grado per falsa testimonianza nel processo Diaz), il potente ma isolato Arnaldo La Barbera (scomparso nel settembre 2002) e Ansoino Andreassi, il vice capo della polizia che si oppose invano alla perquisizione alla Diaz e che sarebbe stato in seguito l’unico alto dirigente a testimoniare in tribunale.

Gianni De Gennaro e il ministro Scajola, in quelle giornate in cui era in gioco la credibilità democratica del nostro paese, scelsero di ignorare i suggerimenti contenuti nel rapporto stilato a caldo da Pippo Micalizio, il dirigente spedito a Genova dal capo della polizia per una prima indagine interna sull’operazione Diaz, il caso che aveva esposto l’Italia a un moto di indignazione internazionale. Il rapporto Micalizio consigliava la sospensione degli alti dirigenti impegnati nell’operazione (i vari Gratteri, Caldarozzi, Luperi, lo stesso La Barbera); la destituzione di Vincenzo Canterini, capo del reparto mobile che per primo entrò nella scuola; l’introduzione di codici di riconoscimento sulle divise degli agenti.

Il rapporto restò chiuso in un cassetto, ma la storia ha dimostrato che Micalizio si comportò con lealtà e obiettività, fornendo buoni consigli: i dirigenti dei quali consigliava la sospensione sono stati processati e condannati in via definitiva e sono attualmente agli arresti domiciliari; la necessità dei codici di riconoscimento, resa evidente dal fatto che tutti i picchiatori della scuola Diaz sono sfuggiti sia alla legge sia a eventuali provvedimenti disciplinari, ha trovato negli anni successivi numerose conferme.

Il ministro Scajola porta dunque la responsabilità politica del corso preso dal “dopo Diaz” della polizia: una strada che ha gettato ulteriore discredito sulla polizia di stato e sulle istituzioni. E dire che il suo mentore Silvio Berlusconi lo aveva salvato, prima del caso Biagi, dagli effetti di un’altra clamorosa gaffe. Nel febbraio 2012, conversando con i giornalisti durante un viaggio in aereo, Scajola era tornato a parlare delle vicende del G8, rivelando di aver dato l’ordine di sparare se sabato 21 luglio, durante la manifestazione conclusiva del Genoa Social Forum, fosse stata violata la zona rossa. Disse testualmente:

“Durante il G8, la notte del morto, fui costretto a dare ordine di sparare se avessero sfondato la zona rossa”. Era un’affermazione sconcertante e quasi eversiva, specie se si considera che durante le giornate di Genova furono sparati almeno una decina di colpi di pistola, oltre a quelli che costarono la vita a Carlo Giuliani. Un ministro, in un ordinamento democratico, non può ordinare agli agenti di sparare, poiché l’uso legittimo delle armi è disciplinato dalla legge e non dai capricci e o dai desideri di un membro del governo. Scajola, in quel febbraio 2002, diceva il vero, cioè diede davvero quell’indicazione, o la sua affermazione fu una smargiassata frutto di un’incredibile superficialità? Nessuna delle due ipotesi gli è favorevole. Ma ci sarebbe voluto il caso Biagi quattro mesi dopo per allontanarlo, finalmente, dal Viminale.

Fonte: MicroMega

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