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Lavoro, il nuovo tempo determinato: Ichino, Tiraboschi, Cazzola, consulenti e agenzie danno i voti alla riforma del contratto

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di Cristiana Gamba, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 aprile 2014

Pietro Ichino, giuslavorista: voto 6
«Va salutato positivamente il fatto che con il decreto Poletti (n. 34/14) si superano alcuni limiti e vincoli in materia di contatto a termine, posti poco opportunamente dalla legge Fornero due fa», spiega il giuslavorista Pietro Ichino.
«Su questa nuova disciplina – continua – potrebbe sollevarsi un dubbio di compatibilità con le regole poste dalla direttiva europea n. 1999/70 per evitare che il contratto a termine diventi la forma normale di assunzione (la questione è dubbia)». Tuttavia, secondo l’esperto, «il vero difetto della nuova norma sta nel fatto che essa accentua l’apartheid normativo tra il mondo degli assunti a termine e quello degli assunti a tempo indeterminato. Questo difetto può essere superato con l’inserire nel decreto-legge la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti; e coll’inserire una disposizione che stabilisca una modesta indennità di cessazione proporzionata all’anzianità, sostitutiva del filtro giudiziale, identica per tempo indeterminato e determinato acausale». E conclude: «Solo in questo modo si otterrà di sdrammatizzare l’alternativa fra le due forme di contratto».

Michele Tiraboschi, giuslavorista: voto 5,5
Per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’efficacia del nuovo contratto così come è stato scritto è più nell’immediato che non a lungo termine. «La liberalizzazione del contratto a tempo determinato – spiega – può avere effetti positivi nel breve periodo in termini di maggiore occupazione; nel lungo periodo, la deregolamentazione del lavoro a termine è sintomatica di una mancanza di visione d’insieme sulle politiche del lavoro e sull’impianto sistematico del diritto del lavoro che, anche a guardare le sorti del contratto di apprendistato, sembra ora scardinato».
Anche Tiraboschi non nega poi il rischio di un potenziale aumento del contenzioso. «Sul piano tecnico – continua – l’intervento presenta diversi profili problematici che daranno luogo a un possibile contenzioso tanto è vero che la liberalizzazione del termine non intacca il principio legislativo della centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato con ciò aprendo la strada a interpretazioni restrittive dei giudici specie sulle proroghe che non solo adeguatamente regolate». Resta infine sullo sfondo il rischio di incompatibilità con la direttiva 99/70/CE derivante dalla rimozione di limiti alla reiterazione di contratti a termine.

Giuliano Cazzola, docente di diritto del lavoro Università ECampus: voto 7+
Sul contenzioso torna Giuliano Cazzola. E spiega: «La riforma del contratto a termine – ammesso che l’impianto innovativo non venga depotenziato – ridurrà certamente il contenzioso. Prima, nella sua genericità, il cosiddetto “causalone” sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali».
Cazzola aggiunge altri motivi, che qualificano il provvedimento. «Se ne rafforza la centralità al momento dell’assunzione sia rispetto al classico contratto standard a tempo indeterminato, sia nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo, adesso, è parecchio a rischio di sanzione dopo le modifiche a ‘’giro di vite” introdotte dalla legge n. 92 del 2012».
Secondo Cazzola «si rende marginale e meno interessante anche il ricorso ad un eventuale contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine ‘’liberalizzato” e molto meno complicato, all’atto della risoluzione».

Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro: voto 7
Piena promozione arriva anche da Luigi Brugnaro, presidente di Assololavoro, l’associazione che raccoglie le agenzie di somministrazione. «L’impianto complessivo della riforma è positivo – dice – perché mira a valorizzare la flessibilità buona di cui la somministrazione rappresenta la forma più avanzata.Spesso si sottovaluta la funzione che la flessibilità svolge a favore della competitività delle imprese». E aggiunge: «Ciò detto è utile sempre ribadire che i posti di lavoro non si creano per decreto, ma attraverso un rilancio complessivo dell’economia».

Marina Calderone, presidente Consiglio nazionale Ordine dei consulenti del lavoro: voto 7
« Il Contratto a termine con queste novità normative è più libero e va maggiormente incontro alle esigenze delle aziende – dice Marina Calderone -. Si tratta di disposizioni che vanno nella direzione della buona flessibilità, anche se per rilanciare l’occupazione è necessario far ripartire l’economia. Per decreto non si creano nuovi posti di lavoro. Anche l’apprendistato sembra avere meno vincoli; ma qualche dubbio sorge sulle disposizioni relative alla formazione pubblica, resa facoltativa ma di competenza delle Regioni. Per evitare potenziali conflitti di profilo costituzionale è necessario intervenire».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Pillole di Jobs Act. Le semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC)

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di Germano De Sanctis

Il dato normativo.

Il Jobs Act inizia a compiere i suoi primi passi. Come è noto, il Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2014 ha suddiviso tale iniziativa governativa in due atti, un decreto legge ed una legge delega. Orbene, sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20-03-2014, è stato emanato il D.L., 20-03-2014, n. 34 ”Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. Tale decreto legge è in vigore dal 21-03-2014.
In particolare, L’art. 4, D.L. n. 34/2014 si occupa delle semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), uno strumento ormai indispensabile in tutti i rapporti con la Pubblica Amministrazione e nell’edilizia privata, oltre che nei rapporti tra privati. Si tratta di una riforma “a costo zero”, in quanto, l’art. 4, comma 6, D.L. n. 34/2014, dispone che, all’attuazione di quanto previsto dell’articolo in questione, le Pubbliche Amministrazioni provvederanno con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

La non immediata applicabilità della norma in questione.

Bisogna subito evidenziare che tale norma non è di immediata applicazione, in quanto, l’art. 4, comma 2, D.L. n. 34/2014 dispone che la sua effettiva operatività è subordinata all’emanazione di un decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e, per i profili di competenza, con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, sentiti INPS e INAIL, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

I criteri che ispireranno le semplificazioni in materia di DURC.

L’esame dell’art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014 rende evidente la volontà del legislatore d’introdurre importanti semplificazioni in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC). Infatti, attraverso il decreto ministeriale in questione, saranno definiti i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica nonché le specifiche ipotesi di esclusione. Il decreto in questione sarà ispirato ai seguenti criteri:
a) la verifica della regolarità in tempo reale riguarderà i pagamenti scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica dovrà essere effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive e comprenderà anche le posizioni dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto operanti nell’impresa (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
b) la verifica dovrà avvenire tramite un’unica interrogazione negli archivi dell’INPS, dell’INAIL e delle Casse Edili che, anche in cooperazione applicativa, opereranno in integrazione e riconoscimento reciproco, indicando esclusivamente il codice fiscale del soggetto da verificare (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
c) nelle ipotesi di godimento di benefici normativi e contributivi saranno individuate le tipologie di pregresse irregolarità di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro, verranno evidenziate gli elementi da considerare ostativi alla regolarità (trattasi del c.d. DURC interno), ai sensi dell’art. 1, comma 1175, Legge, 27-12-2006, n. 296 (cfr., art, 4, comma 2, D.L. n. 34/2014);
d) ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38 (requisiti di ordine generale), comma 1, lett. i) (esclusione dall’appalto o dall’affidamento o dalla fornitura, chi ha commesso violazioni grave definitivamente accertate in materia contributiva), D.Lgs., 12-04-2006, n. 163 (c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”) ed in tutti i casi in cui in luogo del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è prevista l’acquisizione della dichiarazione sostitutiva, non dovrà rilevare la data alla quale l’interessato ha dichiarato di essere in regola ai fini contributivi e assicurativi ovvero la data in cui la dichiarazione è stata resa dall’interessato. In altri termini, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, cesserà l’obbligo di verificare la sussistenza del “requisito di carattere generale” presso la banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dall’art. 62-bis, D.Lgs., 07-03-2005, n. 82. Inoltre, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al secondo comma, saranno abrogate tutte le disposizioni di legge incompatibili con i contenuti dell’art. 4 D.L. n. 34/2014 (cfr., art. 4, comma 3, D.L. n. 34/2014);
e) al fine di garantire l’effettiva operatività delle norme in questione, il predetto decreto ministeriale potrà esere aggiornato annualmente, sulla base delle modifiche normative, o della evoluzione dei sistemi telematici di verifica della regolarità contributiva (cfr., art. 4, comma 4, D.L., n. 34/2014).

La smaterializzazione del DURC.

Secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 1, D.L. n. 34/2014, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, chiunque vi abbia interesse potrà verificare con modalità esclusivamente telematiche ed in tempo reale la regolarità contributiva nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell’edilizia, nei confronti delle Casse Edili. L’esito dell’interrogazione avrà validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituirà ad ogni effetto il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), ovunque previsto, fatta eccezione per le ipotesi di esclusione individuate dal citato decreto ministeriale.

In altri termini, l’art. 4 D.L. n. 34/2014 prevede la smaterializzazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), il quale, come visto, sarà possibile ottenere in tempo reale. In particolare, la verifica della regolarità in tempo reale riguarderà i pagamenti scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive e comprenderà anche le posizioni dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto che operano nell’impresa.

Nell’attesa di conoscere il contenuto del decreto ministeriale, appare evidente la necessità di coordinare le disposizioni operative con le norme che regolano la “compensazione”, ai fini della regolarità, dei debiti contributivi con i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati, dal soggetto destinatario del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), nei confronti della Pubblica Amministrazione. Infatti, resta insoluta la questione relativamente alla permanenza o meno dell’obbligo di attivarsi in capo al soggetto che vanta il credito, così come pare probabile.

Analogo ragionamento è riscontrabile per quanto concerne il c.d. DURC interno, ai fini dell’applicazione di eventuali benefici contributi e normativi, con la particolarità che, per tale ipotesi, i criteri per l’emanazione del decreto ministeriale attuativo prevedono che dovranno essere individuate le irregolarità pregresse che costituiranno cause ostative alla regolarità.

Infine, resta oscuro con quale modalità s’inserirà la procedura che prevede, prima di dichiarare lo stato di irregolarità (c.d. DURC negativo), l’invito al soggetto inadempiente, da parte dell’ente interessato, di sanare il debito entro il termine massimo di 15 giorni o, in mancanza, di accedere alla richiesta del documento che attesti uno p più crediti certi d’importo almeno pari al debito contributivo complessivo.

Sovvenzioni, contributi e sussidi.

L’art., 4, comma 5, D.L. n. 34/2014, modificando l’art. 31, comma 8-bis, D.L., 21-06-2013, n. 69 (c.d. Decreto del Fare), convertito, con modificazioni, dalla Legge, 09-08-2013, n. 98, ha precisato che, per quanto concerne l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, vantaggi economici, di qualunque genere:
a) deve essere sempre richiesta dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, dal 21-02-2014) l’acquisizione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC);
b) risulta sempre applicabile la disposizione che regola l’intervento diretto del committente pubblico a sanare le inadempienze contributive del suo appaltatore/subappaltatore, trattenendo dal certificato di pagamento l’importo corrispondente alle citate inadempienze.

Pillole di Jobs Act. La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

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di Germano De Sanctis

 Il dato normativo.

Dopo tante indiscrezioni ed anticipazioni a mezzo stampa, cominciano a trapelare le prime bozze del decreto legge e del disegno di legge delega che costituiranno l’ormai famoso Jobs Act. In particolare, l’articolo 2 del disegno di legge in questione concentra la sua attenzione sulla delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive.

Il primo comma della norma in questione, persegue lo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, previa intesa in sede di Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’art. 3 D.Lgs. 28-08-1997, n. 281, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive. In mancanza della predetta intesa nel termine di cui all’art. 3 del citato D.Lgs. n. 281/1997, il Consiglio dei Ministri provvederà con deliberazione motivata ai sensi del medesimo articolo 3.

Invece, il secondo comma della norma in esame, specifica che, nell’esercizio della delega di cui al primo comma, il Governo si deve attenere ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) razionalizzazione degli incentivi all’assunzione esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;

b) razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale volta a costituire il punto di riferimento anche per gli interventi posti in essere da regioni e province autonome;

c) istituzione, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. 30-07-1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provveda con le risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente;

d) coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali dell’azione dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione;

e) attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione delle competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI;

f) razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle regioni e delle province, operano in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali, allo scopo di evitare sovrapposizioni e di consentire l’invarianza di spesa, mediante l’utilizzo delle risorse umane e strumentali già disponibili a legislazione vigente;

g) possibilità di far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f) nonché di altre Amministrazioni Pubbliche;

h) rafforzamento delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche e dei servizi;

i) valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati, al fine di rafforzare le capacità d’incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedendo, a tal fine, la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego;

l) introduzione di modelli sperimentali, che prevedano l’utilizzo di strumenti per incentivare il collocamento dei soggetti in cerca di lavoro e che tengano anche conto delle esperienze più significative realizzate a livello regionale;

m) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e l’INPS, sia a livello centrale che a livello territoriale;

n) previsione di meccanismi di raccordo tra l’Agenzia Nazionale per l’Occupazione e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità;

o) mantenimento in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale;

p) mantenimento in capo alle Regioni e Province Autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;

q) attivazione del soggetto che cerca lavoro, in quanto mai occupato, espulso o beneficiario di ammortizzatori sociali, al fine di incentivarne la ricerca attiva di una nuova occupazione, secondo percorsi personalizzati, anche mediante l’adozione di strumenti di segmentazione dell’utenza basati sull’osservazione statistica;

r) valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate;

s) completamento della semplificazione amministrativa in materia di lavoro e politiche attive, con l’ausilio delle tecnologie informatiche, allo scopo di reindirizzare l’azione dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive.

Innanzi tutto, la norma in esame si caratterizza per aver concesso al Governo soltanto sei mesi, per l’esercizio della delega ad emanare, su proposta del Ministro del Lavoro, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive, allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale ed assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine, è stata anche prevista una intesa preventiva “debole” in Conferenza Stato- Regioni ex D.Lgs. 281/1997.

 Abbiamo visto poc’anzi come, il secondo comma dell’art. 2 abbia individuato analiticamente i criteri e i principi identificati per l’esercizio della delega. In particolare, alcuni di essi merito qualche ulteriore considerazione specifica.

La razionalizzazione degli incentivi all’assunzione.

La lettera a) del secondo comma in questione prevede la razionalizzazione degli incentivi all’assunzione, con l’intento di collegarli e/o modularli, sulla base di parametri statistici, alle caratteristiche del soggetto in relazione alla distanza ed al suo grado di difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro. Tale previsione normativa sembra richiamare, anche se in modo indiretto, le attività di profilazione dell’utenza previste dalla c.d. “Garanzia Giovani”, nell’ambito del sistema dei servizi per il lavoro, le quali sono, tuttavia, ancora in corso di definizione. Appare evidente come il successo di questa norma sia strettamente legato alla espressa previsione di un ampio margine di flessibilità e di adattabilità in relazione al contesto territoriale di riferimento. In altri termini, in sede di esercizio della delega, appare necessario concedere alle Regioni il maggior livello possibile di discrezionalità, nello spirito di una sana sussidiarietà verticale. Siffatta ultima considerazione trova conforto nell’ulteriore richiamo operato verso il sistema di profilazione riscontrabile nel disposto della lettera q), dove viene ribadito il principio, già codificato nella normativa vigente (cfr., D.Lgs. n. 181/2000 ss.mm.ii.) e, di recente, confermato dalle Linee Guida condivise per la regolazione e la gestione dello stato di disoccupazione approvate in Conferenza Stato- Regioni in data 05-12-2013, dell’attivazione del soggetto disoccupato/inoccupato (beneficiario o non di ammortizzatori sociali) per la ricerca attiva di una nuova occupazione, nell’ambito di una presa in carico personalizzata.

La razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità.

La lettera b) prevede espressamente la razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego ed autoimprenditorialità, con la previsione di una cornice giuridica nazionale quale riferimento anche per l’attuazione degli interventi regionali. A tal proposito, si evidenzia che, già nell’ambito dell’istruttoria realizzata dalla IX Commissione sul D.L. n. 76/2013, in relazione agli incentivi ivi previsti, le Regioni avevano evidenziato in generale la necessità di prevedere delle forme di raccordo, in merito al campo di applicazione degli incentivi con gli altri esistenti a livello statale e regionale. La norma in questione pare recepire questa istanza, tanto è vero che, la lettera n) dispone l’introduzione di meccanismi di raccordo tra gli enti che, a livello nazionale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e autoimprenditorialità e la costituenda Agenzia Nazionale per l’Occupazione.

L’Agenzia Nazionale per l’Occupazione.

Proprio relativamente ai meccanismi di raccordo, appare particolarmente rilevante la previsione contenuta nella lettera c), la quale statuisce l’istituzione di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione. Si tratta di un organismo posto sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e partecipato da Stato, Regioni e Province Autonome. La norma si inserisce nell’alveo di una linea di intervento sovente ventilata dal legislatore nazionale sin dalla legislatura precedente e, da tempo, oggetto di confronto anche con le Regioni. Infatti, si ricorda che l’ipotesi di una Agenzia Nazionale per l’Occupazione era fugacemente apparsa anche nelle bozze intermedie del D.L. n. 76/2013 (cfr., articolo 5).

D’altro canto, si sottolinea la scelta legislativa di annoverare nella composizione dell’Agenzia i soli soggetti istituzionali Stato, Regioni e Province Autonome, limitando, alla lettera d), il ruolo delle parti sociali alla sola definizione delle linee di indirizzo. Si tratta di una differenza sostanziale con i precedenti tentativi di analogo tenore, ove erano state previste forme più allargate di partecipazione , relativamente alle quali erano state sollevate molte critiche da parte delle Regioni.

Per quanto concerne l’organico da far confluire nell’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, si ricorda che la lettera c) ha specificato il fatto che il nuovo organismo debba essere istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che al suo funzionamento si debba provvedere tramite le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente. A tal proposito, il combinato disposto della lettera f) e della lettera g), prevede una razionalizzazione degli enti ed uffici che, anche all’interno del Ministero del Lavoro, delle Regioni e delle Province, operano in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l’impiego e ammortizzatori sociali.

Appare evidente come la costituzione di tale Agenzia Nazionale per l’Occupazione possa comportare una invasione di competenze , con particolare riguardo alla possibilità di un intervento sugli uffici regionali. Pertanto, sarà fondamentale che il legislatore nazionale, nell’esercizio della delega, preveda adeguate forme di raccordo con la parallela attività di revisione costituzionale dell’assetto delle Province. Tale necessità appare ancor più necessaria se si considera il fatto che la lettera e) statuisce l’unificazione in capo all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione delle funzioni relative alle politiche attive del lavoro, ai servizi per l’impiego ed agli ammortizzatori sociali e la successiva lettera m) rinvia a meccanismi di raccordo tra Agenzia Nazionale per l’Occupazione ed INPS.

Abbiamo appena detto che la lettera e) dispone l’attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione di competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI. Si tratta di una previsione normativa particolarmente rilevante, sia per la sua portata operativa, sia per gli effetti che essa produrrà nei confronti dei rapporti istituzionali esistenti tra Stato, Regioni e Province Autonome. Tale considerazione appare ancor più evidente se si considera quanto previsto alla lettera o), la quale stabilisce il mantenimento in capo al Ministero del Lavoro delle competenze in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale. Siffatta rilevanza della lettera e) emerge ancor di più se la si raccorda con la previsione contenuta nella lettera p), la quale prevede il mantenimento in capo alle Regioni e Province Autonome delle competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro. In altri termini, siamo di fronte ad un complesso sistema di delega al legislatore, in virtù del quale varierà significativamente il sistema dei rapporti istituzionali sul versante delle materie afferenti al lavoro. Si ricorda che tali materie sono attualmente ricomprese nella potestà legislativa concorrente ed, al netto dei possibili scenari di evoluzione istituzionale legati alle ipotesi di modifica della Carta Costituzionale, il quadro delineato dalla legge delega appare sostanzialmente in linea con la normativa vigente, seppur modificando significativamente il baricentro decisionale a favore dell’Amministrazione Statale. Pertanto, sarà fondamentale che, nella individuazione dei compiti attribuiti all’Agenzia Nazionale per l’Occupazione, venga preservato il ruolo delle Regioni nella definizione, programmazione e attuazione delle politiche attive aventi dirette ricadute sul territorio, nonché nella gestione degli interventi in materia di occupazione nei confronti dei cittadini. Infatti, tali compiti istituzionali rappresentano una competenza prioritaria regionale, rispetto al quale lo Stato, nell’ambito di linee condivise e nel rispetto dei LEP, può ben svolgere una funzione di supporto e di sostegno, ma non sostitutiva delle Regioni stesse. In particolare, con riferimento alla formazione professionale, quale materia a potestà legislativa esclusiva delle Regioni e che sembrerebbe non essere coinvolta dagli attuali progetti di revisione della Costituzione, si rileva nella formulazione della delega al Governo il rischio latente di un’invasione di competenze regionali da parte dello Stato.

La definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per l’impiego.

Nell’ambito della valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e servizi privati, la lettera i) prevede la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per l’impiego. Rispetto a tale principio, si ricorda che nella normativa vigente contenuta nel D.Lgs. n. 276/2003, il regime di accreditamento degli operatori per lo svolgimento dei servizi per il lavoro risulta essere una competenza regionale, accanto al regime di autorizzazione nazionale. Appare, quindi, evidente la necessità che l’attuazione di tale criterio avvenga secondo linee condivise e in modo non invasivo rispetto a quanto già disciplinato sul territorio. Si tratta di una materia delicata che, dopo, quasi dieci anni di “messa a regime”, comincia a dare i primi segnali di definizione normativa ed istituzionale. Un intervento non rispettoso delle discipline approvate dalle singole Amministrazioni Regionali comporterebbe soltanto confusione in capo ai cittadini che accedono ai servizi per il lavoro.

La valorizzazione del sistema informativo del lavoro, in un’ottica di completamento della semplificazione amministrativa.

Il combinato disposto della lettera r) e della lettera s) dispone espressamente la valorizzazione del sistema informativo del lavoro, in un’ottica di completamento della semplificazione amministrativa, attraverso l’ausilio ed il reindirizzo dei servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e nel monitoraggio delle prestazioni erogate. Tale principio, da una parte, si pone in continuità con il lavoro svolto, da tempo, dalle Regioni e dalle Province Autonome nell’ambito del Tavolo tecnico interistituzionale SIL, anche con particolare riferimento alle ultime attività sviluppate sul versante dell’attuazione della c.d. “Garanzia Giovani”, in relazione agli aspetti gestionali ed all’aggiornamento della scheda anagrafico-professionale dell’utente dei servizi. D’altra parte, il principio in questione si collega ai profili di attuazione della Banca Dati delle Politiche Attive e Passive del Lavoro, prevista dall’art. 8 D.L. n. 76/2013, la quale, tuttavia, non è ancora stata realizzata. In altri termini, appare necessario procedere ad una immediata ed efficace implementazione degli strumenti in questione, affinché la previsione contenuta nella delega in questione non si trasformi, di fatto, in una mera affermazione programmatica.

 

Pillole di Jobs Act. L’apprendistato.

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di Germano De Sanctis

La finalità dell’intervento riformatore in materia di apprendistato.

Nel corso del Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, il Governo ha varato il tanto atteso provvedimento in materia di riforma del lavoro, meglio conosciuto come Jobs Act. Come è noto, si tratta della combinata emanazione di un decreto legge e di un disegno di legge delega.

In particolare, il decreto legge interviene anche sul contratto di apprendistato, con l’intento di attenuare le rigidità introdotte all’istituto dell’apprendistato dalla Legge. n. 92/2012 (c.d “Riforma Fornero”), le quali lo hanno reso meno facilmente utilizzabile rispetto alla sua originaria formulazione contenuta nel D.Lgs. n. 167/2011 (c.d. “Testo Unico dell’Apprendistato”).

Lo scorso 15 marzo, le anticipazioni governative sull’apprendistato, divulgate subito dopo il Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso, sono state oggetto di un comunicato del Ministero del Lavoro, il quale ha ulteriormente specificato alcuni passaggi che sono risultati essere particolarmente controversi.

L’abrogazione dell’obbligo della forma scritta per il piano formativo.

Il decreto legge prevede l’abrogazione della necessità di redigere in forma scritta il piano formativo individuale. La forma scritta permane esclusivamente per il contratto di apprendistato tout court e per il patto di prova.

L’abrogazione dell’obbligo di forma scritta per il piano formativo individuale rischia di snaturare il rapporto di apprendistato stesso, in quanto una sua assenza potrebbe comportare una più facile elusione del suo momento formativo.

L’abrogazione della quota percentuale di apprendisti da stabilizzare.

Inoltre, è prevista l’abrogazione dell’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, D.Lgs. n. 167/2011, introdotti dalla Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), con la conseguenza che vengono eliminate le previsioni normative, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è condizionata alla conferma in servizio di una ben determinata quota percentuale di precedenti apprendisti al termine del loro percorso formativo (fissata al 30% fino al 2015, per, poi, salire al 50%).

Tale previsione normativa non è stata coordinata con la disciplina di settore prevista dalla contrattazione collettiva, la quale non risulta essere minimamente condizionata dalla novella in questione. In altri termini, fin quando permarranno i vincoli di stabilizzazione contenuti nei contratti collettivi, tale norma rischia di rimanere una mera affermazione di principio.

Gli interventi in materia di apprendistato di primo livello.

Il decreto legge interviene anche in materia di apprendistato di primo livello, cioè quella forma di apprendistato finalizzata al conseguimento di un diploma o di una qualifica.

Infatti, in vista dell’ormai prossima sperimentazione biennale (anni 2013-2015) dell’apprendistato a scuola contenuto nel c.d. “Decreto Carrozza”, è stata prevista una norma a favore delle imprese, la quale stabilisce che la parte di retribuzione dell’apprendista concernente le ore di formazione, debba essere pari al 35% della retribuzione del livello di inquadramento.

Gli interventi in materia di apprendistato di secondo livello.

Per quanto concerne l’apprendistato di secondo livello, il decreto legge elimina l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione professionalizzante, con la formazione trasversale e di base contenuta nell’offerta formativa pubblica, diventando quest’ultima un mero elemento discrezionale.

Di conseguenza, scompare l’obbligatorietà, per il datore di lavoro, di assicurare all’apprendista di secondo livello una formazione «pubblica» avente carattere trasversale e di base, ovvero di garantirgli la frequenza dei corsi regionali, qualora essi risultino istituiti, oppure di organizzarglieli ad hoc. L’immediata conseguenza di tale previsione normativa consisterà nel fatto che la formazione trasversale e di base, perdendo la sua natura obbligatoria, smetterà di essere oggetto di sanzioni cospicue (anche in termini di contributi versati).

Tale eliminazione dell’obbligatorietà della formazione pubblica può creare seri problemi con l’Unione Europea, atteso che l’apprendistato gode di sgravi contributivi proprio in virtù della sua valenza formativa. In altri termini, rendere la formazione pubblica soltanto eventuale comporta il rischio fondato che i predetti sgravi siano ritenuti dall’Unione Europea non più giustificabili, alla luce della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.

Pillole di Jobs Act. Il contratto di lavoro a tempo determinato senza causale

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di Germano De Sanctis

Premessa.

Il decreto legge varato nel corso del Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso ha apportato significative modifiche al contratto di lavoro a tempo determinato, suscitando numerose polemiche provenienti, sia dal fronte sindacale, che da quello degli studiosi del diritto.

Pertanto, il Governo è nuovamente intervenuto sul disegno di decreto legge in questione, rettificando quanto già annunciato dopo il citato Consiglio dei Ministri, al fine di assicurare forme di tutela più consistenti per i lavoratori interessati.

Pertanto, sarà bene esaminare la “nuova ed ulteriore” forma giuridica assunta da contratto di lavoro a tempo determinato nell’arco di così pochi giorni.

Il primo contratto a causale.

Prima di quest’ultima novella, era possibile sottoscrivere un contratto di lavoro a tempo determinato senza causale soltanto a condizione che esso non durasse più di dodici mesi e che esso fosse il primo contratto stipulato tra le parti contraenti (cfr., art. 1, comma 1-bis, lett. a), D.Lgs. n. 368/2001). L’assenza di una causale nel contratto in questione consiste nella possibilità riconosciuta in capo al datore di lavoro di non specificare le motivazioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che lo inducono ad apporre un termine al rapporto. Orbene, tale limite di dodici mesi è stato elevato a trentasei mesi, facendo, in tal modo, coincidere l’assenza di causale con la durata massima di tre anni del contratto di lavoro a tempo determinato prevista dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001.

È bene sottolineare che il  Governo ha ritenuto opportuno optare per tale scelta, in quanto è stato riscontrato che la causale costituisce il motivo principale della maggior parte dei contenziosi esistenti in materia di lavoro a tempo determinato.

Chiaramente, l’elevazione del tetto a trentasei mesi continua ad interessare esclusivamente il primo contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra il datore di lavoro ed il lavoratore interessato.

Di conseguenza, nel caso in cui il primo contratto abbia una durata inferiore a trentasei mesi, è sempre possibile prorogarlo fino a tale limite, ma, a questo punto, il datore di lavoro non è più agevolato dalla “acausalità” del rapporto di lavoro e deve necessariamente specificare le “ragioni oggettive” sottese all’estensione contrattuale.

Il numero massimo delle proroghe

Inoltre, il Governo ha, in un primo momento, privilegiato la possibilità di prorogare più volte il contratto di lavoro a tempo determinato entro il limite di tre anni, purché ne sussistano “ragioni oggettive” e faccia riferimento alla medesima attività lavorativa.

La decisione iniziale di non prevedere una durata minima ai contratti di lavoro a tempo determinato che si sarebbero succeduti nell’arco del triennio, avrebbe potuto comportare un frazionamento intollerabile per i lavoratori.

Infatti, qualche commentatore ha subito evidenziato che, per assurdo, se un datore di lavoro avesse voluto stipulare soltanto contratti di durata settimanale, il lavoratore interessato sarebbe stato oggetto di ben 156(!) assunzioni consecutive nell’arco di trentasei mesi.

A fronte di questi rilievi, è intervenuta una nota del Ministero del Lavoro, la quale ha chiarito che è prevista la possibilità di prorogare fino ad un massimo di otto volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni. Inoltre, la nota ministeriale ha specificato che le proroghe in questione sono ammissibili a condizione che esse si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. In altri termini, i contratti di lavoro a tempo determinato intercorrenti tra un lavoratore ed un datore di lavoro nell’arco di trentasei mesi, non possono avere una durata inferiore a quattro mesi e mezzo ciascuno.

La correzione apportata permette di tutelare il lavoratore a tempo determinato che ha concluso il suo rapporto di lavoro, attraverso il ricorso al nuovo sussidio di disoccupazione universale (la c.d. NASPI). Infatti, tale nuova assicurazione, pur prevedendo un enorme ampliamento della platea dei suoi beneficiari rispetto agli attuali ammortizzatori sociali, dovrebbe essere comunque essere corrisposta a favore di coloro che hanno terminato un rapporto di lavoro durato almeno tre mesi. Pertanto, i lavoratori a tempo determinato, avendo il riconoscimento giuridico di almeno quattro mesi e mezzo di lavoro consecutivi, saranno tutelati con un sostegno al loro reddito.

L’eliminazione delle pause lavorative tra un contratto e l’altro.

In aggiunta a quanto finora esaminato, bisogna sottolineare il fatto che il decreto legge in questione ha abrogato anche la previsione normativa che prevedeva la pausa di dieci giorni o venti giorni tra un contratto di lavoro a tempo determinato e l’altro, a seconda del fatto che il contratto concluso avesse avuto una durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi (cfr., art. 5, comma 3 D.Lgs. n. 368/2001).

Pertanto, dato che la durata massima del contratto di lavoro a tempo determinato resta fissata in trentasei mesi (superati i quali, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato) e che fra un contratto e l’altro non esiste più l’obbligo di una pausa di dieci o venti giorni, ne consegue che, nel rispetto del citato tetto massimo di otto proroghe (mentre, lo ricordiamo, la Legge n. 92/2012 ne prevedeva una sola), i rinnovi possono essere uno successivo all’altro, senza alcuna interruzione dell’attività lavorativa.

Il limite nell’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato.

Infine, il decreto legge in questione ha introdotto un limite massimo all’utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato presso ciascun datore di lavoro. Infatti, i lavoratori a tempo determinato non possono eccedere la quota del 20% dell’organico complessivo del datore di lavoro.

Con la nota ministeriale, si evidenzia che il decreto legge fa, comunque, salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, D.lgs. n. 368/2001, il quale, da un lato riconosce alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo e, dall’altro, tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità.

Sempre relativamente al tetto massimo in questione, la nota ministeriale ha volto la sua attenzione nei confronti delle realtà imprenditoriali più piccole ed ha previsto che le imprese che occupano fino a cinque dipendenti possono comunque stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato con un solo lavoratore.

La permanenza di varie criticità.

L’esame della novella dell’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato evidenzia un numero pari di luci ed ombre.

Infatti, da un lato, appare evidente la volontà di rendere appetibile una forma contrattuale che, pur costituendo una forma di precariato, è comunque in grado di garantire, sebbene per un limitato lasso temporale, le medesime tutele retributive e contributive dei lavoratori subordinati ex art. 2094 c.c.. Infatti, appare evidente il ragionamento svolto dal legislatore, basato sulla convinzione che, eliminando alcuni dei vincoli burocratici introdotti dalla Legge, n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”), sarà possibile aumentare il numero delle assunzioni di lavoratori subordinati.

Dall’altro lato, si deve riscontrare l’introduzione di fatto di un periodo di prova della durata di tre anni, durante il quale è possibile il licenziamento del lavoratore senza preavviso, essendo i lavoratori a tempo determinato protetti dalla normativa in materia di licenziamento soltanto durante la vigenza del rapporto contrattuale. Si ricorda che tale limitazione era compensata dall’abrogata (con il presente decreto legge) previsione contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001 di poter stipulare al massimo due rinnovi dello medesimo contratto con lo stesso datore di lavoro nell’arco di un triennio. Invece, si potrebbe assumere un lavoratore con contratti della durata anche di soli quattro mesi e mezzo, comportando la possibilità di ben otto assunzioni consecutive nell’ambito dei tre anni di durata massima del rapporto di lavoro a tempo determinato.

In altri termini, si corre il rischio che una novella introdotta per favorire l’occupazione possa essere utilizzata in maniera distorta ed eversiva, comportando un’ulteriore accentuazione del dualismo esistente tra contratti di lavoro a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato.

Non resta che aspettare l’evoluzione che avrà la novella in questione in sede di conversione del decreto legge in legge, auspicando che il Parlamento intervenga nei punti maggiormente “critici”, garantendo un equo contemperamento tra le esigenze di tutela dei lavoratori e le necessità produttive dei datori di lavoro.

Una prima analisi del contenuto del Jobs Act.

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di Germano De Sanctis

Dopo tanta attesa, è stato finalmente reso noto il contenuto del Jobs Act. A sorpresa, il Governoha abbandonato l’idea di riformare il mercato del lavoro a colpi di decreto legge ed ha scelto una strada diversa. Infatti, il Consiglio dei Ministri del 12 marzo ha licenziato un disegno di legge delega al Governo, avente ad oggetto unaa riforma del mercato del lavoro, che demolisce l’intero impianto normativo delineato dalla c.d. legge Fornero.

In particolare ildisegno di legge delega prevede il conferimento in capo al Governo di specifiche deleghe finalizzate all’introduzione di misure aventi ad oggetto la riforma della disciplina degli ammortizzatori sociali, la riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive, la semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, il riordino delle forme contrattuali, il miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita.

Contestualmente, il Consiglio dei Ministri ha anche varato anche un decreto legge avente ad oggetto alcuni interventi di semplificazione sul contratto a tempo determinato e sul contratto di apprendistato, finalizzati a renderli più coerenti con le esigenze attuali del contesto occupazionale e produttivo.

Non bisogna dimenticare, che l’intero pacchetto varato dal Consiglio dei Ministri deve essere “messo a sistema”, con la c.d. “Garanzia Giovani”, che dovrebbe partire il 30 marzo p.v. e che interesserà i giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni, non occupati e non coinvolti in alcun percorso formativo o d’istruzione. Si tratta di un programma comunitario del valore di 1,5 miliardi di euro che durerà fino alla fine del 2015. Lo scopo di tale iniziativa comunitaria consiste nell’offrire ai giovani interessati un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato, di tirocinio o di altra misura di formazione, entro quattro mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione.

Appare evidente come la scelta di affidare gran parte delle riforme in questione ad un disegno di legge delega diluisca, nel tempo, l’impatto sul mercato del lavoro dell’attività riformatrice, in quanto bisognerà attendere, in primo luogo, l’approvazione del disegno di legge in questione da parte del Parlamento, e successivamente l’attuazione governativa della delega concessa attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi

Fatta questa premessa, esaminiamo meglio, nel dettaglio, le novita contenute nei due citati provvedimenti, raggruppando gli argomenti per aree tematiche.

Il contratto di lavoro a tempo determinato.

Per il contratto a tempo determinato viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, per il quale non è richiesto il requisito della c.d. causalità.

Al fine di mantenere in equilibrio il sistema delle tutele, viene fissato un tetto massimo per i contratti di lavoro a tempo determinato, pari al 20% del totale dei dipendenti del datore di lavoro.

Inoltre, si prevede la possibilità di prorogare anche più volte il contratto di lavoro a tempo determinato, ovviamente entro il limite dei tre anni, sempre che sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa.

Tale novella legislativa avrà un enorme impatto sul mercato del lavoro, in quanto il contratto di lavoro a tempo determinato interessa attualmente il 58% dei lavoratori italiani.

Il contratto di apprendistato.

Per il contratto di apprendistato, si prevede l’obbligo della forma scritta per il solo contratto e per il patto di prova, e non, come ora previsto, anche per il relativo piano formativo individuale.

Inoltre, sono state eliminate le vigenti previsioni, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla trasformazione in lavoratori subordinati dei precedenti apprendisti al termine del percorso formativo.

Si è anche previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale dinquadramento.

Scompare l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.

In altri termini, il decreto legge in questione, prova a rendere più appetibile il contratto di apprendistato, il quale attualmente interessa soltanto il 10% dei rapporti di lavoro in essere.

La smaterializzazione del DURC.

Viene previsto uno specifico intervento di semplificazione amministrativo, avente ad oggeto la smaterializzazione del DURC.

L’intento è di superare l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese.

Secondo le stime del Governo, il provvedimento in questione avrà un impatto di grande rilevanza, tenendo conto del fatto che, nel corso dell’anno 2013. sono stati presentati circa 5 milioni di DURC.

Le delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali.

Tale delega persegue lo scopo di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, prevedendo, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale.

Questo nuovo sistema dovrebbe essere in grado di garantire il coinvolgimento attivo di tutti coloro che sono stati espulsi dal mercato del lavoro, o che risultino essere beneficiari di ammortizzatori sociali.

Inoltre, l’intero riformatore dovrà semplificare le procedure amministrative e dovrà ridurre gli oneri non salariali del lavoro.

Per raggiungere tutti questi obiettivi, la delegaha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali, escludendo i casi di cessazione aziendale;

  2. semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione;

  3. prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;

  4. rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;

  5. prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;

  6. prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;

  7. rimodulare l’ASPI, omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;

  8. incrementare la durata massima dell’ASPI per i lavoratori con carriere contributive più significative;

  9. estendere l’applicazione dell’ASPI ai lavoratori con contratti di collaborazione a progetto, prevedendo, in una fase iniziale, un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite;

  10. introdurre massimali correlati alla contribuzione figurativa;

  11. valutare la possibilità che, dopo l’ASPI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;

  12. eliminare la previsione normativa che impone lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso alle prestazioni di carattere assistenziale.

Nell’esercizio di tale delega dovranno essere individuati i meccanismi necessari per assicurare il coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di prestazioni di integrazione salariale, ovvero di misure di sostegno in caso di disoccupazione, al fine di favorirne lo svolgimento di attività in favore della comunità locale di appartenenza.

La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive.

La delega in questione intende garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché vuole assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione degli incentivi all’assunzione già esistenti, i quali dovranno essere collegati a specifiche caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;

  2. razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;

  3. istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tale Agenzia avrebbe l’attribuzione di compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI e si connoterebbe anche per il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Sono, altresì, previsti meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’INPS, sia a livello centrale, che a livello territoriale, così come sono previsti ulteriori meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli Enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità. Il ruolo di tale Agenzia potrebbe essere molto interessante nell’ambito della poc’anzi citata “Garanzia Giovani”;

  4. razionalizzazione degli enti e delle strutture, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego, allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;

  5. rafforzamento e valorizzazione dell’integrazione pubblico/privato, al fine di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;

  6. conferma del ruolo svolto dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;

  7. conferma delle competenze delle Regioni e delle Province Autonome in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;

  8. promozione di azioni volte al coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;

  9. valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e del monitoraggio delle prestazioni erogate.

La delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti.

Questa specifica delega intendeperseguire la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;

  2. eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;

  3. unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi (ad es., gli infortuni sul lavoro), ponendo a carico delle stesse Amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;

  4. promozione delle comunicazioni in via telematica ed abolizione dell‘obbligo di tenuta di documenti cartacei;

  5. revisione delsistema sanzionatorio, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e che favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);

  6. individuazione delle modalità organizzative e gestionali capaci di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;

  7. revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino.

La delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali.

Lo scopo di tale delega consiste nella volontà di rafforzare le opportunità dingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. individuazione ed analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, al fine di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;

  2. redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che preveda anche l’introduzione, eventualmente in forma sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;

  3. introduzione, eventualmente anche in forma sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali;

  4. abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando le eventuali duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

La delega al Governo in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze genitoriali.

Tale delega vuole garante una effettiva conciliazione tra i tempi di vita ed i tempi di lavoro dei genitori. In particolare, il Governo vorrebbe raggiungere l’obiettivo di garantire alle donne un sistema di conciliazione tale da non costringerle a scegliere fra l’accudimento dei figli e la permanenza nel mondo del lavoro.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. introduzione di un’indennità di maternità a carattere universale, la quale, pertanto, interesserà anche le lavoratrici che versano i propri contributi alla gestione separata;

  2. garantire il diritto alla prestazione assistenziale a favore delle lavoratrici madri parasubordinate, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;

  3. abolizione della detrazione per il coniuge a carico ed introduzione del c.d. tax credit, inteso quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;

  4. incentivazione degli accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;

  5. integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle imprese nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.

Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all’attacco del premier per paura di diventare irrilevanti

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Fonte: Huffington Post
di Giacomo Galanti

Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n’è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all’angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l’antica concertazione.

Allora viene quasi automatico chiamare “nuovo” Pd il partito guidato da Renzi come il new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.

Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l’unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. “Il perire della Cgil – ha detto – corrisponde al perire nostro”. Il segretario della Cisl attacca “i populisti della politica” e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono “essere diversi sì, ma non avere l’esigenza di staccarsi – ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato”.

E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: “Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri”. Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l’austero Mario Monti – che comunque li convocava anche se a cose già fatte – piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.

Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione ‘privilegiata’, è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.

Tanto che Camusso rispedisce al mittente l’accusa di “antichità”: “Devo dire – ha spiegato – che per chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria”. “Nella nostra memoria – ha aggiunto il segretario della Cgil – penso che di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse”. “Ma in realtà – ha continuato – con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni”. La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.

Governo-Sindacati: dialogo tra sordi?

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di Michele De Sanctis

Il braccio di ferro tra Renzi e Susanna Camusso, che negli ultimi giorni ha esacerbato le polemiche scaturite dalla divulgazione del Jobs Act, merita alcune brevi osservazioni, nell’imminenza della presentazione ufficiale del ddl lavoro.
Sebbene i rapporti tra sinistra e CGIL siano sempre stati ispirati da un tacito principio collaborazionista, negli ultimi anni, complice la crisi e le pressanti richieste della trojka, abbiamo assistito a un decisivo cambiamento di rotta fino ad arrivare all’attuale premier che non si fa scrupolo nel dichiarare le sue intenzioni di procedere nel cammino delle riforme promesse con o senza l’approvazione delle principali sigle sindacali. Anche perché è opinione di Renzi che i sindacati, così come storicamente si sono configurati nella società italiana, siano forze più conservative che progressiste. Posizione opinabile e facilmente confutabile, a mio avviso. Eppure si tratta di un Presidente del Consiglio espressione di un partito che, nella sua duplice natura, conserva non solo la matrice d’ispirazione socialdemocratica e, quindi, di cooperazione con i sindacati, ma che, pure nella sua matrice centrista, non è comunque avulso dallo spirito associazionista dei trait d’union.

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Del resto, la cd. concertazione, siglata dagli accordi del luglio ’93 tra sindacati e politica, ha dato frutti importanti e duraturi per l’economia italiana. E’ solo con il secondo governo Berlusconi e lo scellerato Patto per l’Italia del 2002 che si assiste a un progressivo deterioramento dei rapporti tra istituzioni e parti sociali. Il tentativo dei governi di centrodestra è stato, infatti, quello di mettere fuori gioco la CGIL, pur trattandosi del sindacato maggiormente rappresentativo del Paese, al fine di creare una frattura tra questa Confederazione e le altre sigle. Di tale situazione, radicatasi nel corso dell’ultimo decennio, Confindustria e i rappresentanti delle parti datoriali sono stati i principali beneficiari. L’esautoramento della forza rappresentativa della CGIL si è protratto fino al caso Pomigliano, quando nel 2010 FIAT riuscì a tagliarla fuori del tutto dagli accordi decentrati.

Lavoratori-sospesi

Ma l’esclusione della CGIL dai tavoli di trattativa ha portato ad accordi impopolari, quanto iniqui e, successivamente, all’indebolimento di tutto il movimento sindacale nel suo complesso. Tant’è vero che, nel governo Monti, il ministro Fornero, ignorando i suggerimenti delle parti sociali, ha varato la sua riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale seguendo le sole linee governative, le raccomandazioni di Bruxelles, quelle di Berlino e, soprattutto, quelle delle principali banche d’affari, creando più di 100.000 esodati, problema a tutt’oggi irrisolto. Considerando un tale precedente ed il danno sociale che ne è stato determinato, sarebbe buona regola riprendere la prassi degli accordi concertati, anche perché un uomo solo, per quanto si proclami risolutivo, non può, in un sistema democratico, mettere mano da solo a nessun tipo di riforma, tanto più a quelle che impattano sensibilmente la società civile. Ci auspichiamo, dunque, un’immediata ripresa del dialogo, lasciando da parte atteggiamenti di sufficienza nei confronti di quelle associazioni che rappresentano i diretti destinatari della riforma che il Governo si appresta a varare.

Razzi (quello vero):«il job Act? Se lo incontro forse lo riconosco. Io famoso anche in Cina»

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Per iniziare la giornata con una risata (ridiamo per non piangere), vi propongo un recente articolo di una nota testata on line abruzzese. L’argomento è Antonio Razzi. Non vi confondete con Crozza: quello che parla è il vero Razzi, ahimè!
Il più noto fenomeno mediatico d’Abruzzo (lascio a voi altri epiteti da associare alla parola fenomeno, ché io vorrei evitare querele) gongola per le imitazioni che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Anche in Cina. Amici abruzzesi, grazie a Razzi ci conoscono anche a Pechino, siete contenti, vero? Io tantissimo, al punto che ho intenzione di iniziare a fingermi marchigiano (so imitare l’ascolano piuttosto bene). Ormai quando vado in giro per l’Italia, appena dico di essere abruzzese dall’altra parte mi sento rispondere ‘ah, Abruzzo…Razzi!’
Buona lettura, anzi buon divertimento!
MDS

ABRUZZO. Ormai Antonio Razzi è diventato un vero e proprio fenomeno. Mediatico. Sdoganato grazie alla imitazione grottesca di Maurizio Crozza che lo ha fatto conoscere al grande pubblico ormai è “preda” ambita dei programmi leggeri e meno leggeri.
Una caricatura dai toni esagerati che ha avuto il pregio di far conoscere il vero Antonio Razzi, il senatore di Forza Italia, abruzzese con una vita intera passata in Svizzera, l’italiano traballante e le idee grandiose da realizzare in politica.
Oggi nuova comparsata ad un Giorno da Pecora su Radio2 condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro dove va tutte le volte che lo invitano e lui sta al gioco. Razzi scherza e si fa prendere in giro perché ha capito che ha tutto da guadagnare.
E il marketing lo conosce davvero bene se è vero che anche in questa occasione ha mostrato felice e orgoglioso le sue magliette.
Non sono mancate le domande di attualità e le risposte come sempre… interessanti.

Certo il dialogo rubato sulla sua pensione (“penso ai cazzi miei”) lo ha lanciato prima di tutti (persino prima di Crozza) e forse anche per questo si è fatto una idea ben precisa sulla abolizione del Senato: voterà contro perchè il Senato c’è fin dalla antica Roma.
«Job Act? Non lo conosco, non ne ho sentito parlare. Di nome non lo conosco, poi magari se lo vedo lo riconosco. C’ha la barba?” ha chiesto forse imitando Crozza che imitava Razzi…
Lo aveva già fatto e oggi lo ribadisce: «grazie a Crozza sono diventato famoso in tutto il mondo».
Come ha trovato il ritorno del Crozza-Razzi, appena ripartito su La7?
«L’imitazione che mi fa Crozza è un po’ migliorato: non mi fa più parlare in tedesco ma in un italiano da terzo mondo».
La prende parecchio in giro…
«Certo, ma mica solo a me, anche a personaggi ben più famosi di me, come Napolitano».
In pratica, Crozza l’ha reso famoso.
«Grazie a Crozza i giovani mi fermano per la strada per farsi le foto con me, tante belle ragazze e tanti bei ragazzi».
Ma la riconoscono in tutta Italia?
«Dove vado vado mi conoscono, anche in Cina mi hanno riconosciuto».
In Cina?
«Sì, alla Città Proibita una volta è arrivato un cinese, bello alto, che mi ha riconosciuto e mi ha chiesto una foto. Ed è successo pure a Dubai».
Quindi lei ringrazia Crozza, altro che arrabbiarsi.
«Dal profondo del cuore ringrazio Crozza che fa delle pigliate in giro verso di me ma mi ha fatto conoscere al grande pubblico», ha detto Razzi.

Fonte: Prima da Noi

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA