Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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Le nuove norme sulla dirigenza pubblica contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 13 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha varato il c.d. “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita”, unitamente ad un altro decreto legge sull’ambiente e l’agricoltura ed ad un disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice”, contenente ben otto deleghe legislative e che, una volta approvato dal Parlamento, mediante un percorso legislativo da concludersi nei prossimi sei mesi, porterà a compimento la riforma della Pubblica Amministrazione avviata con il decreto legge in questione.
Da un punto di vista di tecnica legislativa il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” è un testo “omnibus”, contenente una enorme quantità di disposizioni afferenti a diverse ed eterogenee materie, ma che, al contempo, affronta questioni irrisolte da tempo.
Invece, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” è composto di dodici articoli, contenenti (come detto) otto deleghe legislative al Governo.
Siamo di fronte al quarto tentativo di riforma della Pubblica Amministrazione posto in essere negli ultimi vent’anni. Sicuramente, incontrerà critiche ed opposizioni, così come le incontrarono i predetti provvedimenti proposti illo tempore. Anche stavolta, il tentativo in questione nasce con le migliori intenzioni e con le più forti ambizioni. Tuttavia, dovrà affrontare un confronto serrato con la macchina burocratica statale attraverso una dialettica che si connoterà per una lunga serie di prove di forza poste a cui si contrapporranno i tentativi di preservare gli equilibri consolidati.
Ci sarà tempo per l’analisi più specifica delle singole norme e per l’esame della loro applicazione concreta. Nel frattempo, analizzeremo le novità più interessanti contenute, sia nel decreto legge, che nel disegno di legge delega, dedicando loro una serie di post suddivisi per area tematica, cominciando con la riforma della dirigenza pubblica.

 

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La riforma della dirigenza pubblica rappresenta una degli elementi più salienti dell’impianto riformatore, il quale si connota per la sua volontà d’introdurre criteri di valutazione e di responsabilità più stringenti, unitamente al ridimensionamento del numero massimo di dirigenti in rapporto al numero complessivo dei dipendenti assegnati ad ogni singola Pubblica Amministrazione.
Inoltre, il provvedimento in esame istituisce il ruolo unico dei dirigenti dello Stato, superando le due fasce attuali. Si potrà accedere al ruolo unico, mediante concorso, sia per le amministrazioni centrali, che per quelle periferiche e per le autorità indipendenti.
I dirigenti saranno distinti tra esperti (con professionalità specifiche) e responsabili di gestione.

I dirigenti avranno incarichi a termine di durata triennale. I risultati di ogni singolo dirigente saranno valutati da una Commissione, secondo una nuova e semplificata serie di criteri di valutazione (oggetto di delega), sia della performance individuale realizzata, che degli uffici diretti.
Tale sistema valutativo è direttamente collegato ad una completa ridefinizione del sistema retributivo della dirigenza pubblica, che sarà in parte ancorato all’andamento del PIL. Infatti, il 15% della retribuzione complessiva di risultato sarà agganciato all’andamento del PIL. Tale percentuale variabile sostituirà l’attuale indennità di posizione, che è attualmente definita in misura fissa dalla contrattazione collettiva.

Vi è anche la previsione della licenziabilità dei dirigenti, qualora, al termine di un contratto costoro rimangano senza l’assegnazione di un nuovo incarico per un lasso di tempo congruo, che verrà individuato in sede di approvazione del disegno di legge delega in Parlamento. Il licenziamento in questione sarà anticipato della messa in mobilità del dirigente interessato.
Verrà anche previsto il diritto all’aspettativa per i dirigenti pubblici che decideranno di vivere un’esperienza di lavoro presso datori di lavoro privati o all’estero.
Invece, vi sarà l’introduzione del divieto di assegnare nuovi incarichi ai dirigenti che avranno raggiunto l’età pensionabile (anche alle dipendenze di società partecipate).

A fronte di tali previsioni per i dirigenti di diritto pubblico (cioè assunti mediante concorso), il decreto legge stabilisce anche che, negli enti locali, la quota di dirigenti assunti per competenze specifiche ed al di fuori dal concorso pubblico passerà dal 10% al 30%.

Il Consiglio dei Ministri del 13 giugno ha anche introdotto un’altra novità consistente in una previsione speciale avente ad oggetto i vertici dirigenziali delle ASL. Infatti, è prevista l’introduzione di una graduatoria unica dei candidati direttori generali delle Aziende Sanitarie Locali, al fine di assicurare trasparenza ed evitare che vengano scelti nomi legati al mondo politico o latori di interessi di parte.
Si tratta di una enorme novità, atteso che attualmente, ogni Regione dispone di una propria lista di soggetti dichiarati idonei (secondo propri criteri) e che utilizza ogni qual volta necessiti di nominare un direttore di una ASL.
La norma in questione impone alle Regioni di nominare soltanto chi, dopo aver preso parte ad un concorso pubblico e aver frequentato un corso universitario di formazione in gestione sanitaria, è stato inserito nell’unica graduatoria nazionale, che sarà oggetto di aggiornamento a cadenza biennale.
Inoltre, al fine d’innalzare la qualità delle prestazioni dirigenziali e di creare una reale sistema di responsabilizzazione dei manager sanitari, è stato previsto che il direttore potrà essere dichiarato decaduto, qualora non raggiunga gli obiettivi di gestione o non garantisca l’equilibro di bilancio, unitamente ai livelli essenziali di assistenza nella sua legge. Analoga ipotesi di decadenza è prevista in caso di commissione di violazioni di legge e regolamento e di mancata imparzialità. Il direttore decaduto verrà cancellato dalla lista nazionale.

 

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In estrema sintesi, il ruolo unico della dirigenza, la flessibilità nell’attribuzione degli incarichi, le politiche retributive ed i percorsi di carriera correlati ai meriti ed alle competenze (unitamente alla revisione della disciplina della responsabilità) non possono che essere oggetto di plauso. Tuttavia, non si può nascondere la preoccupazione di come questo impianto riformatore, una volta approvato dal Parlamento, possa realmente sbloccare un settore che si connota per sua eccessiva rigidità e per il suo perdurante immobilismo, per valorizzare e favorire il lavoro delle persone capaci e competenti, sia già appartenenti al ruolo dei dirigenti pubblici, sia provenienti da altre esperienze lavorative.

In tale ottica, l’età media elevata della dirigenza pubblica rappresenta un’opportunità. Infatti, l’esame dei dati statistici evidenzia la possibilità di gestire senza conflitti con le parti sociali il ricambio generazionale di circa il 50% dei dirigenti attualmente in servizio, semplicemente ricorrendo al turn over fisiologico nell’arco di settennio, con l’avvertenza che, tale lasso temporale, è tempo destinato a ridursi in caso di abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, così come proposto dal Governo.
Tale ultima affermazione non vuole esprimere alcuna valutazione negativa sulla qualità della dirigenza pubblica attuale, la quale, al contrario, è una categoria professionale che si distingue per le tante persone di valore che la occupano. Tuttavia, è necessario prendere atto che il blocco del turn over nel Pubblico Impiego, ha provocato una evidente senescenza della Pubblica Amministrazione ed, in particolare della sua dirigenza, la quale si rende particolarmente evidente, quando si riscontra l’incoerenza dei criteri con cui in passato si selezionavano i dirigenti pubblici con le attuali e future esigenze del “Sistema Paese” .
Pertanto, il primo vero problema da affrontare sarà una radicale riforma delle modalità di selezione concorsuali. Il concorso pubblico deve abbandonare le sue modalità tradizionali di svolgimento, finalizzate alla mera verifica di una formazione teorica di base. Invece, i futuri concorsi pubblici per dirigenti dovranno essere rispettosi delle più moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone, tenendo anche conto dei risultati professionali conseguiti, nonché dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro.

 

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RIFORME: ECCO COME CAMBIERÀ LA SANITÀ.

«Abbiamo fatto un importante passo in avanti nel segno della semplificazione, delle regole a vantaggio di cittadini ed operatori sanitari. Abbiamo prolungato la validità delle ricette per i malati cronici, superato l’obbligo di assicurazione per i medici del SSN, semplificato le procedure per le autorizzazioni necessarie per l’apertura di nuove strutture sanitarie e introdotto una rivoluzione sulla governance delle aziende sanitarie introducendo la selezione unica nazionale per la nomina dei direttori generali», così, in una sua nota, spiega le prossime novità in materia di semplificazione e Sanità pubblica il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.

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Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

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RICETTE PER MALATI CRONICI

Avranno 180 giorni di validità le ricette per i malati cronici, contro gli attuali 60. Il provvedimento coinvolge più di 14 milioni di persone, vale a dire circa il 24% degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale.

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La proposta, inserita nel decreto legge Semplificazioni, allungando i tempi di validità, consentirà al malato di recarsi dal proprio medico per le ricette una sola volta ogni 6 mesi: il medico potrà prescrivere fino a sei scatole a ricetta (salvo naturalmente indicazioni diverse).

ASSICURAZIONE PER I MEDICI

L’assicurazione obbligatoria che scatterà il prossimo 14 agosto per chi esercita la professione sanitaria non si applicherà ai medici dipendenti pubblici del Sistema Sanitario Nazionale.

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Verranno, d’altro canto, introdotte misure atte ad istituire un fondo che supporterà i professionisti sanitari nel pagamento dei premio, in particolare, nei casi in cui questo risulti elevato a causa dell’alto livello di rischio dell’attività svolta.

PERMESSI PER STRUTTURE SANITARIE

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Sono state, inoltre, semplificate le procedure ai fini del rilascio delle autorizzazioni necessarie per aprire nuove strutture sanitarie, eliminando il parere regionale sulla verifica di compatibilità con il fabbisogno sanitario.

SELEZIONE UNICA NAZIONALE PER DIRIGERE AZIENDE SANITARIE

Con il DDL delega è stata introdotta una selezione unica nazionale per i direttori generali delle aziende sanitarie. Potranno, infatti, essere nominati soltanto coloro i quali, al termine del positivo esperimento di una selezione pubblica nazionale, saranno iscritti in un elenco tenuto presso il Ministero della Salute e aggiornato con cadenza biennale. I direttori dovranno possedere titoli professionali specifici ed aver frequentato un apposito corso universitario di formazione in gestione sanitaria.

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Tra i doveri dei direttori nominati ci sarà il conseguimento degli obiettivi di gestione, la garanzia dei LEA (livelli essenziali di assistenza), l’equilibrio di bilancio e il raggiungimento dei risultati del programma nazionale valutazione esiti. Il direttore generale potrà essere dichiarato decaduto dall’incarico se fallirà gli obiettivi o se commetterà gravi violazioni di legge o di regolamento, o se contravverrà ai principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione. Il direttore generale dichiarato decaduto sarà, quindi, cancellato dall’elenco e non potrà più essere nominato.

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Prevista, altresì, l’istituzione, su base regionale, degli elenchi dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari. Per essere nominato direttore amministrativo o direttore sanitario di un’azienda, non basterà essere iscritto nell’elenco ministeriale, ma occorrerà superare un’ulteriore selezione pubblica per titoli e colloquio, contrariamente a quanto avviene attualmente con la nomina di queste figure di vertice in modo strettamente fiduciario (in base al sistema dello spoil system), prescindendo, tra l’altro, da qualsiasi forma meritocratica. Gli idonei verranno iscritti nell’elenco pubblico tenuto dalla Regione.

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Le commissioni di concorso saranno composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche. Anche nel caso degli elenchi regionali, coloro che non raggiungeranno gli obiettivi prefissati verranno cancellati dall’elenco e non potranno più essere rinominati.

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INPS: AGGIORNATE LE TABELLE PER IL CALCOLO DEGLI ASSEGNI AL NUCLEO FAMILIARE.

L’assegno al nucleo familiare è una prestazione di natura assistenziale, a sostegno delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei titolari di prestazione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (AGO) dell’Inps, che abbiano un reddito complessivo al di sotto delle fasce stabilite ogni anno per legge. La sussistenza del diritto e la misura dell’importo dell’assegno dipendono dal numero dei componenti il nucleo familiare, dal reddito complessivo del nucleo familiare e dalla tipologia di nucleo. L’assegno mensile spettante, percepito generalmente per il tramite del datore di lavoro, va individuato nelle apposite tabelle ANF.

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Con circolare numero 76 dell’11 giugno 2014, l’INPS ha reso note le nuove tabelle per il calcolo degli assegni familiari relative al periodo 01/07/2014 – 30/06/2015.

La legge n. 153/88 stabilisce che i livelli di reddito familiare da tener conto, per il calcolo dell’assegno per il nucleo familiare spettante, sono rivalutati ogni anno, con decorrenza dal 1° luglio di ciascun anno, in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolato dall’ISTAT.

Per il 2014, la variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo tra l’anno 2012 e l’anno 2013, secondo i calcoli dell’Istat è risultata pari al 1,1%.

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Alla circolare vengono allegate delle tabelle contenenti i nuovi livelli reddituali, nonché i corrispondenti importi mensili della prestazione, da applicare dal 1° luglio 2014 al 30 giugno 2015, alle diverse tipologie di nuclei familiari.

Clicca qui per conoscere la tabella pubblicata dall’INPS relativa al 2014-2015. Per consultare la tabella è necessario per prima cosa calcolare il proprio reddito familiare, rapportarlo alla propria composizione familiare e poi procedere all’individuazione dell’importo dell’assegno per il nucleo familiare corrispondente al proprio reddito.

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L’ANF è una prestazione il cui scopo è quello di integrare il reddito familiare: viene erogata tramite i datori di lavoro, in busta paga, oppure direttamente dall’Inps in alcuni casi particolari. Per richiederlo, il lavoratore deve compilare il modulo fornito dall’INPS con i dati del proprio nucleo familiare e i redditi relativi al 2013 e consegnarlo al proprio datore di lavoro il quale provvede al calcolo dell’importo corretto in base alle informazioni inserite nel modulo e alla corresponsione dell’assegno, andando poi a recuperare l’importo direttamente dall’INPS.

Spetta a:
– Lavoratori dipendenti, anche per i periodi nei quali fruiscono di prestazioni previdenziali legate alla sospensione del rapporto di lavoro (malattia, cassa integrazione guadagni CIG o CIGS, disoccupazione, mobilità, ecc.);
– Soci delle cooperative, lavoratori assistiti per tubercolosi, lavoratori richiamati alle armi;
– Lavoratori in aspettativa per cariche pubbliche elettive e sindacali;
– Personale statale in servizio ed in quiescenza, pensionati del Fondo pensioni lavoratori dipendenti;
– Pensionati dei fondi speciali come autoferrotranvieri, Fondo Elettrici e gas, esattoriali, telefonici, personale di volo e dazieri;
– Pensionati degli Enti Pubblici territoriali e non territoriali;
– Ai caratisti imbarcati sulla nave da loro stessi armata e agli armatori e proprietari armatori imbarcati, in quanto, secondo quanto previsto dalla risoluzione n. 19 del 1998 del Ministero delle Finanze, il loro reddito derivante dall’attività è equiparato a quello di lavoro dipendente;
– Agli iscritti alla Gestione Separata dei lavoratori autonomi (collaboratori coordinati e continuativi, collaboratori con contratto a progetto, venditori porta a porta e liberi professionisti).

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L’assegno per il nucleo familiare spetta solo se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente, relativa al nucleo familiare nel suo complesso, ammonta almeno al 70% dell’intero reddito familiare.

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HO FATTO OUTING E ADESSO SONO FELICE!

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di Andrea Serpieri

Coming out significa uscire allo scoperto. Fare outing vuol dire rivelare il proprio orientamento sessuale al mondo e vivere una vita alla luce del sole. Io l’ho fatto e devo ammettere che ciò che si dice in proposito è tutto vero: fa bene alla salute. Gay, lesbiche e bisessuali che dichiarano apertamente la propria condizione sessuale, anche se solo alla famiglia o agli amici, conducono una vita più serena, hanno meno ansie e, tutto sommato, sono più rilassati. Per non parlare di tutta una serie di complessi che ci si lascia alle spalle vuotando il sacco. Semplicemente smettendo di mentire. Non è, però, solo una constatazione. C’è anche un fondamento scientifico. I fratelli e le sorelle di condizione che dichiarano il proprio status senza vergogna al mattino hanno livelli di cortisolo più bassi, dal che dipende un minore stress rispetto a quanti nascondono la loro scelta. Anche i livelli degli altri indicatori di salute e benessere come colesterolo, insulina, adrenalina e pressione del sangue risultano migliori. Diminuiscono, inoltre, gli episodi di ansia e gli stati depressivi. Insomma la sincerità è meglio del Seropram.

A parte l’ultima affermazione, di cui rivendico la paternità, quanto ho appena sostenuto è il risultato di una ricerca promossa dall’Università di Montreal che ha preso in esame 87 volontari sui 25 anni, di cui la metà eterosessuali. Attraverso questionari, test psicologici e analisi mediche si è tentato di delineare un quadro sullo stato generale di salute dei soggetti esaminati. I primi risultati sperimentali hanno evidenziato che chi vive una sessualità libera, consapevole e trasparente, presenta un quadro clinico migliore di chi vive all’ombra. Parliamoci più chiaramente. Fare outing vale per noialtri: che lo si voglia fare davanti a un microonde mentre si assaggia un risotto 4 salti in padella Findus o con modalità meno televisive, l’importante è che si riesca a vivere liberamente e serenamente la propria vita sessuale. Il che, nondimeno, vale anche per gli eterosessuali. Sdoganiamo certi tabù! Il sesso è bello chiunque sia il vostro partner. Fatelo. Amatevi e divertitevi. Perché non è un peccato. Magari per noi che siamo cresciuti in un Paese cattolico è difficile da capire. Ma dobbiamo sforzarci. Avete presente quella sigaretta che vi godete dopo? O la sensazione che provate anche senza sigaretta? Immaginate una vita intera così. Ecco…

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Vero è che i risultati per ora sono ancora provvisori, la ricerca è ancora in una fase sperimentale ed il campione su cui si è basata è troppo ridotto per poter avere un reale valore scientifico. Ma, in effetti, l’identità sessuale è una componente significativa dell’individuo e viverla con coerenza significa certamente migliorare la propria qualità di vita.
Un valido approccio alla psicologia, per esempio, ci ha insegnato che quando non si vive in armonia con i bisogni, i desideri e le convinzioni dell’Io si genera una distonia, ovvero una condizione di disallineamento tra i comportamenti e l’essere che è, poi, alla radice delle nevrosi. Rispondere, dunque, in maniera adeguata alle proprie pulsioni sessuali è prima di tutto una questione di salute. Certamente il coming out è un momento destabilizzante e doloroso. Si teme, innanzitutto, il giudizio delle persone a cui vogliamo bene, da cui non vorremmo mai essere scacciati, si ha paura di perdere gli affetti fondamentali di un individuo e si vive il senso di colpa per aver contravvenuto a regole sociali e morali che si presume siano assolute. Ma che tali non sono, appunto perché sociali e morali e, quindi, in costante evoluzione con la società stessa. Invece, presentarsi per quello che si è veramente, ha indiscutibili effetti positivi a lungo termine, sia a livello personale che socio-relazionale.

Non mi fraintendete. Vivo anch’io in Italia e non mi sognerei mai di istigare nessuno al coming out. Tant’è che gli stessi studiosi di Montreal hanno avuto la premura di precisare che la loro ricerca ha senso solo se collocata nel giusto scenario; si parla, infatti, della possibilità di fare outing relativamente al popolo occidentale. In alcuni Paesi, purtroppo, l’omosessualità è costretta alla clandestinità per cause di forza maggiore, tra cui arresto, tortura e pena di morte. Fortunatamente non è il caso dell’Italia. Tuttavia, anche qui la condanna sociale in ambienti culturalmente arretrati, filofascisti e patologicamente influenzati dalle omelie domenicali può ancora essere ugualmente severa. Per cui l’outing fatelo solo se siete davvero convinti che sia giusto. Sia per voi che per i vostri cari.

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L’Italia cambierà: qualche passo è stato fatto, ma sono ancora tanti quelli da fare: se pensiamo che una scelta di marketing della Findus sia una conquista per i nostri diritti civili vuol dire che siamo messi ancora molto male. È perciò importante ricordare che affinché la società sia in grado di evolversi positivamente ed orientarsi verso l’universalizzazione dei diritti civili, è necessario il contributo di tutti noi. È un cambiamento lento, ma inevitabile. E ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte. Per questo su questo blog abbiamo deciso di dedicare uno spazio importante alle tematiche LGBTQ, perché è anche dalla condivisione di queste idee che passa l’educazione alla legalità di una società, quella legalità che ispira sempre il nostro desiderio di informare. Ed è soprattutto per questo che noi non ci stancheremo mai di dire stop all’omofobia e alla violenza di genere.

E voi che fate? Siete con noi, amici?

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Uber, sciopero dei taxi in tutta Europa. Da Londra a Milano tutti contro la “concorrenza sleale”.

Ansa11/06/14 15:49 CEST

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Da Londra a Roma, passando per Parigi, Berlino e Milano, l’Europa è attraversata da uno sciopero dei taxi, una protesta internazionale che ha al centro del suo mirino Uber, la società californiana la cui app, che prende piede soprattutto fra turisti e viaggiatori, permette di trovare ovunque auto da noleggiare con autista: una concorrenza sleale intollerabile per i tassisti. La protesta anti-Uber è partita fra i tassisti britannici, che da molti anni, come i loro colleghi del resto d’Europa e in Italia, denunciano la loro convivenza accanto al proliferante mercato delle Ncc. Cortei sono previsti in diverse grandi città, come Parigi, Berlino e Amburgo.

Una sciopero per “difendere le legalità e il servizio pubblico”. Così i tassisti milanesi spiegano il blocco delle auto cominciato alle 8 e che proseguirà fino alle 22. Un’agitazione indetta a livello europeo “per non cedere un settore a una multinazionale (Uber ndr) che punta ai ricavi e non al servizio, senza nemmeno pagare le tasse in Italia”. A bordo i tassisti, quindi, trasportano solo malati, disabili, donne con bambini piccoli mentre le loro auto rimangono ferme ai parcheggi. Il presidio più importante in stazione Centrale a Milano dove sono anche distribuiti volanti che spiegano le ragioni dell’agitazione.

Leggi anche IL CASO UBER E LA “SHARING ECONOMY.”

Si protesta anche a Napoli. Si calcola in un 40% circa l’adesione allo sciopero dei tassisti a Napoli. Sono 2340 le auto pubbliche napoletane. Il corteo, al quale hanno aderito Fasi-Conflavoratori, Usb, Ugl Taxi, Alt e Assotaxi, si è concluso in piazza Plebiscito, davanti alla Prefettura, dove una delegazione dei manifestanti ha chiesto di essere ricevuta. “La nostra protesta – afferma Rosario Gallucci, segretario di Fasi-Conflavoratori – è contro le diverse forme di abusivismo e di concorrenza sleale. A Napoli, la Uber non è entrata in funzione, ma le auto Ncc (noleggio con conducente) stazionano al Molo Beverello, alla Stazione ed all’aeroporto e prelevano turisti, mentre dovrebbero uscire dalle rimesse solo dopo la prenotazione e l’ acquisto del voucher da parte del passeggero.

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Ci fanno concorrenza sleale anche gli autisti degli “Scuolabus”, che il pomeriggio accompagnano i ragazzi al calcetto ed il sabato sera in discoteca. A noi l’ uso del taxi comporta un costo fisso giornaliero di 45-50 euro, grazie anche alle tariffe esose delle assicurazioni. Sono costi insostenibili di fronte ad un abusivismo senza controlli”.

Fonte: HuffPost

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ENRICO BERLINGUER E IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA.

Era il 7 giugno 1984, quando Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, nel corso di un comizio elettorale a Padova, in Piazza delle Erbe, veniva colto da un malore. L’11 giugno, dopo 4 giorni di coma, Berlinguer si spense, ma l’eco della sua persona nel vuoto che ha lasciato nella sinistra italiana, risuona ancora, a trent’anni dalla sua scomparsa. «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta», così dichiarò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, dopo aver dato l’ordine di trasportare la sua salma sull’aereo presidenziale.

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Era un uomo che guardava al futuro Berlinguer, che partiva da una lucida ed oggettiva visione del presente e che concentrava la sua azione politica sulle necessarie trasformazioni funzionali a quella sua visione. Fu lui a rompere con il comunismo ‘reale’ sovietico e fu sempre lui a concepire un progetto alternativo per l’Italia insieme ad Aldo Moro, un progetto grande quanto rischioso, che venne osteggiato nei modi più assurdi e criminali, un progetto che ha continuato con la nascita del PDS, con il progetto dell’Ulivo e con la Cosa 2, fino alla nascita del Partito Democratico, nonostante le ultime polemiche su questo soggetto politico. Convergenze parallele: sono queste convergenze volute da Berlinguer, Moro e Fanfani ad aver ispirato l’evoluzione del PCI in quello che oggi una parte della sinistra rinnega, anzi nega essere sinistra. E se il periodo storico lo consentisse, forse nel PD questo sarebbe il momento più opportuno per affrontare quella tipica logica della sinistra che analizza il proprio agire: l’autocritica, nonostante i successi raccolti alle europee. Ma è il momento delle riforme: l’obiettivo è salvare il Paese dalla crisi.

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Autocritica servirebbe sulla questione morale, ancora oggi purtroppo di grande attualità, che da Berlinguer era vista come questione politica prima ed essenziale, perché dalla sua soluzione dipendeva la ripresa di fiducia nelle istituzioni, l’effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire. Queste sono parole dello stesso Berlinguer. E proprio sulla questione morale – nelle ore degli scandali Mose ed Expo, del coinvolgimento di alcuni settori dello stesso PD – occorrerebbe prima di tutto riflettere: e domandarsi quanto la personalizzazione estrema della politica degli ultimi vent’anni, in ogni angolo del Parlamento, insieme al venir meno di un’etica condivisa abbiano aperto la strada ad una nuova tragica degenerazione della politica.

Questi ultimi scandali evidenziano purtroppo come la corruzione sia parte integrante oggi più che mai del sistema: domenica scorsa Eugenio Scalfari ha scritto che la differenza con la prima tangentopoli sta nel fatto che all’epoca “lo scandalo consisteva almeno per il 70% in denari trafugati per finanziare i partiti e solo il 30% andava nelle tasche dei mediatori, mentre nel post tangentopoli la refurtiva finisce tutta in tasche private di intermediari che lavorano in proprio col potente di turno”.

L’autocritica dovrebbe ripartire proprio dalla figura di Berlinguer. La corruzione si combatte in tre momenti: prevenzione, inchiesta e punizione dei colpevoli. E infatti il premier Matteo Renzi qualche giorno fa ha detto che i politici che rubano devono essere puniti non solo per corruzione, ma soprattutto per alto tradimento nei confronti dello Stato e del popolo. Non c’è tempo per fermarsi a pensare, eppure una riflessione è necessaria. Che non ostacoli il cammino delle riforme. Che tenga coeso il centrosinistra, salvaguardandolo dal suo autolesionismo congenito, inevitabile. Domani sarà presentata la riforma della PA, che segue quella del mercato del lavoro. E poi sarà la volta della giustizia. Procedere, superare ma senza scordare le ragioni che hanno portato ai gravi fatti su cui la Magistratura indagherà. I colpevoli, a sentenza passata ingiudicato, come dispone la Costituzione, andranno puniti. Il partito, però, è un’altra cosa, qualche mela marcia non fa di un progetto politico un ricettacolo di corruttela, il popolo che lo sostiene è di altra pasta rispetto a chi ha disatteso la prima questione della sinistra italiana, quella morale. I giovani sono la chiave per la sopravvivenza e la speranza del centrosinistra. Come diceva lo stesso Berlinguer: se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia.

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A trent’anni dalla sua scomparsa, Enrico Berlinguer resta, quindi, una delle figure chiave della storia politica repubblicana. Nessun leader italiano è infatti stato popolare, rispettato ed amato (ma anche travisato) come Berlinguer, non solo dalla sinistra, ma da strati ben più ampi di popolazione.

Le ragioni risiedono in quella sua caparbietà nello sfidare le rigidità di un mondo diviso in blocchi, nel coraggio dimostrato nella rottura con l’URSS dopo il colpo di stato polacco e nelle sue intuizioni come quando, negli ultimi anni di vita, vide nella questione morale e nella degenerazione dei partiti “ridotti a macchine di potere e di clientela” il problema più drammatico dell’Italia.

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Per chi all’epoca era appena nato e per quei giovani nati dopo quella data, la figura di Enrico Berlinguer vive nel racconto di coloro che in quella fase storica erano già adulti, così come vive nei libri e nei documenti televisivi. La sua storia rappresenta tuttora un esempio, un riferimento indiscusso in quanto a rigore morale. Poche figure, come quella di Berlinguer, evocano un riconoscimento storico così unanime e austero. Ciò che colpisce nella testimonianza di tanti compagni è proprio l’unanimità di questo giudizio, che ha trasformato Berlinguer da capo di un partito a uno dei padri della Repubblica e custode della democrazia. Dalla denuncia della questione morale al compromesso storico con una parte della DC, compromesso finalizzato alla difesa delle istituzioni democratiche: sono queste le fondamenta che il centrosinistra non può e non deve scordare. E la prima pietra di queste fondamenta fu posta da Berlinguer. Tutti noi, poi, dobbiamo conservare memoria di una lezione appresa da Berlinguer: la ricerca di un equilibrio imprescindibile tra la libertà dell’individuo e la giustizia sociale. In un tempo in cui la corruzione dilaga, dove qualcuno vorrebbe stravolgere la Costituzione e con essa le istituzioni democratiche, in cui l’intolleranza xenofoba e omofoba si diffonde, faremmo bene a considerare i discorsi di Berlinguer non solo come un reperto delle teche Rai, o come un simbolo da gridare su un palco o in un aula del Parlamento, per tirare più voti. Rispetto per la memoria di un uomo significa prima di tutto osservarne nei fatti e non nelle sole parole i principi lasciati in eredità alla sinistra e a tutto il Paese. Le sue parole corrispondevano sempre e in maniera trasparente ai fatti. Il suo pensiero, ancora oggi, è un programma fondamentale per il futuro della democrazia e l’educazione alla legalità della società italiana.

MDS
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RIVOLUZIONE PA: MADIA DISPOSTA A CONFRONTO CON I SINDACATI.

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Forse sarà davvero una rivoluzione, viste le premesse: consultazione dei lavoratori pubblici fino al 30 maggio tramite l’indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it, che ha consentito l’integrazione della prossima riforma con suggerimenti e proposte da parte dei diretti interessati. E l’auspicio è che più che una rivoluzione questa sia un vero e proprio terremoto e una ricostruzione, orientata alla semplificazione e alla tecnologia, ma anche e soprattutto alla valorizzazione delle risorse umane: ce n’è bisogno dopo la spending review del governo Monti, che per limitare la spese ha, tuttavia, aggravato un quadro già negativo a causa delle improvvide riforme dell’ex ministro Brunetta e della sua crociata contro la funzione pubblica. Stavolta non ce lo chiede l’Europa, ma l’Italia: la seconda tangentopoli ha dimostrato quanto la carenza di semplificazione nel rapporto con la P.A. e l’eccesso di burocrazia possano facilitare condotte illecite, di cui francamente preferiremmo fare a meno. Nelle sue intenzioni lo stesso premier sembra aver adottato questa linea, almeno stando alle sue dichiarazioni in seguito all’affare Mose.

Rivoluzione, però, lo sarà questa riforma anche (e finalmente) per un ritorno al confronto con le parti sociali. Dopo un decennio di esecutivi trincerati ed ostili al metodo delle concertazioni (con l’unica eccezione dei due anni di governo Prodi), ora l’annuncio di un incontro tra il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, e tutti i sindacati sulla riforma della P.A. alla vigilia del Consiglio dei Ministri che esaminerà il provvedimento in questione, il prossimo 13 giugno. Il Ministro ha, infatti, convocato le sigle dei lavoratori per la mattinata di giovedì mattina 12, a Palazzo Vidoni, per una riunione in vista degli interventi. E ai 44 punti indicati con il premier Matteo Renzi, a fine aprile, su cui c’è stata la consultazione, ha aggiunto il punto numero 45 sull’agognato rinnovo del contratto del pubblico impiego, attualmente fermo al 2009 (e fino a tutto il 2014). Punto questo, che, nell’ambito della consultazione del Governo, era stato vivamente sollecitato dai sindacati di categoria.

Ritenendo che il blocco della contrattazione abbia “prodotto un danno ingiusto” ai lavoratori pubblici e ricordando l’intervento degli 80 euro in più in busta paga, nel documento che il ministero ha inviato alle organizzazioni sindacali in vista della riunione, la Madia ha affermato che “il tema del rinnovo della parte economica del contratto merita di essere affrontato a partire dal prossimo anno”.

L’incontro con i sindacati, che, comunque, lo stesso Ministro aveva assicurato ci sarebbe stato prima del CdM, sarà a sua volta preceduto dall’appuntamento messo in calendario dalle principali sigle del pubblico impiego, Fp-CGIL, CISL-Fp e UIL-Pa, mercoledì mattina per illustrare le proprie proposte, unitarie, di riforma, che partono dallo riorganizzazione partecipata della P.A. fino allo sblocco del turnover e della contrattazione, senza cui non è neppure possibile parlare di una “vera” riforma.

Sul tavolo del Governo diversi sono i provvedimenti all’ordine del giorno del prossimo 13 giugno: modifica della mobilità volontaria (finora proclamata da ogni Governo, ma di fatto rimasta una sorta di ‘En attendant Godot’) e obbligatoria (anche senza l’assenso del lavoratore, ma con il mantenimento in tale ipotesi dello stesso trattamento economico e precisi limiti geografici); abrogazione del trattenimento in servizio (raggiunta l’età di pensione) che libererebbe oltre 10.000 posti nella PA a costo zero per i giovani (molti dei quali vincitori di concorsi pubblici, imprigionati in graduatorie mai esaurite) e consentirebbe quella staffetta generazionale per un rinnovo efficace ed efficiente dell’Amministrazione; part-time incentivato, considerato un altro strumento utile per creare spazio a nuove assunzioni e favorire conciliazione dei tempi di vita e lavoro e benessere organizzativo; e poi c’è anche la cosiddetta ‘opzione donna’ per le lavoratrici (se scelgono il regime contributivo per andare in pensione con i requisiti ante Fornero). Per coloro vicini alla pensione era anche emersa l’ipotesi di reintrodurre l’esonero dal servizio (con il 65% dello stipendio), ipotesi che, tuttavia, è stata esclusa: nel documento inviato dal ministero ai sindacati, infatti, si ritiene “non opportuno” proporla perché avrebbe un “ritorno marginale oltre che il rischio” di determinare “nuove distorsioni”.

Quanto al turnover, l’obiettivo è di una “urgente” semplificazione, per assicurare maggiori ingressi ma anche consentire a ciascuna Amministrazione più discrezionalità nella programmazione, fermo restando il rispetto dell’equilibrio finanziario: questo anche “ad esempio eliminando il vincolo del computo delle teste”.

C’è poi la questione precariato, una “patologia” con numeri “vergognosi”, come definita nelle settimane scorse dalla stessa Madia, che va superata. Un tema che “chiederemo, nell’incontro di giovedì” che “entri a far parte della riforma”, dice il responsabile dei Settori pubblici della CGIL, Michele Gentile. Un altro di quegli effetti perversi della spending review che, in mancanza di un ricambio generazionale, ha costretto la P.A. ad un eccessivo ricorso all’uso distorto dell’istituto della somministrazione, dei co.co.co. e del t.d., acutizzando un fenomeno, quello del precariato nella Pubblica Amministrazione, la cui soluzione non può attendere oltre.

MDS
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Pillole di Jobs Act. I casi in cui è opportuno motivare un’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato

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di Germano De Sanctis

 

La Legge n. 78/2014 (di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 34/2014, il quale, come è noto, è uno dei due pilastri del Jobs Act) ha abolito l’obbligo generale ex art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 di precisare le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo per tutti i contratti di lavoro a tempo determinato.

Tuttavia, bisogna evidenziare che, in alcuni casi, permane l’opportunità di prevedere una motivazione per giustificare la decisione del datore di lavoro di procedere all’assunzione di un lavoratore con contratto di lavoro a tempo determinato.
Tale opportunità di motivazione risiede nel fatto che, in specifiche fattispecie, la normativa vigente riconosce in capo al datore di lavoro delle ben determinate agevolazioni come diretta conseguenza dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato.

Innanzi tutto, la predetta opportunità è rinvenibile in tutti i contratti di lavoro a tempo determinato connessi alle attività c.d. “stagionali”. Infatti, per tali contratti, la motivazione permette di:

  • non computare il periodo di lavoro stagionale a tempo determinato nei 36 mesi complessivi di lavoro massimo ex art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 che possono intercorrere tra un datore di lavoro ed un lavoratore;
  • godere dell’esenzione dal limite massimo del 20% di lavoratori a tempo determinato rispetto alla forza lavoro complessiva ex art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 (cf., art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001);
  • usufruire dell’esenzione dalle previsioni in materia di scadenza del termine e di successione dei contratti ex art. 5, D.Lgs. n. 368/2001, in virtù di espresse previsioni contenute nella contrattazione collettiva (come, ad esempio, quelle contenute nel CCNL Alimentari);
  • non pagare il contributo INPS maggiorato dell’1,4%.

Inoltre, sussiste l’opportunità di ricorrere alla motivazione in presenza di tutte quelle prescrizioni normative che consentono di non rispettare le regole del contratto a tempo determinato “classico” ex D.Lgs. n. 368/2001. Ad esempio, basti pensare ai casi del:

  • contratto di lavoro a tempo determinato intermittente (cfr., artt. 33 e 34, comma 2-bis, D.Lgs. n. 276/2003);
  • contratto di lavoro a tempo determinato in mobilità (cfr., art. 8, comma 2, Legge n. 223/1991).

Infine, vi è l’opportunità di motivare tutti i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati per fini sostitutivi. In tali casi, la motivazione permette:

  • l’esenzione dal limite massimo del 20% di lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato per ragioni di carattere sostitutivo rispetto alla forza lavoro complessiva ex art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, qualora ricorra l’ipotesi contenuta nell’art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001;
  • il godimento dello sgravio contributivo del 50% sui contributi a carico del datore di lavoro ex art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 151/2001, spettante alle imprese con meno di 20 dipendenti che assumono con contratto di lavoro a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici assenti a seguito di maternità;
  • l’esenzione dal pagamento del contributo INPS maggiorato dell’1,4% per i mesi di attività.

 

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LAVORO ALL’ESTERO: COME FARE E DOVE ANDARE.

Parliamoci chiaro, sappiamo bene che trovare lavoro di questi tempi non è facile. Perciò sono tanti quelli che decidono di mollare tutto, cambiare vita e mettersi a cercare altrove. In un altro Paese.

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di Michele De Sanctis

Lavorare all’estero significa innanzitutto conoscere bene la lingua del posto in cui ci si vuol trasferire. L’avventura di chi parte senza saper parlare bene neppure la propria lingua, raramente ha un epilogo positivo. Ma, naturalmente, non è solo una questione di lingua. Ci sono anche altri aspetti che vanno considerati. Cerchiamo di capire insieme quali sono i primi passi per trovare un’occupazione fuori dall’Italia. Ricordate che se il vostro sogno è lavorare all’estero, riuscirete a realizzarlo solo se non vi arrenderete alle prime difficoltà.

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Iniziamo con il web. Mi sembra scontato: la rete ci viene in aiuto sempre. Esistono, infatti, diversi siti dove è possibile imparare tutte le lingue del mondo. Ed esistono anche valide app dedicate a questo scopo. Potreste anche procurarvi una buona grammatica, meglio se di tipo induttivo, ed esercitarvi con letture e visioni di film e telefilm in lingua. Anche per questo il web è una risorsa, da Amazon a Hoepli.it, non avete che da scegliere.

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Ora, facciamo conto che siate tutti perfettamente padroni di una lingua straniera. Cosa fare a questo punto? Internet offre moltissime risorse anche per trovare lavoro all’estero. Esistono, infatti, vere e proprie agenzie sia internazionali che italiane, che si occupano proprio di questo: programmi di collocamento, programmi di studio delle lingue, programmi combinati studio/lavoro, programmi di tirocini, programmi di volontariato e programmi di soggiorno alla pari. Molti sono i siti nati negli ultimi anni con l’obiettivo dichiarato di far incontrare domanda e offerta nel mercato del lavoro internazionale. Insomma, per lavorare all’estero dovete necessariamente fare questo passaggio attraverso il web.

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Inoltre, al fine di facilitare la ricerca di lavoro in ambito comunitario la Commissione Europea, con la raccomandazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 22.03.2002, suggerisce modalità omogenee di presentazione delle competenze e capacità professionali dei cittadini.
Sicuramente, già lo sapete tutti, ma repetita iuvant. Esiste un modello di curriculum vitae da utilizzare nei paesi comunitari, che, a differenza di quello tradizionalmente utilizzato qui in Italia, mette l’accento su capacità e competenze personali acquisite in qualunque contesto (non solo formativo e lavorativo) e sulle competenze trasversali. Parlo del C.V. europeo.

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CREA IL TUO CURRICULUM VITAE EUROPEO.

Ad ogni buon conto, presso tutti i Centri per l’Impiego sono disponibili informazioni sul curriculum vitae europeo oltreché altre informazioni e materiali realizzati dal Centro Risorse Europeo o da altri canali comunitari.
Prima che interrompiate la lettura, vi avverto: il post è rivolto a tutti quelli che stanno pensando di mollare tutto, non solo a quelli che vogliono spostarsi all’interno della UE. E siccome l’Italia è un Paese Membro è da qui che partiamo. Se state pensando di andare più lontano scorrete un po’ verso il basso.

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Senza la pretesa di essere esaustivi, perché sarebbe impossibile, vediamo adesso alcune delle agenzie più accreditate, presso le quali dovreste trovare anche un servizio di sostegno alla mobilità, principalmente europea.

EURES (European Employment Services). È una rete in cui collaborano assieme alla Commissione Europea i servizi pubblici per l’impiego dei paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo, compreso quelli del recente allargamento, allo scopo di favorire la mobilità geografica e professionale dei lavoratori rendendo il più possibile trasparente il mercato del lavoro europeo. Eures offre un servizio personalizzato a coloro che sono interessati a lavorare in Europa, fornendo informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro dei paesi membri e sulle proposte occupazionali disponibili e alle aziende locali che intendono assumere personale fuori dai confini nazionali. È inoltre possibile inserire all’interno della rete Eures il proprio curriculum vitae (modello europeo), così da poter essere sempre visionato dalle aziende o enti che presentano periodicamente le offerte di lavoro.
In particolare il Servizio Eures offre alle persone interessate a fare un’esperienza professionale in Europa
• informazioni e orientamento riguardo le opportunità lavorative presenti nella banca dati Eures
• informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro nei vari paesi europei
• sostegno alla ricerca lavorativa mediante l’indicazione di indirizzi utili e informazioni sulle tecniche di ricerca utilizzate nei vari paesi
• consulenza e supporto per le procedure da attivare alla partenza e al rientro da un lavoro all’estero

Eurosummerjobs. Si tratta di un progetto transnazionale finalizzato alla realizzazione di un database sulle opportunità di lavoro stagionale per giovani e studenti nell’ambito delle politiche a sostegno della mobilità dei giovani e nello spirito dell’alternanza scuola-lavoro. Il database viene messo on line ogni anno alla fine di marzo, in occasione della fiera annuale di orientamento per gli studenti di Parigi, e resta visibile fino all’autunno dell’anno successivo.

Jobs in Europe. Per 26 paesi europei è possibile consultare siti specializzati nella ricerca di lavoro, opportunità come au pair, insegnamento di inglese, giornali europei, incarichi dirigenziali, lavori stagionali/estivi/invernali.

ManPower. Tre le lingue selezionabili: Inglese, Francese, Tedesco; in bella evidenza il canale per la ricerca delle offerte di lavoro. In aggiunta due rubriche fondamentali: Job Carrer che fornisce tre opzioni: Regno Unito, Francia e una lista degli altri Paesi in cui ManPower è presente.

Ci sono, poi, alcune agenzie per il lavoro italiane che operano all’estero.

EUROMA. Agenzia di Roma. Tratta sia lavoro nel settore alberghiero, sia studio e stage in diversi settori. Paesi di destinazione: Francia e Germania (stage), Inghilterra, Irlanda e Spagna (job).

Intermediate. Agenzia di Roma. Tra i vari programmi di studio, studio e lavoro, tirocini, volontariato e alla pari di cui si occupa, promuove un interessante programma alla pari negli Stati Uniti d’America.
Programmi di volontariato in Ecuador, Costarica, Guatemala, Perù, India, Vietnam, Sri Lanka, e Tanzania.

Holidays Empire. Agenzia di Roma. Si occupa di vari programmi. Attualmente segnala i seguenti:
• Soggiorni lavoro studio “Work & Travel e Work & Study” in Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Australia e Nuova Zelanda;
• Collocamenti alla pari a Londra, Dublino, in vari Paesi europei e in più in Australia e Nuova Zelanda.

Erc-Euroeduca. Agenzia di Milano. Offre vari programmi tra cui il collocamento alla pari negli Stati Uniti d’America.

Sti Travels. Agenzia di Bologna. Organizza:
• Stage retribuiti per neolaureati in America con ottime capacita di lingua parlata;
• Work and travel in America;
• Anno di studio all’estero.

MB Scambi Culturali. Agenzia di Padova. Presenta diversi programmi tra i quali segnaliamo:
• Studio e lavoro in Inghilterra (a Ramsgate con corso di minimo 4 settimane);
• Studio e lavoro in Australia (a Sydney con corso di minimo 4 settimane, ma consigliate almeno 6).

Welcome Agency. Agenzia di Torino. Offre programmi di:
• Collocamento alla pari in tutti i Paesi dell’Unione Europea,
• Programmi di lavoro/studio nel Regno Unito, Irlanda ed in altri Paesi CE;
• Soluzioni di accommodation a Londra; Accommodations + corso di Inglese a Londra;
• Corsi di lingua in tutti i Paesi CE.

A.R.C.E. Agenzia di Genova. Propone:
• Soggiorni di studio-lavoro in Inghilterra (corso d’inglese e lavoro in hotel e ristoranti);
• Collocamenti alla pari in Inghilterra, Irlanda, Francia, Spagna, Germania, Austria, Nord Europa;
• Collocamenti alla pari di tre mesi e corso di lingua inglese a Dublino (Irlanda) per ragazze dai 18 ai 25 anni con livello intermedio di inglese ed alcune esperienze come baby-sitter;
• Sistemazione in Inghilterra come “ospite pagante” presso famiglie selezionate, con corso d’inglese.

3 ESSE. Agenzia di Varese. Tratta programmi Work and travel in vari Paesi tra cui Stati Uniti d’America, Australia e Nuova Zelanda.

T-Island (Isola dei Talenti). Agenzia di Imola. Si propone di aiutare gli italiani dotati di talento, ma senza prospettive di impiego all’orizzonte, a trovare lavoro all’estero. una vera propria agenzia di collocamento progettata per supportare chi aspira a trovare un lavoro ad andare oltre confine, superando gli ostacoli della burocrazia e fornendo anche un aiuto a districarsi nelle pratiche necessarie e nella ricerca di un alloggio.

I programmi completi offerti da ciascuna agenzia si trovano sui rispettivi siti. Scrivendo agli indirizzi mail indicati, si possono richiedere ulteriori chiarimenti e una consulenza personale.

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Adesso passiamo alla parte più impegnativa. Come fare l’abbiamo visto, ma cosa fare?
Lavorare all’estero. Quale lavoro intraprendere? Trasferirsi all’estero potrebbe implicare la necessità di doversi reinventare, soprattutto se non si è in possesso di una particolare specializzazione, o se si ha un titolo di studio che è spendibile per il 90% solo entro i confini italiani, come sappiamo bene noi giuristi. Occorre, quindi, analizzare il mercato del lavoro.

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La prima regola (anche se forse potrebbe sembrare un po’ controproducente) è quella di non buttarsi subito alla ricerca di un lavoro qualunque. Prendetevi prima del tempo per studiare il mercato del lavoro internazionale. E partite da questo punto: quali posti di lavoro sono richiesti e in quali Paesi? Naturalmente, è un presupposto questo che funziona solo se nelle vostre intenzioni non c’è quella di trasferirvi in un Paese specifico, ma solo quella di lavorare all’estero, ovunque sia. Se, invece, volete restringere il campo di ricerca dovreste cercare quali sono i settori su cui puntare nel mercato del lavoro del Paese che avete scelto.

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Attenzione. Spesso capita che le nazioni che offrono di più sono anche quelle in cui non è facile ottenere visti e permessi per il lavoro: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti, nel caso la vostra esperienza non sia limitata nel tempo, ma abbiate la seria intenzione di lavorare all’estero per un periodo piuttosto lungo. Se cercate un lavoro stagionale, potete puntare anche sull’Europa, tuttavia. E comunque in Europa i Paesi in cui trovare lavoro ‘più facilmente’ sono Regno Unito e Germania.

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Per quanto riguarda il resto del mondo, occhi puntati sul Messico, dove si prevede che si possano aprire nuovi mercati. Ma soprattutto sul Brasile, Paese dall’economia emergente, che offre interessanti opportunità anche per l’avvio di un nuovo business.

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Consigliamo, infine, il sito Lavorare all’estero, in cui troverete offerte di lavoro per italiani all’estero e notizie sull’economia dei Paesi esteri, per iniziare quest’avventura in modo consapevole e con le carte in regola per farcela.

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