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COCA COLA FORMA E RECLUTA ASPIRANTI MANAGER

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Sei giovane, laureato, ambizioso e in cerca di lavoro? Non vuoi accettare provvigioni, contratti part-time, lavori a chiamata o stage che non coprono neppure le spese per la benzina? Allora questa potrebbe essere l’occasione giusta per te. Coca Cola cerca il management di domani.

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Management Trainee Program è un programma della durata di 10 settimane che prevede due settimane di formazione in aula con esperti dell’area commerciale del gruppo Coca-Cola HBC e due mesi di lavoro sul territorio nazionale (Trento, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli). I partecipanti verranno inseriti all’interno di tre rami aziendali: vendita, distribuzione e comunicazione. I migliori avranno un contratto formativo con Coca-Cola Hellenic, la società svizzera licenziataria del marchio The Coca-Cola Company per la produzione e la distribuzione nel mercato europeo.
Questi i requisiti necessari: il candidato ideale deve essere giovane, laureato (laurea triennale e master oppure laurea magistrale) con brillante curriculum accademico e deve conoscere la lingua inglese; deve, inoltre, essere disponibile alla mobilità su tutto il territorio nazionale, possedere ottime doti di leadership e comunicazione e passione per il settore commerciale nonché orientamento al risultato.

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Puoi proporre la tua candidatura sul sito dell’azienda (sezione Lavoro e Carriere), registrandoti e inviando il tuo curriculum. Hai tempo fino al 28 marzo.
Il progetto è stato sperimentato per la prima volta nel 2012 e Coca-Cola HBC ha fatto sapere di 65 casi di inserimento immediato nel mondo del lavoro. È un’opportunità di formazione presso uno dei più importanti brand del mondo, per avere una chance di inserimento nel mercato del lavoro e tentare la strada del successo. In bocca al lupo!

MDS

Fonte: Management Trainee Program Spring Edition 2014

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Governo-Sindacati: dialogo tra sordi?

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di Michele De Sanctis

Il braccio di ferro tra Renzi e Susanna Camusso, che negli ultimi giorni ha esacerbato le polemiche scaturite dalla divulgazione del Jobs Act, merita alcune brevi osservazioni, nell’imminenza della presentazione ufficiale del ddl lavoro.
Sebbene i rapporti tra sinistra e CGIL siano sempre stati ispirati da un tacito principio collaborazionista, negli ultimi anni, complice la crisi e le pressanti richieste della trojka, abbiamo assistito a un decisivo cambiamento di rotta fino ad arrivare all’attuale premier che non si fa scrupolo nel dichiarare le sue intenzioni di procedere nel cammino delle riforme promesse con o senza l’approvazione delle principali sigle sindacali. Anche perché è opinione di Renzi che i sindacati, così come storicamente si sono configurati nella società italiana, siano forze più conservative che progressiste. Posizione opinabile e facilmente confutabile, a mio avviso. Eppure si tratta di un Presidente del Consiglio espressione di un partito che, nella sua duplice natura, conserva non solo la matrice d’ispirazione socialdemocratica e, quindi, di cooperazione con i sindacati, ma che, pure nella sua matrice centrista, non è comunque avulso dallo spirito associazionista dei trait d’union.

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Del resto, la cd. concertazione, siglata dagli accordi del luglio ’93 tra sindacati e politica, ha dato frutti importanti e duraturi per l’economia italiana. E’ solo con il secondo governo Berlusconi e lo scellerato Patto per l’Italia del 2002 che si assiste a un progressivo deterioramento dei rapporti tra istituzioni e parti sociali. Il tentativo dei governi di centrodestra è stato, infatti, quello di mettere fuori gioco la CGIL, pur trattandosi del sindacato maggiormente rappresentativo del Paese, al fine di creare una frattura tra questa Confederazione e le altre sigle. Di tale situazione, radicatasi nel corso dell’ultimo decennio, Confindustria e i rappresentanti delle parti datoriali sono stati i principali beneficiari. L’esautoramento della forza rappresentativa della CGIL si è protratto fino al caso Pomigliano, quando nel 2010 FIAT riuscì a tagliarla fuori del tutto dagli accordi decentrati.

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Ma l’esclusione della CGIL dai tavoli di trattativa ha portato ad accordi impopolari, quanto iniqui e, successivamente, all’indebolimento di tutto il movimento sindacale nel suo complesso. Tant’è vero che, nel governo Monti, il ministro Fornero, ignorando i suggerimenti delle parti sociali, ha varato la sua riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale seguendo le sole linee governative, le raccomandazioni di Bruxelles, quelle di Berlino e, soprattutto, quelle delle principali banche d’affari, creando più di 100.000 esodati, problema a tutt’oggi irrisolto. Considerando un tale precedente ed il danno sociale che ne è stato determinato, sarebbe buona regola riprendere la prassi degli accordi concertati, anche perché un uomo solo, per quanto si proclami risolutivo, non può, in un sistema democratico, mettere mano da solo a nessun tipo di riforma, tanto più a quelle che impattano sensibilmente la società civile. Ci auspichiamo, dunque, un’immediata ripresa del dialogo, lasciando da parte atteggiamenti di sufficienza nei confronti di quelle associazioni che rappresentano i diretti destinatari della riforma che il Governo si appresta a varare.

Annunciata per domani la presentazione del Piano Casa.

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di Michele De Sanctis

Rinviato alle 10.00 di domani mattina il pre-Consiglio, già in programma per oggi, cui seguirà la riunione del Governo durante la quale verrà ufficialmente presentato il Piano Casa del Governo Renzi.

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La relazione tecnica al decreto legge che sarà esaminato domani dall’esecutivo indica un recupero fino a 68.000 alloggi in quattro anni, vale a dire 12.000 alloggi all’anno. Ciò sarà possibile tramite «il ripristino di quelli di risulta», più altri 5.000 «attraverso il finanziamento della pregressa manutenzione straordinaria».

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Il d.l., peraltro, ridurrà dal 15% al 10% la misura della cedolare secca sugli immobili locati a canone concordato, determinando, secondo quanto stimato dal Governo, un aumento del 5% almeno di adesioni a questo regime. La valutazione è stata effettuata su una base imponibile interessata pari a 540.000.000 Euro (prendendo a riferimento la dichiarazione dei redditi anno 2012).
La copertura prevista sarà pari a 1,35 miliardi in 4 anni. Nella relazione tecnica leggiamo che tale finanziamento avrà «un notevole impatto occupazionale sul settore dell’edilizia attualmente in crisi».

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Verranno, inoltre, stanziati 568.000.000 per il recupero degli alloggi ex IACP. Ma il finanziamento riguarderà soltanto i conduttori con reddito annuo lordo familiare inferiore a € 27.000 e che abbiano nel proprio nucleo persone di oltre 65 anni, malati terminali ovvero portatori di handicap con invalidità superiore al 66%. La relazione stima che «il costo di intervento per ciascun alloggio da recuperare si può ragionevolmente stimare in 30-40 mila euro».

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Il Piano Casa del Governo Renzi prevede, inoltre, una detrazione media IRPEF di 530 euro per gli inquilini che prenderanno in locazione alloggi popolari a canone concordato. La detrazione sarà di un massimo di € 900 per redditi complessivi fino a 15.493,71 Euro e un minimo di € 450 per redditi tra i 15.493,71 e i 30.987,41 Euro. Il numero di alloggi interessati é calcolato nella misura di 40.000 unità. In termini di competenza la relazione tecnica stima una perdita di gettito di 21,2 milioni l’anno, mentre in termini di cassa, se quest’anno non ci sarà aggravio, dal 2015 la perdita di gettito passerà dai 37,1 milioni ai 21,2 dei prossimi anni, fino al 2018 quando il conto dovrebbe tornare positivo con +15,9 milioni.

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La riforma del settore in parola sarà presentata insieme al ddl lavoro.
BlogNomos, che ha già esaminato i punti del Jobs Act e con oggi la relazione tecnica al Piano Casa, vi terrà informati sulle novità ufficializzate dalla squadra di Governo non appena si renderanno disponibili.
Continuate a seguirci…

MDS

Razzi (quello vero):«il job Act? Se lo incontro forse lo riconosco. Io famoso anche in Cina»

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Per iniziare la giornata con una risata (ridiamo per non piangere), vi propongo un recente articolo di una nota testata on line abruzzese. L’argomento è Antonio Razzi. Non vi confondete con Crozza: quello che parla è il vero Razzi, ahimè!
Il più noto fenomeno mediatico d’Abruzzo (lascio a voi altri epiteti da associare alla parola fenomeno, ché io vorrei evitare querele) gongola per le imitazioni che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Anche in Cina. Amici abruzzesi, grazie a Razzi ci conoscono anche a Pechino, siete contenti, vero? Io tantissimo, al punto che ho intenzione di iniziare a fingermi marchigiano (so imitare l’ascolano piuttosto bene). Ormai quando vado in giro per l’Italia, appena dico di essere abruzzese dall’altra parte mi sento rispondere ‘ah, Abruzzo…Razzi!’
Buona lettura, anzi buon divertimento!
MDS

ABRUZZO. Ormai Antonio Razzi è diventato un vero e proprio fenomeno. Mediatico. Sdoganato grazie alla imitazione grottesca di Maurizio Crozza che lo ha fatto conoscere al grande pubblico ormai è “preda” ambita dei programmi leggeri e meno leggeri.
Una caricatura dai toni esagerati che ha avuto il pregio di far conoscere il vero Antonio Razzi, il senatore di Forza Italia, abruzzese con una vita intera passata in Svizzera, l’italiano traballante e le idee grandiose da realizzare in politica.
Oggi nuova comparsata ad un Giorno da Pecora su Radio2 condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro dove va tutte le volte che lo invitano e lui sta al gioco. Razzi scherza e si fa prendere in giro perché ha capito che ha tutto da guadagnare.
E il marketing lo conosce davvero bene se è vero che anche in questa occasione ha mostrato felice e orgoglioso le sue magliette.
Non sono mancate le domande di attualità e le risposte come sempre… interessanti.

Certo il dialogo rubato sulla sua pensione (“penso ai cazzi miei”) lo ha lanciato prima di tutti (persino prima di Crozza) e forse anche per questo si è fatto una idea ben precisa sulla abolizione del Senato: voterà contro perchè il Senato c’è fin dalla antica Roma.
«Job Act? Non lo conosco, non ne ho sentito parlare. Di nome non lo conosco, poi magari se lo vedo lo riconosco. C’ha la barba?” ha chiesto forse imitando Crozza che imitava Razzi…
Lo aveva già fatto e oggi lo ribadisce: «grazie a Crozza sono diventato famoso in tutto il mondo».
Come ha trovato il ritorno del Crozza-Razzi, appena ripartito su La7?
«L’imitazione che mi fa Crozza è un po’ migliorato: non mi fa più parlare in tedesco ma in un italiano da terzo mondo».
La prende parecchio in giro…
«Certo, ma mica solo a me, anche a personaggi ben più famosi di me, come Napolitano».
In pratica, Crozza l’ha reso famoso.
«Grazie a Crozza i giovani mi fermano per la strada per farsi le foto con me, tante belle ragazze e tanti bei ragazzi».
Ma la riconoscono in tutta Italia?
«Dove vado vado mi conoscono, anche in Cina mi hanno riconosciuto».
In Cina?
«Sì, alla Città Proibita una volta è arrivato un cinese, bello alto, che mi ha riconosciuto e mi ha chiesto una foto. Ed è successo pure a Dubai».
Quindi lei ringrazia Crozza, altro che arrabbiarsi.
«Dal profondo del cuore ringrazio Crozza che fa delle pigliate in giro verso di me ma mi ha fatto conoscere al grande pubblico», ha detto Razzi.

Fonte: Prima da Noi

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA

Lavoro: Grasso, alta disoccupazione impone intervento radicale

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(AGI) – Roma, 10 mar. – “Le cifre spaventose della disoccupazione nel nostro Paese, e in special modo di quella giovanile, impongono alle Istituzioni un intervento radicale e convinto. Altissime sono le attese dei cittadini su questo fronte”. Lo ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, durante la cerimonia celebrativa dei 130 anni delle Acciaierie di Terni. “Realta’ produttive importanti come questa – ha aggiunto – ci ricordano che il lavoro e’ l’unico strumento per garantire un duraturo benessere per le generazioni attuali e per quelle future. E’ per questo che ritengo che lo Stato, i rappresentanti dei cittadini e le Istituzioni debbano tornare a impegnarsi in politiche industriali forti, perseguendole con convinzione; politiche che da troppo tempo mancano nel nostro Paese in una prospettiva necessariamente europea”.
Per Grasso non si devono poi dimenticare le regole della sicurezza ambientale ne’ quelle della sicurezza sul lavoro: “Non esiste crisi, non esiste profitto, non esiste concorrenza e competizione – ha affermato ancora – che possa far passare in secondo piano la vita umana, la salute, la formazione continua dei lavoratori di ogni qualifica e di ogni settore produttivo, il controllo sistematico delle misure di sicurezza, la tutela dell’ambiente. Deve essere un impegno di tutti fare in modo che i termini ‘industria’, ‘lavoro’, ‘ambiente’, ‘sicurezza’ e ‘benessere’ diventino tra loro sempre piu’ conciliabili e tra loro compatibili, per rinnovare il patto di fiducia e collaborazione tra la citta’, l’azienda, i cittadini e i lavoratori”.

Fonte: AGI

Il governo Renzi e la scuola: rivoluzione o restaurazione?

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di Adriano Prosperi (MicroMega 10 marzo 2014)

Una rivoluzione culturale, annuncia la ministra dell’Istruzione: ma non si tratta di un ritorno d’attualità del compagno Mao e delle sue guardie rosse. La ministra Giannini non sembra affatto una seguace del grande timoniere. E’ decisa o almeno decisionista (che non significa la stessa cosa) e perciò non ha guardato per il sottile nella scelta della sigla per l’azione da svolgere nella scuola. Un settore che gode di una grande attenzione in questo governo: mentre il premier Renzi compie una tournée negli istituti scolastici e promette ai bambini di rifare il tetto agli edifici, la sua ministra si occupa delle fondamenta e promette di rovesciare nientemeno che il paradigma culturale dell’istruzione tutta.

Già nel corso dell’ultima campagna elettorale che la elesse al Senato promise una sua “rivoluzione per l’istruzione”: e oggi è tornata a esibire quel tipo di linguaggio. E’ un piccolo indizio, se ce ne fosse bisogno, di un ricorrente (e non solo suo) uso aggressivo delle parole: che vengono ripescate dal loro contesto specifico e ributtate sulla piazza mediatica senza nessun avvertimento per l’uso.

Alla aggressività ci siamo assuefatti: anche se ci vorrà del tempo perché sparisca dalle menti lo slogan orrendo della “rottamazione”. Ma il linguaggio, come ben sa o dovrebbe sapere una ministra di formazione glottologa, è rivelatore di contenuti e desideri nascosti. Parlare di rivoluzione significa chiedere un consenso all’azione personale mettendo sul piatto tutto il peso di un carisma individuale fatto di energia e di risolutezza: è uno stile inaugurato nell’800 da Luigi Napoleone e per questo porta il nome che gli fu dato da Karl Marx: bonapartismo, cesarismo.

Nacque allora un modello che doveva trovare lungo successo di imitatori nelle strategie di presa individuale del potere nell’età delle masse. Fare appello all’appoggio popolare per sbaraccare regimi parlamentari lenti e litigiosi chiedendo fiducia in bianco al popolo in nome di doti personali speciali e nel pieno disprezzo delle regole formali, divenne da allora lo stile imitato da tanti protagonisti nel bene e soprattutto nel male della storia del potere politico: incluso il compagno Mao e la sua “rivoluzione culturale”.

Ma vediamo quale sia la rivoluzione promessa dalla ministra Giannini e che cosa ci si possa aspettare dall’azione pervasiva e dall’attivismo scolastico suo e del suo premier.

La scuola è così importante per tutti noi ed è così presente nella comunicazione pubblica del governo Renzi che bisognerà guardare meglio a quel che si prepara dietro il velo del decisionismo verbale. La ministra ha parlato spesso di scuola, promettendo molto senza scendere nel concreto. Leggendola sembrava di capire che si andasse finalmente verso un cambiamento della rotta seguita fino ad oggi nel corso del ventennio berlusconiano: privatizzazioni, riduzione alla fame delle scuole pubbliche e degli insegnanti, patto scellerato con la Chiesa italiana.

Poi sono arrivati messaggi più chiari: ha detto giorni fa che il contratto degli insegnanti italiani è “mortificante e da rivedere”. Parole sante. Ma c’è di santo anche qualcos’altro: in pari data vennero sbloccati 223 milioni per le scuole private. Si aggiungono ai 260 già previsti. Piovono benedetti su di un settore in grave difficoltà da anni, per l’emorragia di iscritti. Questione di soldi: l’impoverimento progressivo delle famiglie ha riconvertito la domanda verso le scuole statali. Qui la Gelmini, cioè la ministra che continua ancor oggi a dominare la vita della scuola coi suoi provvedimenti, aveva risolto il problema alzando il numero degli allievi per classe oltre ogni ragionevole limite. Ma la crisi inarrestabile del paese riporta di nuovo la questione all’attenzione del governo e impone alla ministra di scendere nel concreto e spiegare meglio che cosa intende per rivoluzione.

Ebbene quello che viene fatto con lo sblocco dei finanziamenti ha trovato una chiave di interpretazione in quel che è stato detto. Parlando a Radio 1 giorni fa, la ministra ha detto che “la libertà di scelta educativa è un principio di grande civiltà”. Fin qui, niente da obbiettare. Lo dice anche la Costituzione italiana all’art.33 terzo comma: Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Ma la ministra ha aggiunto che scuole statali e paritarie “devono avere uguali diritti”. Espressione diversa da quella usata dai padri costituenti. Si va verso l’affermazione di un diritto oggettivo delle scuole private di godere degli stessi finanziamenti: o no? Sarà bene che si faccia chiarezza su questo punto.

Alla ministra di un governo nato avventurosamente dall’energia vera o presunta di un leader, si deve chiedere se dobbiamo tornare ai tempi di quella ministra Moratti che nel 2004 invitò i dirigenti scolastici a far sì che in tutte le scuole si spiegasse bene il significato del Natale quale rappresentato dalla tradizione italica del presepe. C’è da chiedersi se il fatto che al pluricondannato Berlusconi questo governo abbia reso diritto di presenza pubblica (con l’effetto di spaventare gli investitori finanziari internazionali), porti con sé la messa in crisi del principio della laicità dello stato: un principio che la Corte costituzionale, nella decisione dell’11 aprile 1989 ha definito “supremo”.

Oggi la rivoluzione culturale promessa dalla ministra Giannini, nell’affrontare col metodo dell’energia fattiva i problemi della scuola, sembra far prevalere ancora una volta il fatto sul diritto, la quantità (delle scuole private cattoliche) sulla qualità della scuola pubblica: una qualità che resiste ma che aspetta da tempo di essere rafforzata e tutelata.

Fonte: MicroMega

Liniers – Straphangers

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Fonte: maurobiani.it