L’INSULTO SU FACEBOOK È DIFFAMAZIONE, ANCHE SE LA VITTIMA RESTA ANONIMA. LO DICE LA CASSAZIONE.

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di Michele De Sanctis

La diffamazione vale anche per i commenti su Facebook? Secondo una recente pronuncia della Cassazione, sì. Occhio, quindi, a ciò che scrivete.

Con Sent. n. 16712/2014, i giudici di Piazza Cavour sono tornati ad occuparsi del reato di cui all’articolo 595 c.p., la diffamazione.

L’interesse suscitato a livello mediatico da questa pronuncia sta nel fatto che il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda l’offesa all’altrui reputazione avvenuta attraverso Facebook e senza fare nomi.

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La Corte stabilisce che chi scrive su Facebook commenti infamanti su una persona, anche senza farne esplicitamente il nome, configura il reato di diffamazione ed è quindi punibile a norma di legge. Con questa decisione la Cassazione ha condannato un maresciallo della Guardia di Finanza della provincia di Pisa per questo status su Facebook dal tenore offensivo nei confronti di un collega:

“Attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di un collega raccomandato e leccaculo…ma me ne fotto…” Minacciando, peraltro, vendette e ritorsioni sulla moglie dello stesso.

Il post diffamatorio inoltre era stato letto da una ristretta cerchia di iscritti. Ma sta di fatto che, pur non essendo stata fatta menzione di alcun nome, venivano forniti particolari sufficienti per identificare la persona diffamata.

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Alla condanna di primo grado aveva fatto seguito in appello l’assoluzione per insussistenza del fatto. La Corte d’Appello aveva motivato l’assoluzione facendo notare che l’identificazione dell’offeso poteva essere operata solo da una ristretta cerchia di utenti, posto che l’imputato non aveva indicato il nome del collega.

Tuttavia, la prima sezione penale della Cassazione ha ribaltato tale verdetto argomentando che la frase offensiva fosse ampiamente accessibile dagli iscritti al social network e che la persona offesa, pur non nominata, avrebbe potuto essere facilmente individuata. “Il reato di diffamazione – dice il giudice di ultima istanza, nel cassare la decisione di secondo grado – richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.

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Secondo i giudici di Piazza Cavour, quindi, il vizio de legittimità risiede nel fatto che la corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato l’iter logico-giuridico che conduce ad affermare che il novero limitato di persone in grado di identificare il soggetto passivo comporti “l’esclusione della prova della volontà dell’imputato di comunicare con più persone in grado di individuare il soggetto” in questione.

Insomma, d’ora in avanti ci sarà da stare particolarmente attenti ad esprimere le proprie opinioni su conoscenti, colleghi e personaggi pubblici anche sui social network: la mancata citazione del nome così come il fatto che si tratti “solo” di un commento su Facebook non difendono dall’accusa di diffamazione.

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ARRIVA IL BONUS IRPEF

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata di ieri, dopo un lungo Consiglio dei Ministri, il Governo ha licenziato la manovra che permetterà, a partire dal prossimo mese di maggio, l’erogazione del bonus di € 80 mensili netti in busta-paga (circa € 640 complessivi pro capite fino a dicembre 2014) a favore di 10 milioni di lavoratori dipendenti pubblici e privati che guadagnano da € 8.000 ad € 24.000 lordi all’anno (mentre l’ipotesi di allargamento fino ad € 28.000, ritenuta possibile fino a qualche giorno fa, è stata abbandonata, in quanto avrebbe cagionato costi eccessivi e non sostenibili per il bilancio dello Stato). Di conseguenza, appare evidente la conferma dell’annunciata decisione governativa di escludere dal bonus i lavoratori autonomi ed i pensionati rientranti nella medesima fascia di reddito.
Da un punto di vista squisitamente tecnico, si tratta di un credito d’imposta a favore di ogni lavoratore dipendente rientrante nella platea sopra meglio indicata e calcolato sul suo imponibile IRPEF al netto dei contributi previdenziali. Tale credito d’imposta sarà direttamente inserito in busta paga dal cosiddetto “sostituto d’imposta”, cioè dal suo datore di lavoro. Infatti, i datori di lavoro interessati dalla previsione normativa, al momento di versare allo Stato Fisco le trattenute IRPEF mensili di ciascun loro dipendente, non dovranno fare altro che versare una trattenuta più bassa, decurtata dal bonus in questione, il quale andrà ad incrementare l’ammontare della retribuzione netta in busta-paga, la quale, peraltro, riporterà analiticamente, con una specifica voce, l’ammontare del bonus medesimo.
Poc’anzi, si è detto che il bonus ammonterà a circa € 80 mensili netti per tutti i lavoratori dipendenti con redditi lordi annui compresi tra € 8.000 ed € 24.000. Tuttavia, al fine di non creare discriminazioni con le fasce di reddito immediatamente superiori, è stato previsto un leggero decalage per i lavoratori dichiaranti un reddito compreso tra € 24.000 ed € 26.000. Tuttavia, per conoscere l’ammontare di tali importi bisognerà attendere la pubblicazione ufficiale del provvedimento in esame.

Inoltre, il Presidente del Consiglio ha specificato che la misura in esame ha natura strutturale e che, quindi, sarà ripetuta anche l’anno prossimo. Di conseguenza, il Governo dovrà trovare la necessaria copertura per il bonus relativo all’anno 2015, stimata in circa 10 miliardi di euro, in quanto le risorse finora disponibili, pari a 6,9 miliardi euro, garantiscono l’erogazione del bonus in questione soltanto per gli ultimi otto mesi di quest’anno.
A tal proposito, il Ministro dell’Economia Padoan ha garantito che la copertura sarà assicurata con l’approvazione della legge di stabilità 2015, la quale prevederà un intervento di spending review di circa 14 miliardi di euro (cioè, 4 miliardi in più del necessario).

Una nota dolente è rinvenibile nel fatto che il Governo ha dovuto rinviare il progetto di estendere tale bonus anche agli incapienti, cioè a quelle persone (si calcola che siano circa quattro milioni) che guadagnano meno di € 8.000 euro lordi all’anno. La mancata estensione del bonus agli incapienti è stata determinata dall’assenza di un’adeguata copertura determinata dalla decisione del Governo di rinunciare al miliardo di euro che sarebbe stato garantito da un ventilato taglio alle spese sanitarie, che, poi, si è deciso di non operare.
Comunque, il Governo ha garantito che interverrà nei prossimi mesi con specifici provvedimenti a favore, sia degli incapienti, che dei titolari di Partite IVA.

Inoltre, a partire da quest’anno, vi sarà una riduzione sull’IRAP dovuta dalle imprese e dai professionisti del 10%, in quanto tale imposta scenderà dal 3,9% al 3,5% con un beneficio stimato per le imprese e d i professionisti di circa 700 milioni di euro.
Unitamente a tale taglio dell’IRAP, le imprese beneficeranno dei pagamenti dei debiti da parte dello Stato, in quanto il Governo ha sbloccato ulteriori 8 miliardi di euro per tale scopo. L’assolvimento dei debiti dello Stato nei confronti dei suoi fornitori concorrerà anche a garantire la copertura dell’intera manovra, in quanto l’IVA che sarà incassata andrà ad incrementare le entrate del bilancio dello Stato per circa 600 milioni di euro.

La copertura di tali riduzioni fiscali sarà garantita da un mix di interventi che lascerà indenni i settori della sanità, delle pensioni e dell’istruzione, senza, al contempo, operare alcun taglio delle detrazioni per mutui o spese varie (a differenza di quanto era trapelato dalle prime indiscrezioni).
Infatti, la gran parte della dotazione finanziaria necessaria per il compimento della manovra in esame proviene da un combinato disposto di aumenti delle entrate fiscali non impattanti sui redditi delle persone fisiche e di riduzioni della spesa corrente dello Stato.
In primo luogo, si sottolinea la decisione di rivalutare le quote che il sistema bancario italiano detiene nella Banca d’Italia. Tale rivalutazione, già decisa dal Governo Letta, produrrà plusvalenze che devono essere tassate. Il Governo Renzi ha deciso di aumentare la tassa sostitutiva che devono pagare le banche dal 12% al 26%, con un conseguente incremento delle entrate dello Stato pari ad 1,8 miliardi di euro.
Analoga decisione è stata presa anche per quanto concerne le rendite finanziarie di coloro che staccano le cedole obbligazionarie, azionarie o ottengono plusvalenze in Borsa. Infatti, la loro tassazione è innalzata dal 20% al 26%.
Inoltre, sono previste ulteriori entrate pari a circa 300 milioni di euro provenienti dalla lotta all’evasione fiscale.

Venendo al fronte della riduzione delle uscite, il Governo ha approvato un cosiddetto “pacchetto sobrietà”, che dovrebbe produrre risparmi per circa 900 milioni di euro per l’anno 2014, attraverso una serie di misure.
In particolare, saranno operati tagli alle retribuzioni dei manager delle società a partecipazione pubblica, dei dirigenti pubblici, degli alti magistrati ed dei titolari di posizioni apicali nelle forze armate. Le retribuzioni di costoro non potranno superare il tetto massimo di € 240.000 all’anno. A tal proposito, il Presidente del Consiglio ha citato la regola di Adriano Olivetti, secondo la quale un un manager non dovrebbe guadagnare dieci volte più di un suo dipendente.
Un ulteriore riduzione di uscite, pari a circa 55 milioni di euro, sarà garantita dai tagli che verranno operati nei confronti degli organi costituzionali (cioè, la Corte Costituzionale, la Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica ed il CNEL).
Invece, rimangono difficilmente valutabili i ventilati risparmi provenienti dai tagli all’acquisto di beni e servizi per Ministeri, Regioni e Comuni, stimati per circa 2,1 miliardi di euro.
Anche i costi della politica della politica saranno oggetto di una ulteriore specifica riduzione. La riforma delle Province produrrà i già annunciati risparmi per circa 100 milioni di euro, ma una novità è rinvenibile nell’abolizione della tariffa agevolata per le spese postali per la campagna elettorale.
Ulteriori riduzioni alle uscite saranno garantire con un intervento avente ad oggetto le aziende municipalizzate che dovranno ridursi dalle attuali 8.000 fino a 1.000, con un percorso amministrativo che si avvierà entro l’anno.
Il Governo ha anche invitato la Rai a vendere Raiway, la società proprietaria dei ripetitori e delle frequenze ed ha confermato il risparmio di 150 milioni di euro derivanti dalla riduzione del programma di acquisto dei cacciabombardieri F35.
Abbiamo detto, poc’anzi della previsione del taglio dell’IRAP. Tuttavia, le imprese sono anche oggetto di un taglio di alcune agevolazioni loro finora spettanti, unitamente ed una riduzione delle rate relative alle pluvalenze dovute a rivalutazioni degli asset. Si tratta di un’operazione che produrrà economie sul bilancio dello Stato per circa un miliardo di euro.

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La ‘PILLOLA’ del giorno…

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Volevamo essere solo bravi, ma ringraziamo chi si è lasciato ispirare da noi!
E oltre all’appuntamento fisso con le nostre ‘Pillole di Jobs Act’, non potevamo non donarvi anche quest’altra coloratissima ‘pillola’…

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Jobs Act breaking news. La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha apportato diverse modifiche al D.L. n. 34/2014.

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di Germano De Sanctis

Come è noto, il D.L. n. 34/2014, uno dei due pilastri del Jobs Act, è all’esame della Camera dei Deputati per la sua conversione in legge.
Nel corso della giornata di ieri, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha apportato diverse e significative modificazioni al testo originario licenziato dal Governo, al punto da suscitare un aspro scontro politico in seno alla maggioranza di Governo.

Infatti, il Nuovo Centrodestra si è duramente opposto a tali modifiche, giudicandole capaci di stravolgere l’impianto originario licenziato dal Consiglio dei Ministri.
Invece, il Partito Democratico è stato di diverso avviso, al punto da essere l’unico partito di maggioranza ad aver votato il provvedimento in Commissione Lavoro, in quanto il Nuovo Centrodestra non ha partecipato al voto e Scelta civica si è astenuta.
Ciononostante, il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si è dimostrato sereno, affermando che non è stato minimamente stravolto l’impianto del D.L. n. 34/2014 ed, al contempo, ha lodato l’attività mediatrice svolta dal relatore Carlo dell’Aringa (PD).
A tal proposito, il relatore, Carlo Dell’Aringa ha tenuto a precisare che le modifiche approvate dalla Commissione sono il frutto di un serrato confronto tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, ivi comprese, ovviamente, quelle che compongono la maggioranza di Governo.

Vendendo all’esame delle singole modifiche apportate, bisogna, in primo luogo, evidenziare la decisione di ridurre da otto a cinque il numero delle proroghe possibili per i contratti a termine acausali nei tre anni di durata massima, con l’esclusione dei contratti di somministrazione.

In secondo luogo, è stata introdotta una specifica sanzione per le imprese che, a far data dal 01-01-2015, non rispetteranno il tetto del 20% dei contratti a termine acausali sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato. Nello specifico, la fattispecie sanzionatoria in esame prevede che ogni lavoratore a termine impiegato superando tale limite sarà automaticamente assunto a tempo indeterminato. Tuttavia, la novella prevede la possibilità per i datori di lavoro di riportarsi al di sotto del predetto limite del 20% entro la data del 31-12-2014, senza alcuna conseguenza sanzionatoria.

Infine, muta sensibilmente l’intera previsione riformatrice in materia di apprendistato. Infatti, le modifiche che interessano tale istituto sono molteplici:

  1. viene reintrodotto l’obbligo della forma scritta per il progetto di formazione, anche se in forma semplificata ed inserita nel contratto stesso;
  2. è stata ripristinata la previsione di una percentuale obbligatoria di stabilizzazioni di apprendisti, pari al 20% (più bassa di quella previgente) e operante soltanto nei confronti dei datori di lavoro con almeno trenta lavoratori dipendenti;
  3. è stata recuperata anche la formazione pubblica obbligatoria dell’apprendista, ma prevedendo che l’obbligo in capo alle Regioni d’inviare al datore di lavoro il piano formativo per la formazione trasversale e di base entro quarantacinque giorni dall’avvio del rapporto di apprendistato, con l’espressa previsione che, in caso di mancato tempestivo invio, il datore di lavoro è libero dall’osservanza di tale obbligo.

L’ultima modifica apportata concerne le donne occupate con contratti a termine di almeno sei mesi che entrano in gravidanza. In tal caso, l’indennità di maternità dovrà essere conteggiata ai fini del diritto di precedenza, nei casi in cui il datore di lavoro decida di assumere a tempo determinato od indeterminato nei dodici mesi successivi.

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Stai educando i tuoi figli a essere amici dell’ambiente? Prova il test

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da Il Sole 24 Ore Rubrica Food24, del 16 aprile 2014
di Maria Teresa Manuelli

Ogni anno lo spreco domestico costa agli italiani 8,7 miliardi di euro: una cifra vertiginosa, che deriva dall’inutilizzo settimanale medio di circa 213 grammi di cibo gettato – perché considerato non più edibile – al costo di 7,06 euro settimanali a famiglia. Sono dati del Rapporto 2013 sullo spreco domestico realizzato da Knowledge for Expo, l’Osservatorio di Swg e Last Minute Market, con l’apporto dell’Osservatorio nazionale sugli sprechi Waste Watcher.
Cifre da capogiro che hanno ispirato la campagna europea di sensibilizzazione “Un anno contro lo spreco”, promossa da Last Minute Market, lo spin off dell’Università di Bologna e diretta dal fondatore e presidente, l’agroeconomista Andrea Segrè.

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La campagna è nata nel 2010 con tema portante sugli sprechi alimentari, è proseguita nel 2011 con focus su sprechi idrici e quindi nel 2012 occupandosi di sprechi energetici, per approdare all’edizione 2013 dedicata a SprecoZero. Green&Young, ovvero l’impegno contro lo spreco raccontato e spiegato ai giovani, sarà invece il leit motiv dell’edizione 2014, presentata ieri al Parlamento di Strasburgo. Con Segrè sono intervenuti i deputati europei Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura, Matthias Groote, presidente della Commissione Ambiente e Salvatore Caronna, relatore della Risoluzione “Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’Ue” – approvata dal Parlamento Europeo il 19 gennaio 2012 -, per rilanciare con un documento-appello l’impegno dell’Europa contro lo spreco alimentare.
Green&Young sarà illustrata dalla matita di Francesco Altan e prevede l’attivazione di un concorso nazionale di sensibilizzazione sul tema spreco, che sarà proposto nell’anno scolastico 2014/2015 per gli Istituti Primari italiani. Sono inoltre in programma ulteriori iniziative in collaborazione con l’Antoniano e con la Città dello Zecchino di Bologna, che terrà a battesimo la presentazione del progetto contro lo spreco per i più giovani.
E noi, stiamo già educando i nostri figli a non sprecare le risorse alimentari? Scopriamolo con questo test, realizzato in collaborazione con Last Minute Market. Ricordando sempre che il buon esempio è il migliore dei maestri.

Vai al test

Fonte: Il Sole 24 Ore

Voto di scambio: 416ter e gli opportunisti 5 stelle

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dal Blog di Giovanni Favia su Il Fatto Quotidiano – Blog. Post del 16 aprile 2014

Da qualche giorno l’M5s è sulle barricate (dorate) per bloccare un vergognoso regalo che la casta, come già con le banche (semi bufala) vuole fare alla mafia. Il tutto condito con Berlusconi che incontra Napolitano, l’ombra del massone Verdini e la loro solita epica del complotto e dell’indignazione. Lord Blog ha quindi mobilitato due milioni di utenti che capendo poco o niente della questione hanno fatto influencing e inondato le mail di alcuni parlamentari Pd, tra cui Lumia e Casson, due persone che si sono sempre battute contro criminalità e malaffare di cui la prima sotto scorta. Lo scandalo macroscopico pro mafia? Il reato votato prevede pene ridicole secondo i 5s, ridotte dai 4 ai 10 anni su preciso input esterno. Detta così come non reagire?
Ma la storia è diversa e seguendo la diretta del Senato ho avuto un conato di vomito dalla diarrea di retorica. Ma vediamo i fatti.

1. In Italia manca una norma seria per contrastare lo scambio politico mafioso. Quel po’ che si trova nell’ormai rottamato 416ter lo dobbiamo a Giovanni Falcone.

2. Per vent’anni nessun parlamento ha mai fatto nulla. Nel 2013 sotto elezioni Libera, Gruppo Abele, Avviso Pubblico, Mafia Nein Danke, Libera France e Anticor decidono di attivarsi e lanciano la campagna “riparte il futuro” raccogliendo 470.000 firme per riscrivere il 416ter. Molti parlamentari all’epoca candidati aderiscono all’iniziativa. Inciso: il M5s che oggi scopre l’importanza vitale della questione, nei venti punti del programma non gli aveva dedicato nemmeno una riga.

3. Le associazioni dopo le elezioni iniziano un lavoro assiduo con i parlamentari che avevano aderito alla campagna per riformulare il testo dell’articolo.

4. Il testo viene steso ed arriva in discussione (1) alla commissione della Camera. Il M5s ha tutto il tempo per dibattere, studiare e capire se è scritto bene o male. Lo licenzia per la discussione (2) in Aula. Il testo prevede pene dai 4 ai 10 anni (quelle che oggi sarebbero l’oggetto dello scandalo e di un accordo sottobanco). Viene votato all’unanimità e col sostegno convinto del M5s. E’ luglio 2013: 503 favorevoli su 503 presenti.

5. Il 20 dicembre il testo arriva in discussione (3) in commissione al Senato dove il Pd con l’appoggio di M5S e Sel si fa del male da solo (da qui infatti si origina tutto) presentando un emendamento che alza le pene a 7-12 anni invece di 4-12. L’errore di Casson e colleghi sta nel dimenticarsi ad esempio che la Commissione Garofoli, di cui faceva parte anche il procuratore antimafia Gratteri, nella sua relazione (cap 6 pag 120) spiegava chiaramente che la sanzione per un 416ter dovesse essere inferiore a quella del 416bis (il reato di associazione mafiosa che prevede appunto pene di 7-12 anni ma che però Pd-M5S-Sel non hanno modificato). Questa differenziazione risponde ad un giusto principio costituzionale che prevede pene diverse in relazione alla diversa gravità dei reati. Il testo arriva nell’Aula del Senato per un’altra (forza che siamo ancora all’inizio) discussione (4). Viene approvato emendato con pena 7-12 anni.

6. Il 12 febbraio 2014 il nuovo testo torna alla Commissione della Camera per un’altra discussione (5). La Commissione si accorge che l’innalzamento di pena voluto al Senato è sbagliato perché sproporzionato e non in armonia con il resto delle pene del Codice Penale in tema di mafia. E mettere mano al Codice è sempre cosa delicata, non da slogan di campagna elettorale. Nessun complotto, nessun Verdini piduista, nessun incontro Berlusconi Napolitano. Mi raccomando seguite sempre le date. Qui viene il bello.

In Commissione il deputato M5S Colletti come prova questo documento parlando a nome del M5S non si oppone alla riduzione delle pene, anzi comprende la fondatezza giuridica dei rilievi anche sulla scarsa tipizzazione del reato (altra cosa su cui oggi fanno polemica). Infatti sono gli esponenti dell’associazione nazionale magistrati a chiedere che la norma venga modificata specificando meglio il fatto del reato altrimenti, dando per buona la versione del Senato il rischio sarebbero tante inchieste e poche condanne. Fin qui siamo alla buona fede, il rappresentante 5s dei cittadini sta infatti votando secondo la propria coscienza e non fa sceneggiate. Poi succede che il testo viene licenziato dalla Commissione e che qualche sito online inizia a rilanciare il tema della riduzione della pena come una porcheria. Infatti si presta benissimo ad essere strumentalizzato. Perdere un’occasione del genere per fare populismo? Non scherziamo. Qui l’M5s si trova servita una torta già fatta. Piatto ricco mi ci ficco. Ne intravede tutto il potenziale per stimolare il marketing dell’indignazione popolare.

7. Il 3 aprile il testo arriva in aula alla Camera per l’ennesima discussione (6). Parliamo di un articolo di 3 righe, non di una legge strutturata. l’M5S intanto ha già imbracciato i mitra, urlando che la legge (stanno parlando di ciò che loro stessi qualche mese prima avevano con entusiasmo sostenuto e votato tal quale e non gli può essere sfuggito nulla, sono tre righe) è in realtà un vergognoso ed indecente regalo alla mafia. Che la modifica in commissione, prima ritenuta fondata da loro stessi, è originata dal “governo delle larghe intese sulla mafia” e dal disegno criminale di Verdini-Renzi. Keep calm. Siamo alla terza lettura e alla sesta discussione ma non è finita. Comincia lo show. Prima Nuti (M5S) poi non ci crederete proprio lui, Colletti “Giano-bifronte” fa un carpiato di 360 gradi e interviene dichiarando senza pudore “…dovremmo cambiare il titolo del ddl e chiamarlo ‘Voto di scambio politico elettorale tra Renzi, Verdini e Berlusconi’” E vi risparmio il resto. E’ un classico. In Commissione dove si lavora veramente, restano cheti o fanno spesso per impreparazione, scena muta (mi viene detto da degli ex). In Aula al Senato o a Montecitorio partono invece col teatro a favore di Youtube, perché la loro folla li possa adorare condividere e retwittare. E’ uno sport ormai. Come mai non fanno una battaglia per la diretta dei lavori della Commissioni? Ma questo è un’altro articolo.

Poi si arriva ai giorni recenti con la mediocre pagliacciata al Senato, e poi la bagarre alla Camera alla votazione che approva il testo. L’allarmismo diffuso attraverso tutte le trasmissioni Tv in cui urlano paonazzi che con quelle pene i politici condannati non prenderebbero l’interdizione dai pubblici uffici (idiota esiste comunque la legge Severino che sospende i condannati dalle cariche pubbliche) che gli anni di carcere sarebbero pochi (furbetto non racconti che la pena del 416ter si può cumulare con il 416bis quindi anche ventidueanni) che Falcone si starà rivoltando nella tomba perché nella sua norma la pena era più alta e che è diminuita del 40% (sveglia! era un reato diverso, qui si colpisce anche solo la promessa non l’avvenuto scambio di favori) oppure: “Anche Emiliano del Pd ha confessato a La7 l’inciucio!!” (si ma Emiliano quando vi fa comodo è l’oracolo di Delfi? Non è parlamentare e mi pare facesse un ragionamento di apertura al dialogo evidenziando la difficoltà generale di trovare accordi con la destra).

Diciamo anche che Roberti (procuratore nazionale antimafia da sempre in prima linea e per nulla tenero con Renzi), Cantone (anticorruzione), Don Ciotti, Libera e la stragrande maggioranza delle personalità e delle associazioni operanti nel settore sono entusiasti di questa norma che finalmente arriva come un duro colpo agli intrecci tra politica e mafia, fino ad oggi non sanzionabili. E parliamo di persone che la mafia la combattono non a parole o per prendere voti (giocando sull’ignoranza dei cittadini), ma ogni giorno e con i fatti. I 5 stelle spesso citano Gratteri come un esponente autorevole schierato dalla loro parte contro questo 416ter. Sono in malafede, è falso.

Gratteri non ha parlato negativamente della norma, anzi ha detto che è un importante passo davanti. Ha solo evidenziato una criticità che condivido pienamente anch’io: rimodulare ed alzare tutte le sanzioni per i reati di mafia, a cominciare dal 416 bis perché i mafiosi non sono spaventati da pene di breve durata. Questo però, per il principio costituzionale della proporzionalità è sbagliato farlo intervenendo solo sul 416ter, senza un’armonizzazione generale e ponderata delle pene per mafia. “Ma hai letto cosa ha scritto Ingroia!” Aggiungono. Si l’ho letto, ma Antonio con cui avevo già parlato è il primo a ribadire come questa del M5s sia una pagliacciata per fare “campagnetta elettorale” (ormai è permanente). Un conto poi è avere un’opinione personale che può essere giusta o sbagliata, un altro manipolare i fatti e far credere che si sia gli unici difensori dell’antimafia o che con questa legge si facciano regali ai politici collusi, quando la stessa legge in prima lettura la si è votata. Quanto meno moderate i toni altrimenti fate come il Pdl quando se la prende con il Fiscal Compact.

Ho scritto tutto questo per quei due milioni di cittadini che in buona fede hanno fatto mailbombing ai parlamentari. Capite cosa può provocare una suggestione di massa ben instradata? Avete il diritto di sapere come in realtà sono andata le cose. Libera ha dichiarato testualmente “Il vero regalo che si farebbe oggi a mafiosi e politici collusi sarebbe la mancata approvazione della riforma prima della prossima campagna elettorale”. Urlare al golpe della ghigliottina quando si fa dolosamente ostruzionismo mentre c’è l’urgenza di votare e quando un articolo di tre righe è stato discusso tra commissione ed aula otto volte e nel corso di ben 400 giorni, è ridicolo e strumentale.

E’ legittimo politicamente sostenere una pena più alta uguale a quella di un capomafia. Come è altrettanto legittimo e di buon senso, avere la convinzione che pur essendo gravissima, la condotta del politico che promette favori al mafioso sia una condotta differente da quella di chi la mafia la fa e la comanda. Basta non prendere in giro i cittadini gettando fango con accuse pesanti su una legge importante e nata dal basso, come se la stessa fosse un regalo alle cosche.

Ieri al Tg ho sentito Grillo dire in conferenza “Chi gli ha telefonato, Totò Riina?” Parlando dei parlamentari che hanno votato la legge. Siamo a quel livello. C’è chi per un voto in più venderebbe anche sua madre. Come partitocrazia insegna, vecchia e nuova, la menzogna è diventata garanzia di successo per il politico e la manipolazione dei fatti la sua prima occupazione. Informatevi in rete possibilmente andando oltre le prime due pagine di ricerca di Google. Non prendete per oro colato quello che leggete sul Sacro Blog. Non credete nemmeno a me ma verificate di persona. Vogliono la vostra obbedienza, la vostra fedeltà, il vostro voto. Non la vostra libertà.

Fonte: I blog de Il FattoQuotidiano.it

I TRENTENNI E LA CRISI. FIGLI CONTRO PADRI.

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di Michele De Sanctis

Gli ultimi dati Istat (gennaio 2014) ci dicono che il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 42,4%, attestando la drammaticità della condizione dei giovani italiani che si approcciano al mercato del lavoro. Abbiamo spesso sentito ripetere che questa è la prima generazione di figli che starà peggio dei propri padri, ma è poi difficile supportare tali affermazioni con dati puntuali. In linea di massima, si dovrebbe osservare l’intera sequenza dei redditi percepiti dalla persone nel corso della propria vita; tuttavia, dati di questa natura (che contengano informazioni su individui di diverse generazioni, quindi nati in anni molto distanti tra loro) sono pressoché difficili da reperire.
È certo, però, che le condizioni di ingresso nel mercato del lavoro hanno una forte influenza sul futuro percorso di carriera. Statisticamente è dimostrabile che chi entra sul mercato del lavoro con un salario basso farà molta fatica a rimontare.
Per tale ordine di ragioni, i dati riportati nel grafico qui sopra si dimostrano particolarmente interessanti perché illustrano il reddito medio degli attuali trentenni rispetto alla media dell’intera popolazione in anni diversi. Chi è nato nel 1947, e quindi aveva trent’anni nel ’77, a quella data guadagnava circa il 10% in più del salario medio dell’intera popolazione. La curva, però, mostra che questo premio si assottiglia notevolmente già per i trentenni del 1984, che guadagnavano poco meno del 3% in più della media, per finire con l’azzerarsi quasi completamente nel 1991. Dopodiché la curva crolla. Chi è nato nel 1980 arriva ai trent’anni guadagnando il 12% in meno del reddito medio dell’intera popolazione.

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Possiamo, quindi, parlare di conflitto generazionale tra padri e figli? Forse. Ciononostante potrebbe obiettarsi che oggi l’entrata nel mercato del lavoro è ritardata dal fatto che più persone arrivano a conseguire la laurea e quindi ottengono un primo impiego (con conseguente salario iniziale) più tardi rispetto ai propri padri. Vero anche questo, ma, statistiche a parte, invito ciascuno di voi a una riflessione personale. I trentenni soprattutto. Per esempio, io, che di anni ne ho 34, sono entrato nel mercato del lavoro a 26, dopo il conseguimento della mia prima laurea, che, proprio come quella di mio padre, nato nel ’47, era a ciclo unico (ante riforma del 3+2). Lui nel mercato del lavoro è entrato con soli tre anni di anticipo rispetto a me, ma soltanto perché iniziò a lavorare prima di laurearsi. A parità di qualifica ricoperta a trent’anni, io considererei anche il diverso potere d’acquisto tra la mia busta paga e la sua, come anche il fatto che alla mia età lui aveva una casa ed io vivo ancora in quella stessa casa che papà comprò a 30 anni (il che distingue nettamente i due redditi).
Sì, dati alla mano ed esperienza personale mi confermano l’esistenza del conflitto generazionale.
Quanti di voi a 30 anni hanno potuto acquistare una casa? E se ce l’avete fatta, in che anno siete nati?

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L’obbligo per i datori di lavoro di richiedere il certificato penale in caso di assunzione di lavoratori per attività che comportano un contatto diretto e regolare con i minori

 

 

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di Germano De Sanctis

A far data dal 06-04-2014, è entrato in vigore, il D.Lgs., 04-03-2014, n. 39, il quale in attuazione della Direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, all’art. 2, ha introdotto nell’ordinamento giuridico l’art. 25-bis, D.P.R., 14-11-2002, n. 313 (c.d. Testo Unico sul Casellario Giudiziario), il quale dispone che il certificato penale del casellario giudiziale di cui all’art. 25 D.P.R. n.313/2002 deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli artt. 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) e 609-undecies (adescamento minorenni) c.p., ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori.

In altri termini, dal 06-04-2014, i datori di lavoro pubblici e privati che intendono assumere un lavoratore che dovrà operare in maniera regolare e continuativa con i minori sono obbligati a richiedere il certificato del casellario giudiziale all’Ufficio locale del casellario presso la competente Procura della Repubblica.

Il 3 aprile scorso il Ministero della Giustizia ha emanato una circolare e due note esplicative sull’applicazione del decreto, con le quali ha inteso chiarire che l’obbligo di munirsi di certificato è relativo ai soli rapporti di lavoro, nelle varie forme che possono assumere, e non ai servizi di mero volontariato. Tale interpretazione trova fondamento nel richiamo alla nozione di “datore di lavoro” contenuta nell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 39/2014.
In altre parole, gli enti e le associazioni di volontariato sono tenuti a richiedere il certificato per i soggetti con cui stipulano un contratto di lavoro, ma esclusivamente per i loro lavoratori dipendenti e non per gli operatori che collaborano con loro a titolo volontario. Ovviamente, l’adempimento in questione riguarda esclusivamente quei datori di lavoro che intendano stipulare nuovi contratti di lavoro con persone che comportino contatti diretti e regolari con minori e, quindi, esso deve essere assolto “prima dell’assunzione al lavoro”. Infatti, il Ministero della Giustizia ha chiarito che tale obbligo riguarda solo i nuovi assunti e non il personale già dipendente. In altri termini, le richieste del certificato casellario giudiziale dovranno essere fatte dal datore di lavoro per tutti i nuovi contratti a partire dalla data del 06-04-2014.

Tornando all’esenzione dalla richiesta del certificato penale del casellario giudiziale nei confronti dei volontari, il Ministero della Giustizia ha chiarito che l’adempimento di tale obbligo sorge soltanto ove il soggetto che intenda avvalersi dell’opera di terzi – soggetto che può anche essere individuato in un ente o in un’associazione che svolga attività di volontariato, seppure in forma organizzata e non occasionale e sporadica – si appresti alla stipula di un contratto di lavoro. Invece, l’obbligo non sorge, ove si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all’interno di un definito rapporto di lavoro. Pertanto, come poc’anzi detto, la nuova prescrizione normativa opera soltanto in caso d’instaurazione di un rapporto di lavoro, perché al di fuori di questo ambito non può dirsi che il soggetto, che si avvale dell’opera di terzi, assuma la qualità di “datore di lavoro”. Di conseguenza, il D.Lgs. n. 39/2014 esclude l’obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale in capo ad enti ed associazioni di volontariato qualora intendano avvalersi dell’opera di volontari, in quanto costoro esplicano un’attività che non è configurabile come un rapporto di lavoro.

Inoltre, la poc’anzi citata seconda nota esplicativa del Ministero della Giustizia ha specificato che, una volta avanzata la richiesta di certificato al casellario ed in attesa del suo rilascio, il datore di lavoro può procedere all’impiego anche con una dichiarazione sostitutiva del lavoratore. Tale precisazione sorge dall’esigenza di evitare che, nella fase di prima applicazione della nuova normativa, possano verificarsi inconvenienti organizzativi.
In altri termini, una volta effettuata la richiesta all’ufficio del Casellario, il datore di lavoro potrà procedere all’impiego del lavoratore anche mediante l’acquisizione di un’autocertificazione (per i dipendenti pubblici) o di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (per i dipendenti privati), che attesti l’assenza di condanne legate all’abuso o allo sfruttamento sessuale dei minorenni. Tale dichiarazione ha valore soltanto nel periodo intercorrente tra la richiesta e il rilascio del certificato e, di conseguenza, il datore di lavoro deve comunque richiedere il certificato all’Ufficio del Casellario Giudiziale presso la Procura della Repubblica competente, conservando, al contempo, la dichiarazione resa dal soggetto che intende assumere.
Si ricorda che il certificato ha una validità di sei mesi ed il Ministero della Giustizia non ha ancora chiarito se il datore di lavoro sia obbligato a rinnovare la richiesta di emissione del certificato ogni sei mesi.

In adesione alle indicazioni di prassi del Ministero della Giustizia, è intervenuto anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il quale, in data 11-04-2014, ha emanato la Circolare n. 9, con la quale ha fornito alcuni ulteriori chiarimenti in merito a tale adempimento.

Innanzi tutto, per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione della norma in questione, la circolare ministeriale fa rientrare tra i soggetti obbligati alla richiesta del certificato anche i committenti, nel caso d’instaurazione di rapporti di natura autonoma che comportino un contatto continuativo con i minori. A titolo esemplificato, sono indicate le collaborazioni anche a progetto e le associazioni in partecipazione.
Inoltre, la nota ministeriale prevede la sussistenza dell’obbligo in questione anche in carico alle agenzie di somministrazione, qualora, dal relativo contratto di fornitura, risulti evidente l’impiego del lavoratore nelle attività in esame.
In estrema sintesi, relativamente all’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 39/2014, la Circ. Min. Lav. n. 9/2014 prevede che l’obbligo di richiedere preventivamente il certificato penale in caso di rapporto di lavoro con minori:

  1. riguarda esclusivamente i nuovi rapporti di lavoro e non trova applicazione nei confronti dei rapporti di lavoro in essere alla data del 06-04-2014;
  2. si applica anche alle collaborazioni di natura autonoma, in quanto, relativamente alla dizione di “impiego al lavoro”, il Ministero del Lavoro ha ritenuto che una corretta applicazione delle previsione in esame non possa essere limitata alle sole tipologie di lavoro subordinato, ma debba ricomprendere anche quelle forme di attività di natura autonoma che comportino un contatto continuativo con i minori fra i quali, in primo luogo, le collaborazioni a progetto, le associazioni in partecipazione, etc.;
  3. non riguarda, quanto meno sotto il profilo sanzionatorio, i rapporti di volontariato, intesi come rapporti diversi da quelli di lavoro in senso stretto, con la conseguenza che il personale ispettivo in caso di attività di vigilanza nei confronti di organizzazioni di volontariato, verificherà l’assolvmento del’obbligo in questione esclusivamente nei soli casi in cui le stesse, per lo svolgimento di attività volontarie organizzate, hanno assunto la veste di datori di lavoro.;
  4. non vi è obbligo di richiedere il certificato nei rapporti di lavoro domestici (ad es., le baby sitter), poiché sono esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 39/2014 i datori di lavoro domestico, nel caso di assunzione di persone impiegate in attività che comportino contatti diretti e regolari con minori;
  5. interessa anche le agenzie di somministrazione, qualora dal relativo contratto di fornitura risulti evidente l’impiego del lavoratore nelle attività in questione, con la conseguenza di doverle annoverare tra i datori di lavoro obbligati all’adempimento legislativo;
  6. può essere assolto, in carenza della certificazione, impiegando il lavoratore interessato, facendo ricorso ad una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da esibire eventualmente agli organi di vigilanza.

La Circ. Min. Lav. n. 9/2014 prevede anche una chiara individuazione del personale interessato dall’obbligo di richiesta preventiva del certificato penale in caso di rapporto di lavoro con minori. A tal proposito, il, Ministero del Lavoro ha chiarito che l’obbligo in questione:

  1. non riguarda i dirigenti, i responsabili, preposti e tutte quelle figure che sovraintendono alla attività svolta dall’operatore diretto, che possono avere un contatto solo occasionale con i minori;
  2. sussiste soltanto nei confronti delle attività che implicano un contatto necessario ed esclusivo con una platea di minori (ad es., insegnanti di scuole pubbliche e private, conducenti di scuolabus, per bambini/ragazzi, istruttori sportivi per bambini/ragazzi, etc.).
  3. non opera nei confronti di quelle attività che non hanno una platea di destinatari preventivamente determinabile, in quanto rivolte ad una utenza indifferenziata.

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Il governo pensa di mettere il canone Rai nella bolletta elettrica.

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da Corriere della Sera

E alla fine l’idea sarebbe quella di inserire il canone Rai nella bolletta. È questo il provvedimento allo studio del governo per il recupero dell’evasione del canone Rai. Un provvedimento da inserire nel decreto che prevede di restituire 80 euro in busta paga per chi guadagna meno di 1.500 euro al mese e che consentirebbe quindi la copertura di alcune misure già annunciate dal governo. L’introito eventualmente recuperato infatti, stimato intorno ai 600 milioni di euro, andrebbe per metà al Tesoro e per metà alla Rai. In questo modo verrebbero offerte le garanzie necessarie alla Corte dei Conti sul recupero di risorse che andrebbero a finanziare i provvedimenti annunciati. Il piano sarebbe quello di legare il pagamento del canone non più alla detenzione dell’apparecchio, ma al versamento dell’importo della bolletta elettrica. Oppure – e questa sarebbe a quanto risulta la soluzione caldeggiata dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli e da Viale Mazzini – al nucleo familiare.

Risorse
Il recupero potenziale – secondo il dossier allo studio del governo – è di 300 milioni di euro e riguarda il 26,5% dei nuclei familiari (pagano attualmente il canone il 68,7% dei nuclei, pari a 16 milioni e mezzo, con un gettito complessivo di 1,7 miliardi di euro). Il gettito che arriverebbe nelle casse pubbliche sarebbe quindi di 150 milioni. Sul canone speciale, in particolare, si prevede un recupero di 100 milioni di euro. Del tema – secondo quanto riporta oggi Il Fatto Quotidiano – si parlerebbe anche in una lettera inviata da Palazzo Chigi alla Rai. Nella lettera il governo chiederebbe un contributo alla tv pubblica per finanziare i provvedimenti annunciati dal premier Matteo Renzi, pari al 10% del canone, cioè 170 milioni di euro.

PAPA FRANCESCO? SOLO MARKETING, MA È SEMPRE LA VECCHIA CHIESA.

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di Andrea Serpieri

“Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti.” Questo è quanto ha ricordato il Papa nell’udienza ai delegati dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia, voluto da Pio XII in difesa dell’infanzia, all’indomani del II conflitto mondiale.
Per chi aveva voluto vedere nella figura di Francesco un nuovo Papa buono aperto alla modernità, l’udienza della scorsa settimana si è rivelata una grande delusione. Adesso è finalmente evidente a tutti gli italiani ciò che alla popolazione omosessuale del resto del mondo non era sfuggito: ossia, che la precedente apertura ai gay era stata soltanto il frutto di un’interpretazione superficiale, quando non anche sviata appositamente per ragioni legate piuttosto al rilancio dell’oscura immagine di Santa Romana Chiesa. Un’operazione di marketing, in altre parole. Bergoglio, infatti, aveva solo teso una mano ai fratelli che si sono persi per aiutarli a ritrovarsi nel popolo di Dio. Tradotto: gli omosessuali hanno peccato, ma chi sono io per non perdonarli e riaccoglierli (se ravveduti) nella casa del Signore?

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Chi si era illuso in una nuova era del cattolicesimo dovrà definitivamente ricredersi, perché Bergoglio non solo ha tenuto a precisare con chiarezza che le coppie gay non costituiscono una famiglia, ma ha anche bocciato nettamente le iniziative contro l’omofobia nelle scuole. Peraltro, facendo sue le stesse parole tanto di moda tra alcuni gruppi omofobi di espressione cattolica. E con tanto di accusa di nazifascismo e dittatura del pensiero unico! Proprio come usano certi movimenti costituitisi contro il DDL Scalfarotto, come, per esempio, fa il movimento denominato ‘Sentinelle in Piedi’.
Il Papa dovrebbe, però, ricordare che tra le vittime delle dittature del XX secolo ci sono stati anche i gay e che l’accusa di voler imporre a tutti i costi le proprie opinioni è semplicemente ridicola. Qui si parla di diritti civili, non di opinioni. E quanto all’imposizione di un credo, farebbe meglio a ripassare il capitolo di storia sulle crociate contro gli eretici.

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Ad ogni buon conto, vi riportiamo le sue parole:
“Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico”.
Ma l’attacco del Papa buono non si è limitato solo agli omosessuali. Bergoglio ha anche lanciato i suoi solenni strali contro la Corte Costituzionale, dopo la recente sentenza di incostituzionalità che ha investito il divieto alla fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/04. Un’altra grave ingerenza del Vaticano negli affari di uno Stato (teoricamente) laico, l’Italia. “Ferma opposizione a ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa. Il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia”, è questo quanto ha dichiarato Francesco.
Altro che libero Stato in libera Chiesa! Purtroppo i Patti Lateranensi ci hanno lasciato questa pesante eredità. E se a causa della storica complicità della politica italiana, il capo della Santa Sede si permette ancora oggi una simile ingerenza negli affari interni della nostra Repubblica, ad avere un problema qui non sono solo i gay e le lesbiche, o le coppie sterili, ma tutti i cittadini italiani.

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