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PILLOLE DI JOBS ACT. PRIME INDICAZIONI OPERATIVE DEL MINISTERO DEL LAVORO IN MATERIA DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

 

PREMESSA

Il Jobs Act diviene finalmente oggetto di precisi chiarimenti ministeriali, fornendo le tanto attese delucidazioni per il personale ispettivo. Infatti, dopo oltre due mesi dalla conversione in legge del travagliato D.L. 20 marzo 2014 n. 34 con la Legge 16 maggio 2014 n. 78, il Ministero del Lavoro ha rese note le prime indicazioni operative sulle innovazioni introdotte in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, somministrazione di lavoro ed apprendistato, emanando la Circolare 30 luglio 2014 n. 18.

Esaminiamo nel dettaglio le indicazioni ministeriali in materia di lavoro a tempo determinato, cogliendo l’occasione per descrivere meglio come l’istituto in questione sia stato riformato dalla Legge n. 78/2014.

L’APPOSIZIONE DEL TERMINE

In primo luogo, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha evidenziato il fatto che l’art. 1, Legge, 78/2014, modificando l’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, ha reso possibile l’instaurazione di un contratto di lavoro a tempo determinato senza alcuna indicazione delle previgenti ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” giustificatrici dell’apposizione di un termine a siffatta tipologia contrattuale.
Infatti, la novella legislativa rende, possibile la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, in quanto, ai fini della sua legittima instaurazione è sufficiente che il termine risulti “direttamente o indirettamente” (così come era già stato sottolineato nella precedente Circ. Min. Lav. n. 42/2002) rinvenibile nell’atto scritto presupposto (cfr., art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001).
L’unico limite legislativo sopravvissuto al presente intervento riformatore consiste nel fatto che un contratto di lavoro a tempo determinato od un contratto di somministrazione a tempo determinato, non possono superare i 36 mesi di durata, comprensivi di eventuali proroghe.
In altri termini, secondo la Circ. Min. Lav. n. 18/2014, la previsione contenuta nell’art. 1 Legge, n. 78/2014 rende possibile l’instaurazione di contratto di lavoro a tempo determinato “acausale” per svolgere “qualunque tipo di mansione”, introducendo un “elemento di flessibilità” applicabile “universalmente”.
Tuttavia, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 evidenzia comunque la sussistenza delle ragioni giustificative nel nuovo quadro normativo in presenza di particolari fattispecie. Ad esempio, tale evenienza ricorre in presenza di assunzioni di lavoratori a tempo determinato “per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità”. Infatti, in presenza di tali ipotesi, le assunzioni sono esenti dai limiti quantitativi (ex art. 1, comma 1 ed art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001) e dal contributo addizionale dell’1,4% previsto dall’art. 2, comma 29, Legge n. 92/2012. Di conseguenza, “ai soli fini di trasparenza”, il Ministero del Lavoro ha ritenuto “opportuno” che il contratto in questione debba evidenziare in forma scritta le predette causali giustificatrici.

 

IL LIMITE LEGALE

L’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 (così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1, Legge n. 78/2014), prevede che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001 (che elenca i casi di esenzione dalle limitazioni quantitative per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato), il numero complessivo di contratti a tempo determinato che possono essere stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza alla data del 1° gennaio dell’anno di assunzione. Invece, per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha specificato che, in assenza di una diversa disciplina contrattuale applicata, il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare il numero dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato che risultano essere attivi alla data del 1° gennaio, ovvero, per le attività iniziate nel corso dell’anno, alla data di assunzione del primo lavoratore a tempo determinato per verificare tale limite del 20%.
Ovviamente, la Circolare in questione ricorda che devono essere esclusi da tale conteggio tutti i rapporti di:

  • lavoro autonomo;
  • lavoro accessorio;
  • lavoro parasubordinato;
  • associazione in partecipazione;
  • lavoro intermittente senza obbligo di risposta alla chiamata (e, quindi, privi della indennità di disponibilità: cfr., art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

Invece, devono essere ricompresi nel conteggio in questione:

  • i dirigenti a tempo indeterminato;
  • gli apprendisti, fatta eccezione per quelli assunti a tempo determinato per ragioni di stagionalità (cfr., art. 4, comma 5, D.Lgs. n. 167/2011 ed art. 3, comma 2-quater, D.Lgs. n. 167/2011);
  • i lavoratori a tempo parziale da conteggiarsi in proporzione all’orario di lavoro svolto rapportato al tempo pieno secondo la disciplina prevista dall’art. 6 D.Lgs. n. 61/2000;
  • i lavoratori intermittenti con obbligo di risposta alla chiamata (per i quali è prevista l’indennità di disponibilità e che vengono conteggiati secondo le modalità previste dall’art. 39, D.Lgs. n. 276/2003).

Secondo la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 la verifica del numero dei lavoratori a tempo indeterminato deve essere effettuata avendo riguardo al totale dei lavoratori complessivamente occupati, a prescindere dalla unità produttiva nella quale essi sono effettivamente allocati, rimanendo ferma la possibilità di destinare i lavoratori a tempo determinato presso una sola od alcune unità produttive facenti capo al medesimo datore di lavoro. Ad esempio, se risultano assunti in data 1° gennaio da parte del datore di lavoro interessato 10 lavoratori subordinati a tempo indeterminato, il datore di lavoro in questione potrà procedere all’assunzione di 2 lavoratori a tempo determinato.
Qualora tale calcolo della percentuale del 20% produca un valore con decimale uguale o superiore a 0,50, è permesso al datore di lavoro di arrotondare il numero dei contratti a termine stipulabili all’unità superiore. Ad esempio, una percentuale di contratti a tempo determinato stipulabili pari a 2,50 permette la stipulazione effettiva di 3 contratti. Tuttavia, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha precisato che, in fase di prima applicazione di queste disposizioni, non dovrà essere sanzionato il datore di lavoro che, nel periodo intercorrente dall’entrata in vigore delle norme in questione con il D.L. n. 34/2014 (cioè, il 21 marzo 2014) e la pubblicazione della Circolare in esame (cioè, il 30 luglio 2014), risulti aver proceduto ad un numero di assunzioni di lavoratori a tempo determinato sulla base di un arrotondamento in eccesso (cioè, in presenza di un decimale inferiore a 0,50).
Il Ministero del Lavoro si è preoccupato di chiarire che il numero complessivo di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non costituisce un limite “fisso” annuale, bensì variabile nel tempo, in quanto rappresenta una “proporzione” tra il numero dei lavoratori “stabili” a tempo indeterminato e quello “mobile” dei lavoratori a tempo determinato. In tal modo, allo scadere di un contratto di lavoro a tempo determinato, sarà sempre possibile stipularne subito un altro, purché venga rispettata la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%.
La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 si sofferma anche sulla possibilità di stabilire ulteriori contratti di lavoro a tempo determinato, al di fuori del limite massimo stabilito dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 novellato dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1, Legge n. 78/2014. Essi sono:

  • l’art. 10, comma 7, D.Lgs., n. 368/2001 esenta da qualsiasi limitazione quantitativa i contratti di lavoro a tempo determinato conclusi:
    • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
    • per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963. Con riferimento alle ragioni di “stagionalità” poste a giustificazione dell’esenzione ex art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, il Ministero del Lavoro ha chiarito che, oltre alle attività stagionali previste nell’elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963, posso rinvenirsi ulteriori ipotesi derogatorie nell’ambito del contratto collettivo applicato, anche aziendale, il quale può ricomprendere nelle ragioni di stagionalità intese in senso ampio anche le assunzioni per far fronte ad incrementi di produttività. Tale apertura della prassi ministeriale trova la sua giustificazione nel fatto che l’elencazione contenuta nel D.P.R. n. 1525/1963 non ha natura tassativa, per espressa indicazione del Legislatore;
    • per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
    • con lavoratori di età superiore a 55 anni;
  • l’art. 1, D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in Legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevede una deroga al limite legale di cui all’art. 1, comma 1, D.Lgs. 368/2001, in presenza di una start-up innovativa. A sensi dell’art. 25, comma 2, Legge n. 221/2012, s’intende per “start-up innovativa” una la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’art. 73 D.P.R.. 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede una serie di requisiti meglio indicati nella citata norma;
  • che, ai sensi dell’art. 10, comma 5-bis, D.Lgs. n. 368/2001, il limite quantitativo massimo del 20% ed il limite di durata massima di 36 mesi per ogni singolo contratto non trovano applicazione nei confronti dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca, ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha evidenziato che tale deroga non opera nei confronti del limite dei rinnovi contrattuali di cui all’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001;
  • infine, non concorrono al superamento del limite del 20% le assunzioni di disabili con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate ai sensi dell’art. 11 Legge n. 68/1999, nonché acquisizioni di personale a tempo determinato in caso di trasferimento di azienda o di ramo di azienda. In tal caso, i contratti possono essere prorogati, ma in presenza di un eventuale rinnovo si dovrà tenere conto dell’eventuale superamento dei limiti quantitativi.

LE LIMITAZIONI PER I DATORI DI LAVORO CHE OCCUPANO FINO A 5 DIPENDENTI

I datori di lavoro che occupano fino 0 a 5 dipendenti, possono procedere all’assunzione di un lavoratore a tempo determinato. È possibile un eventuale intervento in materia da parte della contrattazione collettiva sostitutivo della disciplina legale, con l’avvertenza che il contratto collettivo può esclusivamente prevedere margini più ampi per le assunzioni a tempo determinato (cfr., art. 1, comma 1, ultimo periodo, D.Lgs. n. 368/2001).

 

IL LIMITE CONTRATTUALE

Abbiamo già visto che, secondo l’interpretazione ministeriale, il limite quantitativo massimo del 20% di cui all’art. 1, comma 1, D.L. n. 368/2001 può essere derogato la contrattazione collettiva, sia prevedendone un aumento che una sua diminuzione.
Inoltre, la contrattazione collettiva può anche individuare criteri di scelta per effettuare il calcolo differenti dalla data del 1° gennaio, tenendo conto, ad esempio, di coloro che risultano mediamente occupati in un determinato arco temporale.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav n. 18/2014 ha evidenziato il contenuto dell’art. 2-bis, comma 2, Legge, n. 78/2014, il quale prevede che, in sede di prima applicazione del limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001 (lo ricordiamo, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), Legge n. 78/2014), conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro. Di conseguenza, non necessita l’introduzione da parte della contrattazione collettiva di nuove clausole limitatrici, in quanto continuano a trovare applicazione quelle già esistenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, il 21 marzo 2014), ferma restando la possibilità che, in un momento successivo, la medesima contrattazione collettiva decida di introdurne delle nuove.

LA DISCIPLINA SANZIONATORIA

Per quanto concerne la disciplina sanzionatoria, si evidenzia che, in sede di conversione del D.L. n. 34/2014, cioè, in data 20 maggio 2014, è stata introdotta una specifica sanzione amministrativa pecuniaria “a presidio dei limiti quantitativi” per le assunzioni a tempo determinato.
Si tratta dell’art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. b-septies, Legge n. 78/2014), il quale prevede che, in caso di violazione del limite percentuale di cui all’articolo 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria:

  1. pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
  2. pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno.

Relativamente a tale sanzione, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che essa trova applicazione, sia qualora il datore di lavoro abbia superato il limite legale del 20% per la stipulazione dei contratti a tempo determinato, sia quando costui non rispetti il diverso limite stabilito dalla contrattazione collettiva.
Inoltre, il Ministero del Lavoro ha affermato che tale calcolo in termini percentuali dell’importo sanzionatorio deve effettuato tenendo conto della retribuzione spettante ai lavoratori assunti in violazione del limite in questione e, cioè, tenendo conto degli ultimi lavoratori assunti in ordine di tempo.
Vista l’assenza di specificazioni da parte del legislatore, la retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo della sanzione deve essere la retribuzione lorda mensile riportata nel singolo contratto di lavoro, desumibile anche attraverso una divisione della retribuzione annuale per il numero di mensilità spettanti, Qualora, il personale ispettivo non rinvenga nel contratto individuale un riferimento esplicito alla retribuzione lorda mensile, sarà necessario fare riferimento alla retribuzione tabellare prevista nel contratto collettivo applicato o applicabile.
Individuata in tal modo la retribuzione lorda mensile di riferimento ed applicata su di essa la percentuale del 20% o del 50%, l’importo così ottenuto – eventualmente arrotondato all’unità superiore qualora il primo decimale sia pari o superiore a 0,50 – deve essere moltiplicato, in riferimento a “ciascun lavoratore” interessato, per il numero dei mesi o frazione di mese superiore a 15 giorni.
A tal proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che ogni periodo pari a 30 giorni di occupazione deve essere considerato come mese intero e, solo se i giorni residui sono più di 15, andrà conteggiato un ulteriore mese. Di conseguenza, relativamente ai periodi di occupazione inferiori a 15 giorni, la sanzione in questione non può essere applicata, in quanto il moltiplicatore risulta essere pari a zero.
Per effettuare un corretto calcolo dell’effettivo periodo di occupazione non è necessario tener conto delle eventuali “sospensioni” del rapporto derivanti, ad esempio, da malattia, infortunio, maternità o orario di lavoro part-time verticale. Ai fini del calcolo in questione rileva soltanto la data d’instaurazione del rapporto di lavoro (c.d. “dies a quo”) e la data in cui è stata accertata l’esistenza dello “sforamento” (c.d. “dies ad quem”), il quale, di norma, coincide con la data dell’accertamento ispettivo, sebbene sia sempre possibile accertare ulteriore “sforamenti” avvenuti in relazione a rapporti di lavoro già conclusi, con la conseguenza che tale data coincide con la scadenza del termine.
Il Ministero del Lavoro ha anche evidenziato che la sanzione amministrativa in questione non è ovviamente ammissibile a diffida amministrativa ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, attesa l’evidente insanabilità della condotta illecita legata all’ormai consumato superamento del limite alla assunzioni a tempo determinato.
Invece, appare scontata l’ammissione del trasgressore al pagamento in misura ridotta degli importi sanzionatori ex art. 16 Legge n. 689/1981 da pagarsi entro 60 giorni dalla notificazione dell’illecito accertato e sanzionato, per una somma pari a un terzo del massimo della sanzione edittale.
Il Ministero del Lavoro ritiene ancora efficaci le clausole contrattuali che impongono limiti complessivi alla stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato od alla utilizzazione di lavoratori somministrati. In tal caso, ai fini dell’individuazione della sanzione da applicare, il personale ispettivo deve verificare se il superamento dei limiti sia avvenuto a causa del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato od alla somministrazione di lavoro. Nel primo caso, si deve applicare la già analizzata nuova sanzione ex art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001, mentre, qualora ricorra la seconda ipotesi, trova applicazione sanzione contenuta nell’art. 18, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003 (cioè, una sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 ad € 1.250). In particolare, la Circolare in esame ha anche sottolineato che, in presenza di sforamento, ad esempio, di due unità, la prima assunta con contratto a tempo determinato e la seconda con contratto di somministrazione, deve essere applicata la nuova sanzione ex art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001, parametrata al 50% della retribuzione, escludendosi, in ogni caso, l’applicazione contestuale di entrambe le sanzioni.
Inoltre, bisogna ricordare che, nel rispetto di quanto sancito dall’art. 1, Legge n. 689/1981, l’art. 1, comma 2-ter, Legge n. 78/2014 prevede che la sanzione di cui all’art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001 non deve essere applicato nei confronti dei rapporti di lavoro instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore de D.L. n. 34/2014 (cioè, i 21 marzo 2014), che comportino il superamento del predetto limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001.
Il legislatore ha, altresì, stabilito, all’art. 2-bis, comma 3, Legge n. 78/2014, che il datore di lavoro che alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (cioè, i 21 marzo 2014) abbia in corso rapporti di lavoro a tempo determinato che comportino il superamento del limite percentuale di cui all’art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001, è tenuto a rientrare nel predetto limite entro la data del 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell’azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole. In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale di cui al citato art. 1, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 368/2001. La Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che il riferimento alla contrattazione collettiva deve essere inteso anche con riferimento a quella di livello territoriale e/o aziendale, ma con l’avvertenza che quest’ultima può esclusivamente disciplinare il regime transitorio poc’anzi indicato, con la conseguenza che, al termine di esso, devono essere applicati i limiti alla stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato previsti o direttamente dal legge in esame, ovvero dalla contrattazione collettiva di livello nazionale.
A partire dall’anno 2015 – fatto salvo quanto diversamente stabilito dalla contrattazione collettiva – non potranno essere effettuate nuove assunzioni a tempo determinato da parte dei datori di lavoro che, alla data del 21 marzo 2014 (data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014), risultino aver superato i limiti quantitativi in questione senza esservi rientrati entro la data del 31 dicembre 2014.
Inoltre, a far data dalla data di entrata in vigore del presente regime sanzionatorio (cioè, il 20 maggio 2014), anche tali datori di lavoro possono essere oggetto di sanzione qualora, anziché rientrare nei limiti, abbiano effettuato ulteriori assunzioni a tempo determinato rispetto a quelle ammesse. Invece, la sanzione in esame non trova applicazione qualora tali datori di lavoro si siano limitati a prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato già in essere, stante il solo divieto di assunzione a partire dall’anno 2015.

 

LA DISCIPLINA DELLA PROROGA

In tema di proroghe, il nuovo testo dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 (così come sostituito dalla Legge n. 78/2014) rende possibile prorogare, con il consenso del lavoratore, il termine del contratto a tempo determinato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di cinque volte, nell’arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che esse si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi, la durata complessiva del rapporto a tempo determinato non può essere superiore ai tre anni.
Il Ministero del Lavoro ritiene che il nuovo testo dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 consente di prorogare il termine inizialmente apposto al contratto per un massimo di 5 volte nel limite di durata massima di 36 mesi, a condizione che ci si riferisca alla “stessa attività lavorativa”, intendendo con tale formulazione le medesime mansioni, le mansioni equivalenti, o comunque le mansioni svolte ex art. 2103 cod.civ. indipendentemente dal numero dei rinnovi contrattuali. Viceversa, il nuovo contratto a tempo determinato prevede mansioni differenti le proroghe precedenti non devono essere contabilizzate.
La nuova disciplina delle proroghe trovano applicazione dopo il 21 marzo 2014, per i rapporti costituiti precedentemente resta in vigore il previgente regime che permetteva una sola proroga. Ovviamente, restano in ogni caso legittime le eventuali proroghe operate nel periodo intercorrente dal 21 marzo 2014 al 19 maggio 2014, ove, in virtù dell’iniziale formulazione del D.L. n. 34/2014 risulti essere stato effettuato un numero massimo di 8 proroghe.

LA DISCIPLINA DEI RINNOVI

Mentre la proroga di un contratto è rinvenibile qualora, prima della scadenza del suo termine, esso venga prorogato ad altra data, il rinnovo di un contratto a tempo determinato è rinvenibile quando il termine iniziale di scadenza originariamente previsto sia stato raggiunto e le parti intendano procedere alla sottoscrizione di un ulteriore contratto.
In proposito, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 ha chiarito che non vi è coincidenza dell’ambito applicativo tra i due istituti della proroga e del rinnovo. Infatti, l’introduzione da parte del novellato art. 1 D.Lgs. n. 368/2001 del limite di 36 mesi per un singolo contratto a tempo determinato non consente la sottoscrizione di un primo contratto di durata anche superiore, fatte salve le previsioni di carattere speciale, come quelle già esaminate a favore degli enti di ricerca, o quelle dedicate ai dirigenti nex art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001.
Tuttavia, la prassi ministeriale ritiene ancora possibile stipulare più contratti a tempo determinato anche oltre il limite di 36 mesi, purché si rimanga nell’ambito delle ipotesi derogatorie previste dall’art. 5, commi 4-bis e 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001. Innanzi tutto, il comma 4-bis, primo periodo preveda che, qualora per effetto di successione di contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. Tuttavia, il comma 4-bis, secondo periodo prevede una prima deroga, qualora un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti sia stato stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula in questione sia avvenuta presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale devono stabilire con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. Tale previsione ha trovato accoglimento nell’accordo interconfederale tra Confindustria CGIL, CISL e UIL del 10 aprile 2008, in virtù del quale tale ulteriore contratto non può essere superiore ad otto mesi. Tra l’altro, si precisa che anche con riferimento a siffatto ulteriore contratto non è più necessaria l’individuazione delle cause giustificatrici dell’apposizione del termine.
Venendo all’esame dell’art. 5, comma 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001, è prevista un ulteriore deroga al limite di 36 mesi in presenza delle attività stagionali definite dal D.P.R. n. 1525/1963, nonché di quelle altre attività (anche non stagionali) oggetto di specifica individuazione da parte degli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

I DIRITTI DI PRECEDENZA

Relativamente ai diritti di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato, la Circ. Min. Lav. n. 18/2014 si sofferma, in primo luogo, sulle modifiche apportate dalla Legge n. 78/2014 all’art. 5, 4-quater, D.Lgs. n. 368/2001. In virtù di tale norma, si prevede un diritto di precedenza a favore del lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a tempo determinato.
Al riguardo, la novella operata dalla Legge n. 78/2014 ha stabilito che, per le lavoratrici, il congedo di maternità di cui all’art. 16, comma 1, D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a tempo determinato presso il medesimo datore di lavoro, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza poc’anzi descritto. Alle medesime lavoratrici è, altresì, riconosciuto, con le stesse modalità riconosciute alla generalità dei lavoratori, il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a tempo determinato.
Infine, su tale argomento, la Circolare ministeriale si sofferma a precisare che i diritti di precedenza disciplinati dall’art. 5, commi 4-quater e 4-quinquies, D.Lgs. n. 368/2001 a favore delle lavoratrici madri e dei lavoratori stagionali richiedono l’obbligo di richiamo in forma scritta da parte del datore di lavoro, così come prescritto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001. Di conseguenza, la mancata informativa sui diritti di precedenza non incide sul potere di esercitarli da parte del lavoratore, anche se, al contempo, tale omissione non è oggetto di alcuna specifica sanzione.

 

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CONVERTITO IN LEGGE IL DECRETO DI RIFORMA DELLA P.A.

Con il voto della Camera al cd. ‘decreto P.A.’, senza modifiche rispetto al testo già passato in Senato, la prima parte della Riforma della Pubblica Amministrazione è ora legge. Tuttavia, come ha precisato il Ministro Madia, il fulcro della riforma sarà nel disegno di legge delega la cui discussione in Senato, per ora, è stata rinviata a settembre.

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di Michele De Sanctis

Dopo aver posto per tre volte la fiducia in una sola settimana, lo scorso 7 agosto il Governo ha incassato il via libera definitivo sulla prima parte della riforma P.A.: analizziamo i principali punti della legge di conversione del DL 90/2014.

Il decreto in parola introduceva una serie di disposizioni finalizzate alla semplificazione ed alla trasparenza amministrativa, oltreché all’efficienza degli uffici giudiziari. Nel corso dell’esame parlamentare sono state approvate numerose modifiche al testo del decreto e la discussione di alcuni punti è stata rinviata all’approvazione di specifici provvedimenti.

Tra le novità più importanti, la norma appena approvata prevede la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici, cui potrà essere applicata, anche senza il loro consenso, entro una distanza di 50 km, salvo alcune deroghe per coloro i quali abbiano figli con meno di tre anni e diritto al congedo parentale e per quei lavoratori che usufruiscano dei permessi di cui alla L. 104/92, per l’assistenza a un familiare disabile.

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Confermata l’abrogazione del trattenimento in servizio, con deroga parziale per i magistrati, cui la soppressione dell’istituto in parola si applicherà solo dal 2016. Viene, inoltre, resa più stringente la disciplina del collocamento ‘fuori ruolo’ di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, che intendano assumere incarichi extragiudiziari. In particolare, si prevede il collocamento obbligatorio in ‘fuori ruolo’ allorché questi soggetti intendano accettare incarichi di diretta collaborazione o consulenza giuridica con un’Amministrazione Pubblica. Tuttavia, vengono fatti salvi i collocamenti in aspettativa già concessi e ancora in essere alla data di entrata in vigore del decreto.

Per quanto riguarda l’urgente questione posta dall’attuale blocco del turn over, sono state riviste le percentuali in riferimento al periodo 2014-2018, diventate adesso più flessibili rispetto ai parametri imposti dall’austerity, in precedenza chiesti dall’Europa e che sul piano operativo hanno dimostrato un’insostenibilità pratica ed una totale irrazionalità giuridica. In pratica, con le modifiche apportate, le Amministrazioni Pubbliche potranno ora assumere nel limite del 20% della spesa relativa alle uscite di quest’anno; tale percentuale passerà poi al 40% nel 2015, fino ad arrivare al 100% nel 2018.

Viene contestualmente consentita l’ulteriore proroga, oltre quella già prevista fino al 31/12/2014, per quei contratti a termine in essere e in passato stipulati dalle Province per specifiche necessità. Inoltre, per alcune tipologie di lavoratori socialmente utili non verranno applicati i limiti di assunzione previsti, ma soltanto nel caso in cui il costo relativo al personale risulti coperto da specifici finanziamenti.

Altra novità in materia pensionistica interessa chi dopo la pensione intenderà accettare incarichi di studio o di consulenza nella Pubblica Amministrazione: potrà farlo, ma solo a titolo gratuito.

I Dirigenti della P.A. potranno essere mandati in pensione a 62 anni, ma è saltato il pensionamento a 68 anni per primari e professori universitari.

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Per qesti ultimi, inoltre, diventerà più facile ottenere l’abilitazione di cui alla L. 240/2010: saranno, infatti, sufficienti 10 pubblicazioni (e non più 12) per presentare la propria candidatura. Saranno altresì rivisti i criteri di valutazione.

In previsione fino al 2019 sono stati “spalmati” i 62 milioni già stabiliti per i prepensionamenti nel fondo triennale per l’editoria. Viene nel contempo fissato per legge l’obbligo di almeno un’assunzione a tempo indeterminato ogni 3 prepensionamenti. Per quanto riguarda le provvidenze all’editoria di cui alla L. 416/81, viene finanziata la spesa di 3 milioni per il 2014, di 9 milioni nel 2015, di 13 milioni nel 2016, di altri 13 nel 2017, di 10,8 nel 2018 e di 2 milioni nel 2019. Fissato, inoltre, un altro limite al Fondo straordinario per l’editoria: il finanziamento concesso per i prepensionamenti sarà revocato qualora i giornalisti prepensionati stipulino contratti di collaborazione sia con la testata presso cui già lavoravano sia con un’azienda editoriale diversa, ma facente parte del medesimo gruppo editoriale.

Sul fonte dei dirigenti pubblici, si introduce una norma che ne consente l’assunzione presso gli Enti Locali con contratto a termine e senza concorso. La chiamata diretta vede un margine di discrezionalità più ampio rispetto all’attuale, che passa dal 10% al 30% dei posti in pianta organica. È poi consentito agli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, di non applicare alcuna limitazione. Con questa disposizione sembrerebbe, quindi, che la dirigenza stia tornando sotto un più serrato controllo della politica.

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Novità anche presso le Camere di Commercio, dove le tariffe delle segreterie saranno ora definite sulla base di costi standard prefissati dal Ministero dello Sviluppo Economico, dopo aver consultato le società per gli studi di settore e Unioncamere. Il taglio degli importi dovuti alle CCIA sarà graduale nei prossimi tre anni (-35% nel 2015, -40% nel 2016 e -50% nel 2017).

Per quanto concerne l’organizzazione degli Enti Territoriali, resta confermata, invece, l’eliminazione delle quote dei diritti di segreteria e dei diritti di rogito spettanti ai segretari comunali e provinciali.

Sono salve le sezioni distaccate dei Tar, che si trovano nelle città sedi di corti d’appello: Salerno, Reggio Calabria, Lecce, Brescia e Catania. La soppressione delle altre sedi slitta di quasi un anno, da ottobre 2014 a luglio 2015.

Per quanto riguarda la disciplina dei lavori pubblici, sono conferiti maggiori poteri all’Autorità Nazionale Anticorruzione in materia di vigilanza. In sostanza, il diritto degli appalti pubblici si arricchisce di un importante elemento di novità: potranno, infatti, essere commissariate anche le società appaltatrici dei lavori, coinvolte in inchieste per casi di corruzione. Inoltre, al Presidente dell’ANAC – attualmente, Raffaele Cantone – verranno assegnati compiti di alta sorveglianza, con l’obiettivo di garantire la correttezza e la trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere milanesi di Expo 2015. Viene creata, poi, una corsia veloce per accelerare il giudizio amministrativo in materia di appalti: si prevede la possibilità di definirlo con sentenza in forma semplificata pronunciata in udienza fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, con possibilità di rinvio a 45 giorni per effettuare approfondimenti istruttori. Sempre in materia processuale, è previsto un inasprimento delle sanzioni per le cd. ‘liti temerarie’: l’importo della sanzione pecuniaria può essere elevato fino all’1% del valore del contratto d’appalto.

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I componenti delle Authority dovranno attendere 5 anni per prima di essere nuovamente nominati a capo di un’altra Autorità. La razionalizzazione delle strutture deve poi prevedere una concentrazione del personale nella sede centrale non inferiore al 70%. Inoltre, i dirigenti di BankItalia ed ISVAP non potranno avere collaborazioni, consulenze o impieghi con i soggetti regolati entro due anni dalla cessazione del proprio incarico.

Per quanto riguarda il personale scolastico, il Governo ha deciso di rimandare a fine mese, con uno specifico provvedimento, la soluzione del problema dei cd. ‘quota 96’, che era stato precedentemente accantonato in Senato. Inoltre, pare che il Ministero dell’Istruzione abbia già iniziato a lavorare su un pacchetto scuola che dovrebbe prevedere concorsi nazionali banditi ogni due-tre anni per l’assunzione di nuovi docenti, insieme al reclutamento per il 50%, derivante dallo scorrimento delle graduatorie.

Come sempre, noi vi terremo aggiornati su tutte le prossime novità.

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Documenti:

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Sintesi del contenuto ed elementi per l’istruttoria legislativa 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486 Schede di lettura 25 giugno 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-A/R Elementi per l’esame in Assemblea 30 luglio 2014

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari – D.L. 90/2014 – A.C. 2486-B Schede di lettura 5 agosto 2014

Scarica QUI il testo del decreto DL PA AC 2486 – B

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IL NUOVO PATTO PER LA SALUTE PUNTO PER PUNTO.

Riguarderà circa 60 milioni di cittadini e, almeno nelle promesse del Ministro Lorenzin, dovrebbe cambiare la Sanità italiana. Il rinnovato accordo tra Stato e Regioni sul nuovo Patto per la Salute relativo al triennio 2014-2016 è stato siglato lo scorso 10 luglio 2014. Esaminiamone i punti salienti.

di Michele De Sanctis

Il Patto per la Salute è l’accordo finanziario e programmatico tra Governo, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, con cui viene fissata la spesa e la programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per il triennio successivo. La sue finalità sono quelle di migliorare la qualità dei servizi, promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e garantire l’unitarietà del sistema.

L’aspetto più innovativo del rinnovato accordo è senz’altro rappresentato dal fatto che col nuovo Patto le Regioni avranno certezza di budget: sarà, cioè, possibile avviare una programmazione triennale (anche in termini di spesa).
L’obiettivo dichiarato è quello di rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove sfide: invecchiamento della popolazione, arrivo di nuovi farmaci sempre più efficaci ma molto più costosi, medicina personalizzata, lotta a sprechi e a inefficienze, risparmi da reinvestire in salute, accesso alle cure garantito per tutti (dai farmaci fino ad uno standard qualitativo di assistenza).

Rileva, inoltre, l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, vale a dire quelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket.
Aggiornare i LEA significa eliminare prestazioni e cure ormai obsolete, che, comunque, hanno un costo e sostituirle con nuove e moderne cure più efficaci per la lotta contro le malattie e la tutela della salute collettiva e individuale. Vengono, quindi, introdotte nuove prestazioni, come quelle relative alla cura di malattie rare. Il Patto sancisce, inoltre, che il mancato conseguimento degli obiettivi di salute ed assistenziali, previsti dallo stesso, per i Direttori Generali costituirà grave inadempimento contrattuale, a cui conseguirà la decadenza automatica.

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Con il Patto per la Salute 2014 viene aggiornato anche il Il Nomenclatore Tariffario delle Protesi e degli Ausili, cioè quel documento, emanato dal Ministero della Salute, che stabilisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Il relativo aggiornamento si è reso indispensabile al fine di garantire ai cittadini protesi moderne, visto che era fermo da quasi quindici anni.

Leggi anche RIFORME: ECCO COME CAMBIERÀ LA SANITÀ.

Ulteriore indirizzo programmatico del nuovo Patto è quello della mission del SSN che vede il malato al centro del sistema: l’umanizzazione delle cure, ha dichiarato il Ministro nel corso dei lavori preparatori, è il fulcro del nuovo Patto. Nessuna novità, in realtà, se tale dichiarazione programmatica non viene tradotta in azioni concrete a livello territoriale, posto che l’umanizzazione delle cure, oltreché naturale corollario dei principi della Costituzione italiana e delle varie convenzioni internazionali per la garanzia dei diritti dell’uomo, già ratificate dallo Stato italiano, è richiamata, altresì, dal Piano Sanitario Nazionale vigente e da quelli Regionali e da quasi tutti gli atti di autonomia aziendale delle Aziende Sanitarie Locali. L’umanizzazione delle cure, prevedendo un’attenzione particolare alla persona nella sua totalità, fatta di bisogni organici, psicologici e relazionali, implica, di fatto, un’integrazione socio-sanitaria dei servizi locali e distrettuali che, con l’agenda Monti e, nelle Regioni commissariate, con i Piani di Rientro è, invece, venuta via via a mancare.

I tagli lineari degli anni passati hanno inciso notevolmente sull’organizzazione degli ospedali, con l’avvenuta chiusura di quelli minori o la trasformazione degli stessi in Distretti Sanitari di Base, insieme alla rimodulazione del bacino di utenza per presidio, senza, peraltro, tenere in considerazione la conformazione geografica del territorio italiano, a svantaggio, pertanto, di quei cittadini che vivono nelle zone montane più impervie e mal collegate con i principali centri cittadini e, quindi, con gli ospedali maggiori. Anche il nuovo Patto, dispone la compressione dei posti letto, ma, contestualmente, dispone una riorganizzazione degli ospedali tale da potenziare la medicina del territorio, creando una rete d’assistenza, nelle intenzioni del documento in parola, molto più efficiente e capillare ed evitando l’ingolfamento dei presidi più grandi. Per riorganizzare la medicina del territorio, l’accordo del 10 luglio affida un ruolo da protagonisti ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta, oltreché alle farmacie di servizio. Ciò dovrebbe servire ad incrementare quei servizi più vicini all’utenza e ridurre in maniera efficiente il tasso di ospedalizzazione, ove possibile, che non solo diminuirebbe le spese a carico del SSN, ma sempre in un’ottica di umanizzazione delle cure, dovrebbe semplificare l’accesso per il cittadino alle cd. cure domiciliari, supplendo, di fatto, alla carenza di una struttura ospedaliera ad alta/media complessità e ad alta/media intensità di cura nelle vicinanze del cittadino-utente. Per quest’ultimo aspetto, si evidenzia, per l’appunto, la previsione del Patto, in base alla quale i posti letto negli ospedali dovranno scendere a un livello di 3,7 letti ogni mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto, sempre per mille abitanti, per la riabilitazione e la lungodegenza. Riduzione, questa, che dovrà essere attuata, seguendo coordinate ben precise, con l’adozione di provvedimenti da emanare entro il prossimo 31 dicembre 2014.

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Per quanto riguarda le strutture ospedaliere private, invece, dal 1 gennaio 2015 saranno accreditate solo quelle con una soglia non inferiore a 60 posti letto per acuti, ad esclusione di quelle mono specialistiche. Le strutture che non raggiungono la soglia dei 60 posti letto potranno, tuttavia, fondersi con altre strutture: da 40 posti letto in su sarà, infatti, consentito effettuare accorpamenti amministrativi.

Saranno, inoltre, previsti i cd. ospedali di comunità: strutture nuove, già sperimentate in talune regioni, che serviranno a ridurre i ricoveri non appropriati dovuti a ricadute di pazienti non seguiti abbastanza presso il proprio domicilio. In questi piccoli ospedali, l’assistenza sarà assicurata da medici di famiglia e pediatri di libera scelta o comunque da medici del SSN. Si faranno ricoveri di breve durata per utenti per i quali non sarà possibile il ricovero domiciliare o che necessiteranno di assistenza infermieristica continua.

Quanto all’assistenza territoriale, cui si accennava poc’anzi,
il Patto sancisce l’importanza delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) e delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), organizzazioni di medici di famiglia e pediatri di libera scelta, che si uniranno al fine di dare migliori servizi ai cittadini e, soprattutto, per assicurare una presenza continua nel corso della giornata. L’accordo Stato-Regioni prevede che in questi maxi ambulatori potranno essere inserite anche figure specialistiche.

Inoltre, il Patto mira alla promozione di una medicina di iniziativa, che coinvolga i pazienti cronici: i malati in questione dovrebbero essere invitati dal proprio medico curante a fare i vari controlli e le visite periodiche legate alla loro patologia, senza la necessità di aspettare che siano loro a presentarsi. Le UCCP e le AFT faranno anche prevenzione ed educazione dei cittadini a corretti stili di vita, ma organizzeranno, se necessari, anche servizi sanitari a domicilio. Tali interventi di prevenzione, finalizzati ad impedire o a ridurre il rischio (o la probabilità) che si verifichino eventi non desiderati, ovvero ad abbatterne o attutirne gli effetti in termini di morbosità, disabilità e mortalità, non costituiscono una novità nell’ambito del nostro SSN, visto che sono previsti sia nell’attuale PSN che nel precedente, lo è invece il maggior coinvolgimento dei MMG, che – si spera – non si limiti al semplice invito, ma possa prevedere un intervento attivo delle Regioni nella loro piena partecipazione per ciò che concerne la prevenzione a tutti i livelli, primaria, secondaria e terziaria.

Si noti, infine, la previsione di un apposito regolamento su standard quali-quantitavi, strutturali e tecnologici offerti dai presidi ospedalieri.

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Altre novità sono quelle di un Fondo Sanitario certo per i prossimi tre anni, riforma dei ticket, numero unico per l’emergenza. E ancora: via libera alla riforma dell’intramoenia e allentamento dei vincoli sull’assunzione del personale sanitario anche per le Regioni in Piano di Rientro. Per quanto riguarda il Fondo Sanitario, nel Patto ci sono cifre certe: per il 2014 il Fondo ammonterà a 109,9 miliardi di euro, a 112 miliardi per il 2015 e per il 2016 a 115,4. La suddivisione del Fondo tra le Regioni dovrà rispettare nuovi criteri, che premieranno quelle più virtuose da un punto di vista della spesa. Il patto, inoltre, introduce la nuova regola secondo cui i risparmi che deriveranno dall’applicazione delle misure di contenimento della spesa rimarranno nella disponibilità delle Regioni, che, a loro volta, saranno vincolate ad utilizzarli solo per fini sanitari.

Entro il 30 novembre 2014 un’apposita commissione si occuperà di cambiare il sistema dei ticket. Le nuove regole di compartecipazione dovranno tenere in considerazione il reddito delle famiglie. Secondo quanto già dichiarato nei mesi scorsi da Beatrice Lorenzin, non si esclude che a chi avrà dichiarato redditi alti non verranno più concesse
eventuali esenzioni per patologia.

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Come disposto dall’Unione Europea, il 118 dovrebbe essere gradualmente soppresso e sostituito dal 112, che diverrà il numero unico di emergenza. Le Regioni sono tenute ad iniziare le procedure per il cambiamento. Contestualmente, si procederà, altresì, alla creazione di un numero unico 116-117 per le guardie mediche su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda i farmaci, l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, dovrà provvedere ad aggiornare il prontuario farmaceutico dei medicinali rimborsabili sulla base del criterio costo/beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee. Il punto più importante riguarda, però, la revisione della normativa per l’autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci e la contestuale definizione del regime di rimborsabilità.

Il nuovo Patto per la Salute contiene, inoltre, un ulteriore Patto per la Sanità Digitale. Si tratta di un piano strategico per la diffusione della sanità digitale, per eliminare gli ostacoli che rallentano la diffusione dell’e-health ed evitare realizzazioni parziali a macchia di leopardo come avvenuto finora. Il Patto per la Sanità Digitale rappresenta un importante passo avanti per un’azione concreta per la sostenibilità del SSN, la sua efficienza e ed efficacia di servizio e, più ampiamente, una spinta per l’innovazione del Paese, in un momento particolare come quello del semestre italiano di Presidenza UE.

Quanto ai ‘famigerati’ Piani di Rientro dal deficit, il Patto per la Salute 2014 li trasforma in Piani di riorganizzazione, riqualificazione e rafforzamento dei Servizi Sanitari Regionali e ne indica i principali obiettivi. Inoltre, il commissario ad acta, nel caso di nuovi commissariamenti, non potrà più avere a che fare con incarichi politici e dovrà essere in possesso di un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria.

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Il Patto prevede anche una cabina di regia, cui competeranno monitoraggi e verifiche mirati all’attuazione dello stesso nei tempi e nei modi convenuti. Tale compito sarà affidato ad un tavolo politico composto da Ministeri della Salute e dell’Economia, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano.

La vigilanza sull’attuazione delle disposizioni contenute nel Patto, il monitoraggio, l’analisi ed il controllo sull’andamento dei sistemi sanitari regionali con particolare attenzione a qualità, sicurezza, efficacia, efficienza e appropriatezza dei servizi erogati saranno, invece affidati all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. All’AGENAS spetterà anche il monitoraggio sull’andamento e l’applicazione delle proposte in campo sanitario circa la revisione della spesa sanitaria. E ancora, la revisione dei ticket, delle esenzioni e del sistema di remunerazione delle prestazioni sanitarie, nonché tutte le nuove funzioni in materia di HTA (Health Technology Assessment).

Novità anche per il personale del SSN. Il blocco del turn over per le Regioni in Piano di Rientro continuerà ad essere operativo fino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello della verifica positiva, finora era necessario attendere la fine del Piano. Viene, inoltre, prevista la sospirata revisione del parametro della riduzione dell’1,4% rispetto alla spesa del personale del 2004.

Per razionalizzare e facilitare l’accesso dei giovani medici al SSN, Governo e Regioni dovranno, poi, istituire nel brevissimo periodo un tavolo ad hoc, al fine di individuare soluzioni normative, anche in base a quanto previsto negli altri Paesi UE, i cui lavori dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2014.

Per quanto riguarda le professioni sanitarie, si segnala, infine, la conferma, contenuta nel Patto, delle disposizioni di cui al DL 158/2012, cd. Decreto Balduzzi, relativamente all’attività intramuraria. Le Regioni dovranno, quindi, reperire – per acquisto o locazione – presso strutture sanitarie autorizzate, o in convenzione con altri soggetti pubblici, i necessari spazi ambulatoriali esterni. Se questi non saranno disponibili, la Regione potrà adottare un programma sperimentale per svolgere l’attività libero-professionale intramuraria (ALPI) presso gli studi privati dei singoli professionisti collegati da una rete infrastrutturale. Il tutto dovrà avvenire con pagamento in chiaro delle prestazioni e relativo obbligo di tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo; a tal fine il Patto, riprendendo le disposizioni già varate dal Governo per tutte le attività produttive, sancisce l’obbligatorietà del POS in tutti gli studi convenzionati e in rete telematica.

Da ultimo, si evidenziano le previsioni in materia di cure all’estero. In particolare, il Patto fissa al prossimo 31 ottobre la deadline per l’adozione delle linee guida sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. Sono diversi gli adempimenti e i diritti che le linee guida saranno chiamate a disciplinare, ma la priorità assoluta è quella di stabilire i criteri di autorizzazione e rimborso. Infine, senza ulteriori oneri a carico del SSN, è previsto che le Regioni istituiscano dei contact point regionali dedicati, per consentire lo scambio efficace di informazioni con il Punto di Contatto nazionale, peraltro, già attivo presso il Ministero della Salute.

Documenti:

INTESA, AI SENSI DELL’ARTICOLO 8, COMMA 6, DELLA LEGGE 5 GIUGNO 2003, N. 131, TRA IL GOVERNO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E DI BOLZANO CONCERNENTE IL NUOVO PATTO PER LA SALUTE PER GLI ANNI 2014-2016

Gli adempimenti e le scadenze temporali derivanti dal Patto per Salute appena sottoscritto da Governo e Regioni sono stati riassunti in un quadro sinottico elaborato dal settore Salute e politiche sociali della segreteria della Conferenza delle Regioni. Il dossier sarà periodicamente aggiornato ed è stato pubblicato originariamente sul sito www.regioni.it, dove potete scaricare tale documentazione nella sezione Archivi Sanità

PATTO PER LA SANITÀ DIGITALE – Documento programmatico

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Breve commento alla Riforma del Terzo Settore


di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 10 luglio scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato la Riforma del Terzo settore, al termine della lunga e partecipata consultazione online avviata a metà maggio, dopo la presentazione delle linee guida degli interventi.

Nello specifico, si tratta di un disegno di legge delega per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio Civile Universale. Tale disegno di legge si compone di sette articoli e prevede una serie di interventi normativi da attuare attraverso il conferimento al Governo di apposite deleghe legislative. L’intero impianto normativo persegue l’introduzione di nuove misure per la costruzione di un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e responsabile delle persone, singolarmente od in forma associata, nonché la valorizzazione del potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal Terzo Settore, anche attraverso il riordino e l’armonizzazione di incentivi e strumenti di sostegno.

Per capire la rilevanza della riforma in questione, si evidenzia che attualmente operano nel Terzo Settore circa 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 270 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei. Sono numeri significativi che la natura strategica del ruolo svolto nella società italiana contemporanea da parte dei servizi complementari al welfare statale .
Con tale riforma, il Governo intende riorganizzare tutto il settore, promuovendo le imprese sociali, finanziandole attraverso la promozione dei social bond e la stabilizzazione dell’istituto del “5 x mille”. A corollario di quest’intento, è stato previsto il rilancio del servizio civile svolto dai giovani, con l’obiettivo di avere almeno 100 mila “civilisti” nel primo triennio della riforma in questione.
Il Governo ha anche chiarito di aver reperito le necessarie coperture finanziarie ammontanti in circa 200-250 milioni circa per il servizio civile, cui devono aggiungersi circa 60-70 milioni per il 5 x mille. Si evidenzia che tali risorse costituiscono una prima tranche di finanziamento, poiché, secondo le associazioni del Terzo Settore, l’intera riforma comporterà un impegno finanziario complessivo di circa 1,5 miliardi di euro.

Esaminiamo nel dettaglio il contenuto del provvedimento in questione.

 

Articolo 1 – L’oggetto e le finalità

Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti una disciplina organica per il riordino e la revisione della disciplina degli enti e delle attività diretti a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale, anche attraverso la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale, in attuazione del principio di sussidiarietà, al fine di valorizzare il potenziale di crescita ed occupazione ed elevare al contempo i livelli di cittadinanza attiva, coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona.

Si evidenzia che la realizzazione di tale disciplina organica, potrà eventualmente avvenire anche attraverso l’adozione di un Testo Unico e/o attraverso modifiche al Libro I, Titolo II del Codice Civile.

 

Articolo 2 – La disciplina degli enti

I predetti decreti legislativi delegati devono disciplinare la costituzione, l’organizzazione, le forme di governo ed il ruolo degli enti impegnati nello svolgimento delle attività dirette a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale che, con finalità ideale e senza scopo di lucro, promuovono percorsi di valorizzazione della partecipazione e della solidarietà sociale, mediante una presenza significativa o prevalente di attività di volontariato, ovvero producono beni e servizi di utilità sociale, anche attraverso forme di mutualità con fini di coesione sociale.
In particolare, tali decreti legislativi dovranno attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi:

  1. semplificazione del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica;
  2. individuazione delle attività e delle finalità soggettivamente non lucrative che caratterizzano tali enti e dei vincoli di strumentalità dell’attività commerciale rispetto alla realizzazione degli scopi istituzionali;
  3. disciplina delle modalità e della misura di utilizzo dell’attività volontaria degli aderenti e dei limiti di remunerazione dell’attività dei dirigenti e degli amministratori; 
  4. previsione del divieto di distribuire utili, anche in forma indiretta, e previsione di forme di remunerazione del capitale sociale nel rispetto di limiti prefissati;
  5. rafforzamento dell’autonomia statutaria e definizione di modalità di governo e di gestione degli enti ispirate a principi di democrazia, uguaglianza, pari opportunità, partecipazione dei lavoratori e degli utenti e trasparenza, anche tenuto conto delle peculiarità della compagine e della struttura associativa; 
  6. previsione di modelli organizzativi degli enti e di responsabilità degli organi di governo differenziati in ragione della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego di risorse pubbliche;
  7. individuazione di criteri e modalità per l’affidamento dei servizi agli enti improntati al rispetto di requisiti minimi di qualità ed impatto sociale del servizio, obiettività e trasparenza;
  8. revisione e riorganizzazione del sistema di registrazione degli enti e di tutti gli atti di gestione rilevanti improntate a criteri di semplificazione, attraverso la previsione di un registro unico di settore, anche al fine di favorirne la piena conoscibilità su tutto il territorio nazionale;
  9. individuazione di specifiche modalità di verifica e controllo dell’attività svolta e delle finalità perseguite;
  10. rafforzamento e valorizzazione del ruolo di tali enti, anche nella fase di programmazione degli interventi a livello territoriale;
  11. previsione di strumenti che favoriscano i processi aggregativi degli enti;
  12. mantenimento della disciplina prevista dalla legislazione speciale in materia di cooperazione allo sviluppo; 
  13. istituzione di un organismo nazionale indipendente con compiti di indirizzo, promozione, vigilanza e controllo delle attività degli enti, ai cui oneri di costituzione e funzionamento si provvede a valere sulle ordinarie risorse umane, strumentali ed economiche allo stato in dotazione alle amministrazioni coinvolte nonché nell’ambito di quanto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. c) del disegno di legge delega in questione.

 

Articolo 3 – Le attività associative, di volontariato e di promozione sociale

L’articolo 3 si compone di una delega al Governo, al fine di procedere al riordino ed alla revisione dell’attuale disciplina in materia di attività associative, di volontariato e di promozione sociale, in particolare della legge-quadro sul volontariato (Legge 11 agosto 1991, n. 266) e della legge di disciplina delle associazioni di promozione sociale (Legge 7 dicembre 2000, n. 383), nonché, in relazione al contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale, la Legge 15 dicembre 1998 n. 438 e la Legge 19 novembre 1987 n. 476, nonché di diverse e ulteriori attività associative.

A tal fine, sono individuati i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. armonizzazione delle diverse discipline vigenti in materia di attività associative, di volontariato e di promozione sociale;
  2. promozione della cultura del volontariato tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgersi nell’ambito delle attività scolastiche;
  3. riconoscimento e valorizzazione delle reti associative di secondo livello;
  4. revisione e promozione del sistema dei Centri di servizio per il volontariato e valorizzazione e riordino delle funzioni di indirizzo e di controllo dei Comitati di gestione; 
  5. revisione e razionalizzazione delle finalità, della composizione, dei compiti e del funzionamento dell’Osservatorio nazionale per il volontariato e dell’Osservatorio nazionale dell’associazionismo sociale.

Articolo 4 – L’impresa sociale

Il disegno di legge delega ha, altresì, previsto che i decreti legislativi delegati dovranno procedere al riordino ed alla revisione dell’attuale disciplina in materia di impresa sociale, in particolare della disciplina dettata dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155.

A tal proposito, il Governo, nell’esercizio della delega, dovrà rispettare i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. eventuale superamento dell’attuale disciplina dell’attribuzione facoltativa della qualifica di impresa sociale;
  2. ampliamento dei settori di attività e individuazione dei limiti di compatibilità con lo svolgimento di attività commerciali diverse da quelle di utilità sociale;
  3. previsione di forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione di utili, nel rispetto di condizioni e limiti prefissati;
  4. possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali online, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative;
  5. disciplina delle modalità di attribuzione della qualifica di impresa sociale alle cooperative sociali e ai loro consorzi;
  6. introduzione di misure fiscali volte a favorire gli investimenti di capitale nelle imprese sociali.

Articolo 5 – Il servizio civile nazionale universale

L’articolo 5 contiene una delega al Governo con la quale si possa procedere al riordino e alla revisione dell’attuale disciplina in materia di servizio civile, in particolare della disciplina dettata dal D.Lgs. 5 aprile 2002, n. 77 e della legge istitutiva del servizio civile nazionale (Legge 6 marzo 2001, n. 64), finalizzata all’istituzione di un servizio civile nazionale universale.
Tali decreti legislativi dovranno attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi:

  1. previsione di un meccanismo di programmazione almeno triennale dei contingenti di giovani, anche stranieri, che possono essere ammessi al servizio civile nazionale universale e di procedure di selezione ed avvio dei giovani improntate a principi di semplificazione e trasparenza; 
  2. previsione di criteri e modalità di accreditamento degli enti di servizio civile universale; 
  3. previsione di un limite di durata del servizio civile nazionale universale che contemperi le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti e della possibilità che il servizio sia prestato, in parte, in uno dei paesi dell’Unione europea nonché, per iniziative riconducibili alla promozione della pace e alla cooperazione allo sviluppo, anche nei paesi al di fuori dell’Unione europea;
  4. riconoscimento delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio civile in funzione della spendita nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo;
  5. previsione di meccanismi e strumenti che, attraverso il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, possono favorire l’inserimento lavorativo dei giovani che hanno prestato il servizio civile nazionale universale.

Articolo 6 – Le misure fiscali e di sostegno economico

Il Governo ha previsto una specifica delega legislativa in materia di riordino ed armonizzazione della disciplina tributaria applicabile agli enti impegnati nello svolgimento delle attività dirette a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale. Quest’ultimi saranno anche destinatari di diverse forme di fiscalità di vantaggio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Questi specifici decreti legislativi dovranno rispettare i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. introduzione di un regime di tassazione che tenga conto delle finalità solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione degli utili e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente; 
  2. razionalizzazione del regime di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali disposte in favore degli enti impegnati nello svolgimento delle attività dirette a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale, al fine di promuovere i comportamenti donativi delle persone e degli enti;
  3. razionalizzazione e stabilizzazione dell’istituto della destinazione del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti in favore degli enti impegnati nello svolgimento delle attività dirette a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale e semplificazione delle procedure per il calcolo dei contributi spettanti agli enti;
  4. introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza sociale finalizzate a obiettivi di solidarietà sociale e riduzione della spesa pubblica;
  5. individuazione di modalità per l’assegnazione agli enti impegnati nello svolgimento delle attività dirette a promuovere e realizzare finalità solidaristiche e di interesse generale degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata improntate a criteri di semplificazione e di celerità, anche al fine di valorizzare in modo adeguato i beni culturali e ambientali.

Articolo 7 – Disposizioni finali

Gli schemi dei predetti decreti legislativi saranno adottati nel rispetto della procedura di cui all’art. 14, Legge 23 agosto 1988, n.400, con conseguente trasmissione alle competenti Commissioni di Camera e Senato per l’espressione dei pareri, entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, i decreti saranno emanati anche in mancanza dei predetti pareri.
Dall’attuazione delle deleghe contenute nel disegno di legge delega in questione non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Infine, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi in questione il Governo potrà adottare, attraverso medesima procedura poc’anzi descritta, eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.

 

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La Riforma della Giustizia in dodici punti

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di Germano De Sanctis

 

Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha presentato al Consiglio dei Ministri del 30 giugno le linee guida della Riforma della Giustizia, sul cui contenuto si avvierà una fase di consultazione che si concluderà il 31 agosto 2014. Tali linee guida sono suddivise nei seguenti dodici punti che dovrebbero costituire l’ossatura della riforma:

  1. Giustizia civile: riduzione dei tempi. Un anno in primo grado
  2. Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato.
  3. Corsia preferenziale per le imprese e le famiglie
  4. Csm: più carriera per merito e non grazie alla ‘appartenenza’
  5. Csm: chi giudica non nomina, chi nomina non giudica;
  6. Responsabilità civile dei magistrati sul modello europeo
  7. Riforma del disciplinare delle magistrature speciali (amministrativa e contabile);
  8. Norme contro la criminalità economica (falso in bilancio, autoriciclaggio);
  9. Accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione;
  10. Intercettazioni (diritto all’informazione e tutela della privacy)
  11. Informatizzazione integrale del sistema giudiziario
  12. Riqualificazione del personale amministrativo

Innanzi tutto, si deve evidenziare che si tratta solo di linee guida, prive di ogni valenza giuridica, ma finalizzate a sviluppare un dibattito pubblico sul’argomento. Infatti, in coerenza con le decisioni assunte in occasione della Riforma della Pubblica Amministrazione, il Governo ha avviato una fase di consultazione pubblica della durata di due mesi, che terminerà il 31 agosto. Infatti, Il premier Renzi ha voluto invitare i cittadini italiani a «discutere di giustizia in modo non ideologico», riuscendo « ad aprire per due mesi, dal 1° luglio al 31 agosto, un confronto aperto, una pubblica consultazione per discutere di giustizia», utilizzando, l’ormai noto indirizzo di posta elettronica rivoluzione@governo.it.
Al termine di tale consultazione pubblica, seguirà un nuovo passaggio in Consiglio dei Ministri per il varo del testo normativo vero e proprio.

Esaminiamo nel dettaglio, le novità più salienti contenute nelle linee guida in questione.

 

La durata massima di un anno per il processo di primo grado
Innanzi tutto, le linee guida focalizzano la loro attenzione sulla giustizia civile, la quale dovrebbe essere oggetto di una riforma capace di ridurne i tempi processuali. L’obiettivo del Governo è di far durare i procedimenti civili di primo grado un anno al massimo. A tal fine, a seguito della consultazione pubblica, sarà approvato un disegno di legge in materia (che, secondo il Presidente Renzi, dovrebbe divenire legge entro mille giorni decorrenti dal 1° settembre prossimo), il quale garantirà il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo, in coerenza coni i tempi dei processi civili di primo grado dei Paesi maggiormente industrializzati.

 

Dimezzamento dell’arretrato civile
Un altro aspetto della riforma particolarmente rilevante è rinvenibile nel dimezzamento dell’arretrato del processo civile, oggi attestato sui 5 milioni ,di procedimenti pendenti.
A tal fine s’introdurranno diverse novità normative, come, ad esempio, la previsione che renderà non necessario l’intervento di un giudice in caso di separazione e divorzio consensuali.
In coerenza con tale obiettivo, sarà anche prevista una speciale corsia preferenziale processuale per le imprese e le famiglie.

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura
Un altro punto delle Linee guida riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura, il quale non subirà, nell’immediato, alcun intervento sul suo metodo di elezione, ma riceverà interventi finalizzati a garantire che la carriera dei magistrati si svolga esclusivamente su basi di merito.
Si intende anche modificare il procedimento disciplinare dei magistrati, prevedendo che coloro che saranno deputati a giudicare il loro operato per eventuali mancanze o negligenze non svolgano alcun ruolo nei procedimenti di nomina dei vertici degli uffici giudiziari, e viceversa. In altri termini, ci si avvia verso la separazione delle funzioni amministrative da quelle disciplinari». La riforma delle norme disciplinari varrà anche per la magistratura contabile e amministrativa.

 

Intercettazioni
Per quanto concerne le intercettazioni, il Governo ha comunicato che non esiste alcun testo già redatto. In particolare, è stato precisato che i magistrati devono essere sempre liberi d’intercettare. Infatti, la riforma in questione non intende bloccare la possibilità di effettuare intercettazioni, ma vuole porre solo un limite alla loro pubblicabilità, in caso di vicende personali con collegate alle indagini.

 

 

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Manca un miliardo di euro per la cassa integrazione in deroga

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di Germano De Sanctis

La copertura degli oneri finanziari afferenti alla cassa integrazione ed alla mobilità in deroga (cioè, quelli sostenuti dalla fiscalità generale e non dai versamenti delle imprese) necessita di circa un miliardo di euro per l’anno 2014, il quale non è attualmente nella disponibilità del bilancio dello Stato.
Al contempo, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha reso noto che il Governo non ha in agenda alcun intervento correttivo dei conti pubblici per far fronte a tale emergenza, in quanto non è escluso il fatto che la copertura finanziaria per gli ammortizzatori in deroga venga trovata in sede di Legge di Stabilità, la quale, tuttavia, esplicherà i suoi effetti soltanto l’anno prossimo.
Si tratta di un problema che interessa almeno 50 mila lavoratori, il quali rischiano seriamente di rimanere senza alcun sostegno al reddito, aggravando ulteriormente la situazione occupazionale nazionale.

Inoltre, il Ministro Poletti ha anche chiarito che non è stata ancora presa nessuna decisione sulle modalità attuative dell’art. 2, Legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), il quale fissa criteri più rigidi per l’accesso agli ammortizzatori sociali in deroga, limitandone la durata anche e riducendone le forme di utilizzo illecito.
È bene ricordare che la Legge n. 92/2012 prevede, a far data dal 2014, l’uscita graduale dalla cassa integrazione e dalla mobilità in deroga. Per tale ragione, il Governo Letta aveva predisposto un decreto avente ad oggetto la modifica dei criteri per l’accesso alla cassa ed alla mobilità in deroga, riducendo, al contempo, le coperture finanziarie di circa un miliardo di euro. Secondo il Ministro Poletti, permangono tuttora le condizioni tecniche che avevano giustificato la redazione di tale provvedimento, il quale, pertanto, non necessiterebbe di alcun radicale cambiamento.

Comunque, fronte di tali mutamenti normativi, il vero ed attuale problema è rinvenibile nell’assenza di risorse finanziarie adeguate per coprire l’intero costo degli ammortizzatori in deroga per l’anno 2014. Infatti, nei primi mesi di quest’anno, si è dovuto far ricorso all’utilizzo delle risorse afferenti l’anno 2014 per finanziare la cassa in deroga relativa all’anno 2013, la quale sarebbe rimasta altrimenti priva di copertura finanziaria. Di conseguenza, adesso, rimangono scoperte la cassa e la mobilità in deroga dell’anno in corso. Allo stato attuale, come già detto, il Governo non ha approvato ancora alcun decreto e non ha assunto alcuna decisione in merito.

 

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Ticket sanitari legati al reddito, tagli alle cliniche.

Finalmente sta per cambiare l’assurdo regime secondo cui anche i più ricchi usufruiscono dell’esenzione. Proposta dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

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Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Revisione dei ticket sanitari entro la fine dell’anno con criteri più improntati al reddito.

da WSI, pubblicato il 18 giugno 2014

ROMA – Revisione dei ticket sanitari entro la fine dell’anno con criteri più improntati al reddito, anche per le patologie croniche. Nell’arco di tre anni le mini-cliniche, cioè quelle con meno di 60 posti letto, non saranno più accreditabili con il Sistema sanitario nazionale.

È questo, secondo quanto appreso, l’orientamento del gruppo di lavoro sul Patto della salute, formato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, da otto assessori regionali e da un rappresentante del ministero dell’Economia. Il gruppo sta procedendo con l’esame di 28 articoli.

Ieri la discussione della riunione fiume che si è svolta al ministero della Salute si è incentrata sul contenuto del fondo per il 2014 che il ministero ha confermato, legandolo all’ andamento del pil per il 2015 e 2016. Le parti hanno anche analizzato il piano degli investimenti: le risorse sarebbero ancora considerate insufficienti anche se dal ministro dell’ Economia dovrebbero arrivare indicazioni più precise nei prossimi giorni.

Le Regioni si sono confrontate anche sui criteri di mobilità dei pazienti. Domani la discussione proseguirà affrontando i problemi dell’assistenza territoriale. I livelli essenziali di assistenza (Lea) dovrebbero essere rivisti entro la fine dell’anno. Ad integrare le risorse per gli investimenti dovrebbe poi andare una quota consistente dei risparmi che il ministro Lorenzin aveva indicato in circa 10 miliardi in tre anni.

Gli interventi sulle mini-cliniche, che penalizzerebbero quelle con meno di 60 posti letto, escluderebbero le strutture in grado di aggregarsi raggiungendo almeno gli 80 posti letto. Da questi limiti sarebbero invece salvate le cliniche private mono specialistiche. Domani il ministro della Salute riferirà in Commissione Affari Sociali della Camera gli orientamenti che stanno emergendo per il Patto.

«Stiamo lavorando ad oltranza e con le Regioni abbiamo già esaminato vari articoli. Il lavoro procede bene», ha detto oggi il ministro Lorenzin. Infine il Patto interverrà anche riformando l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, con lo scopo di avere un raccordo più stretto, più forte e più sinergico tra Regioni e ministero della Salute.

Obiettivo di Regioni e Governo è quello di chiudere i lavori entro la settimana anche se resteranno poi alcuni mesi di tempo, fino a dicembre 2014, per completare l’operazione intervenendo sulla ridefinizione dei tanto attesi Lea (Livelli essenziali di assistenza).

***

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ROMA – Entro sei mesi i ticket sanitari saranno rivisti. La tassa su visite, farmaci ed esami, dunque, potrebbe subire dei ritocchi. Che saranno decisi in base al reddito. Anche per le patologie croniche. Oggi, infatti, tutte le persone, quelle più abbienti e quelle meno abbienti che soffrono di malattie che accompagnano per tutta la vita, usufruiscono dell’esenzione dal ticket. Per le prestazioni, dalla radiografia all’analisi del sangue, che riguardano la patologia.

La decisione è stata presa ieri in tarda serata dal gruppo di lavoro sul Patto per la salute a cui sta lavorando da settimane il ministro Beatrice Lorenzin con otto assessori regionali e un rappresentante del ministero dell’Economia.
Una sorpresa per gli addetti ai lavori dal momento che proprio dall’incontro di ieri era uscita una notizia confortante per il servizio sanitario nazionale: confermato il finanziamento 2014-2017.

Le risorse dovrebbero essere “arricchite” da una quota consistente dei risparmi che il ministro Lorenzin ha indicato in dieci miliardi in tre anni. L’obiettivo è quello di chiudere in questa settimana.

Le notizie sui ticket erano state annunciate e smentite più di una volta. Proprio pochi giorni fa il ministro della Salute aveva detto: «Il patto per la salute sta lavorando sull’esenzione da una parte mentre dall’altra dobbiamo cercare di recuperare laddove ci sono persone che sono esenti per reddito ma, in realtà, non ne avrebbero diritto». Una sorta di risposta alla Corte dei Conti che ha evidenziato come gli italiani paghino sempre di più per i ticket. Riferendosi al dato del 2012: le famiglie italiane hanno speso in media 900 euro per la tassa sanitaria.

Un’inversione di rotta ancora da quantificare che sarà accompagnata da un altro aggiornamento. Quello dei livelli di assistenza, l’elenco delle prestazioni che vengono effettuate negli ospedali.

Stretta anche per l’accreditamento: in tre anni le mini-cliniche, quelle che hanno meno 60 posti letto, saranno cancellate dal servizio sanitario nazionale. Un provvedimento che il privato riuscirà ad evitare se la dotazione dei posti salirà ad 80 aggregando altre strutture. «Il lavoro procede bene», ha sentenziato ieri sera il ministro Lorenzin che, con il gruppo, deve esaminare 28 articoli. Oggi è la volta dell’assistenza territoriale.

Decisioni parallele ieri al ministero della Salute. Oltre alla discussione sulla revisione dei ticket anche l’ipotesi di commissariamento dell’Istituto superiore di sanità, l’organo tecnico dello stesso ministero. Sono state avviate le procedure ma l’ultima parola l’avrà il Consiglio dei ministri.
Motivo: buchi di bilancio relativi agli anni 2011 e 2012. In tutto un buco da 30 milioni su oltre 300milioni movimento finanziario l’anno già contestati dalla Corte dei conti.

Da mesi all’interno dell’Istituto era cresciuta la preoccupazione per il bilancio tanto da ostacolare e in alcuni casi fermare il rinnovo dei contratti per chi sta seguendo o deve iniziare progetti di ricerca. Anche internazionali.

Fonte: WALL STREET ITALIA

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RIFORME: FISCO PIÙ SEMPLICE E LEGGERO.

Nella riforma della Pubblica Amministrazione recentemente presentata è incluso anche uno specifico pacchetto di semplificazioni in materia fiscale, per il quale Consiglio dei Ministri ha, peraltro, già avviato un primo esame ai fini dell’attuazione alla delega fiscale, con l’obiettivo di introdurre la dichiarazione dei redditi precompilata. A tal proposito, il premier Matteo Renzi ha dichiarato: “Abbiamo fatto un primo esame. Il vice ministro Morando lo porterà in Parlamento e la prossima settimana lo approviamo definitivamente.”

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Dunque, la novità è che per il 730 si prevede l’invio di un modulo precompilato direttamente a casa del contribuente. La dichiarazione precompilata dovrebbe in un primo momento essere operativa solo per dipendenti pubblici e pensionati, vale a dire circa 18 milioni su 41 milioni di contribuenti (15 milioni di pensionati e 3 milioni di dipendenti pubblici). Successivamente, la riforma coinvolgerà tutti i lavoratori dipendenti, rendendo la dichiarazione precompilata disponibile per oltre 3 contribuenti su 4. Nel modulo compariranno una serie di informazioni di cui il Fisco già dispone come quelle anagrafiche e reddituali già presenti nel CUD. Si aggiungeranno, poi, le detrazioni per familiari a carico, per lavoro dipendente e pensione.
L’Erario, inoltre, già dispone dei dati sugli immobili, e per chi è in regime di cedolare secca anche dei dati sui beni concessi in locazione e adibiti ad abitazione principale. Ne dovrebbe, quindi, risultare alleggerito il lavoro dei CAF, ai quali potrebbero però essere affidate maggiori responsabilità in termini di certificazione della correttezza.

Per i titolari di p.i. viene, invece, meno il visto di conformità per i rimborsi IVA sopra i 10.000 euro. La norma attuale prevede, invece, l’obbligo di ottenere da un CAF imprese un pre-controllo formale sulla documentazione prima di poter ottenere il via libera al rimborso.

Sale, inoltre, il tetto sotto cui i contribuenti non devono presentare la dichiarazione di successione, qualora gli eredi siano il coniuge e i parenti in linea retta. L’importo, finora fissato in circa 25.800 euro (la norma, entrata in vigore con la vecchia valuta, parla di 50 milioni di lire) adesso passa a 75.000 euro. Semplificazioni ulteriori anche per ciò che concerne la documentazione da presentare, che potrà essere sostituita da un’autodichiarazione.

Le nuove norme fanno venir meno, infine, la responsabilità solidale dell’appaltatore nei casi di elusione contributiva ai danni del personale dipendente. Fino ad oggi, infatti, era previsto che l’appaltatore principale fosse responsabile in solido con il subappaltatore in caso di mancati versamenti da parte di quest’ultimo delle trattenute sui salari dei dipendenti per contributi previdenziali, oltreché per i premi assicurativi obbligatori INAIL. Con la riforma, unico obbligato sarà il solo subappaltatore, quale datore di lavoro dei dipendenti per i quali non risultano (o non risultano interamente) versati i contributi previdenziali e i premi assicurativi.

MDS
REDAZIONE
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Le nuove norme sui dipendenti pubblici contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

La riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nel “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita” e nel disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice” dedica ampio spazio ai dipendenti pubblici.
Esaminiamo nel dettaglio le aree d’intervento delle norme riformatrici che interessano il comparto del Pubblico Impiego.

La staffetta generazionale

Innanzi tutto, il Pubblico Impiego sarà interessato da una staffetta generazionale, la quale sarà resa possibile dall’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici che hanno superato il limite per il pensionamento. Secondo le stime del Governo tale provvedimento renderà disponibili 15.000 posti per nuove assunzioni mediante concorso pubblico, favorendo, in tal modo, l’immissione di un numero rilevante di giovani nella Pubblica Amministrazione.
Tale staffetta generazionale verrà realizzata in quattro fasi:

  1. in primo luogo, il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” abolisce con decorrenza immediata l’istituto del trattenimento in servizio, fissando, per i contratti in corso, la scadenza ex lege del 31 ottobre 2014. In altri termini, a partire dal prossimo 31 ottobre, sarà vietata ai dipendenti pubblici la permanenza in servizio dopo il raggiungimento dell’età pensionabile (cioè, 66 anni per gli impiegati statali, 70 anni per i magistrati). Tuttavia, per quanto concerne i magistrati, al fine di evitare improvvisi e pericolosi vuoti in organico capaci di danneggiare la funzionalità degli uffici giudiziari, l’abolizione del trattenimento in servizio sarà spostata al 31 dicembre 2015;
  2. in secondo luogo, s’incentiva il processo di svecchiamento della Pubblica Amministrazione, riformando le norme che disciplinano l’istituto del turn over. Infatti, è previsto che lo sblocco sarà calcolato soltanto sul criterio della spesa. Ciò significa il turn over non dovrà essere rapportato al numero delle persone da assumere in relazione a quelle uscite dal mondo del lavoro, ma alla sola spesa sostenuta. Il calcolo prevede il ricorso a percentuali crescenti di spesa, prevedendo che quest’ano potrà essere assunto il 20% del personale cessato nel 2013, per raggiungere progressivamente il 100% nel 2018. Si tratta di un criterio decisamente più favorevole per i dipendenti pubblici;
  3. inoltre, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” prevede l’incentivazione con la contribuzione piena del lavoro part-time al 50% a favore dei dipendenti pubblici che si trovano a meno di cinque anni dall’età pensionabile;
  4. infine, il decreto legge in questione prevede:
  • il divieto di affidare incarichi dirigenziali a persone che già godono la pensione;
  • il divieto del cumulo delle retribuzioni;
  • le riduzione delle consulenze.

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La riduzione dei permessi sindacali

A far data dal 1° agosto 2014, verranno dimezzati i distacchi sindacali, le aspettative ed i permessi già attribuiti.
Si tratta di una previsione che ha già sollevato le proteste delle organizzazioni sindacali.

La mobilità obbligatoria e volontaria

La riforma della Pubblica Amministrazione facilita la mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici (cioè, valida senza il loro consenso), purché ricompresa nell’arco di 50 chilometri tra l’ufficio di partenza e quello di destinazione e nel rispetto dello stipendio percepito. Infatti, le sedi di una Pubblica Amministrazione, ubicate tra loro entro tale limite chilometrico, devono essere considerate come parte delle stessa unità produttiva. Analogo ragionamento deve essere svolto per le sedi di una Pubblica Amministrazione ubicate nel territorio del medesimo Comune.
Il Governo ha chiarito che ha mutuato tale disposizione dal settore privato e che siffatta ipotesi di mobilità obbligatoria non sarà oggetto di contrattazione.

Invece, per quanto concerne la mobilità volontaria, il Governo ha deciso di incentivarla, prevedendo che i trasferimenti tra le sedi centrali di differenti Ministeri, Agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, possa avvenire anche in assenza dell’autorizzazione da parte dell’Amministrazione provenienza.
Anzi, la norma si spinge a prevedere che tali trasferimenti devono essere disposti entro il termine di due mesi decorrenti dalla ricezione della richiesta avanzata dalla Pubblica Amministrazione di destinazione, ponendo la sola condizione che quest’ultima abbia una carenza d’organico maggiore di quella dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente oggetto di mobilità volontaria.

La mobilità sarà sostenuta con un fondo che avrà, per l’anno 2014, una dotazione finanziaria di 15 milioni di euro e di 30 milioni di euro per l’anno 2015. Inoltre, per favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di mobilità, sarà istituito un apposito portale telematico presso il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il demansionamento

Un’altra importante novità contenuta nella Riforma della PA è il demansionamento, Infatti, è stata prevista una deroga all’art. 2103 c.c. in virtù della quale è stato previsto che, nell’ambito dei posti vacanti in organico, un dipendente pubblico in esubero collocato in disponibilità possa essere riallocato con una qualifica ed una retribuzione inferiori.

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La Scuola Nazionale dell’Amministrazione

L’impianto riformatore prevede anche un’unica scuola di formazione dei dipendenti pubblici, denominata “Scuola Nazionale dell’Amministrazione”.
Attualmente la Scuola Nazionale dell’Amministrazione è incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ad essa verranno accorpate le seguenti cinque Scuole minori oggi ubicate presso singoli Ministeri:

  1. la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze;
  2. l’Istituto Diplomatico “Mario Toscano”;
  3. la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno;
  4. il Centro di Formazione della Difesa;
  5. la Scuola Superiore di Statistica e di Analisi Sociali ed Economiche.

La Scuola Nazionale dell’Amministrazione conta attualmente un organico di 180 dipendenti e circa 13 milioni di euro di budget. Invece, la più grande delle Scuole accorpate è la Scuola Superiore dell’Economia e Finanze, che dispone di un budget di 15 milioni di euro.
L’organizzazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione si baserà su dei dipartimenti e riceverà l’80% delle risorse finanziarie già stanziate per le attività di formazione delle Scuole accorpate (con un conseguente risparmio del restante 20% a favore del bilancio statale).
La Scuola Nazionale dell’Amministrazione subentrerà nei rapporti di lavoro nei rapporti di lavoro (anche a tempo determinato e di collaborazione, che arriveranno alla loro scadenza contrattuale) in essere presso le Scuole soppresse, mantenendo l’inquadramento previdenziale di provenienza, ma, al contempo, soggiacendo al trattamento giuridico ed economico (ivi compreso quello accessorio), previsto dai contratti collettivi vigenti nell’Amministrazione di destinazione. Invece, il personale in posizione di comando o di fuori ruolo presso le Scuole sopprresse non transiterà nell’organico della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ma rientrerà nelle Amministrazioni di appartenenza

Sempre in materia di formazione dei dipendenti pubblici, il decreto legge in questione dispone il commissariamento di Formez PA, il quale, l’anno scorso, ha avuto a disposizione di un budget di 60 mlioni di euro ed ha conseguito un utile di 4 milioni di euro. Verrà nominato un commissario straordinario, il quale avrà il compito di redigere un piano di riasseto capace di ridurre gli oneri gestionali di almeno il 10%, tenendo conto che la gestione di Formez PA ha un costo complesivo annuale di circa 400.000 eurlo l’anno.

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Le nuove norme sulla dirigenza pubblica contenute nella riforma della Pubblica Amministrazione

 

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di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 13 giugno scorso, il Consiglio dei Ministri ha varato il c.d. “Decreto Legge Semplificazioni e Crescita”, unitamente ad un altro decreto legge sull’ambiente e l’agricoltura ed ad un disegno di legge delega, denominato “Repubblica Semplice”, contenente ben otto deleghe legislative e che, una volta approvato dal Parlamento, mediante un percorso legislativo da concludersi nei prossimi sei mesi, porterà a compimento la riforma della Pubblica Amministrazione avviata con il decreto legge in questione.
Da un punto di vista di tecnica legislativa il Decreto Legge “Semplificazioni e Crescita” è un testo “omnibus”, contenente una enorme quantità di disposizioni afferenti a diverse ed eterogenee materie, ma che, al contempo, affronta questioni irrisolte da tempo.
Invece, il disegno di legge delega “Repubblica Semplice” è composto di dodici articoli, contenenti (come detto) otto deleghe legislative al Governo.
Siamo di fronte al quarto tentativo di riforma della Pubblica Amministrazione posto in essere negli ultimi vent’anni. Sicuramente, incontrerà critiche ed opposizioni, così come le incontrarono i predetti provvedimenti proposti illo tempore. Anche stavolta, il tentativo in questione nasce con le migliori intenzioni e con le più forti ambizioni. Tuttavia, dovrà affrontare un confronto serrato con la macchina burocratica statale attraverso una dialettica che si connoterà per una lunga serie di prove di forza poste a cui si contrapporranno i tentativi di preservare gli equilibri consolidati.
Ci sarà tempo per l’analisi più specifica delle singole norme e per l’esame della loro applicazione concreta. Nel frattempo, analizzeremo le novità più interessanti contenute, sia nel decreto legge, che nel disegno di legge delega, dedicando loro una serie di post suddivisi per area tematica, cominciando con la riforma della dirigenza pubblica.

 

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La riforma della dirigenza pubblica rappresenta una degli elementi più salienti dell’impianto riformatore, il quale si connota per la sua volontà d’introdurre criteri di valutazione e di responsabilità più stringenti, unitamente al ridimensionamento del numero massimo di dirigenti in rapporto al numero complessivo dei dipendenti assegnati ad ogni singola Pubblica Amministrazione.
Inoltre, il provvedimento in esame istituisce il ruolo unico dei dirigenti dello Stato, superando le due fasce attuali. Si potrà accedere al ruolo unico, mediante concorso, sia per le amministrazioni centrali, che per quelle periferiche e per le autorità indipendenti.
I dirigenti saranno distinti tra esperti (con professionalità specifiche) e responsabili di gestione.

I dirigenti avranno incarichi a termine di durata triennale. I risultati di ogni singolo dirigente saranno valutati da una Commissione, secondo una nuova e semplificata serie di criteri di valutazione (oggetto di delega), sia della performance individuale realizzata, che degli uffici diretti.
Tale sistema valutativo è direttamente collegato ad una completa ridefinizione del sistema retributivo della dirigenza pubblica, che sarà in parte ancorato all’andamento del PIL. Infatti, il 15% della retribuzione complessiva di risultato sarà agganciato all’andamento del PIL. Tale percentuale variabile sostituirà l’attuale indennità di posizione, che è attualmente definita in misura fissa dalla contrattazione collettiva.

Vi è anche la previsione della licenziabilità dei dirigenti, qualora, al termine di un contratto costoro rimangano senza l’assegnazione di un nuovo incarico per un lasso di tempo congruo, che verrà individuato in sede di approvazione del disegno di legge delega in Parlamento. Il licenziamento in questione sarà anticipato della messa in mobilità del dirigente interessato.
Verrà anche previsto il diritto all’aspettativa per i dirigenti pubblici che decideranno di vivere un’esperienza di lavoro presso datori di lavoro privati o all’estero.
Invece, vi sarà l’introduzione del divieto di assegnare nuovi incarichi ai dirigenti che avranno raggiunto l’età pensionabile (anche alle dipendenze di società partecipate).

A fronte di tali previsioni per i dirigenti di diritto pubblico (cioè assunti mediante concorso), il decreto legge stabilisce anche che, negli enti locali, la quota di dirigenti assunti per competenze specifiche ed al di fuori dal concorso pubblico passerà dal 10% al 30%.

Il Consiglio dei Ministri del 13 giugno ha anche introdotto un’altra novità consistente in una previsione speciale avente ad oggetto i vertici dirigenziali delle ASL. Infatti, è prevista l’introduzione di una graduatoria unica dei candidati direttori generali delle Aziende Sanitarie Locali, al fine di assicurare trasparenza ed evitare che vengano scelti nomi legati al mondo politico o latori di interessi di parte.
Si tratta di una enorme novità, atteso che attualmente, ogni Regione dispone di una propria lista di soggetti dichiarati idonei (secondo propri criteri) e che utilizza ogni qual volta necessiti di nominare un direttore di una ASL.
La norma in questione impone alle Regioni di nominare soltanto chi, dopo aver preso parte ad un concorso pubblico e aver frequentato un corso universitario di formazione in gestione sanitaria, è stato inserito nell’unica graduatoria nazionale, che sarà oggetto di aggiornamento a cadenza biennale.
Inoltre, al fine d’innalzare la qualità delle prestazioni dirigenziali e di creare una reale sistema di responsabilizzazione dei manager sanitari, è stato previsto che il direttore potrà essere dichiarato decaduto, qualora non raggiunga gli obiettivi di gestione o non garantisca l’equilibro di bilancio, unitamente ai livelli essenziali di assistenza nella sua legge. Analoga ipotesi di decadenza è prevista in caso di commissione di violazioni di legge e regolamento e di mancata imparzialità. Il direttore decaduto verrà cancellato dalla lista nazionale.

 

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In estrema sintesi, il ruolo unico della dirigenza, la flessibilità nell’attribuzione degli incarichi, le politiche retributive ed i percorsi di carriera correlati ai meriti ed alle competenze (unitamente alla revisione della disciplina della responsabilità) non possono che essere oggetto di plauso. Tuttavia, non si può nascondere la preoccupazione di come questo impianto riformatore, una volta approvato dal Parlamento, possa realmente sbloccare un settore che si connota per sua eccessiva rigidità e per il suo perdurante immobilismo, per valorizzare e favorire il lavoro delle persone capaci e competenti, sia già appartenenti al ruolo dei dirigenti pubblici, sia provenienti da altre esperienze lavorative.

In tale ottica, l’età media elevata della dirigenza pubblica rappresenta un’opportunità. Infatti, l’esame dei dati statistici evidenzia la possibilità di gestire senza conflitti con le parti sociali il ricambio generazionale di circa il 50% dei dirigenti attualmente in servizio, semplicemente ricorrendo al turn over fisiologico nell’arco di settennio, con l’avvertenza che, tale lasso temporale, è tempo destinato a ridursi in caso di abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, così come proposto dal Governo.
Tale ultima affermazione non vuole esprimere alcuna valutazione negativa sulla qualità della dirigenza pubblica attuale, la quale, al contrario, è una categoria professionale che si distingue per le tante persone di valore che la occupano. Tuttavia, è necessario prendere atto che il blocco del turn over nel Pubblico Impiego, ha provocato una evidente senescenza della Pubblica Amministrazione ed, in particolare della sua dirigenza, la quale si rende particolarmente evidente, quando si riscontra l’incoerenza dei criteri con cui in passato si selezionavano i dirigenti pubblici con le attuali e future esigenze del “Sistema Paese” .
Pertanto, il primo vero problema da affrontare sarà una radicale riforma delle modalità di selezione concorsuali. Il concorso pubblico deve abbandonare le sue modalità tradizionali di svolgimento, finalizzate alla mera verifica di una formazione teorica di base. Invece, i futuri concorsi pubblici per dirigenti dovranno essere rispettosi delle più moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone, tenendo anche conto dei risultati professionali conseguiti, nonché dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro.

 

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