IL MAGGIO DEI LIBRI 2014.

20140506-064932.jpg

di Michele De Sanctis

Se a maggio la natura si risveglia, lo stesso capita alla voglia di leggere: anche quest’anno i libri tornano a sbocciare. Giunto ormai alla sua quarta edizione, il Maggio dei Libri è un’iniziativa promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, e ha l’obiettivo di sottolineare il valore sociale della lettura come elemento chiave della crescita personale, culturale e civile. ‘Leggere fa crescere’: è questo lo slogan con cui la campagna nazionale, nata nel 2011, tenta di incentivare la voglia di libri. Oltre a godere del supporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il Maggio dei Libri è altresì promosso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani, in collaborazione con l’Associazione Italiana Editori. La campagna è iniziata lo scorso 23 aprile, in concomitanza con la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore (indetta dall’UNESCO) e terminerà il prossimo 31 maggio.

20140506-065218.jpg

Con il Maggio dei Libri 2014 ci si richiama alla tradizione popolare, all’idea di crescita, di maturazione, ma anche di rinascita, di risveglio della natura, di allegria, come testimoniano le radici di diverse feste popolari.
In fondo, cos’è un libro se non un amico, un compagno di vita. L’obiettivo del Maggio dei Libri 2014 è dunque quello di condurre questo compagno nella vita quotidiana di ognuno di noi, fra la gente, distribuendolo, incentivando la lettura, facendo sì che si stabilisca un legame affettivo, affinché il libro abbia finalmente il valore sociale che merita. Affinché la lettura risvegli le menti, letteralmente sbocci in chi avrà l’opportunità di avvicinarsi a un libro.

20140506-065259.jpg

Tantissimi sono gli eventi del Maggio dei Libri 2014, oltre 1700, da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli centri. A promuovere le iniziative, biblioteche, associazioni culturali, case editrici, club di lettori, comuni, province e regioni. Ma non solo. Il libro, infatti, evade dai contesti abituali per raggiungere gli innumerevoli ‘non lettori’, fino ad arrivare negli uffici postali, nei supermercati, sui treni e nei ristoranti grazie ad un accordo di partnership con Poste Italiane, UniCoop Tirreno, Librerie Coop, Italo Treno, Eataly e Librerie Feltrinelli. A disposizione di tutti c’è poi anche l’app, che tra i suoi contenuti offre il calendario degli appuntamenti in programma, le novità e le immagini della campagna. L’app Il Maggio dei Libri 2014 è disponibile gratuitamente per iPhone e iPad su AppStore e si può scaricare da qui. Potete, inoltre, trovare tutte le informazioni sul sito Il Maggio dei Libri. Sarà, infine, possibile accedere alle bacheche Facebook e Twitter de Il Maggio dei Libri per seguire e commentare gli eventi e i concorsi legati all’iniziativa.
Tempo fa Michael Crichton disse che frequentare le librerie può riservare sorprese perché si possono trovare libri che non ci si aspetta. Allora, perché non fare un salto in libreria? La lettura dei buoni libri è una sorta di conversazione con gli spiriti migliori dei secoli passati, diceva Cartesio, ed è per la mente ciò che l’esercizio fisico è per il corpo, secondo Joseph Addison.

20140506-065702.jpg

Potrei citarvi un altro centinaio di aforismi, per convincervi, ma credo che il modo migliore di concludere questo post sia quello di affidarmi alle parole di Ennio Flaiano. ‘Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni.’
Buona lettura! E fate bei sogni…

BlogNomos
SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
e su
TWITTER

I PAESI IN CUI I GIOVANI VIVONO MEGLIO.

20140505-055312.jpg

di Michele De Sanctis

Attualmente i giovani, non solo in Italia, sono spesso al centro dell’attenzione generale soprattutto a causa della situazione economica e sociale che stiamo attraversando e, nel nostro Paese in particolare, per via della ‘fuga di cervelli’, un fenomeno purtroppo sempre più persistente.
Tuttavia, si parla poco di salute pubblica in riferimento a questa categoria. È come se gli unici problemi dei giovani fossero di natura economica. Ma come stanno fisicamente? È l’interrogativo a cui cerca di rispondere l’‘Indice del benessere giovanile’, di cui si è avvalso il website newyorkese Business Insider per stilare la classifica “Qual è il Paese in cui la gioventù vive più beata?”. Si tratta di una ricerca condotta su trenta Paesi realizzata dalla ‘International youth foundation’, il ‘Center for strategic and international studies’ e l’azienda ‘Hilton Worldwide’.
Nel parlare di “salute pubblica”, infatti, non si possono non calcolare tutte quelle persone, i giovani per l’appunto, che si trovano a metà tra le due fasce generazionali estreme ovvero, i bambini e gli anziani, cui normalmente ci si riferisce quando si parla di salute pubblica.
Per creare l’indice, i ricercatori hanno usato 40 indicatori tra cui “la partecipazione alla vita sociale e politica, le opportunità economiche, l’istruzione, la sanità, l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza”.

20140505-060230.jpg

Secondo questo studio, i primi posti dell’elenco sono occupati da Australia (1°), Svezia (2°) e Corea del Sud (3°). Agli ultimi posti troviamo, invece: Tanzania, Uganda e Nigeria. Non si tratta, tuttavia, dei primi trenta Paesi al mondo, ma solo di quelli presi in esame dai ricercatori dell”International youth foundation’ e che per “giovani” è stata intesa la fascia di popolazione compresa tra 12 e 24 anni. Va considerato, tra l’altro, che le prime nove posizioni sono occupate dai Paesi più ricchi della lista, ad eccezione della sola Russia e che, sebbene nei Paesi ad alto reddito ci siano tassi di mortalità giovanile più bassi, ad essere più diffusi in questi posti sono, paradossalmente, stress ed autolesionismo.

20140505-060710.jpg

Nonostante i limiti dell’analisi qui riportata, i dati analizzati sono comunque interessanti per tutti in quanto, lo si legge nel rapporto, “le società che sono inclusive nei confronti dei giovani sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di crescere ed arricchirsi, mentre l’esclusione aumenta il rischio di recessione, criminalità e violenza diffusa”.
Uno spunto di riflessione per i Governi dei Paesi che occupano le ultime posizioni e anche per quelli non inclusi nella ricerca, al fine di procedere ad una revisione di alcuni capisaldi del proprio welfare.

BlogNomos
SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
Twitter @BlogNomos

Rivoluzione canone Rai: diventerà flessibile e lo pagheremo in base ai consumi.

Il sottosegretario Giacomelli: pronta la riforma, “Cancelleremo l’evasione dell’imposta nel 2015”.

20140504-170544.jpg

di Aldo Fontanarosa da La Repubblica del 4 maggio 2014

ROMA – Qualcuno ci ha provato, fallendo miseramente. Qualcun altro ha promesso di farlo, poi ha desistito per non perdere voti. Ora il governo Renzi annuncia la missione impossibile: ridurre, anzi azzerare l’evasione del canone Rai già nel 2015. “Non lo paga il 27% delle famiglie – ricorda Antonello Giacomelli, nuovo sottosegretario alle Comunicazioni, uomo del Pd – con un danno che la tv di Stato stima in 1,7 miliardi tra il 2010 e il 2015. Una cosa imbarazzante, che noi fermeremo”.

Il nuovo canone non si pagherà con la bolletta elettrica (“il governo prevede il taglio netto della bolletta, per aiutare le persone e le aziende, e non il suo aumento”). E neanche si tramuterà in una gabella legata alla casa come in Francia o in Germania (“se qualcuno vuole proporre questa soluzione a Matteo Renzi, pago il biglietto per assistere alla reazione”). “Al di là della modalità di versamento, che troveremo d’intesa con il ministero dell’Economia, quel che conta sarà la logica, del tutto nuova: pagheremo tutti, pagheremo con più equità”. Il governo cancellerà il canone unico di 113 euro e mezzo che ogni famiglia dovrebbe versare oggi (unica eccezione gli anziani sotto i 6.714 euro di reddito; nuclei in povertà che sono esentati).

Al posto del canone unico arriverà un’imposta flessibile ad importo variabile legata ad un nuovo indicatore che fotograferà i consumi, cioè la capacita di spesa delle persone. “L’effetto è che avremo un canone più basso che in passato, almeno per le famiglie in difficoltà, e molto meno impopolare. Lavoriamo per rinsaldare un patto di fiducia tra la Rai e il suo pubblico”, aggiunge Giacomelli.

Parole molto belle, che potrebbero suonare beffarde a Viale Mazzini. La Rai – ricordiamolo – ha appena perso 150 milioni del canone 2014 per mano del Documento di economia e finanza del governo Renzi. Una botta mai vista. “Dietro la nostra decisione non c’è alcuna volontà punitiva – assicura Giacomelli – da tempo il direttore generale della Rai Gubitosi ci parlava della vendita di RaiWay (la società dei ripetitori, ndr). Il progetto c’era già, dunque. Noi invitiamo Viale Mazzini ad accelerare nella valorizzazione dell’asset. Servono soldi. La tv di Stato li cerchi come e dove sa”.

E questo dove si chiama Borsa. Il governo suggerisce di quotare una fetta minoritaria di Rai Way, con un duplice obiettivo. Conservare in mano pubblica il controllo della società e della rete. Ma ricavare comunque tante risorse (“sicuramente più dei 150 milioni che il Def chiede a Rai come contributo”, calcola Giacomelli). Ma RaiWay si potrà quotare un anno. E nel 2015? Dove trovare altri 150 milioni? “Serve un nuovo Piano editoriale. Oggi la Rai ha ancora tre tg e tre reti, le principali, figlie della tripartizione decisa dai partiti nel 1975. L’effetto è una moltiplicazione dei centri di spesa. Suggerisco il massimo delle sinergie nella produzione dei servizi, nell’impiego delle troupe anche esterne, nell’uso degli impianti”. Poi andranno chiuse alcune sedi regionali, che Palazzo Chigi considera un bene statico, inerme. Questo colosso da 700 dipendenti di cui 200 giornalisti “deve produrre di più”.

Azzerare l’evasione del canone. Quotare RaiWay. Varare un nuovo Piano editoriale che assicuri risparmi tra giornalisti e sedi regionali. Trasformare Viale Mazzini in una media company capace di competere nell’era di Google e Youtube. Quest’insieme di mosse – nei piani dell’esecutivo – permetterà alla tv di Stato di reggere l’urto dei 150 milioni persi e di conservare inalterata l’offerta. Non mancheranno i fondi, ad esempio, per comprare i diritti della Nazionale. Un programma simbolo.

In questo quadro, il nuovo sottosegretario lavora e si dà da fare, malgrado Palazzo Chigi non abbia ancora formalizzato, a lui e ad altri sottosegretari e vice ministri, le deleghe che definiranno il perimetro della loro azione. “E’ una situazione singolare. Per me vale di più la parola del premier dell’atto scritto. Renzi mi invita a procedere come se ci fosse la delega ed io procedo. Certo, prima si colma questo vuoto e meglio è per tutti. L’8 maggio, incontrerò il commissario Ue all’Agenda Digitale, Neelie Kroes”. Ha avuto problemi? “Abbiamo dovuto spiegare a che titolo la incontrerò, non avendo io la delega. Peraltro, alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, esporrò la nostra posizione su temi non banali. Dirò alla Kroes, ad esempio, che ci teniamo alla net neutrality. Non vogliamo un Internet veloce e un altro meno, un Internet di serie A e uno di serie B. Questa sarà la linea e vorrei motivarla con la dovuta efficacia”.

Fonte: La Repubblica

BlogNomos
SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
Twitter @BlogNomos

Pillole di Jobs Act. La disciplina del lavoro a tempo determinato contenuta nel testo del D.L. 34/2014 emendato dal Governo in sede di conversione al Senato

Immagine

 

 di Germano De Sanctis

Nel corso della giornata del 2 maggio, il Governo e la sua maggioranza hanno raggiunto un accordo sulla conversione del D.L. n. 34/2014 (c.d. “Decreto Lavoro”) al Senato. Tale accordo consiste nella presentazione da parte del Governo di otto emendamenti che mettono al sicuro l’iter parlamentare del decreto legge in questione.
Il nuovo testo emendato, deve essere votato dal Senato al massimo entro il prossimo 19 maggio e non dovrebbe essere sottoposto al voto di fiducia come, invece, è avvenuto alla Camera dei Deputati, anche se, a fini ostruzionistici, sono stati già presentati centinaia di emendamenti da parte delle opposizioni. I tempi sono stretti, in quanto, successivamente, il D.L. n. 34/2014 dovrà essere riesaminato in questa sua nuova versione dalla Camera dei Deputati ed convertito in legge nel termine sopra indicato.
Per quanto concerne il lavoro a tempo determinato, gli emendamenti governativi liberalizzano il ricorso a siffatta tipologia contrattuale, rispetto al testo approvato alla Camera dei Deputati, in quanto sono state inserite alcune significative modifiche che meritano di essere esaminate nel dettaglio. Tuttavia, l’impianto originario dell’istituto in esame non viene stravolto, non costituendo la novella in questione un ritorno alla versione originale del Decreto Lavoro.

Il preambolo

Il nuovo art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 contiene una frase programmatica che incide minimamente sul piano sostanziale sulla disciplina generale dei contratti a tempo determinato. Anzi, essa appare anche all’interprete meno avveduto come una sorta a di giustificazione delle modifiche introdotte nell’ambito di un quadro normativo che conferma il ruolo di forma comune del rapporto di lavoro svolto dal contratto a tempo indeterminato.
Infatti, il legislatore ha evidenziato il fatto che, essendo le nuove disposizioni normative sono emanate in un momento di cronica crisi occupazionale e nell’attesa del disegno di legge delega di riordino delle tipologie contrattuali, si è perseguito lo scopo di favorire le opportunità di ingresso nel mercato del lavoro.

La conferma della durata massima di trentasei mesi del contratto a tempo determinato senza la specificazione della causale

Innanzi tutto, si evidenzia che è rimasta invariata la questione della durata massima di trentasei mesi del contratto a tempo determinato senza la specificazione della causale, così come è stato confermato il limite massimo di cinque proroghe (a fronte delle otto previste nella versione originaria) del contratto in questione.
Si evidenzia che il predetto tetto massimo di trentasei mesi (comprensivi di eventuali proroghe) per il contratto di lavoro a tempo determinato “acausale” vale anche per il contratto di somministrazione a tempo determinato.
In altri termini, viene confermata l’acausalità generalizzata entro un arco temporale di trentasei mesi, presente fin dalla versione originaria del D.L. n. 34/2014. Si tratta di una scelta operata dal legislatore e finalizzata ad eliminare qualsiasi potenziale contenzioso legato alle motivazioni del contratto di lavoro a termine. Infatti, si tratta di una notevole semplificazione per i datori di lavoro, i quali, al momento di procedere ad una assunzione a tempo determinato, non devono più, come in precedenza, indicare le ragioni tecnico, produttive ed organizzative, poste alla base della loro decisione datoriale.
Tuttavia, è bene precisare che l’acausalità non è un obbligo, ma una facoltà. Pertanto, il datore di lavoro è ancora libero d’indicare nel contratto di lavoro a tempo determinato una ragione giustificatrice, ma, in sede di eventuale contenzioso, dovrà dimostrarne la validità che, a differenza di prima, non deriva dalla legge, bensì dalla negoziazione individuale.

La nuova sanzione pecuniaria concernente i rapporti di lavoro a tempo determinato eccedenti la quota massima consentita

La principale novità introdotta in sede di conversione del D.L. n. 34/2014 al Senato concerne l’eliminazione dell’obbligo di assumere i lavoratori a tempo determinato eccedenti la misura massima del 20% dei lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da parte del datore di lavoro interessato.
Tale obbligo è sostituito con una sanzione pecuniaria a carico del datore di lavoro che supera la predetta quota. Essa ammonta al 20% dello stipendio del primo contratto a tempo determinato stipulato in eccedenza rispetto al predetto limite massimo, imputando tale percentuale a tutta la durata del rapporto di lavoro in questione. La sanzione in questione è aumentata fino al 50% per i contratti successivi.
Relativamente alla quota massima consentita sono previste due precisazioni:

  1. i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze fino a cinque dipendenti, costoro possono stipulare un solo contratto a tempo determinato. Quando si parla di datori di lavoro con un organico di lavoratori subordinati a tempo indeterminato fino a cinque unità, si deve intendere che tale numero sia compreso tra zero e cinque;
  2. gli enti di ricerca rimangono esclusi dall’obbligo di rispettare il tetto massimo del 20%.

Il mondo sindacale ha subito espresso la sua contrarietà a tale novella sanzionatoria, ritenendola dannosa nell’ottica della stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Invece, le associazioni dei datori di lavoro, pur apprezzando la modifica introdotta, hanno chiesto una riduzione dell’ammontare della sanzione prevista.

La comminazione della nuova sanzione pecuniaria

Ai fini della comminazione della sanzione in questione, si sottolinea il fatto che il computo deve essere effettuato tenendo conto del personale in forza alla data del 1° gennaio dell’anno di assunzione del lavoratore a tempo determinato interessato. Pertanto, è fondamentale capire come calcolare la percentuale del 20%.
Innanzi tutto, essa che si riferisce ai soli contratti a tempo determinato e non anche ai contratti di somministrazione.
Abbiamo appena detto che che la base di calcolo è rappresentata dal numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato (compresi i dirigenti) ed in forza alla data del 1° gennaio dell’anno cui si riferisce l’assunzione. Di conseguenza, il conteggio dei possibili “assumendi” diventa abbastanza facile.
Fatta questa premessa, bisogna escludere dalla base di computo tutte quelle tipologie lavorative, che l’ordinamento giuslavoristico esclude dal computo per l’applicazione degli istituti contrattuali o legali:

  1. i lavoratori somministrati, essendo costoro assunti da un’Agenzia per il Lavoro;
  2. gli apprendisti, in virtù dell’espressa previsione contenuta nell’art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 167/2011;
  3. gli assunti con contratto di reinserimento ex art. 20 Legge n. 223/1991;
  4. i lavoratori provenienti da esperienze di lavori socialmente utili o di pubblica utilità ex art. 7, comma 7, D.Lgs. n. 81/2000.

Inoltre, bisogna ricordare il fatto che l’art. 6 D.Lgs. n. 61/2000 impone di calcolare i lavoratori a tempo parziale “pro quota” rispetto all’orario contrattuale pieno.
Va, peraltro, ricordato che, ai sensi dell’art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, i seguenti contratti a tempo determinato non rientrano nei limiti del contingentamento:

  1. quelli stipulati nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento sia ad aree geografiche che a comparti merceologici;
  2. quelli per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità (cfr., D.P.R. n. 1525/1963);
  3. quelli per specifici spettacoli, ovvero quelli per specifici programmi radiofonici o televisivi;
  4. quelli con lavoratori di età superiore ai 55 anni.

Sono, altresì, esclusi dall’ambito di applicazione del predetto tetto massimo del 20%, in quanto non disciplinati dal D.Lgs. n. 368/2001 ed oggetto di specifiche normative, i seguenti contratti di lavoro a tempo determinato:

  1. i contratti di lavoro temporaneo di cui alla Legge n. 196/1997 (cfr., art. 10, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 368/2001);
  2. i contratti di formazione e lavoro (cfr., art. 10, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 368/2001);
  3. i rapporti di apprendistato, nonché le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione attraverso il lavoro che, pur caratterizzate dall’apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro (cfr., art. 10, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 368/2001);
  4. i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che ai sensi dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 139/2006, non costituiscono rapporti di impiego con l’Amministrazione (cfr., art. 10, comma 1, lett. c-bis), D.Lgs. n. 368/2001);
  5. ferme restando le disposizioni di cui agli artt. 6 e 8 D.Lgs. n. 368/2001, i rapporti instaurati ai sensi dell’art. 8, comma 2, Legge n. 223/1991 (cfr.,art. 10, comma 1, lett. c-ter), D.Lgs. n. 368/2001);
  6. i contratti stipulati con gli operai a tempo determinato nel settore agricolo, secondo la definizione fornita dall’art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 375/1993 (cfr., art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001);
  7. i contratti di durata non superiore a tre giorni per l’esecuzione di servizi speciali, nei settori del turismo e dei pubblici esercizi (cfr., art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001);
  8. i contratti stipulati con i dirigenti, il cui contratto a tempo determinato può avere una durata non superiore a cinque anni (cfr., art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001);
  9. i contratti per il conferimento di supplenze, sia del personale docente, che ATA (cfr., art. 10, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001);
  10. i contratti stipulati con i lavoratori alle dipendenze di datori di lavoro che esercitano il commercio di import – export ed all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli (cfr. art. 10, comma 5, D.Lgs n. 368/2001);

La forma scritta del contratto a tempo determinato

Ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, così come modificato dal D.L. n. 34/2014, l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente od indirettamente, da atto scritto. Tale previsione non ha subito modifiche nell’ultimo passaggio al Senato.
Tale previsione cancella il previgente riferimento alle ragioni specifiche che hanno comportato la stipula del contratto a tempo determinato. Ne deriva che il termine non debba discendere direttamente da un fatto negoziale espresso, ma può essere rilevato, anche induttivamente, da clausole contrattuali sottoscritte dalle parti indicanti una determinata attività avente durata predeterminata. Di conseguenza, qualora la scrittura risulti mancante, è ammissibile, in sede di giudizio, la prova testimoniale ex art. 2725 c.c., con le limitazioni individuate dall’art. 2724, comma 3, c.c., il quale stabilisce che la prova per testimoni è ammessa unicamente nel caso in cui il contraente, senza sua colpa, abbia perduto il documento che gli forniva la prova.

Le proroghe

La novella operata all’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2011 ha rappresentato uno dei punti più controversi della riforma in questione.
La versione originaria di tale norma prevedeva una sola proroga di durata anche superiore al contratto iniziale, purché supportata da condizioni oggettive per la quale erano necessari il consenso del lavoratore e lo svolgimento della medesima attività lavorativa.
Come è noto, la versione approvata dal Governo del D.L. n. 34/2014 prevedeva un limite massimo di ben otto proroghe, eliminando, al contempo, ogni riferimento alle condizioni oggettive e con il semplice consenso del lavoratore, purché l’attività svolta fosse sempre la stessa. Si trattava di un numero di proroghe veramente notevole e superiore anche al limite delle sei proroghe previsto dal CCNL di riferimento per i lavoratori in somministrazione.
Il rischio di eccessiva flessibilità a svantaggio del lavoratore ha suggerito, in sede di conversione del decreto legge alla la Camera, di ridurre a cinque il numero di proroghe nell’arco dei trentasei mesi a prescindere dai rinnovi. In altre parole, significa che gli stessi, non saranno più correlati ai singoli rapporti a tempo determinato ma costituiranno una sorta di “bonus” spendibile in uno o più contratti. Una volta esaurito tale beneficio, non sarà più possibile utilizzarlo, restando comunque la possibilità di stipulare un nuovo contratto rispettando il periodo di latenza tra quello cessato e quello nuovo che è di dieci o venti giorni a seconda che il precedente rapporto abbia avuto una durata fino a sei mesi o superiore. Si ricorda la possibilità da parte della contrattazione collettiva (anche aziendale: cfr., art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001) di ridurre od eliminare tali periodi di latenza, con la conseguenza che si potrà procedere al rinnovo nel rispetto delle previsioni dettate dalla pattuizione collettiva.
Fatta questa debita premessa, bisogna evidenziare che, ormai, la proroga è unicamente correlata al consenso del lavoratore ed alla stessa attività.
Per quel che concerne il consenso del lavoratore, esso deve essere rilasciato senza alcuna particolarità formale di espressione, potendo ritenersi ritenersi acquisito anche per “facta concludentia”, così come accade, ad esempio, in caso continuazione dell’attività. Ovviamente, sarà onere del datore di lavoro provvedere a comunicare la proroga attraverso la comunicazione telematica al Centro per l’Impiego entro i cinque giorni successivi all’evento. Il mancato rispetto di tale termine è sanzionato con una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra € 100 e € 500, diffidabile ex art. 13, D.Lgs. n. 124/2004 (cfr., art. 4-bis, comma 5, D.Lgs. n. 181/2000, sanzionabile ex art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003).
Venendo, invece, al significato da attribuire alla dicitura “stessa attività”, si evidenzia che è necessario attenersi al senso letterale, in quanto ogni altra interpretazione potrebbe generare contenziosi giudiziari, tra l’altro, facilmente risolvibili da parte del datore di lavoro, attraverso la stipulazione, ovviamente, nel rispetto del periodo di latenza, di un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato, riportando l’indicazione specifica delle mansioni parzialmente diverse.

La sommatoria dei trentasei mesi

Con una disposizione di chiarimento apportata all’interno dell’art. 5, comma 4 –bis, D.Lgs. n. 368/2001, la Camera dei Deputati ha esplicitato le modalità di computo del limite dei trentasei mesi, superati i quali, se il contratto a termine prosegue senza soluzione di continuità, esso si trasforma in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ai fini del presente calcolo, si deve tenere conto, oltre che ai periodi di lavoro a tempo determinato effettuati mediante tale tipologia contrattuale, anche dei periodi di missione svolti in regime di contratto di somministrazione a tempo determinato con mansioni equivalenti ex art. 20 D.Lgs. n. 276/2003.
Si ricorda che il limite dei trentasei mesi (derogabile dalla contrattazione collettiva anche di secondo livello) è superabile soltanto attraverso la stipulazione di un nuovo contratto a tempo determinato in deroga assistita (cioè, sottoscritto dal lavoratore con l’assistenza di un rappresentante sindacale), stipulato avanti ad un funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro per una durata stabilita dagli accordi collettivi (anche aziendali).

I diritti di precedenza

Gli emendamenti governativi presentati al Senato hanno fatto salvi i commi 4-quater, 4-sexies e 4-septies dell’art. 5, D.Lgs. n. 368/2001, introdotti in sede di conversione alla Camera dei Deputati. In virtù del contenuto di tali commi, il diritto di precedenza è riconosciuto nei confronti delle seguenti tipologie di lavoratori:

  1. i lavoratori che in esecuzione di uno o più contratti a termine superino i sei mesi hanno un diritto di precedenza nel caso in cui il datore di lavoro intenda assumere a tempo indeterminato un lavoratore per le mansioni già espletate da tali lavoratori. Il diritto in questione deve essere fatto valere con richiesta al datore di lavoro (preferibilmente, in forma scritta) entro i sei mesi decorrenti dalla cessazione del rapporto, con l’avvertenza che tale diritto si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (cfr., art. 5, commi 4-quater e 4-sexies, D.Lgs. n. 368/2001);
  2. i lavoratori stagionali hanno un diritto di precedenza per un successivo lavoro stagionale, con l’avvertenza che tale diritto deve essere fatto valere mediante richiesta al datore di lavoro da presentarsi (preferibilmente, in forma scritta) entro i tre mesi successivi decorrenti dalla fine del rapporto, con l’avvertenza che tale diritto si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (cfr., art. 5, commi 4-quinquies e 4-sexies, D.Lgs. n. 368/2001);
  3. le lavoratrici in congedo obbligatorio per maternità pari a cinque mesi (di norma, due mesi prima e tre mesi dopo il parto) intervenuto nell’esecuzione di un contratto di lavoro a tempo determinato (di durata superiore a sei mesi) presso il medesimo datore di lavoro, godono di un diritto di precedenza che tiene conto di tale periodo di congedo ai fini della determinazione del periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza per una assunzione a tempo indeterminato alle poc’anzi esaminate condizioni previste dall’art. 5, comma 4-quater, D.Lgs. n. 368/2001 entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a tempo determinato (cfr., art. 5, commi 4-quater e 4-sexies, D.Lgs. n. 368/2001).

BlogNomos

Seguici anche su Facebook: https://www.facebook.com/blognomos
e Twitter: @BlogNomos

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA: IL BILANCIAMENTO DI CIRCOSTANZE ATTENUANTI ED AGGRAVANTI NON HA ESCLUSO LA REVOCA DELLA PATENTE.

20140504-124631.jpg

di Michele De Sanctis

Con sentenza 17826 del 28 Aprile 2014, la Corte di Cassazione precisa che il giudizio di bilanciamento di circostanze eterogenee (contemporaneamente aggravanti e attenuanti) permette una modulazione del trattamento sanzionatorio che attui i precetti costituzionali in tema di pena, ma solo in relazione alle pene criminali e dunque non anche con riguardo alle sanzioni amministrative accessorie al reato.

Nel caso di specie, il Gip del Tribunale di Genova, ai sensi dell’articolo 444 cpp, aveva applicato all’imputato, finito sotto accusa per guida in stato di ebbrezza alcolica (art. 186, co. 2 lett. c) e co. 2 bis cds), la pena di mesi quattro di arresto ed € 3.400 di ammenda, con possibilità di sostituire la pena detentiva con la sanzione pecuniaria pari a € 30.000 di ammenda, concedendo, pertanto, la sospensione condizionale della pena ed ordinando la revoca della patente di guida e la confisca del veicolo. Ed è questa la sanzione amministrativa accessoria che esula dal giudizio di bilanciamento, motivo del ricorso davanti al Giudice di Legittimità.

Tuttavia, nel motivare il rigetto del ricorso, la Corte, precisa, peraltro, che, nella sua decisione, il giudice di merito non è in incorso in alcun vizio di legittimità, applicando la sanzione amministrativa accessoria, dal momento che la disciplina vigente fa coincidere l’ambito di esplicazione degli effetti del giudizio di bilanciamento solo con il trattamento sanzionatorio penale e non anche con quello amministrativo, previsto in questo caso dall’applicazione della circostanza di reato aggravata dalla guida in stato di ebbrezza.

20140504-124711.jpg

Né ci sono margini tali da delineare un profilo di dubbia legittimità costituzionale. Come, infatti, è già stato puntualizzato dalla Corte Costituzionale (cfr. ord. nn. 344/2004, 196/2010 e 266/2011) e dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 8488/1998), proprio in materia di violazioni penalmente rilevanti alle norme sulla circolazione stradale, la sanzione amministrativa accessoria al reato non cessa la propria natura di sanzione amministrativa per il fatto di essere posta a corredo di una violazione della legge penale. Ne consegue, pertanto, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, la decisiva rilevanza del principio in base al quale tra illecito penale e illecito amministrativo si danno “sostanziali diversità rilevanti anche sul piano costituzionale – per la esclusiva riferibilità alla materia penale degli artt. 27 e 25, secondo comma, Cost. – e su quello della rispettiva disciplina ordinaria (facendosi, in quella amministrativa, ricorso anche a istituti di diritto civile)”, tali da non giustificare l’estensione all’illecito amministrativo del regime penalistico.

In altre parole, vista la diversa natura dei due tipi di sanzioni e le diverse finalità che il Legislatore ha voluto dare a quelle penali e a quelle amministrative, le valutazioni relative al concorso di circostanze eterogenee hanno la capacità di produrre effetti sull’entità della pena principale (art. 69 cp) e sulle quelle accessorie (art. 37 cp), ma non anche sulle sanzioni amministrative che continuano, quindi, ad accedere al reato. D’altro canto, poiché tali differenze si riscontrano anche in alcune norme di rango costituzionale, l’irrilevanza del giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato rispetto alle sanzioni amministrative accessorie al reato medesimo non comporta neppure eventuali vizi di legittimità costituzionale e, pertanto, al trasgressore del caso in esame restano applicate la revoca della patente e la confisca del mezzo, oltreché il pagamento delle spese processuali.

Un consiglio, amici: se dovete guidare bevete con moderazione!

BlogNomos
SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
Twitter @BlogNomos

IN BOLIVIA MORALES VUOLE IL MARE

Immagine

 

di Luigia Belli

Il Presidente della Bolivia, Evo Morales, si è recato personalmente, il 17 aprile di quest’anno, alla sede della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aja per reclamare l’accesso sovrano al mare e presentare una denuncia contro il Cile. La decisione di procedere formalmente contro il paese limitrofo è stata annunciata questo 23 marzo, in occasione delle celebrazioni del “Día del Mar”, data in cui si ricorda la sconfitta boliviana per mano cilena nella Guerra del Pacifico (1879-1884) che costò alla Bolivia la perdita del suo litorale. In quell’occasione, 135 anni fa, la Bolivia perse 420 kilometri di costa sull’Oceano Pacifico e 120.000 kilometri quadrati di litorale.

Infatti, dagli inizi del secolo scorso, la Bolivia reclama il recupero almeno di una parte di tale territorio, a suo avviso ingiustamente usurpato dai cileni. Da allora, ogni 23 marzo si celebra il Día del Mar per rendere omaggio al più grande eroe boliviano, Eduardo Abaroa, ucciso a Calama, il primo paese boliviano che oppose resistenza al passaggio delle truppe cilene che invasero il territorio boliviano il 14 febbraio 1879 partendo dal Porto di Antofagasta.

Immagine

Tali accadimenti trasformarono il paese andino nell’unico paese del Cono Sud, oltre al Paraguay, a non avere un accesso sul mare e, nel corso dei decenni successivi, resero i rapporti tra i due paesi altalenanti e piuttosto agitati. Di fatto, oggi la Bolivia e il Cile hanno relazioni puramente commerciali e, tra l’altro, anche dense di tensioni. Le relazioni diplomatiche, invece, sono state formalmente interrotte nel 1962 a seguito della deviazione unilaterale del fiume Lauca, frutto di una politica imperialista del Cile. Per un breve periodo, nel 1975, vennero riattivate dai generali Augusto Pinochet e Hugo Banzer, entrambi Presidente de facto, ma vennero nuovamente sospese dalla Bolivia tre anni dopo.

Immagine

Oggi, invece, dopo decenni, Evo Morales torna formalmente a dialogare con il Cile, cercando di creare un dialogo con la Presidente Michelle Bachelet, cavalcando il suo principale cavallo di battaglia in politica estera in vista delle nuove elezioni presidenziali, che avranno luogo in Bolivia nel prossimo mese di ottobre.
Nel discorso tenuto il 23 marzo, Morales ha assicurato che, aldilà della denuncia formale presentata al Tribunale dell’Aia, la Bolivia non sospenderà il dialogo bilaterale avviato con il Cile; tuttavia, segnalò, “nonostante 132 anni di sforzi e di dialogo, la Bolivia non ha un accesso sovrano al Pacifico e, di fronte a tale realtà, è necessario fare un passo storico per riaccendere la speranza e assicurare benessere ai cittadini boliviani”. Ma, aldilà dell’orgoglio ferito dei boliviani, in che misura, effettivamente, la carenza di un accesso al mare ha condizionato lo sviluppo del paese? La BCC ha realizzato una inchiesta finalizzata, appunto, a quantificare la perdita e si è rivolta ai settori che sembrano essere i più danneggiati da tale situazione geo-politica.
“L’isolamento a cui è condannato il paese ci impedisce di esportare il gas in Asia o al nord” – ha commentato Carlos Orías, portavoce del Ministero per gli Idrocarburi, parlando della principale ricchezza naturale che possiede il suo paese. Orías spiega che è difficile fare un calcolo preciso di quanto costa alla Bolivia il limite geografico, tuttavia, facendo una stima comparativa, invita a fare una valutazione di massima: “se si calcola che la Bolivia riceve circa 300 milioni di dollari americani al mese per il gas venduto al Brasile e all’Argentina, diventa chiaro quanto potrebbe guadagnare se si aprisse a nuovi mercati”.
La Camera Nazionale per le Esportazioni della Bolivia (CANEB), a sua volta, sottolinea che la carenza di una zona portuale propria ha fatto sì che i prodotti boliviani perdessero competitività. La Direttrice del CANEB, Mariana Zamora Guzmán, ha spiegato che “le materie che esportiamo aumentano di prezzo perché dobbiamo innanzi tutto trasportarle fino al porto di un altro paese e ciò, inoltre, ritarda anche i tempi di spedizione”. Nonostante tale limite, la grande richiesta internazionale di certi prodotti, tra cui annoveriamo il legno, la soia e i minerali, ha fatto sì che le esportazioni boliviane crescessero comunque.
Inoltre, non avendo un porto proprio, la Bolivia perde i possibili guadagni, in termini di dazi e spese doganali, per i prodotti in ingresso nel paese.

Immagine

Il Responsabile del commercio estero della Camera Nazionale del Commercio della Bolivia, José Endara, ha evidenziato che tutte le spese burocratiche vengono ovviamente pagate ad un terzo paese, in questo caso il Cile. Ciò perché la maggior parte dei prodotti che entrano ed escono dalla Bolivia passa dal porto di Arica, nel nord del Cile. Benché il porto di Arica sia zona franca, i prodotti devono comunque essere trasportati in Bolivia e la città boliviana più vicina ad Arica è Oruro, a circa 5 ore di viaggio dalla costa cilena. Inoltre, la Bolivia, ad Arica, poiché il porto non è suo, non dispone di depositi e container dove stivare i propri prodotti.
Tutti i settori consultati sono d’accordo sul fatto che la carenza di uno sbocco sul mare ha causato alla Bolivia una perdita economica di gran rilievo, tuttavia in molti ammettono che il mancato sviluppo commerciale del paese è dovuto anche ad altro: “Pur essendo indiscutibile che l’assenza di un porto proprio ha condizionato il nostro sviluppo, la verità è che, in questo momento, il nostro paese non è pronto per esportare idrocarburi in Asia o in altri, nuovi mercati oltre oceano poiché non dispone delle infrastrutture adeguate e necessarie per trasportare i prodotti fino al litorale”, ha illustrato Orías. E’ per questo motivo che attualmente la Bolivia esporta il gas solo in Argentina e in Brasile e sta pianificando un’espansione del mercato in altri paesi limitrofi o vicini, per esempio il Paraguay e l’Uruguay. Di fatto, la maggiore quantità di idrocarburi è estratta nell’est del paese e la Bolivia non dispone dei condotti necessari per trasportare i prodotti lungo i 2000 kilometri (parte dei quali interessano la Cordigliera Andina) che distanziano i luoghi di estrazione dalla costa.
Nel frattempo, però, il Cile ha usufruito di tutti i benefici legati allo sfruttamento e vendita di prodotti naturali – quali lo zolfo e il salnitro – estratti su territori una volta boliviani e ambiti storicamente da molte imprese britanniche che, secondo alcuni storici, illo tempore spinsero il Cile all’invasione. Sul territorio una volta appartenente alla Bolivia si trovano enormi giacimenti di rame che hanno rappresentato e rappresentano ancora il grande traino dell’economia cilena.

Infine, una nota sulla deviazione del fiume Lauca, che nasce in Cile e, precedentemente, sfociava in Bolivia. Le imprese cilene sfruttano a pieno le acque sorgive del fiume per venderle a tutto il nord del paese e, in questi anni, il Governo cileno non ha mai riconosciuto nessun emolumento alla Bolivia.
“Il mare che chiediamo per amore alla giustizia è il mare dei popoli, non è il mare di piccoli gruppi. È il mare per la nostra patria, è il mare irrinunciabile”, ha così chiuso Morales di fronte alla stampa che lo ha ricevuto in Olanda.

BlogNomos

Seguici anche su Facebook: https://www.facebook.com/blognomos
e Twitter: @BlogNomos

LA TOP TEN DEI LAVORI MIGLIORI. E DEI PEGGIORI.

Anche quest’anno Careercast ha stabilito quali sono i migliori 10 lavori da intraprendere e i peggiori 10. Scopriamoli insieme.

20140503-011912.jpg

di Michele De Sanctis

È ormai un appuntamento fisso, dal 1988, quello con la relazione Jobs Rated, con cui Careercast misura le diverse carriere attraverso una serie di parametri sociali, culturali, ambientali ed economici. In particolare, ciò che viene rilevato è il rapporto tra retribuzione e stress, l’ambiente di lavoro e la percentuale di crescita professionale nel futuro. Sebbene l’analisi, comprensiva di salari medi, si riferisca principalmente al mercato del lavoro USA, la graduatoria stilata da Careercast costituisce un segnale importante anche in ambito internazionale. Risalta, infatti, la crescita nel settore delle professioni sanitarie, che sarà una tra le più importanti aree destinate a crescere nel prossimo futuro, con una domanda sempre maggiore di medici, infermieri e parasanitari. Non solo negli States. Al fine di comprendere le sfide da affrontare quotidianamente sul lavoro, oltreché le ricompense che una professione può offrire, questo ormai consueto rapporto annuale costituisce, pertanto, un dato particolarmente importante.

20140503-012038.jpg

Sono stati 200 i lavori valutati e su tutti vince quello del matematico. Nondimeno, i più interessanti da conoscere sono in fondo alla classifica, perchè se è vero che è umano lamentarsi ogni tanto del proprio lavoro, sarebbe, altresì, utile ricordarsi che potrebbe andare peggio. A meno che non facciate il boscaiolo. Già, perché, stando al Jobs Rated 2014, è proprio il taglialegna il lavoro peggiore dell’anno (200esima posizione). Ed io che non conosco neppure la differenza pratica tra un’ascia e un’accetta, se non la diversa nozione che ne leggo sul mio inseparabile Devoto, mi fido.
Ma vediamo meglio le due classiffiche, o meglio i primi dieci e gli ultimi dieci. Tra i peggiori, oltre ai boscaioli, nella classifica figurano i cronisti (gli aspiranti giornalisti italiani ne sanno qualcosa), il personale militare arruolato, i tassisti, i redattori radio e tv, i masterchef, ossia chi aspira a diventare capo cuoco (e forse c’è la vaga speranza di non assistere più agli insulti gratuiti di certi chef nei talent show televisivi), gli assistenti di volo, i netturbini, i vigili del fuoco, i supervisori interni di istituti penitenziari e gli installatori/riparatori di tetti.

20140503-012127.jpg

E i migliori 10? Dopo i matematici, vengono i professori universitari (ne avevate dubbi?), gli esperti di statistica, consulenti attuariali (a questo punto consiglio ai giovani diplomandi un corso di laurea in Scienze Statistiche), gli otorini, gli igienisti dentali (ed evitiamo battute scontate sulla Minetti), gli sviluppatori di software, gli analisti di sistemi operativi e ancora altre due professioni sanitarie (consideratele, ragazzi, se il calcolo delle probabilità proprio non vi piace), al nono posto troviamo, infatti, i fisioterapisti e al decimo i logopedisti.

20140503-012206.jpg

Come Careercast ci tiene a precisare, l’analisi dei lavori migliori e peggiori dell’anno assume un semplice carattere di curiosità. Non è detto, ad esempio, che chi ricopre uno dieci peggiori mestieri stia realmente facendo il lavoro peggiore del mondo. L’analisi viene proposta solo a carattere informativo e, come già detto, viene valutata in base a diversi parametri tutti, peraltro, oggettivi.

20140503-012306.jpg

Se su alcune professioni, per esempio, possiamo trovarci assolutamente d’accordo, su altre, forse, i diretti interessati potrebbero dissentire. Il lavoro migliore è quello che si ama. Essere un vigile del fuoco con passione, o un reporter, fa della tua professione la migliore che ci sia. L’unico parametro che conta, in ultima istanza, quando si cerca lavoro è quello soggettivo. Non ci sono, infatti, due esperienze di lavoro che garantiscano lo stesso successo, né percorsi di carriera differenti in grado di soddisfare competenze ed interessi unici. In definitiva, solo tu puoi determinare quale sia il miglior lavoro per le tue abilità e le tue passioni. Tuttavia, la relazione Jobs Rated può essere letta come una road map per aiutarti a decidere quale sia il la carriera più giusta per te.

Di seguito, l’infografica redatta da Careercast.

20140503-012427.jpg

BlogNomos
SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
Twitter @BlogNomos

La riforma della Pubblica Amministrazione. Il testo della lettera che verrà inviata agli impiegati pubblici

Immagine

 

 

Pubblichiamo la lettera che il Governo invierà agli impiegati pubblici, per spiegare le linee guida della riforma della Pubblica Amministrazione.

 

——————————————

Vogliamo fare sul serio.

L’Italia ha potenzialità incredibili. Se finalmente riusciamo a mettere in ordine le regole del gioco (dalla politica alla burocrazia, dal fisco alla giustizia) torniamo rapidamente fra i Paesi leader del mondo. Il tempo della globalizzazione ci lascia inquieti ma è in realtà una gigantesca opportunità per l’Italia e per il suo futuro. Non possiamo perdere questa occasione.

Vogliamo fare sul serio, dobbiamo fare sul serio.

Il Governo ha scelto di dare segnali concreti. Questioni ferme da decenni si stanno finalmente dipanando. Il superamento del bicameralismo perfetto, la semplificazione del Titolo V della Costituzione e i rapporti tra Stato e Regioni, l’abolizione degli enti inutili, la previsione del ballottaggio per assicurare un vincitore certo alle elezioni, l’investimento sull’edilizia scolastica e sul dissesto idrogeologico, il nuovo piano di spesa dei fondi europei, la restituzione di 80 euro netti mensili a chi guadagna poco, la vendita delle auto blu, i primi provvedimenti per il rilancio del lavoro, la riduzione dell’IRAP per le imprese. Sono tutti tasselli di un mosaico molto chiaro: vogliamo ricostruire un’Italia più semplice e più giusta. Dove ci siano meno politici e più occupazione giovanile, meno burocratese e più trasparenza. In tutti i campi, in tutti i sensi.

Fare sul serio richiede dunque un investimento straordinario sulla Pubblica Amministrazione. Diverso dal passato, nel metodo e nel merito.

Nel metodo: non si fanno le riforme della Pubblica Amministrazione insultando i lavoratori pubblici. Che nel pubblico ci siano anche i fannulloni è fatto noto. Meno nota è la presenza di tantissime persone di qualità che fino ad oggi non sono mai state coinvolte nei processi di riforma. Persone orgogliose di servire la comunità e che fanno bene il proprio lavoro.

Compito di chi governa non è lamentarsi, ma cambiare le cose. Per questo noi, anziché cullarci nella facile denuncia, sfidiamo in positivo le lavoratrici e i lavoratori volenterosi. Siete protagonisti della riforma della Pubblica Amministrazione.

Nel merito: abbiamo maturato alcune idee concrete. Prima di portarle in Parlamento le offriamo per un mese alla discussione dei soggetti sociali protagonisti e di chiunque avrà suggerimenti, critiche, proposte e alternative. Abbiamo le idee e siamo pronti a intervenire. Ma non siamo arroganti e quindi ci confronteremo volentieri, dando certezza dei tempi.

Le nostre linee guida sono tre.

1. Il cambiamento comincia dalle persone. Abbiamo bisogno di innovazioni strutturali: programmazione strategica dei fabbisogni; ricambio generazionale, maggiore mobilità, mercato del lavoro della dirigenza, misurazione reale dei risultati, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili nido nelle amministrazioni.

2. Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione. Non possiamo più permetterci nuovi tagli orizzontali, senza avere chiari obiettivi di riorganizzazione. Ma dobbiamo cancellare i doppioni, abolendo enti che non servono più e che sono stati pensati più per dare una poltrona agli amici degli amici che per reali esigenze dei cittadini. O che sono semplicemente non più efficienti come nel passato.

3. Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi. Possiamo utilizzare le nuove tecnologie per rendere pubblici e comprensibili i dati di spesa e di processo di tutte le amministrazioni centrali e territoriali, ma anche semplificare la vita del cittadini: mai più code per i certificati, mai più file per pagare una multa, mai più moduli diversi per le diverse amministrazioni.

Ciascuna di queste tre linee guida richiede provvedimenti concreti.

Ne indichiamo alcuni su cui il Governo intende ascoltare la voce diretta dei protagonisti a cominciare dai dipendenti pubblici e dai loro veri datori di lavoro: i cittadini.

Il cambiamento comincia dalle persone

1) abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio, sono oltre 10.000 posti in più per giovani nella p.a., a costo zero

2) modifica dell’istituto della mobilità volontaria e obbligatoria

3) introduzione dell’esonero dal servizio

4) agevolazione del part-time

5) applicazione rigorosa delle norme sui limiti ai compensi che un singolo può percepire dalla pubblica amministrazione, compreso il cumulo con il reddito da pensione

6) possibilità di affidare mansioni assimilabili quale alternativa opzionale per il lavoratore in esubero

7) semplificazione e maggiore flessibilità delle regole sul turn over fermo restando il vincolo sulle risorse per tutte le amministrazioni

8) riduzione del 50% del monte ore dei permessi sindacali nel pubblico impiego

9) introduzione del ruolo unico della dirigenza

10) abolizione delle fasce per la dirigenza, carriera basata su incarichi a termine

11) possibilità di licenziamento per il dirigente che rimane privo di incarico, oltre un termine

12) valutazione dei risultati fatta seriamente e retribuzione di risultato erogata anche in funzione dell’andamento dell’economia

13) abolizione della figura del segretario comunale

14) rendere più rigoroso il sistema di incompatibilità dei magistrati amministrativi

15) conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili nido nelle amministrazioni

Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione

16) riorganizzazione strategica della ricerca pubblica, aggregando gli, oltre 20, enti che svolgono funzioni simili, per dare vita a centri di eccellenza

17) gestione associata dei servizi di supporto per le amministrazioni centrali e locali (ufficio per il personale, per la contabilità, per gli acquisti, ecc.)

18) riorganizzazione del sistema delle autorità indipendenti 19) soppressione della Commissione di vigilanza sui fondi pensione e attribuzione delle funzioni alla Banca d’Italia

20) centrale unica per gli acquisti per tutte le forze di polizia

21) abolizione del concerto e dei pareri tra ministeri, un solo rappresentante dello Stato nelle conferenze di servizi con tempi certi

22) leggi auto-applicative; decreti attuativi, da emanare entro tempi certi, solo se strettamente necessari

23) controllo della Ragioneria generale dello Stato solo sui profili di spesa

24) divieto di sospendere il procedimento amministrativo e di chiedere pareri facoltativi salvo casi gravi, sanzioni per i funzionari che lo violano

25) censimento di tutti gli enti pubblici

26) una sola scuola nazionale dell’Amministrazione

27) accorpamento di Aci, Pra e Motorizzazione civile

28) riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio (es. ragionerie provinciali e sedi regionali Istat) e riduzione delle Prefetture a non più di 40 (nei capoluoghi di regione e nelle zone più strategiche per la criminalità organizzata)

29) eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle camere di commercio

30) accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali
31) razionalizzazione delle autorità portuali
32) modifica del codice degli appalti pubblici
33) inasprimento delle sanzioni, nelle controversie amministrative, a carico dei ricorrenti e degli avvocati per le liti temerarie

34) modifica alla disciplina della sospensione cautelare nel processo amministrativo, udienza di merito entro 30 giorni in caso di sospensione cautelare negli appalti pubblici, condanna automatica alle spese
nel giudizio cautelare se il ricorso non è accolto

35) riforma delle funzioni e degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato

36) riduzione delle aziende municipalizzate servizi

Gli Open Data come strumento di trasparenza. Semplificazione e digitalizzazione dei servizi

37) introduzione del Pin del cittadino: dobbiamo garantire a tutti l’accesso a qualsiasi servizio pubblico attraverso un’unica identità digitale

38) trasparenza nell’uso delle risorse pubbliche: il sistema Siope diventa “open data”

39) unificazione e standardizzazione della modulistica in materia di edilizia ed ambiente

40) concreta attuazione del sistema della fatturazione elettronica per tutte le amministrazioni

41) unificazione e interoperabilità delle banche dati (es. società partecipate)

42) dematerializzazione dei documenti amministrativi e loro pubblicazione in formato aperto

43) accelerazione della riforma fiscale e delle relative misure di semplificazione

44) obbligo di trasparenza da parte dei sindacati: ogni spesa online

Sarà per noi importante leggere le Vostre considerazioni, le Vostre proposte, i Vostri suggerimenti.

Scriveteci all’indirizzo rivoluzione@governo.it

La consultazione sarà aperta dal 30 aprile al 30 maggio. Nei quindici giorni successivi il Governo predisporrà le misure che saranno approvate dal Consiglio dei Ministri il giorno venerdì 13 giugno 2014.

Grazie di cuore e, naturalmente, buon lavoro.

Matteo Renzi                                                                           Marianna Madia

BlogNomos

https://blognomos.com

http://blognomos.altervista.org

Seguici anche su Facebook: https://www.facebook.com/blognomos
e su Twitter: @BlogNomos

Le linee guida della riforma della Pubblica Amministrazione.

 

Immagine

 

di Germano De Sanctis

Premessa.

Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ed il Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, hanno presentato le linee guida della riforma della Pubblica Amministrazione approvate dal Consiglio dei Ministri del 30 aprile.
Tuttavia, tali linee guida non sono state ancora tradotte in alcun provvedimento, in quanto il Governo ha comunicato la sua volontà di non rendere tale riforma un argomento polemico nel corso della campagna elettorale per le elezioni europee. Così, sono stati previsti quaranta giorni di consultazione, per, poi, approvare un disegno di legge delega (ma non è ancora escluso un ricorso ad un decreto legge) nel corso del Consiglio dei Ministri del 13 giugno prossimo.
Il Presidente del Consiglio si è dichiarato disponibile al confronto con i sindacati, ma, al contempo, ha chiarito che i tempi indicati non saranno soggetti a proroghe. Egli ha specificato che il il metodo di lavoro scelto consiste in un percorso il più possibile partecipato, ma anche delimitato da tempi “secchi”.
La volontà del Presidente del Consiglio è di ascoltare tutte le proposte che verranno avanzate e si concretizzerà attraverso l’istituzione di uno specifico indirizzo e-mail (rivoluzione@governo.it) a cui scrivere eventuali proposte migliorative entro il 30 maggio prossimo.
Inoltre, verrà inviata ai dipendenti pubblici una lettera, nella quale sono evidenziate le tre linee guida che connotano la riforma in questione. Esse sono:

  1. il capitale umano;
  2. l’innovazione;
  3. i tagli alle strutture non necessarie.

Al contempo, Matteo Renzi ha smentito le voci finora trapelate su possibili esuberi esuberi, precisando che vi è esclusivamente la volontà di ridurre le sovrapposizioni. Inoltre, egli ha anche escluso eventuali tagli degli stipendi, ribadendo che è previsto soltanto il limite massimo retributivo di € 240.000 per i dirigenti pubblici.

Esaminiamo, nel dettaglio i punti salienti di tali linee guide.

Il ringiovanimento della Pubblica Amministrazione.

Una delle più rilevanti priorità della riforma in questione consiste nel «ringiovanimento selettivo e strategico» della Pubblica amministrazione. Tale obiettivo verrà raggiunto principalmente con l’assunzione “a costo zero” di circa 10.000/15.000 giovani impiegati pubblici entro la fine del 2018, ricorrendo «alla abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio», ovvero obbligando ad andare in pensione chi ne ha i requisiti, mentre la legislazione vigente permette di restare in servizio fino all’età di settant’anni.
In tale contesto, il Ministro Madia ha chiarito che la priorità è nello sbloccare al massimo il blocco del turn over, anche eventualmente ricorrendo ai prepensionamenti.
In coerenza con tale obiettivo, il Governo ha disposto norme a favore del lavoro a tempo parziale e la creazione di asili nido nelle Pubbliche Amministrazioni.

La previsione di nuove norme in materia di mobilità.

Il Ministro della Funzione Pubblica ha comunicato la volontà del Governo di realizzare un efficiente sistema di mobilità, sia volontaria, che obbligatoria, capace di garantire dignità al lavoratore, con riferimento alle retribuzioni e alla non lontananza da luogo lavoro.

Le novità previste per la dirigenza pubblica.

La novità più eclatante per quanto riguarda la dirigenza pubblica è l’abolizione della distinzione tra dirigenti pubblici di prima e seconda fascia (suddivisione principalmente applicata nella contrattazione collettiva dei Ministeri) e la contestuale istituzione del ruolo unico della dirigenza.
Inoltre, la carriera dei dirigenti «sarà portata avanti per incarichi a termine e non per fasce, il che diventa fondamentale per le retribuzioni, ma anche che la valutazione che si baserà sulle performance dei dirigenti».
Il Governo ha altresì previsto che le retribuzioni dei dirigenti saranno legate anche all’andamento dell’economia.
Per di più, i dirigenti rimasti senza incarico oltre un determinato periodo di tempo potranno essere licenziati. In alternativa, tali esuberi potranno essere oggetto di un demansionamento o di un affidamento a mansioni assimilabili.
Infine, è stata prevista l’abolizione della figura del segretario comunale, il quale, lo si ricorda, è contrattualmente parificato ad un dirigente pubblico.

Il tagli dei permessi sindacali

Viene operato un drastico taglio dei permessi sindacali, che saranno dimezzati. Si tratta di una scelta che accentuerà ulteriormente il contrasto già sorto con i sindacati a seguito della già indicata decisione di svolgere il confronto soltanto “on line”, escludendo “a priori” i classici tavoli di concertazione.
Infatti, il mondo sindacale non ha gradito affatto la decisione del governo di qualificarlo alla stessa stregua di uno tre milioni di dipendenti pubblici cui è stata inviata la citata lettera esplicativa delle linee guida della riforma. In altri termini, il nuovo metodo stravolge la prassi consolidata da anni in materia di confronto sindacale, ponendo i sindacati ed i loro rappresentati sullo medesimo livello.
Inoltre, i sindacati non hanno minimamente apprezzato l’apposizione del termine fisso di quaranta giorni per lo svolgimento del confronto. A tal proposito, il segretario confederale della CGIL, Susanna Camusso, ha stigmatizzato la scleta inquestione, sottolineando anche come il settore pubblico stia già scontando contratti e retribuzioni ferme dal 2010, unitamente all’assenza di previsione nel DEF ed ad una ipotetica vacanza contrattuale che potrebbe durare fino al 2020.

La razionalizzazione dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione

La riforma della Pubblica Amministrazione prevede una parte, denominata “Sforbicia Italia”, che si concentra maggiormente sulla razionalizzazione della macchina burocratica statale, al fine di ridurre i possibili sprechi di denaro pubblico.
In tale contesto, opererà, innanzi tutto, riduzione delle Prefetture, che non saranno più di quaranta 40 e resteranno presenti soltant nelle città capoluogo di Regione e nelle zone strategiche per la lotta alla criminalità organizzata.
Inoltre, l’accorpamento di ACI, la Motorizzazione Civile ed il PRA saranno accorpati, così come lo saranno le Sovrintendenze per i beni culturali. Proprio con specifico riguardo a queste ultime, le anticipazioni governative sono state più circostanziate e si è comunicato che verranno accorpate le soprintendenze, istituendo, ad esempio, un’unica struttura di tutela per i beni archeologici di una Regione laddove ce ne sono più d’una, oppure istituendo, dove possibile, soprintendenze miste, comprensive di archeologia, paesaggio, beni storico-artistici e architettura. A livello territoriale, l’accorpamento delle sovrintendenze interesserà circa venti direzioni regionali, che verrebbero accorpate perché più piccole e confinanti con Regioni ben più estese.
Verrà istituita un’unica scuola nazionale per l’Amministrazione che sostituirà tutte quelle oggi esistenti presso vari Ministeri.
Gli oltre venti enti di ricerca pubblica che svolgono funzioni simili saranno riorganizzati, per creare centri d’eccellenza.
S’interverrà anche sulla razionalizzazione della spesa pubblica, costituendo un’unica centrale d’acquisti per le forze di polizia, nonché la gestione associata dei servizi di supporto locale come l’ufficio del personale o la contabilità.
È anche prevista una riorganizzazione delle Autorità Indipendenti e un censimento di tutti gli enti pubblici.
Sarà completamente riorganizzata l’amministrazione periferica dello Stato, mutando significativamente la presenza di quest’ultimo sul territorio. Analogo destino è stato riservato alle autorità portuali.
Infine, Matteo Renzi si soffermato a lungo sulla previsione di ridurre le municipalizzate.

L’introduzione del PIN del cittadino.

Entro un anno dall’approvazione della riforma, ma a seguito di una sperimentazione inizierà il prossimo mese di giugno, verrà introdotto il PIN del cittadino.
L’intenzione del Governo è di introdurre un codice capace di rendere possibile l’accesso on line ai servizi degli uffici pubblici, eliminando la presenza fisica degli interessati presso gli sportelli preposti,, permettendo di sbrigare da casa le diverse pratiche burocratiche (come, ad esempio, il pagamento della bolletta o di una multa, ovvero la richiesta ed il successivo ritiro di un certificato). In altri termini, ogni cittadino verrà dotato di una sua unica identità digitale con la quale potrà avere rapporti con qualsiasi struttura della Pubblica Amministrazione.

L’abolizione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio e le norme sui contratti pubblici.

Infine, un’altra novità interessa le imprese, in quanto decade l’obbligo della loro iscrizione presso la Camera di Commercio.
Inoltre, verrà modificato il c.d. Codice dei Contratti Pubblici, unitamente ad un inasprimento delle sanzioni nelle controversie dinanzi al giudice amministrativo a carico di chi propone ricorso (sia il ricorrente, che il suo avvocato), avviando una c.d. lite temeraria, cioè motivato soltanto dallo scopo dir rallentare le decisioni, od ottenere una sospensiva.
Sempre in materia di giustizia amministrativa, verrà modificata la disciplina della sospensione cautelare, in quanto si prevede un’udienza di merito da espletarsi nell’arco di trenta giorni in caso di sospensione cautelare negli appalti pubblici, unitamente ad una condanna automatica alle spese nel giudizio cautelare, qualora il ricorso non sia accolto. Specularmente, però, verrà introdotto il divieto di sospendere il procedimento amministrativo e di chiedere pareri facoltativi, fatta eccezione per i casi gravi. Anche in tal caso, sono previste sanzioni in capo ai funzionari autori della violazione di siffatte disposizioni.

BlogNomos

https://blognomos.com

http://blognomos.altervista.org

Seguici anche su Facebook: https://www.facebook.com/blognomos
e su Twitter: @BlogNomos

 

 

1 maggio 2014

1 maggio 2014

BlogNomos

https://blognomos.com
http://blognomos.altervista.org

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK
Twitter @BlogNomos