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Prime indiscrezioni sul Jobs Act. La NASPI sarà il nuovo sussidio di disoccupazione universale

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Uno degli istituti più rilevanti del Jobs Act di Matteo Renzi è la NASPI, ovvero la Nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego. Pertanto, come si evince dal nome, la NASPI sostituirà l’ASPI e la mini-ASPI, il sussidio introdotto dall’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Si tratta di un sussidio di disoccupazione universale, destinato a tutti coloro che hanno perso un posto di lavoro. Di conseguenza, tale istituto intende offrire una tutela anche a tutti i lavoratori precari (come ad esempio, i collaboratori a progetto), che attualmente risultano essere esclusi da ogni forma di sostegno al reddito, in caso di loro uscita dal mercato del lavoro.
Stando alle prime indiscrezioni governative, la NASPI comporterà un costo per le casse dello Stato pari ad 8,8 miliardi di euro. Pertanto, essa determinerà un aumento di 1,6 miliardi di euro della spesa pubblica destinata ai sussidi.
A fronte di tale aumento di spesa pubblica, ci sarà la creazione di una forma di protezione a favore del milione e 200 mila lavoratori, attualmente privi di ogni forma di sostegno al reddito, in caso di disoccupazione.
Per trovare la copertura finanziaria necessaria, si vocifera che verrà operato uno spostamento delle risorse finora destinate alla CIG in deroga, la quale comporta una spesa annua di circa 3 miliardi di euro. Nulla è dato sapere sul destino finanziario delle CIG in deroga ancora in esecuzione.
Ovviamente, l’intera questione è ancora in fase di studio ed analisi da parte del Ministero del Lavoro, anche se alcuni esponenti del PD caldeggiano tale situazione come l’unica capace di prevedere una tutela, seppur minima, a favore dei lavoratori atipici.
La NASPI dovrebbe essere corrisposta a favore di coloro che hanno terminato un rapporto di lavoro durato almeno tre mesi. Una simile previsione è in grado di offrire una forma di protezione a tutti lavoratori atipici, ivi comprese, quelle forme di precariato, come i collaboratori a progetto, attualmente prive di qualsiasi sostegno al reddito.
Rispetto all’attuale ASPI, la NASPI avrà una durata più lunga, in quanto si prevede che essa debba avere una arco temporale di operatività pari alla metà del numero di settimane contributive corrisposte dal lavoratore interessato negli ultimi quattro anni.
In ogni caso, la NASPI non potrà durare più di due anni, per tutti i lavoratori dipendenti (anziché, come ora prevede l’ASPI, 8 mesi o 12 mesi per chi ha rispettivamente meno o più di 50 anni ed ha perso il lavoro nell’anno 2013) e non più di sei mesi, per tutti i lavoratori atipici.
L’importo dell’assegno erogato con la NASPI non varierà rispetto alla somma attualmente garantita con l’ASPI. Pertanto, utilizzando i valori riconosciuti all’ASPI nell’anno 2013 (in quanto, attualmente non si sa nulla circa possibili aggiornamenti dei valori vigenti nell’ambito del nuovo istituto), dovrebbero essere erogati assegni individuali dell’importo massimo di € 1.180 mensili all’inizio del periodo di copertura, per, poi, scendere ad€ 639,41mensilialla fine del predetto periodo, confermando le regole vigenti della c.d. Legge Fornero (cioè, il 75% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dell’ultimo periodo con il tetto citato, con l’espressa previsione che tale percentuale debba essere abbattutadel 15% ogni sei mesi).
In altri termini, con la NASPI, l’importo rimarrebbe lo stesso, mentre la durata sarebbe più lunga, sia dell’ASPI, che della mini-ASPI, vista la previsione di una durata pari alla metà del numero di settimane contributive corrisposte dal lavoratore interessato negli ultimi quattro anni.

Germano De Sanctis

I recenti dati sulla disoccupazione in Italia

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La gravità in cui versa il mercato del lavoro italiano è stata recentemente evidenziata dagli ultimi drammatici dati ISTAT sulla disoccupazione relativi al mese di gennaio 2014. Nel corso di un solo anno, sono stati persi 487.000 posti di lavoro, comportando un aumento del tasso di disoccupazione fino al 12,9% (l’1,1% in più rispetto a gennaio 2013), mentre quello giovanile ha raggiunto il 42,3%. Per ritrovare un tasso di disoccupazione pari al 12,9%, bisogna tornare indietro negli anni, fino al lontano 1977.

La gravità dell’emergenza in cui versa il mercato del lavoro, emerge ancor più chiaramente se si considera il fatto che, nel 2013, si è raggiunta la punta massima del fenomeno della disoccupazione dall’inizio della crisi attuale. Infatti, il numero dei disoccupati è aumentato fino a 3.300.000, esattamente il doppio del numero di lavoratori che cercavano lavoro nell’anno 2007. Vi sono, come detto, 487.000 lavoratori occupati in meno rispetto al 2012 ed il tasso di disoccupazione ha segnato un ulteriore aumento dello 0,2% rispetto a dicembre 2013.

Tuttavia, il dato più imbarazzante è quello sulla disoccupazione giovanile. Abbiamo visto che, nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 24 anni, l’indice di disoccupazione raggiunge il 42,3%. Orbene, è necessario evidenziare che si tratta di un dato percentuale superiore di ben quattro punti rispetto a quello registrato un anno fa. Inoltre, siamo di fronte all’incremento della disoccupazione giovanile più alto d’Europa, sia nell’ambito dell’Eurozona, che dell’Unione Europa comprensiva di tutti i suoi ventotto Stati membri.

In estrema sintesi, necessita un intervento capace di scuotere il mercato del lavoro nazionale nel suo complesso. Infatti, il già grave quadro della disoccupazione giovanile risulta ancor più preoccupante se si analizzano i dati della disoccupazione riferita ai lavoratori compresi tra i 35 ed i 49 anni di età, relativamente ai quali, nell’ultimo anno, si sono persi 235.000 posti di lavoro. Tale ultimo dato genera immediate conseguenze nefaste sull’economia reale, fotografate dalla stima operata dall’ISTAT sull’inflazione di febbraio 2014, la quale è destinata a diminuire dello 0,1% rispetto a gennaio 2014 ed ad aumentare dello 0,5% nei confronti di febbraio 2013, con una decelerazione di due decimi di punto percentuale rispetto al valore registrato a gennaio 2014 (+0,7%). In altri termini, la disoccupazione sta colpendo la fascia di età che interessa maggiormente le famiglie giovani, cioè quelle che dovrebbero crescere e consumare e che, invece, non hanno i redditi per farlo. Tale dato riaccende l’allarme sul cattivo andamento della domanda interna e sul rischio di deflazione.

Se è pur vero che il già preoccupante tasso di disoccupazione dell’Italia è superiore a quello medio dei Paesi dell’Unione Europea, stabilmente fermo  al 12%, la situazione diventa ancor più angosciante se si considera che il tasso di disoccupazione delle Regioni Meridionali si attesta al 19,7% (con punte oltre il 21% in Calabria, Campania e Sicilia). Sempre relativamente al Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni) sale fino al 51,6% e quella femminile al 53,7%. Emerge chiaramente una questione giovanile, ancor peggio se femminile, visto che oltre la metà dei giovani meridionali è senza lavoro, con un numero esorbitante di donne che restano a casa senza volerlo, con evidenti conseguenze sulle mancate possibilità di emancipazione, sia generazionale, che di genere.

Ovviamente, in tale disincantato contesto, aumenta anche il numero degli scoraggiati, ovvero coloro che rinunciano a cercare un lavoro, in quanto convinti di non trovarlo. Essi sono aumentati dell’11,6%. Si tratta di un 1.790.000 persone che considerano la propria vita lavorativa priva di qualsiasi prospettiva.

Germano De Sanctis