Archivi categoria: politica

Governo-Sindacati: dialogo tra sordi?

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di Michele De Sanctis

Il braccio di ferro tra Renzi e Susanna Camusso, che negli ultimi giorni ha esacerbato le polemiche scaturite dalla divulgazione del Jobs Act, merita alcune brevi osservazioni, nell’imminenza della presentazione ufficiale del ddl lavoro.
Sebbene i rapporti tra sinistra e CGIL siano sempre stati ispirati da un tacito principio collaborazionista, negli ultimi anni, complice la crisi e le pressanti richieste della trojka, abbiamo assistito a un decisivo cambiamento di rotta fino ad arrivare all’attuale premier che non si fa scrupolo nel dichiarare le sue intenzioni di procedere nel cammino delle riforme promesse con o senza l’approvazione delle principali sigle sindacali. Anche perché è opinione di Renzi che i sindacati, così come storicamente si sono configurati nella società italiana, siano forze più conservative che progressiste. Posizione opinabile e facilmente confutabile, a mio avviso. Eppure si tratta di un Presidente del Consiglio espressione di un partito che, nella sua duplice natura, conserva non solo la matrice d’ispirazione socialdemocratica e, quindi, di cooperazione con i sindacati, ma che, pure nella sua matrice centrista, non è comunque avulso dallo spirito associazionista dei trait d’union.

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Del resto, la cd. concertazione, siglata dagli accordi del luglio ’93 tra sindacati e politica, ha dato frutti importanti e duraturi per l’economia italiana. E’ solo con il secondo governo Berlusconi e lo scellerato Patto per l’Italia del 2002 che si assiste a un progressivo deterioramento dei rapporti tra istituzioni e parti sociali. Il tentativo dei governi di centrodestra è stato, infatti, quello di mettere fuori gioco la CGIL, pur trattandosi del sindacato maggiormente rappresentativo del Paese, al fine di creare una frattura tra questa Confederazione e le altre sigle. Di tale situazione, radicatasi nel corso dell’ultimo decennio, Confindustria e i rappresentanti delle parti datoriali sono stati i principali beneficiari. L’esautoramento della forza rappresentativa della CGIL si è protratto fino al caso Pomigliano, quando nel 2010 FIAT riuscì a tagliarla fuori del tutto dagli accordi decentrati.

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Ma l’esclusione della CGIL dai tavoli di trattativa ha portato ad accordi impopolari, quanto iniqui e, successivamente, all’indebolimento di tutto il movimento sindacale nel suo complesso. Tant’è vero che, nel governo Monti, il ministro Fornero, ignorando i suggerimenti delle parti sociali, ha varato la sua riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale seguendo le sole linee governative, le raccomandazioni di Bruxelles, quelle di Berlino e, soprattutto, quelle delle principali banche d’affari, creando più di 100.000 esodati, problema a tutt’oggi irrisolto. Considerando un tale precedente ed il danno sociale che ne è stato determinato, sarebbe buona regola riprendere la prassi degli accordi concertati, anche perché un uomo solo, per quanto si proclami risolutivo, non può, in un sistema democratico, mettere mano da solo a nessun tipo di riforma, tanto più a quelle che impattano sensibilmente la società civile. Ci auspichiamo, dunque, un’immediata ripresa del dialogo, lasciando da parte atteggiamenti di sufficienza nei confronti di quelle associazioni che rappresentano i diretti destinatari della riforma che il Governo si appresta a varare.

Annunciata per domani la presentazione del Piano Casa.

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di Michele De Sanctis

Rinviato alle 10.00 di domani mattina il pre-Consiglio, già in programma per oggi, cui seguirà la riunione del Governo durante la quale verrà ufficialmente presentato il Piano Casa del Governo Renzi.

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La relazione tecnica al decreto legge che sarà esaminato domani dall’esecutivo indica un recupero fino a 68.000 alloggi in quattro anni, vale a dire 12.000 alloggi all’anno. Ciò sarà possibile tramite «il ripristino di quelli di risulta», più altri 5.000 «attraverso il finanziamento della pregressa manutenzione straordinaria».

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Il d.l., peraltro, ridurrà dal 15% al 10% la misura della cedolare secca sugli immobili locati a canone concordato, determinando, secondo quanto stimato dal Governo, un aumento del 5% almeno di adesioni a questo regime. La valutazione è stata effettuata su una base imponibile interessata pari a 540.000.000 Euro (prendendo a riferimento la dichiarazione dei redditi anno 2012).
La copertura prevista sarà pari a 1,35 miliardi in 4 anni. Nella relazione tecnica leggiamo che tale finanziamento avrà «un notevole impatto occupazionale sul settore dell’edilizia attualmente in crisi».

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Verranno, inoltre, stanziati 568.000.000 per il recupero degli alloggi ex IACP. Ma il finanziamento riguarderà soltanto i conduttori con reddito annuo lordo familiare inferiore a € 27.000 e che abbiano nel proprio nucleo persone di oltre 65 anni, malati terminali ovvero portatori di handicap con invalidità superiore al 66%. La relazione stima che «il costo di intervento per ciascun alloggio da recuperare si può ragionevolmente stimare in 30-40 mila euro».

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Il Piano Casa del Governo Renzi prevede, inoltre, una detrazione media IRPEF di 530 euro per gli inquilini che prenderanno in locazione alloggi popolari a canone concordato. La detrazione sarà di un massimo di € 900 per redditi complessivi fino a 15.493,71 Euro e un minimo di € 450 per redditi tra i 15.493,71 e i 30.987,41 Euro. Il numero di alloggi interessati é calcolato nella misura di 40.000 unità. In termini di competenza la relazione tecnica stima una perdita di gettito di 21,2 milioni l’anno, mentre in termini di cassa, se quest’anno non ci sarà aggravio, dal 2015 la perdita di gettito passerà dai 37,1 milioni ai 21,2 dei prossimi anni, fino al 2018 quando il conto dovrebbe tornare positivo con +15,9 milioni.

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La riforma del settore in parola sarà presentata insieme al ddl lavoro.
BlogNomos, che ha già esaminato i punti del Jobs Act e con oggi la relazione tecnica al Piano Casa, vi terrà informati sulle novità ufficializzate dalla squadra di Governo non appena si renderanno disponibili.
Continuate a seguirci…

MDS

Razzi (quello vero):«il job Act? Se lo incontro forse lo riconosco. Io famoso anche in Cina»

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Per iniziare la giornata con una risata (ridiamo per non piangere), vi propongo un recente articolo di una nota testata on line abruzzese. L’argomento è Antonio Razzi. Non vi confondete con Crozza: quello che parla è il vero Razzi, ahimè!
Il più noto fenomeno mediatico d’Abruzzo (lascio a voi altri epiteti da associare alla parola fenomeno, ché io vorrei evitare querele) gongola per le imitazioni che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Anche in Cina. Amici abruzzesi, grazie a Razzi ci conoscono anche a Pechino, siete contenti, vero? Io tantissimo, al punto che ho intenzione di iniziare a fingermi marchigiano (so imitare l’ascolano piuttosto bene). Ormai quando vado in giro per l’Italia, appena dico di essere abruzzese dall’altra parte mi sento rispondere ‘ah, Abruzzo…Razzi!’
Buona lettura, anzi buon divertimento!
MDS

ABRUZZO. Ormai Antonio Razzi è diventato un vero e proprio fenomeno. Mediatico. Sdoganato grazie alla imitazione grottesca di Maurizio Crozza che lo ha fatto conoscere al grande pubblico ormai è “preda” ambita dei programmi leggeri e meno leggeri.
Una caricatura dai toni esagerati che ha avuto il pregio di far conoscere il vero Antonio Razzi, il senatore di Forza Italia, abruzzese con una vita intera passata in Svizzera, l’italiano traballante e le idee grandiose da realizzare in politica.
Oggi nuova comparsata ad un Giorno da Pecora su Radio2 condotto da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro dove va tutte le volte che lo invitano e lui sta al gioco. Razzi scherza e si fa prendere in giro perché ha capito che ha tutto da guadagnare.
E il marketing lo conosce davvero bene se è vero che anche in questa occasione ha mostrato felice e orgoglioso le sue magliette.
Non sono mancate le domande di attualità e le risposte come sempre… interessanti.

Certo il dialogo rubato sulla sua pensione (“penso ai cazzi miei”) lo ha lanciato prima di tutti (persino prima di Crozza) e forse anche per questo si è fatto una idea ben precisa sulla abolizione del Senato: voterà contro perchè il Senato c’è fin dalla antica Roma.
«Job Act? Non lo conosco, non ne ho sentito parlare. Di nome non lo conosco, poi magari se lo vedo lo riconosco. C’ha la barba?” ha chiesto forse imitando Crozza che imitava Razzi…
Lo aveva già fatto e oggi lo ribadisce: «grazie a Crozza sono diventato famoso in tutto il mondo».
Come ha trovato il ritorno del Crozza-Razzi, appena ripartito su La7?
«L’imitazione che mi fa Crozza è un po’ migliorato: non mi fa più parlare in tedesco ma in un italiano da terzo mondo».
La prende parecchio in giro…
«Certo, ma mica solo a me, anche a personaggi ben più famosi di me, come Napolitano».
In pratica, Crozza l’ha reso famoso.
«Grazie a Crozza i giovani mi fermano per la strada per farsi le foto con me, tante belle ragazze e tanti bei ragazzi».
Ma la riconoscono in tutta Italia?
«Dove vado vado mi conoscono, anche in Cina mi hanno riconosciuto».
In Cina?
«Sì, alla Città Proibita una volta è arrivato un cinese, bello alto, che mi ha riconosciuto e mi ha chiesto una foto. Ed è successo pure a Dubai».
Quindi lei ringrazia Crozza, altro che arrabbiarsi.
«Dal profondo del cuore ringrazio Crozza che fa delle pigliate in giro verso di me ma mi ha fatto conoscere al grande pubblico», ha detto Razzi.

Fonte: Prima da Noi

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA

Lavoro: Grasso, alta disoccupazione impone intervento radicale

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(AGI) – Roma, 10 mar. – “Le cifre spaventose della disoccupazione nel nostro Paese, e in special modo di quella giovanile, impongono alle Istituzioni un intervento radicale e convinto. Altissime sono le attese dei cittadini su questo fronte”. Lo ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, durante la cerimonia celebrativa dei 130 anni delle Acciaierie di Terni. “Realta’ produttive importanti come questa – ha aggiunto – ci ricordano che il lavoro e’ l’unico strumento per garantire un duraturo benessere per le generazioni attuali e per quelle future. E’ per questo che ritengo che lo Stato, i rappresentanti dei cittadini e le Istituzioni debbano tornare a impegnarsi in politiche industriali forti, perseguendole con convinzione; politiche che da troppo tempo mancano nel nostro Paese in una prospettiva necessariamente europea”.
Per Grasso non si devono poi dimenticare le regole della sicurezza ambientale ne’ quelle della sicurezza sul lavoro: “Non esiste crisi, non esiste profitto, non esiste concorrenza e competizione – ha affermato ancora – che possa far passare in secondo piano la vita umana, la salute, la formazione continua dei lavoratori di ogni qualifica e di ogni settore produttivo, il controllo sistematico delle misure di sicurezza, la tutela dell’ambiente. Deve essere un impegno di tutti fare in modo che i termini ‘industria’, ‘lavoro’, ‘ambiente’, ‘sicurezza’ e ‘benessere’ diventino tra loro sempre piu’ conciliabili e tra loro compatibili, per rinnovare il patto di fiducia e collaborazione tra la citta’, l’azienda, i cittadini e i lavoratori”.

Fonte: AGI

Il governo Renzi e la scuola: rivoluzione o restaurazione?

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di Adriano Prosperi (MicroMega 10 marzo 2014)

Una rivoluzione culturale, annuncia la ministra dell’Istruzione: ma non si tratta di un ritorno d’attualità del compagno Mao e delle sue guardie rosse. La ministra Giannini non sembra affatto una seguace del grande timoniere. E’ decisa o almeno decisionista (che non significa la stessa cosa) e perciò non ha guardato per il sottile nella scelta della sigla per l’azione da svolgere nella scuola. Un settore che gode di una grande attenzione in questo governo: mentre il premier Renzi compie una tournée negli istituti scolastici e promette ai bambini di rifare il tetto agli edifici, la sua ministra si occupa delle fondamenta e promette di rovesciare nientemeno che il paradigma culturale dell’istruzione tutta.

Già nel corso dell’ultima campagna elettorale che la elesse al Senato promise una sua “rivoluzione per l’istruzione”: e oggi è tornata a esibire quel tipo di linguaggio. E’ un piccolo indizio, se ce ne fosse bisogno, di un ricorrente (e non solo suo) uso aggressivo delle parole: che vengono ripescate dal loro contesto specifico e ributtate sulla piazza mediatica senza nessun avvertimento per l’uso.

Alla aggressività ci siamo assuefatti: anche se ci vorrà del tempo perché sparisca dalle menti lo slogan orrendo della “rottamazione”. Ma il linguaggio, come ben sa o dovrebbe sapere una ministra di formazione glottologa, è rivelatore di contenuti e desideri nascosti. Parlare di rivoluzione significa chiedere un consenso all’azione personale mettendo sul piatto tutto il peso di un carisma individuale fatto di energia e di risolutezza: è uno stile inaugurato nell’800 da Luigi Napoleone e per questo porta il nome che gli fu dato da Karl Marx: bonapartismo, cesarismo.

Nacque allora un modello che doveva trovare lungo successo di imitatori nelle strategie di presa individuale del potere nell’età delle masse. Fare appello all’appoggio popolare per sbaraccare regimi parlamentari lenti e litigiosi chiedendo fiducia in bianco al popolo in nome di doti personali speciali e nel pieno disprezzo delle regole formali, divenne da allora lo stile imitato da tanti protagonisti nel bene e soprattutto nel male della storia del potere politico: incluso il compagno Mao e la sua “rivoluzione culturale”.

Ma vediamo quale sia la rivoluzione promessa dalla ministra Giannini e che cosa ci si possa aspettare dall’azione pervasiva e dall’attivismo scolastico suo e del suo premier.

La scuola è così importante per tutti noi ed è così presente nella comunicazione pubblica del governo Renzi che bisognerà guardare meglio a quel che si prepara dietro il velo del decisionismo verbale. La ministra ha parlato spesso di scuola, promettendo molto senza scendere nel concreto. Leggendola sembrava di capire che si andasse finalmente verso un cambiamento della rotta seguita fino ad oggi nel corso del ventennio berlusconiano: privatizzazioni, riduzione alla fame delle scuole pubbliche e degli insegnanti, patto scellerato con la Chiesa italiana.

Poi sono arrivati messaggi più chiari: ha detto giorni fa che il contratto degli insegnanti italiani è “mortificante e da rivedere”. Parole sante. Ma c’è di santo anche qualcos’altro: in pari data vennero sbloccati 223 milioni per le scuole private. Si aggiungono ai 260 già previsti. Piovono benedetti su di un settore in grave difficoltà da anni, per l’emorragia di iscritti. Questione di soldi: l’impoverimento progressivo delle famiglie ha riconvertito la domanda verso le scuole statali. Qui la Gelmini, cioè la ministra che continua ancor oggi a dominare la vita della scuola coi suoi provvedimenti, aveva risolto il problema alzando il numero degli allievi per classe oltre ogni ragionevole limite. Ma la crisi inarrestabile del paese riporta di nuovo la questione all’attenzione del governo e impone alla ministra di scendere nel concreto e spiegare meglio che cosa intende per rivoluzione.

Ebbene quello che viene fatto con lo sblocco dei finanziamenti ha trovato una chiave di interpretazione in quel che è stato detto. Parlando a Radio 1 giorni fa, la ministra ha detto che “la libertà di scelta educativa è un principio di grande civiltà”. Fin qui, niente da obbiettare. Lo dice anche la Costituzione italiana all’art.33 terzo comma: Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. Ma la ministra ha aggiunto che scuole statali e paritarie “devono avere uguali diritti”. Espressione diversa da quella usata dai padri costituenti. Si va verso l’affermazione di un diritto oggettivo delle scuole private di godere degli stessi finanziamenti: o no? Sarà bene che si faccia chiarezza su questo punto.

Alla ministra di un governo nato avventurosamente dall’energia vera o presunta di un leader, si deve chiedere se dobbiamo tornare ai tempi di quella ministra Moratti che nel 2004 invitò i dirigenti scolastici a far sì che in tutte le scuole si spiegasse bene il significato del Natale quale rappresentato dalla tradizione italica del presepe. C’è da chiedersi se il fatto che al pluricondannato Berlusconi questo governo abbia reso diritto di presenza pubblica (con l’effetto di spaventare gli investitori finanziari internazionali), porti con sé la messa in crisi del principio della laicità dello stato: un principio che la Corte costituzionale, nella decisione dell’11 aprile 1989 ha definito “supremo”.

Oggi la rivoluzione culturale promessa dalla ministra Giannini, nell’affrontare col metodo dell’energia fattiva i problemi della scuola, sembra far prevalere ancora una volta il fatto sul diritto, la quantità (delle scuole private cattoliche) sulla qualità della scuola pubblica: una qualità che resiste ma che aspetta da tempo di essere rafforzata e tutelata.

Fonte: MicroMega

340 euro al mese? No, grazie.

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Questa è la storia di Giorgia. Le offrono 340 euro al mese, ma dice no. E in una lettera aperta pubblicata su La nuvola del lavoro esorta tutti a fare lo stesso. Abbiate il coraggio, dice, fatelo anche voi. Basta compromessi con i datori di lavoro furbetti.
Giorgia ha 26 anni, è marchigiana ed è laureata in Lettere. Il suo sogno è quello di fare la giornalista. Una storia come tante, penserete. Invece non è solo una storia di tristezza e difficoltà. È anche una storia di coraggio e di speranza nell’Italia di oggi. Questa ragazza lancia un messaggio importante, chiaro e forte. Di messaggi così ne vorremmo di più. Vorremo che la forti parole di Giorgia potessero raggiungere il più ampio numero di giovani, perché finché ci sarà qualcuno disposto a cedere a certi compromessi l’Italia non cambierà.

MIchele De Sanctis per BlogNomos

5 giorni su 7 a 340 euro
di Giorgia D.

Dobbiamo imparare, a volte, a dire no. Dire no a quel datore di lavoro furbetto che ti offre due spiccioli per un impiego che meriti e per il quale hai studiato.

Io ho detto di no ma, finché ci saranno ragazzi che accetteranno qualsivoglia compromesso, la situazione in Italia non cambierà.

Ho 26 anni e sono una giornalista praticante. Vivo nelle Marche ma sto cercando lavoro dove si dice che ancora qualcosina ci sia: Milano. Ho mandato il curriculum a un’agenzia di comunicazione che, dopo un primo colloquio, ha deciso di assumermi. Bello vero?

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Sì, peccato che mi offrivano 500 euro con partita Iva. Chiamo immediatamente il mio commercialista che mi spiega come funziona. Ecco la sintesi. Per gli under 35 la partita Iva è agevolata al 5 per cento quindi significa che ai 500 euro iniziali avrei dovuto togliere 25 euro. Totale stipendio mensile: 475 euro. Ma non finisce qui. A questa somma va sottratto il 27% della Gestione Separata dell’Inps.

Ho studiato Lettere ma due calcoli riesco a farli. Al mese il guadagno sarebbe stato di 340 euro. Con questa cifra sarebbe stato impossibile prendere una stanza in affitto e sopravvivere, così ho detto subito di no. Arrivederci, senza grazie.

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Un altro ragazzo invece ha accettato l’offerta. Lui è di Milano e ha deciso di svegliarsi cinque giorni su sette per prendere 340 euro. Chi finora ha accettato questi compromessi, si deve ritenere colpevole della crisi economica e della disoccupazione giovanile.

Basta a dire “fa curriculum”, “fa esperienza”. Abbiate il coraggio di dire che vi meritate di più.

Fonte: La nuvola del Lavoro. Corriere della Sera

Lavoro somministrato nella Pubblica Amministrazione. Quer pasticciaccio brutto della spending review.

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Il decreto 276 del 2003 e successive modifiche, con particolare riguardo a quelle introdotte dal decreto legislativo del 2 marzo 2012, n. 24, sostituendo il lavoro interinale con quello somministrato, ha disciplinato, tra l’altro, la materia del contratto di somministrazione di lavoro applicabile, entro determinati limiti e vincoli, anche alle Pubbliche Amministrazioni. Sebbene, infatti, l’art. 1, comma 2 del decreto in parola escluda espressamente le Pubbliche Amministrazioni e il relativo personale dalla sua applicazione, il successivo articolo 86, comma 9 prevede espressamente che la somministrazione di lavoro trovi applicazione anche alla P.A. limitatamente ai contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato. Si tratta di una norma di raccordo che consente quindi l’applicazione dell’istituto previsto dalla cd. Legge Biagi anche alla Pubblica Amministrazione.

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Più di recente l’Unione Europea è poi intervenuta sul tema con la direttiva 2008/104/CE, pubblicata in G.U.R.I. n. 69 del 22/03/2012, dedicata, per l’appunto, al lavoro tramite agenzia interinale e finalizzata all’armonizzazione dei diversi ordinamenti degli Stati membri così da promuovere il completamento del mercato interno attraverso un miglioramento della vita e delle condizioni dei lavoratori nella Comunità europea. Nel considerando 2 della direttiva si legge che ciò avverrà mediante il ravvicinamento dei diversi ordinamenti soprattutto per quanto riguarda forme di lavoro come quello a tempo determinato, a tempo parziale, il contratto mediante agenzia di lavoro interinale e il lavoro stagionale. Secondo l’Unione, il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo ad esigenze di flessibilità delle imprese, ma anche al bisogno dei dipendenti di conciliare vita professionale e vita privata e può validamente contribuire alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione e integrazione nel mercato del lavoro (v. considerando 11 della direttiva). Difficile in tempi di crisi capire come per l’Unione un lavoro precario e privo di aspettative di carriera (ma anche di stabilità) possa conciliarsi con la vita privata del lavoratore: vita che è naturalmente fatta di progetti, che dinanzi all’instabilità del rapporto lavorativo difficilmente possono essere realizzati. Dal mutuo per la casa ai risparmi per gli studi dei figli. Ai figli stessi: difficile metterne in cantiere uno, a queste condizioni, diciamo anche rischioso.

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Il rapporto somministrato, poi, si complica ulteriormente (ai danni del solo lavoratore, ovviamente) se il lavoro lo si presta in favore di una P.A.: l’art. 97 Cost. regola l’accesso nella stessa e stabilisce la via del concorso pubblico come modalità principale, salvo poi riservare ad alcune categorie protette l’accesso tramite liste di collocamento. Tuttavia, le politiche di contenimento della spesa per il personale nella P.A. previste dalle ultime leggi finanziarie ma anche dai recenti interventi in tema di spending review e anche dalla legge di stabilità, hanno determinato la riduzione delle assunzioni a tempo indeterminato e in alcuni casi introdotto il cd. blocco del turn over, determinando il ricorso all’utilizzo sempre più frequente dei contratti di somministrazione di lavoro temporaneo o di altre forme flessibili di reclutamento, anche in considerazione del favore dimostrato dal legislatore verso tali tipologie contrattuali, soprattutto in seguito alle diverse modifiche apportate all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e nonostante i vari interventi legislativi sui limiti di spesa.
In termini di opportunità amministrativa, quando non anche politica, è necessaria un’analisi dei costi per valutare la convenienza dello strumento flessibile (ed atipico, lato sensu) che il nuovo mercato del lavoro propone.

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S’è detto che la P.A., soggetto utilizzatore, stipula un contratto di tipo commerciale col somministratore, questo perché la somministrazione prevede tre tipi di rapporti derivanti da due distinti accordi: un rapporto commerciale discendente dal contratto stipulato tra utilizzatore e somministratore, un rapporto lavorativo tra questi e il dipendente che firma un contratto di lavoro con l’agenzia e, infine, un rapporto funzionale tra il lavoratore e l’utilizzatore che si avvale delle sue prestazioni. Per una Pubblica Amministrazione, sottoposta a spending review, ricorrere alla somministrazione significa spendere per un singolo lavoratore più di quanto non farebbe se quell’unità fosse stata selezionata tramite concorso ed assunta a tempo indeterminato, ovvero determinato.
Se in origine il presupposto per ricorrere a tale contratto, ai sensi dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. n. 276/2003, era individuato “nelle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, evoluzione/involuzione rispetto alle sole esigenze di carattere temporaneo previste per il lavoro interinale dalla l. 196/97, ora l’articolo 4, comma 1 lettera c), del d.lgs. n. 24/2012, nell’aggiungere all’articolo 20 il comma 5-quater, ha previsto una deroga alle suindicate ragioni di utilizzo del contratto di somministrazione a tempo determinato nelle ulteriori ipotesi individuate dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro. I CCNL, nei diversi comparti del pubblico impiego, possono, infatti, disciplinare tutti i casi in cui la somministrazione può essere utilizzata per fronteggiare specifici fabbisogni temporanei riguardanti determinate professionalità. L’articolo 2 del CCNL del 14/9/2000, ad esempio, relativo al personale appartenente al Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali prevede che i contratti di fornitura di lavoro temporaneo possano essere stipulati dalle Regioni e dagli enti locali per consentire la temporanea utilizzazione di professionalità non previste nell’ordinamento dell’amministrazione ovvero in presenza di eventi eccezionali e motivati non considerati in sede di programmazione dei fabbisogni o per la temporanea copertura di posti vacanti, per un periodo massimo di 60 giorni e a condizione che siano state avviate le procedure per la loro copertura; ovvero per l’acquisizione di profili professionali non facilmente reperibili o comunque necessari a garantire standard definiti di prestazioni, in particolare nell’ambito dei servizi assistenziali.

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Nel comparto degli EPNE, invece, l’articolo 35 del CCNL stipulato in data 14/2/2001 ammette il ricorso alla somministrazione per particolari fabbisogni professionali connessi all’attivazione ed all’aggiornamento di sistemi di controllo di gestione e di elaborazione di manuali di qualità e carte dei servizi nonché per soddisfare specifiche esigenze di supporto tecnico nel campo della prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, purché l’autonomia professionale e le relative competenze siano acquisite dal personale in servizio entro e non oltre quattro mesi.
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Nel comparto degli enti di ricerca, poi, troviamo l’articolo 22 del CCNL stipulato in dato 21/2/2001 (normativo 1998 – 2001 economico 1998 – 1999) il quale stabilisce che il ricorso al lavoro temporaneo deve essere fatto nel rispetto dei divieti posti dalla vigente disciplina legislativa, per soddisfare esigenze a carattere non continuativo e/o a cadenza periodica, o collegate a situazioni di urgenza non fronteggiabili con il personale in servizio o attraverso le modalità di reclutamento ordinario, previste dal D. Lgs. 165/2001 e deve essere improntato all’esigenza di contemperare l’efficienza operativa e l’economicità di gestione.
L’attuale fase di congiuntura economica, la spending review, il piano di rientro relativo all’amministrazione sanitaria di diverse regioni italiane, giustificano sicuramente il ricorso a tale forma di lavoro, stante il blocco delle assunzioni per lo meno relativamente al personale amministrativo. Il Legislatore, da Brunetta in poi, ha preteso dal pubblico impiego standard quali-quantitativi sempre più elevati. La richiesta di efficienza rivolta a lavoratori stipendiati con denaro pubblico è certamente una scelta giusta, giuridicamente ineccepibile, in linea di principio. Tuttavia tale richiesta sembra travalicare i limiti dell’umanamente possibile, se d’altro canto le Amministrazioni non possono procedere al cd. ricambio generazionale se non in percentuali minime nei prossimi anni, quando addirittura le assunzioni di nuovo personale non risultino del tutto bloccate dai criteri introdotti nell’ordinamento italiano dal Decreto Milleproroghe in poi. E se le Amministrazioni Pubbliche sono deputate all’erogazione di servizi, sarà anche necessario che ci sia qualcuno che ‘materialmente’ quei servizi li dispensi. Come far fronte alla carenza di personale se non con la somministrazione? Ed ecco che si profila un circolo vizioso, difficile da spezzare a legislazione invariata (o per lo meno – e per ora – fino al 2017, quando il turnover dovrebbe essere ripristinato). Circolo vizioso perché un Ente costretto al risparmio, di fatto spende per il personale somministrato cifre improponibili in un momento storico come questo.

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Per essere più chiaro userò, a titolo esemplificativo, dei termini impropri, ma di sicuro più efficaci. Io, Amministrazione costretta a limitare le spese anche per il personale, mi ritrovo con quattro impiegati, ma per raggiungere gli obiettivi che la Direzione mi ha imposto, in ragione delle stesse leggi che mi sottopongono a tale regime di austerità, avrei bisogno di almeno dieci dipendenti, così ne affitto altri quattro pagandoli quasi il doppio di quanto pagherei per quattro impiegati neoassunti con una posizione economica di primo livello. Quindi mi ritrovo con otto persone, quando me ne servirebbero invece dieci, e spendo di più di quanto non farei con dieci unità direttamente assunte da me, ma non posso fare diversamente. Non posso perché da un lato c’è il blocco delle assunzioni e dall’altro il mancato raggiungimento degli obiettivi per quest’anno comporterà, per esempio, una minor afflusso di fondi dall’Amministrazione Centrale o dal Ministero nel corso dell’anno venturo.
La domanda è allora quali sono i costi che un’Amministrazione affronta per un lavoratore somministrato? Il costo del lavoro per un lavoratore somministrato deve essere calcolato considerando le seguenti voci derivanti dall’applicazione del CCNL, dal CCNL integrativo e dalla normativa che disciplina il medesimo contratto di somministrazione:
1. retribuzione oraria, tredicesima mensilità, ratei tredicesima, ex festività, permessi retribuiti, ferie, ratei trattamento fine rapporto, oneri assicurativi contributivi. Gli oneri contributivi sono calcolati sulla base del CCNL applicato all’agenzia per il lavoro;
2. trattamento economico accessorio, la produttività, il servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto e altre voci derivanti dall’applicazione di contratti decentrati integrativi;
3. oneri di costo aggiuntivi previsti dalla normativa che disciplina il contratto di somministrazione. Ad esempio, quelli previsti dall’articolo 12, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 276,
sono i cd. fondi per la formazione e l’integrazione del reddito, che i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare in misura pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l’esercizio di attività di somministrazione e destinati ad interventi a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato intesi, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale (comma 1), e destinati, inoltre, (comma 2) a:
a) iniziative comuni finalizzate a garantire l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori;
b) iniziative comuni finalizzate a verificare l’utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti;
c) iniziative per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le regioni;
d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale;
4. da ultimo, ma più rilevante di tutti, il ‘prezzo’ di un lavoratore somministrato è dato da possibili scostamenti del costo dovuti a rinnovi contrattuali.

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Limitatamente al punto 4), il valore dell’offerta alla medesima Agenzia dovrà essere aggiornato prevedendo nel contratto una clausola di revisione dei prezzi in ragione dell’aumento del costo del lavoro legato ad aumenti contrattuali. Al riguardo, l’articolo 115, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 prevede che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi”.
Alla luce di queste voci di costo, rivolgo a voi la domanda: è opportuno il ricorso alla somministrazione da parte di una P.A. sottoposta a spending review? Anzi, poiché è di soldi pubblici che parliamo, è opportuno il ricorso alla somministrazione, a prescindere dalla fase economica che stiamo attraversando?
È opportuno che la politica consenta questo? E non solo…

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Negli ultimi anni, infatti, la nostra classe dirigente ha introdotto nel mercato del lavoro (evidentemente anche in quello pubblico) la nozione di flessibilità. A parte i maggiori oneri sostenuti dalle Amministrazioni, è possibile ravvisare una convenienza nell’immissione di queste atipiche tipologie di lavoratori anche nel settore pubblico. E in caso affermativo, a chi conviene? La stessa domanda può essere posta da un altro punto di vista: chi seleziona il personale somministrato? Nel Paese del clientelismo è naturale che sorga il dubbio e, come recita un vecchio adagio, a pensar male si fa peccato, ma si sbaglia raramente. Già, perché oltre ai maggiori oneri a carico dell’Amministrazione utilizzatrice, il lavoro somministrato si caratterizza per un’altra preoccupante peculiarità: la totale elusione dell’art. 97 della Costituzione. La ratio della norma costituzionale, benché svuotata del suo contenuto dopo anni di clientelismo, è quella di dotare gli Uffici Pubblici del miglior personale possibile, appunto mediante selezione concorsuale. Di fatto, nei sessant’anni di vita della Costituzione, il clientelismo italiota ha reso il disposto dell’art. 97 operativo solo in alcuni casi in cui è poco probabile che tutti i vincitori siano parenti e amici di chi conta: sono quei maxi concorsi da 300, 400, 500 anche fino a 1000 posti, che ora come ora la Corte dei Conti non potrebbe più autorizzare, salve le eccezioni del personale militare,di polizia e di quello ispettivo in Ministeri ed Agenzie. Chi sceglie, quindi, il lavoratore somministrato? O meglio chi lo segnala? Potremmo argomentare analogicamente partendo dallo svolgimento dei concorsi in certi Enti Locali, in cui si concorre in 700 per un posto solo. Ma lascio a voi le debite conclusioni. Vero è che eccezioni ve ne sono, nei concorsi per un posto solo come anche nel lavoro somministrato. Non tutti hanno la fortuna di conoscere la gente giusta. E mi rifiuto di pensare che il malcostume sia divenuto la sola regola imperante. Capita, infatti, di essere somministrati inizialmente per la sostituzione di una lunga malattia o di una maternità e poi di rimanere a fare quel lavoro anche dopo, magari per una serie di circostanze fortuite, ad esempio perché, nel frattempo, chi sostituivi ha trovato di meglio. C’è poi anche chi è arrivato dall’agenzia senza alcun appoggio per svolgere mansioni talmente infime che nessun ‘amico degli amici’ avrebbe mai accettato. Oggi forse sarebbe diverso, ma fino a sei, sette anni fa, assolutamente no.

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Per esempio, nella mia vita lavorativa ho conosciuto un imbustatore inizialmente assunto a chiamata e poi somministrato: un ragazzo che per poche centinaia di euro imbustava lettere per sei ore ogni due o tre giorni, in un primo periodo, e poi anche tutti i giorni: piegato su una scrivania fantozziana da cui, tra altissime pile di buste, sbucava fuori la sua testa. Io, nel frattempo, ho cambiato lavoro, città e regione, ma so che lui è riuscito a mostrare di saper fare ‘qualcosa’ di più che incollare buste e la dirigenza del suo Ufficio lo ha ‘promosso’ a impiegato. Nel frattempo è stata acquistata un’imbustatrice meccanica e questo giovane senza sponsor si è via via reso indispensabile e prezioso per il suo Ufficio. Di eccezioni ce ne sono, quindi. Ma queste rappresentano la terza ‘croce’ del lavoro somministrato nella P.A.: le competenze che nel tempo vengono acquisite dai lavoratori che fine fanno? Un lavoratore non può essere somministrato a vita in un’Amministrazione Pubblica, pur cambiando agenzia, vi sono dei limiti che impone la Legge, in primis quelli previsti dal D.Lgs 165/2001 per il t.d., e se, nonostante le riserve previste dal decreto D’Alia, la P.A. non indice alcun concorso, l’Ufficio si dovrà privare di un valido elemento per cedere il posto a un altro inesperto somministrato?

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Quanto agli stessi lavoratori vi è, infine, da considerare un quarto ed ultimo problema. Queste persone lavorano con l’ansia perenne del contratto in scadenza, prorogato anche di soli tre mesi in tre mesi, senza alcuna prospettiva futura, senza la possibilità di acquistare neppure un monolocale, anzi nemmeno un TV a rate, perché nessuna finanziaria ne accetterà mai la richiesta. Queste persone, che da contratto osservano l’orario di 36 ore settimanali, di fatto ne fanno molte di più. Per conservare il proprio precarissimo posto farebbero di tutto, di questi tempi. E quel di più non è certo retribuito. Talora è svolto in remoto da casa: fogli Excel, lettere, documenti elaborati la sera tardi affinché siano fruibili e pronti per la firma del Capo Struttura domattina alle otto. Il tutto con la sudditanza psicologica del precario dinanzi al classico impiegato pubblico in attesa della pensione: magari quello entrato con la 285 e che si aggira nei corridoi col bicchierino da caffè in mano e si lamenta ogni giorno della Riforma Fornero che lo obbliga a stare ancora lì, che rivendica pretese sindacali ad ogni ordine superiore e che a sua volta ‘scarica’ le proprie responsabilità sul precario non incardinato.

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A questo punto rinnovo la domanda. Ma a chi conviene tenere ancora certi carichi sul libro paga? Che vantaggio c’è nell’impedire l’accesso nella P.A. a giovani ben più svegli preparati e bisognosi di lavorare. Non c’è spending che giustifichi i costi della somministrazione. Come ho dimostrato, il blocco del turnover è un paradosso contabile. Lasciamo quindi che chi pesa sul bilancio della P.A. senza apportare alcun contributo vada in pensione e lasciamo una volta per tutte la flessibilità fuori dagli Uffici Pubblici, che necessitano di continuità nell’erogazione dei servizi. E infine miglioriamo qualità ed efficienza. Come? Per esempio applicando l’art. 97 della Costituzione.

Michele De Sanctis

Germania, proporzionale per elezioni Ue: l’estrema destra può entrare a Strasburgo

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Di Tonino Bucci – Redazione Il Fatto Quotidiano

La Germania andrà a votare alle elezioni per il parlamento europeo con il proporzionale puro. I giudici della Corte costituzionale tedesca hanno stabilito con una sentenza di mercoledì scorso che la soglia di sbarramento del tre per cento è incostituzionale. Con la stessa motivazione, nel 2011, gli alti togati di Karlsruhe avevano abbassato dal cinque al tre per cento l’asticella per entrare nel Parlamento dell’Ue. Il meccanismo – recita in sintesi la sentenza – viola il principio “una testa, un voto” e introduce un discrimine tra gli elettori dei partiti grandi e quelli delle formazioni minori escluse dalla rappresentanza. I partiti maggioritari godrebbero di una facile rendita di posizione, in virtù del classico argomento del “voto utile”. Semplice, ma fino a un certo punto, perché gli stessi giudici di Karlsruhe finora hanno sempre difeso la soglia del cinque per cento, prevista invece dal sistema elettorale tedesco per il Bundestag e per i Landtag regionali. Due pesi, due misure, a seconda che si tratti dell’Europa o del parlamento tedesco.

Non sarebbe più logico e giusto che una democrazia matura funzioni senza imporre limiti all’esercizio del voto? In passato la Corte costituzionale di Karlsruhe si è pronunciata a favore del mantenimento della soglia del cinque per cento. L’opinione pubblica ha sempre avuto paura del proporzionale puro, ritenuto una delle cause storiche della frammentazione della Repubblica di Weimar e dell’ascesa al potere del nazismo. Il sistema elettorale attuale prevede infatti dei correttivi: una soglia di sbarramento al cinque per cento e una combinazione tra i due criteri, il proporzionale e il maggioritario. Gli elettori tedeschi ricevono due schede. Con la prima scelgono uno dei candidati in lizza nel proprio collegio e concorrono all’assegnazione di una metà dei seggi nel Bundestag. L’altra metà è ripartita in proporzione ai voti che i partiti prendono sulla seconda scheda.

Fino a oggi, sostengono i fautori dello sbarramento, questo sistema ha tenuto lontano gli incubi del passato e impedito l’ingresso di partiti estremisti nel Bundestag. La pensano così i due partiti principali, la Cdu di Angela Merkel e la Spd, alleati nel governo di grande coalizione. La Cancelliera e i socialdemocratici hanno accettato a malincuore l’abolizione della norma del tre per cento che fu votata da quasi tutti i partiti presenti nel Bundestag nella scorsa legislatura. Con la sola eccezione della Linke, la formazione della sinistra radicale tedesca, unica a gioire per la sentenza. “Ognuno ­- ha commentato il capogruppo parlamentare Gregor Gysi -­ potrà mettere una croce sulla scheda senza paura che il suo voto vada perso”.

Al ricorso hanno partecipato molte formazioni minori che sono fuori dal Bundestag. Alcune sono però rilevanti a livello regionale, come i Freie Wähler (Liberi Elettori), un partito populista che alle ultime elezioni in Baviera ha raccolto il 9% e che senza sbarramento potrebbe entrare nel parlamento europeo. Potrebbero rientrare in gioco anche i Pirati, che dopo una serie di affermazioni clamorose in alcuni Länder negli anni passati, a settembre dello scorso anno hanno fallito miseramente l’ingresso nel Bundestag. A scendere verso percentuali che si aggirano intorno all’uno per cento, sondaggi alla mano, ­ci sono gli animalisti, il Partito dei pensionati, il Partito della famiglia e le femministe del Partito della Donna. Qualcuno, con un po’ di fortuna, potrebbe guadagnarsi un seggio. Come metterla, però, con i partiti dell’estrema destra? La Npd, la principale forza della galassia neonazista, fino a oggi mai entrata nel Bundestag, potrebbe sedere nel futuro parlamento europeo in compagnia di altre formazioni sorelle come Alba Dorata.

Un argomento, anzi uno scenario, che inquieta non poco. Se si prendono i risultati delle europee del 2009, a Strasburgo oggi ­ senza la soglia del tre per cento ­ siederebbe anche Uschi Winkelsett, la candidata dei Republikaner, un’altra formazione populista di destra che vorrebbe diminuire la quota versata dalla Germania nelle casse dell’Unione Europea. Roba da Trattato di Versailles. Per chi evoca lo spettro di Weimar la soglia di sbarramento al Bundestag non si può toccare. Ma i costi per la democrazia tedesca cominciano a essere troppo alti. Alle elezioni per il Bundestag dello scorso settembre 6,9 milioni di voti sono stati cancellati, ben il 15,7 per cento degli elettori. Sono rimasti fuori i liberali della Fdp e l’Alternativa per la Germania (AfD), la formazione anti­euro nata di recente, entrambe poco al di sotto del cinque per cento. Senza di loro Angela Merkel è stata costretta a fare la grande coalizione con i socialdemocratici. I tempi, insomma, sono maturi per rivedere il sistema elettorale. Da noi, invece, Renzi ha imboccato la strada contraria. Oggi l’Italicum torna in discussione in aula. Compresa la norma sullo sbarramento dell’8 per cento per i partiti che corrono da soli. Al confronto, il sistema tedesco è uno scherzo.

Fonte: il Fatto Quotidiano

Presentate oggi le candidature per la Lista Tsipras

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Presentata oggi la Lista Tsipras per le Europee. Non senza polemiche dell’ultima ora, la sinistra alternativa ha reso pubblici poche ore fa i nomi dei candidati, collegio per collegio, alle prossime consultazioni del 25 maggio. A poche ore dall’annuncio delle candidature la Lista si è però spaccata sul nome di Luca Casarini, leader dei Disobbedienti e volto che potrebbe raccogliere i voti dei movimenti sociali e della sinistra cosiddetta radicale – sebbene nei social network una parte di questo mondo abbia già ripudiato la candidatura dell’ex no-global per Tsipras. La candidatura di Casarini era stata messa in discussione per via delle diverse inchieste giudiziarie che lo vedono protagonista, ma tutte per reati sociali, cioè relativi all’attività politica. Il suo nome è stato confermato nel collegio centro, ma apprendiamo da Il Fatto Quotidiano che ‘Il caso ha tenuto occupati i sei garanti della Lista per tutta la sera dello scorso 2 marzo fino a produrre una spaccatura: Camilleri, Flores D’Arcias e Gallino contrari alla candidatura mentre Spinelli, Revelli e Viale si sono dichiarati favorevoli’.

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Come rivela Gad Lerner, la polemica su Casarini precede quelle create dal conseguente ritiro dello scrittore Camilleri, inizialmente dato come uno dei capilista. Tuttavia, dalle pagine web di MicroMega arriva netta la smentita: la candidatura di Camilleri non c’è mai stata. Evidentemente. Ma forse, trattandosi di uno dei garanti, qualcuno se l’era aspettata e l’avrebbe gradita. Forse. A ciò si aggiunga la questione Sonia Alfano. Secondo la ricostruzione de Il Fatto Quotidiano, il nome di Sonia Alfano, europarlamentare eletta con l’Italia dei Valori nel 2009 e molto apprezzata a sinistra, ha creato problemi non indifferenti tra i garanti della Lista in ragione dei suoi incarichi di parlamentare, consigliere regionale e parlamentare europeo a partire dal 2004. A differenza di Casarini, Sonia Alfano è perciò rimasta fuori.

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Nella liste, spiccano i nomi dell’editorialista Barbara Spinelli, della capolista al centro Lorella Zanardo, autrice del documentario ‘Il corpo delle donne’, lo scrittore e giornalista Ermanno Rea, il giornalista di Repubblica Curzio Maltese, Adriano Prosperi, Ermanno Rea, la scrittrice Valeria Parrella, Maria Elena Ledda, Giuliana Sgrena, la No Tav Nicoletta Dosio e dirigenti di partito come Fabio Amato ed Eleonora Forenza (Prc), Teresa Masciopinto, responsabile Culturale Area Sud di Banca Popolare Etica, Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale presso l’Università di Teramo e l’economista Antonio Maria Perna.

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Da ultimo, si osserva quanto riportato da Repubblica nelle ultime ore, che rivela una notizia che con buona dose di probabilità porterà su queste candidature altre polemiche, poiché una parte dei candidati sarebbero stati inseriti nelle liste solo per trainare voti, ma qualora dovessero essere eletti si dimetteranno per lasciare il passo a quelli che sono i ‘veri’ candidati della lista L’Altra Europa con Tsipras.

Michele De Sanctis