Archivi categoria: attualità

A SARAJEVO RINASCE LA VIJEČNICA.

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di Michele De Sanctis

Dopo 22 anni, la città di Sarajevo ha riavuto la sua biblioteca nazionale, bombardata nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 dai serbo bosniaci. Aveva fatto il giro del mondo la foto della “Viječnica”, così i bosniaci chiamano la biblioteca nazionale di Sarajevo, in cui tra le macerie della volta distrutta, sotto la luce che entrava dall’alto, un uomo suonava il violoncello.

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Quell’uomo era Vedran Smajlovic, che fu, tra l’altro, uno dei primi civili ad accorrere sulla scena per tentare la messa in salvo degli oltre due milioni di volumi conservati nell’edificio in fiamme.

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Oggi, però, la biblioteca di Sarajevo è stata completamente ricostruita e ieri, 9 maggio 2014, è stata inaugurata nel suo nuovo splendore. La Viječnica è stata rifatta com’era. A mancare all’appello, sono purtroppo i moltissimi testi antichi: bruciati nel rogo del ’92.

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L’inaugurazione è avvenuta con un grande spettacolo all’aperto fuori dal municipio austro-ungarico che ospitava la Viječnica. «Oggi dopo 18 anni di lavori di ricostruzione e a 118 anni dalla sua prima inaugurazione, restituiamo la Viječnica ai cittadini di Sarajevo, perché essa fa parte della loro identità», così ha parlato il sindaco Ivo Komsic.

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L’edificio, non solo è stato ricostruito in maniera fedele alla sua antica architettura, ma per quanto possibile, sono stati recuperati i suoi materiali originali. D’ora in avanti, la Viječnica ospiterà l’amministrazione cittadina, oltreché una parte del patrimonio librario della Biblioteca Nazionale e il Museo di Sarajevo.

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La cerimonia di inaugurazione ha visto la partecipazione della Filarmonica di Sarajevo e di altri 200 solisti, danzatori, musicisti, ed è culminata con la proiezione sulla facciata della Viječnica di un video in 3D che raccontava la storia del palazzo intrecciata con la recente e più drammatica storia di Sarajevo.

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I PAESI IN CUI I GIOVANI VIVONO MEGLIO.

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di Michele De Sanctis

Attualmente i giovani, non solo in Italia, sono spesso al centro dell’attenzione generale soprattutto a causa della situazione economica e sociale che stiamo attraversando e, nel nostro Paese in particolare, per via della ‘fuga di cervelli’, un fenomeno purtroppo sempre più persistente.
Tuttavia, si parla poco di salute pubblica in riferimento a questa categoria. È come se gli unici problemi dei giovani fossero di natura economica. Ma come stanno fisicamente? È l’interrogativo a cui cerca di rispondere l’‘Indice del benessere giovanile’, di cui si è avvalso il website newyorkese Business Insider per stilare la classifica “Qual è il Paese in cui la gioventù vive più beata?”. Si tratta di una ricerca condotta su trenta Paesi realizzata dalla ‘International youth foundation’, il ‘Center for strategic and international studies’ e l’azienda ‘Hilton Worldwide’.
Nel parlare di “salute pubblica”, infatti, non si possono non calcolare tutte quelle persone, i giovani per l’appunto, che si trovano a metà tra le due fasce generazionali estreme ovvero, i bambini e gli anziani, cui normalmente ci si riferisce quando si parla di salute pubblica.
Per creare l’indice, i ricercatori hanno usato 40 indicatori tra cui “la partecipazione alla vita sociale e politica, le opportunità economiche, l’istruzione, la sanità, l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza”.

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Secondo questo studio, i primi posti dell’elenco sono occupati da Australia (1°), Svezia (2°) e Corea del Sud (3°). Agli ultimi posti troviamo, invece: Tanzania, Uganda e Nigeria. Non si tratta, tuttavia, dei primi trenta Paesi al mondo, ma solo di quelli presi in esame dai ricercatori dell”International youth foundation’ e che per “giovani” è stata intesa la fascia di popolazione compresa tra 12 e 24 anni. Va considerato, tra l’altro, che le prime nove posizioni sono occupate dai Paesi più ricchi della lista, ad eccezione della sola Russia e che, sebbene nei Paesi ad alto reddito ci siano tassi di mortalità giovanile più bassi, ad essere più diffusi in questi posti sono, paradossalmente, stress ed autolesionismo.

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Nonostante i limiti dell’analisi qui riportata, i dati analizzati sono comunque interessanti per tutti in quanto, lo si legge nel rapporto, “le società che sono inclusive nei confronti dei giovani sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di crescere ed arricchirsi, mentre l’esclusione aumenta il rischio di recessione, criminalità e violenza diffusa”.
Uno spunto di riflessione per i Governi dei Paesi che occupano le ultime posizioni e anche per quelli non inclusi nella ricerca, al fine di procedere ad una revisione di alcuni capisaldi del proprio welfare.

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Rivoluzione canone Rai: diventerà flessibile e lo pagheremo in base ai consumi.

Il sottosegretario Giacomelli: pronta la riforma, “Cancelleremo l’evasione dell’imposta nel 2015”.

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di Aldo Fontanarosa da La Repubblica del 4 maggio 2014

ROMA – Qualcuno ci ha provato, fallendo miseramente. Qualcun altro ha promesso di farlo, poi ha desistito per non perdere voti. Ora il governo Renzi annuncia la missione impossibile: ridurre, anzi azzerare l’evasione del canone Rai già nel 2015. “Non lo paga il 27% delle famiglie – ricorda Antonello Giacomelli, nuovo sottosegretario alle Comunicazioni, uomo del Pd – con un danno che la tv di Stato stima in 1,7 miliardi tra il 2010 e il 2015. Una cosa imbarazzante, che noi fermeremo”.

Il nuovo canone non si pagherà con la bolletta elettrica (“il governo prevede il taglio netto della bolletta, per aiutare le persone e le aziende, e non il suo aumento”). E neanche si tramuterà in una gabella legata alla casa come in Francia o in Germania (“se qualcuno vuole proporre questa soluzione a Matteo Renzi, pago il biglietto per assistere alla reazione”). “Al di là della modalità di versamento, che troveremo d’intesa con il ministero dell’Economia, quel che conta sarà la logica, del tutto nuova: pagheremo tutti, pagheremo con più equità”. Il governo cancellerà il canone unico di 113 euro e mezzo che ogni famiglia dovrebbe versare oggi (unica eccezione gli anziani sotto i 6.714 euro di reddito; nuclei in povertà che sono esentati).

Al posto del canone unico arriverà un’imposta flessibile ad importo variabile legata ad un nuovo indicatore che fotograferà i consumi, cioè la capacita di spesa delle persone. “L’effetto è che avremo un canone più basso che in passato, almeno per le famiglie in difficoltà, e molto meno impopolare. Lavoriamo per rinsaldare un patto di fiducia tra la Rai e il suo pubblico”, aggiunge Giacomelli.

Parole molto belle, che potrebbero suonare beffarde a Viale Mazzini. La Rai – ricordiamolo – ha appena perso 150 milioni del canone 2014 per mano del Documento di economia e finanza del governo Renzi. Una botta mai vista. “Dietro la nostra decisione non c’è alcuna volontà punitiva – assicura Giacomelli – da tempo il direttore generale della Rai Gubitosi ci parlava della vendita di RaiWay (la società dei ripetitori, ndr). Il progetto c’era già, dunque. Noi invitiamo Viale Mazzini ad accelerare nella valorizzazione dell’asset. Servono soldi. La tv di Stato li cerchi come e dove sa”.

E questo dove si chiama Borsa. Il governo suggerisce di quotare una fetta minoritaria di Rai Way, con un duplice obiettivo. Conservare in mano pubblica il controllo della società e della rete. Ma ricavare comunque tante risorse (“sicuramente più dei 150 milioni che il Def chiede a Rai come contributo”, calcola Giacomelli). Ma RaiWay si potrà quotare un anno. E nel 2015? Dove trovare altri 150 milioni? “Serve un nuovo Piano editoriale. Oggi la Rai ha ancora tre tg e tre reti, le principali, figlie della tripartizione decisa dai partiti nel 1975. L’effetto è una moltiplicazione dei centri di spesa. Suggerisco il massimo delle sinergie nella produzione dei servizi, nell’impiego delle troupe anche esterne, nell’uso degli impianti”. Poi andranno chiuse alcune sedi regionali, che Palazzo Chigi considera un bene statico, inerme. Questo colosso da 700 dipendenti di cui 200 giornalisti “deve produrre di più”.

Azzerare l’evasione del canone. Quotare RaiWay. Varare un nuovo Piano editoriale che assicuri risparmi tra giornalisti e sedi regionali. Trasformare Viale Mazzini in una media company capace di competere nell’era di Google e Youtube. Quest’insieme di mosse – nei piani dell’esecutivo – permetterà alla tv di Stato di reggere l’urto dei 150 milioni persi e di conservare inalterata l’offerta. Non mancheranno i fondi, ad esempio, per comprare i diritti della Nazionale. Un programma simbolo.

In questo quadro, il nuovo sottosegretario lavora e si dà da fare, malgrado Palazzo Chigi non abbia ancora formalizzato, a lui e ad altri sottosegretari e vice ministri, le deleghe che definiranno il perimetro della loro azione. “E’ una situazione singolare. Per me vale di più la parola del premier dell’atto scritto. Renzi mi invita a procedere come se ci fosse la delega ed io procedo. Certo, prima si colma questo vuoto e meglio è per tutti. L’8 maggio, incontrerò il commissario Ue all’Agenda Digitale, Neelie Kroes”. Ha avuto problemi? “Abbiamo dovuto spiegare a che titolo la incontrerò, non avendo io la delega. Peraltro, alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, esporrò la nostra posizione su temi non banali. Dirò alla Kroes, ad esempio, che ci teniamo alla net neutrality. Non vogliamo un Internet veloce e un altro meno, un Internet di serie A e uno di serie B. Questa sarà la linea e vorrei motivarla con la dovuta efficacia”.

Fonte: La Repubblica

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25 aprile

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TRENI SPORCHI: GIUDICE CONDANNA TRENITALIA.

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di Michele De Sanctis

La sentenza, di cui vi sto per parlare, riguarda i tantissimi pendolari che ogni giorno si servono della rete ferroviaria italiana per andare a lavorare o per motivi di studio. Per l’occasione, vi scrivo in diretta dal treno su cui anch’io, ogni giorno, viaggio per andare a lavoro e per tornare a casa. In realtà, la maggior parte dei miei post sono scritti in treno. Oggi, però, noto con piacere che, a dispetto della folla prefestiva, la mia carrozza è stranamente pulita. A parte il cestino dei rifiuti alla mia destra che, a giudicare dal contenuto strabordante, accoglie i resti di una colazione o forse due e di un pranzo. Oppure gli avanzi di una persona in preda a una forte crisi ipoglicemica. Ma mi basta cambiare sedile: pazienza, niente finestrino! In fondo, a che mi serve? Tanto devo scrivere! E poi quello del cestino stracolmo è il male minore che un pendolare possa affrontare. Non è vero?
E a voi? Vi è mai capitato di viaggiare tra immondizia e cattivo odore? E avete mai pensato che un’efficiente pulizia da parte di Trenitalia potrebbe rendere il vostro viaggio da pendolare meno penoso? Sapevate che la razione di germi cui quotidianamente ci sottoponiamo, alla lunga, potrebbe alterare il nostro stato di salute? Ebbene, è proprio quanto è capitato ad uno di noi.

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Si tratta di uno studente pendolare di Spoleto, cui purtroppo sono stati riscontrati problemi di salute causati dalle pessime condizioni igieniche delle carrozze in cui abitualmente doveva sedersi per affrontare il suo viaggio.
Questi i fatti: il ricorrente, giovane studente di giurisprudenza, tra il 2008 ed il 2009 si è trovato a viaggiare come pendolare nella tratta Spoleto-Roma su delle carrozze troppo spesso lasciate sporche: il che ha determinato un aggravarsi dei suoi preesistenti problemi asmatici.
Il Giudice di Pace di Roma, con sent. n. 41354/13, dott.ssa Concettina Cardaci, gli ha riconosciuto un indennizzo in via equitativa pari a mille euro, per danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, proprio a causa delle scarse condizioni igieniche del treno su cui viaggiava. “La sua domanda – si legge nella motivazione della sentenza – tesa a dimostrare la responsabilità di Trenitalia per i disagi subiti a causa delle precarie condizioni igieniche dei treni, è fondata e va accolta”, visto che il ricorrente ha documentato sia “la sporcizia dei treni in questione” sia “le negative conseguenze sulla propria salute”. Le precarie condizioni dei vagoni, sono state, infatti, “immortalate” dallo smartphone del ragazzo: una serie di istantanee, grazie a cui il giudice onorario ha riconosciuto al giovane l’esistenza della responsabilità a carico della compagnia di trasporto ferroviario. Il vettore, in verità, è sempre tenuto a garantire condizioni accettabili per il trasporto dei propri passeggeri, dovendo, peraltro, rispettare il diritto alla salute imposto dalla Costituzione. Decisive sono state, pertanto, le argomentazioni circa la lesione di un interesse tutelato dalla Carta fondamentale della Repubblica, quale, appunto, quello della salute, oltreché il superamento della soglia minima di tollerabilità e quindi l’impossibilità di assimilare tale tipo di danno a un semplice fastidio.

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Ricordatevi sempre, colleghi di viaggio, che nel momento in cui acquistate il biglietto del treno, o, meglio, l’abbonamento, di fatto concludete un contratto con la compagnia di trasporto, che è, dunque, obbligata a garantirvi la prestazione venduta, secondo correttezza e nel rispetto di standard qualitativi. I diritti dell’utenza sono sanciti, in primis, dalla Costituzione!
Tuttavia, poiché nel caso di specie non si poteva quantificare con certezza il danno subìto, il GdP ha necessariamente fatto ricorso alla cosiddetta valutazione equitativa. In assenza di specifiche prove sull’ammontare dei danni, infatti, la liquidazione viene effettuata sulla sola base di quanto appare più giusto al giudice. Per l’appunto, equo. Vero è che un indennizzo pure spettava a questo pendolare, tant’è che, non potendo “essere posta in dubbio la responsabilità da parte di Trenitalia consistente nella violazione delle norme che regolano l’erogazione dei servizi pubblici, ma anche dei diritti fondamentali della persona come quelli che attengono alla tutela della salute”, prosegue la sentenza, deve, comunque “essere affermato il diritto dello studente ad ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti”, pur in carenza di criteri atti alla relativa quantificazione.
“Si tratta di una sentenza molto importante, secondo la quale il treno sporco rappresenta una violazione dei diritti fondamentali della persona previsti dalla Costituzione”. È quanto ha dichiarato Cristina Adducci, avvocato del Codacons, cui il pendolare si era, in prima istanza, rivolto per avere assistenza. La responsabilità per danni non patrimoniali, di cui all’art. 2059 c.c., infatti, ben si configura, da un lato, per inadempimento contrattuale, dall’altro è la stessa Costituzione a sancire il diritto inviolabile alla salute di ciascuno di noi. Anche dei pendolari.
Ricordatelo al signor capotreno, che incontrate ogni giorno (ormai vi conosce più del vostro migliore amico), ma fa finta di non vedere l’immondizia su cui sedete, limitandosi alla solita frase ‘Biglietti, prego!’

Ringrazio la mia Marta, avvocato, per avermi segnalato il caso di specie.

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L’INDIA RICONOSCE IL «TERZO SESSO».

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di Andrea Serpieri

Con una sentenza rivoluzionaria, la Corte Suprema indiana ha riconosciuto lo scorso 14 aprile il diritto dei transessuali di essere considerati come «terzo sesso» e di godere degli stessi diritti degli altri cittadini sanciti dalla Costituzione.

Un ver­detto dalla por­tata sto­rica. Riconoscendo, infatti, alla comunità tran­sgen­der indiana lo sta­tus di «terzo genere ses­suale» davanti alla legge, la Corte ha effettuato una decisa presa di posi­zione desti­nata a modificare le abominevoli con­di­zioni di vita di tutti i trans del Paese, finora costretti a con­durre esi­stenze ai mar­gini della società e dell’umana dignità, vit­time di vio­lenze e discri­mi­na­zione, borderline sempre, in ogni aspetto della vita quotidiana. Quest’ostracismo era conseguenza di una legge del 1871, risalente al periodo coloniale, che li considerava come “criminali”.

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La sezione della mas­sima Corte indiana, però, ha ora sta­bi­lito che i transessuali debbano poter godere dei mede­simi diritti garan­titi dalla Costi­tu­zione al resto della popo­la­zione e saranno con­si­de­rati come una delle Other Bac­k­ward Class (Obc), ossia uno di quei gruppi sociali che godono di misure gover­na­tive ad hoc in ambito lavo­ra­tivo e sco­la­stico.
Accogliendo un ricorso collettivo presentato due anni fa, i giudici hanno affermato che «è diritto di ogni essere umano scegliere il proprio genere sessuale». I transessuali, o “Hijra” come sono chiamati in hindi, saranno, pertanto, liberi di identificarsi in una terza categoria che non è né quella di maschio né femmina. Con questo verdetto, l’India diventa uno dei pochi Paesi al mondo a prevedere il «terzo genere». A distanza di pochi giorni dall’omologo riconoscimento avvenuto anche nel sistema giuridico australiano.

Si stima che in India ci siano dai 3 ai 5 milioni di “Hijra”, un’ampia categoria che comprende dai travestiti ai castrati, brutale pratica che ancora sopravvive. Molti di loro sono costretti a prostituirsi o a vivere delle elemosine raccolte durante feste di matrimonio e varie celebrazioni, in cui sono considerati di buon auspicio.

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«Rico­no­scere ai tran­sgen­der lo sta­tus di terzo genere ses­suale non è una que­stione medica o sociale, ma ha a che fare coi diritti umani» ha dichia­rato il giu­dice KS Rad­ha­kri­sh­nan al momento del ver­detto, spe­ci­fi­cando che «anche i tran­sgen­der sono cit­ta­dini indiani ed è neces­sa­rio garan­tire loro le mede­sime oppor­tu­nità di cre­scita». Le con­se­guenze della sen­tenza, che invita il Governo cen­trale e quelli locali ad ade­guarsi alla novità, si riper­cuo­te­ranno su una serie di aspetti della vita di tutti i giorni: l’opzione «tran­sgen­der» sarà inse­rita nei moduli da com­pilare per i docu­menti d’identità, saranno creati bagni pub­blici a loro riservati e la con­di­zione di “Hijra” verrà tute­lata nelle strut­ture ospe­da­liere nazio­nali con reparti appo­siti, esclu­dendo l’obbligo di sce­gliere tra uno dei due sessi per poter acce­dere alle cure medi­che. Inol­tre, in virtù dell’appartenenza alle Obc, il governo dovrà stan­ziare un deter­mi­nato numero di posti ad hoc nei luo­ghi d’impiego sta­tali, nelle scuole pri­ma­rie e nelle uni­ver­sità, secondo il sistema delle cd. ‘reser­va­tions’, ovvero delle quote riservate dal Governo alle Obc, considerate una sorta di ‘categoria protetta’.

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La sentenza rianima la speranza della battaglia della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) indiana, diretta ad ottenere l’abolizione dell’odioso vecchio ed obsoleto articolo 377 del Codice Penale che vieta il ‘sesso contro natura’ come la sodomia e la fellatio. Rovesciando, infatti, una precedente decisione di una corte inferiore del 2009, lo scorso dicembre la Corte Suprema aveva reintrodotto la disposizione in base alla quale i rapporti tra omosessuali sono illegali. A inizio mese, tuttavia, la stessa Corte ha accet­tato di con­si­de­rare una «sen­tenza ripa­ra­trice» e oggi, con questa sentenza, si spera in un prossimo passo in difesa dei diritti umani nel Paese, di un’evoluzione delle politiche di genere, in accordo con i principi di tolleranza e rispetto. La speranza è, quindi, quella di una futura conquista dei pieni diritti civili da parte della comunità indiana gay lesbo e trans.

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Il governo pensa di mettere il canone Rai nella bolletta elettrica.

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da Corriere della Sera

E alla fine l’idea sarebbe quella di inserire il canone Rai nella bolletta. È questo il provvedimento allo studio del governo per il recupero dell’evasione del canone Rai. Un provvedimento da inserire nel decreto che prevede di restituire 80 euro in busta paga per chi guadagna meno di 1.500 euro al mese e che consentirebbe quindi la copertura di alcune misure già annunciate dal governo. L’introito eventualmente recuperato infatti, stimato intorno ai 600 milioni di euro, andrebbe per metà al Tesoro e per metà alla Rai. In questo modo verrebbero offerte le garanzie necessarie alla Corte dei Conti sul recupero di risorse che andrebbero a finanziare i provvedimenti annunciati. Il piano sarebbe quello di legare il pagamento del canone non più alla detenzione dell’apparecchio, ma al versamento dell’importo della bolletta elettrica. Oppure – e questa sarebbe a quanto risulta la soluzione caldeggiata dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli e da Viale Mazzini – al nucleo familiare.

Risorse
Il recupero potenziale – secondo il dossier allo studio del governo – è di 300 milioni di euro e riguarda il 26,5% dei nuclei familiari (pagano attualmente il canone il 68,7% dei nuclei, pari a 16 milioni e mezzo, con un gettito complessivo di 1,7 miliardi di euro). Il gettito che arriverebbe nelle casse pubbliche sarebbe quindi di 150 milioni. Sul canone speciale, in particolare, si prevede un recupero di 100 milioni di euro. Del tema – secondo quanto riporta oggi Il Fatto Quotidiano – si parlerebbe anche in una lettera inviata da Palazzo Chigi alla Rai. Nella lettera il governo chiederebbe un contributo alla tv pubblica per finanziare i provvedimenti annunciati dal premier Matteo Renzi, pari al 10% del canone, cioè 170 milioni di euro.

PAPA FRANCESCO? SOLO MARKETING, MA È SEMPRE LA VECCHIA CHIESA.

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di Andrea Serpieri

“Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti.” Questo è quanto ha ricordato il Papa nell’udienza ai delegati dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia, voluto da Pio XII in difesa dell’infanzia, all’indomani del II conflitto mondiale.
Per chi aveva voluto vedere nella figura di Francesco un nuovo Papa buono aperto alla modernità, l’udienza della scorsa settimana si è rivelata una grande delusione. Adesso è finalmente evidente a tutti gli italiani ciò che alla popolazione omosessuale del resto del mondo non era sfuggito: ossia, che la precedente apertura ai gay era stata soltanto il frutto di un’interpretazione superficiale, quando non anche sviata appositamente per ragioni legate piuttosto al rilancio dell’oscura immagine di Santa Romana Chiesa. Un’operazione di marketing, in altre parole. Bergoglio, infatti, aveva solo teso una mano ai fratelli che si sono persi per aiutarli a ritrovarsi nel popolo di Dio. Tradotto: gli omosessuali hanno peccato, ma chi sono io per non perdonarli e riaccoglierli (se ravveduti) nella casa del Signore?

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Chi si era illuso in una nuova era del cattolicesimo dovrà definitivamente ricredersi, perché Bergoglio non solo ha tenuto a precisare con chiarezza che le coppie gay non costituiscono una famiglia, ma ha anche bocciato nettamente le iniziative contro l’omofobia nelle scuole. Peraltro, facendo sue le stesse parole tanto di moda tra alcuni gruppi omofobi di espressione cattolica. E con tanto di accusa di nazifascismo e dittatura del pensiero unico! Proprio come usano certi movimenti costituitisi contro il DDL Scalfarotto, come, per esempio, fa il movimento denominato ‘Sentinelle in Piedi’.
Il Papa dovrebbe, però, ricordare che tra le vittime delle dittature del XX secolo ci sono stati anche i gay e che l’accusa di voler imporre a tutti i costi le proprie opinioni è semplicemente ridicola. Qui si parla di diritti civili, non di opinioni. E quanto all’imposizione di un credo, farebbe meglio a ripassare il capitolo di storia sulle crociate contro gli eretici.

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Ad ogni buon conto, vi riportiamo le sue parole:
“Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Ciò comporta al tempo stesso sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico”.
Ma l’attacco del Papa buono non si è limitato solo agli omosessuali. Bergoglio ha anche lanciato i suoi solenni strali contro la Corte Costituzionale, dopo la recente sentenza di incostituzionalità che ha investito il divieto alla fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/04. Un’altra grave ingerenza del Vaticano negli affari di uno Stato (teoricamente) laico, l’Italia. “Ferma opposizione a ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa. Il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia”, è questo quanto ha dichiarato Francesco.
Altro che libero Stato in libera Chiesa! Purtroppo i Patti Lateranensi ci hanno lasciato questa pesante eredità. E se a causa della storica complicità della politica italiana, il capo della Santa Sede si permette ancora oggi una simile ingerenza negli affari interni della nostra Repubblica, ad avere un problema qui non sono solo i gay e le lesbiche, o le coppie sterili, ma tutti i cittadini italiani.

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Fecondazione eterologa, cade il divieto. La Consulta: legge 40 incostituzionale

I giudici bocciano la norma che proibiva il ricorso a un donatore esterno
di Flavia Amabile, da La Stampa, 9 aprile 2014

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La Consulta ha deciso: il divieto di eterologa nella legge 40 è incostituzionale. Ora anche le coppie sterili potranno accedere alla fecondazione. Si tratta dell’ennesimo provvedimento che ridisegna la legge 40 modificandola in una sua parte essenziale rispetto alla formulazione originaria del 2004.

CHE COSA CAMBIA
Da questo momento, quindi, sarà possibile ricorrere a donatori di ovociti e spermatozoi quando uno dei due partner è sterile. Come prima del 2004 sarà lecita l’ovodonazione; mentre qualsiasi uomo fertile potrà donare il proprio seme.

LE ASSOCIAZIONI
«La sentenza di oggi della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto di eterologa previsto dalla legge 40 del 2004 ha valore di legge e non è oppugnabile. Da oggi non potrà mai più essere emanata dal Parlamento una legge che prevede il divieto di fecondazione di tipo eterologa. Tale decisione vale per tutti i cittadini italiani che hanno problemi di sterilità. nessun vuoto normativo, ma con la legge 40 così modificata garanzie per i nati e per le coppie», dichiarano l’ avvocato Filomena Gallo e Gianni Baldini, legali del procedimento di Firenze, i primi a sollevare il dubbio di legittimità costituzionale sull’eterologa, che hanno seguito 17 casi su 29, e rispettivamente segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente dell’università di Firenze. Ma la battaglia contro la legge 40 non è ancora terminata. «Il prossimo obiettivo è quello dell’abolizione del divieto di ricerca sugli embrioni», annuncia Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni.

GOVERNO IN CAMPO
Sembra di diverso avviso il ministro della salute Beatrice Lorenzin: «Una legge svuotata. Richiede un intervento parlamentare», ha detto a margine degli Stati Generali della Salute. «Aspettiamo di poter leggere le motivazioni» della sentenza, che ovviamente recepiamo – ha aggiunto – anche se dobbiamo capire tutte le implicazioni che ne derivano». La ministro ha inoltre osservato che «in Italia non siamo ancora a attrezzati dal punto di vista normativo». Ad esempio per quello che riguarda «l’anonimato di coloro che cedono i gameti», «il diritto dei bimbi che nasceranno ad essere informati di chi sono i loro genitori», «il tipo di le analisi da fare per chi cede i gameti». Queste, per il ministro, «sono materie complesse che non possiamo risolvere con una cosa amministrativa». Pertanto, «è giusto che il parlamento faccia la sua parte e dia delle scelte di fondo su questi temi». Come ministero della Salute, «quello che possiamo fare sul piano parlamentare lo facciamo, quello che richiede una riflessione più profonda, perché la legge 40 è stata del tutto svuotata, necessita di un intervento parlamentare».

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LE REAZIONI DELLA POLITICA
Le resistenze sono ancora tante. E le reazioni alla notizia lo dimostrano. Il mondo cattolico è salito immediatamente sulle barricate. Famiglia Cristiana parla di «fecondazione selvaggia per tutti», di «ultima follia italiana». L’Accademia Pontificia per la Vita manifesta «sconcerto e dispiacere» e teme riflessi sia sulla coppia sia sul nascituro. Anche gli esponenti politici di area cattolica recalcitrano. Per Eugenia Roccella, di Ncd, «si apre una deriva molto pericolosa: cade il diritto di ogni nato a crescere con i genitori naturali», mentre secondo Paola Binetti, dell’Udc, si consuma una «grave attacco alla famiglia». Sel si colloca ovviamente sul fronte opposto. Positivi anche i commenti che arrivano dal Pd, dove però emerge anche la richiesta, avanzata da Maria Spilabotte e Donata Lenzi, di un intervento per aggiornare la normativa nel suo complesso. Un punto, questo, toccato con accenti ben più netti dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «La legge è stata svuotata, serve un intervento del Parlamento. In Italia non siamo ancora a attrezzati dal punto di vista normativo», aggiunge. Ed enumera una serie di nodi: «l’anonimato di coloro che cedono i gameti», «il diritto dei bimbi che nasceranno ad essere informati di chi sono i loro genitori», «il tipo di analisi da fare per chi cede i gameti».

LA CORTE DIVISA
Anche all’interno del collegio di 15 giudici costituzionali, comunque, la decisione non è stata unanime, né facile, a riprova del fatto che il tema è complesso. I rumors dicono che al momento di andare ai voti, il sì all’eterologa ha trovato una maggioranza risicata. Alla conta il risultato sarebbe stato 8 a 7, e questo segnala una spaccatura. Ma la Corte è un organo collegiale e conta la decisione conclusiva, una «decisione coraggiosa», secondo molti osservatori, che «fa cadere una discriminazione», sottolineano i legali delle coppie e le organizzazioni che le rappresentano, come le associazioni Luca Coscioni e Sos Infertilità, perché mette fine alla distinzione tra coppie di serie A e coppie di serie B. Le motivazioni della sentenza spiegheranno nel dettaglio perché la Corte ha deciso in questa direzione. Ma certamente il cardine della decisione è la difesa del diritto di uguaglianza.

Fonte: La Stampa

Le riforme pericolose

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di Stefano Rodotà, da Repubblica, 8 aprile 2014


Ho scoperto in questi giorni di detenere da anni un potere immenso. Faccio parte di un “manipolo di professoroni” (così veniamo graziosamente apostrofati) che è riuscito nell’impresa di sconfiggere le velleità riformatrici di Craxi e Cossiga, di D’Alema e Berlusconi, e oggi intralcia di nuovo ogni innovazione. Usiamo un’arma impropria – “la Costituzione più bella del mondo” – per terrorizzare politici pavidi e cittadini timorati.

So bene che al grottesco, alla mancanza di senso delle proporzioni, all’assenza di informazioni accurate è difficile porre ragionevoli limiti. Ma qualche chiarimento può essere utile, per evitare che venga inquinata una discussione che si vorrebbe seria. Comincio proprio da quel riferimento alla Costituzione più bella del mondo, che viene usato con toni di dileggio e per accusare di testardaggine conservatrice chi critica questa o quella proposta di riforma, o meglio i tentativi di stravolgimento del testo costituzionale. Ora, quelle parole vengono da una fantasiosa uscita di Roberto Benigni, ma non sono mai state la bandiera di chi ha riflettuto sulla Costituzione con la guida di Costantino Mortati e Carlo Esposito, di Massimo Severo Giannini e Leopoldo Elia. Ed è falso che vi sia stato un irragionevole arroccamento intorno all’intoccabilità della Costituzione. È notissimo, invece, che si è insistito sull’obbligo di rispettarne principi e diritti, mentre si avanzavano proposte per una “buona manutenzione” della sua seconda parte. Mi limito a ricordare solo quello che io stesso e molti altri suggerimmo quando il governo Letta si imbarcò nella rischiosa, e fallita, impresa di modificare l’articolo sulla revisione costituzionale. Si disse che sarebbe stato opportuno cominciare subito, senza forzare quell’articolo, dai punti sui quali già si era formato un largo consenso – dunque dalla riduzione del numero dei parlamentari e dal superamento del bicameralismo perfetto, per il quale esistevano proposte ragionevoli, ben lontane da quelle sgrammaticate che circolano in questi giorni. Se quel suggerimento fosse stato seguito, oggi molto probabilmente già avremmo portato a compimento questa significativa riforma.

Facendo una veloce ricerca in rete, non sarebbe stato difficile trovare le molte riforme proposte anche dal mondo di chi critica le riforme costituzionali della fase cominciata con il governo Letta. Invece, tutta l’acribia filologica è stata impiegata per cogliere in flagrante peccato di contraddizione il noto Rodotà, reo di aver firmato nel 1985 una proposta di riforma in senso monocamerale. Purtroppo il ricorso a questo argomento è, all’opposto, la prova evidente di quanto profonda sia ormai la regressione culturale nella quale sono caduti molti che intervengono nella discussione pubblica. Quella proposta veniva fatta in un tempo in cui il sistema elettorale era quello proporzionale, i deputati erano scelti con il voto di preferenza, i regolamenti parlamentari rispettavano i diritti delle minoranze, non prevedevano “ghigliottine”, costrittivi contingentamenti dei tempi, limiti alla presentazione degli emendamenti. Erano i tempi in cui l’ostruzionismo della sinistra fece cadere in prima battuta il decreto con il quale Craxi tagliava i punti di contingenza e il Parlamento svolgeva grandi inchieste come quella sulla loggia P2.

Quella proposta (n. 2452 della IX legislatura) era stata scritta da un costituzionalista di valore come Gianni Ferrara e andava nella direzione assolutamente opposta rispetto alla linea attuale. Voleva riaffermare nella sua pienezza la funzione rappresentativa del sistema parlamentare, assicurata da una forte Camera dei deputati che garantiva gli equilibri costituzionali e si opponeva alle emergenti derive autoritarie, alla concentrazione del potere nel governo. Nasceva dall’idea della centralità del Parlamento, rispondeva all’ineludibile diritto dei cittadini di essere rappresentati, che è alla base della sentenza con la quale quest’anno la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del Porcellum. Oggi, invece, l’Italicum deprime la rappresentanza, le proposte relative al Senato sono un pasticcio, e tutto confluisce in un sostanziale antiparlamentarismo, alimentato da artifici ipermaggioritari che fanno correre il rischio di una nuova dichiarazione di incostituzionalità.

Chi cerca proposte sulla riforma del Senato, com’è giusto che sia, può attingerne alla bella intervista su questo giornale di Gustavo Zagrebelsky o al disegno di legge presentato dai senatori Walter Tocci e Vannino Chiti, entrambi del Pd. La verità è che non sono le proposte ad essere mancate. Non si vuol riconoscere che da anni si fronteggiano due linee di riforma costituzionale, una neoautoritaria e una volta a mantenere ferma la logica democratica della Costituzione, senza ignorare i punti dove le modifiche sono necessarie. Ora il confronto è giunto ad un punto critico, ed è bene che tutti ne siano consapevoli.

Chi sinceramente vuole una Costituzione all’altezza dei tempi, e delle nuove domande dei cittadini, non deve cercare consensi con appelli populisti. Deve essere consapevole della necessità di ricostruire le garanzie e gli equilibri costituzionali alterati dal passaggio ad un sistema già sostanzialmente maggioritario. Deve riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, abbandonando la logica che riduce le elezioni a investitura di un governo che risponderà ai cittadini solo cinque anni dopo, alle successive elezioni. Ricordate la critica estrema di Rousseau? “Il popolo inglese ritiene di essere libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento. Appena quelli sono eletti, esso è schiavo, non è nulla”. Rousseau è lontano, è impossibile ridurre i cittadini al silenzio tra una elezione e l’altra, perché troppi sono ormai gli strumenti per prendere la parola. Se si vuole sfuggire alla suggestione che la Rete sia tutto, alle ingannevoli contrapposizioni tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, bisogna lavorare per creare le condizioni costituzionali perché queste due dimensioni possano essere integrate, come già cerca di fare il Trattato europeo di Lisbona. Le proposte non mancano, a partire da quelle sulle leggi d’iniziativa popolare (ne parlo dal 1997, e ora sono arrivate in Parlamento).

Le semplificazioni autoritarie sono ingannevoli, la concentrazioni del potere nelle mani del solo governo, o di una sola persona, produce l’illusione dell’efficienza e il rischio della riduzione della democrazia. Si sta creando una pericolosa congiunzione tra disincanto democratico e pulsioni populiste. Vogliamo parlarne, prima che sia troppo tardi, e agire di conseguenza?

Fonte: MicroMega