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Pillole di Jobs Act. Il contratto di lavoro a tempo determinato senza causale

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di Germano De Sanctis

Premessa.

Il decreto legge varato nel corso del Consiglio dei Ministri del 12 marzo scorso ha apportato significative modifiche al contratto di lavoro a tempo determinato, suscitando numerose polemiche provenienti, sia dal fronte sindacale, che da quello degli studiosi del diritto.

Pertanto, il Governo è nuovamente intervenuto sul disegno di decreto legge in questione, rettificando quanto già annunciato dopo il citato Consiglio dei Ministri, al fine di assicurare forme di tutela più consistenti per i lavoratori interessati.

Pertanto, sarà bene esaminare la “nuova ed ulteriore” forma giuridica assunta da contratto di lavoro a tempo determinato nell’arco di così pochi giorni.

Il primo contratto a causale.

Prima di quest’ultima novella, era possibile sottoscrivere un contratto di lavoro a tempo determinato senza causale soltanto a condizione che esso non durasse più di dodici mesi e che esso fosse il primo contratto stipulato tra le parti contraenti (cfr., art. 1, comma 1-bis, lett. a), D.Lgs. n. 368/2001). L’assenza di una causale nel contratto in questione consiste nella possibilità riconosciuta in capo al datore di lavoro di non specificare le motivazioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che lo inducono ad apporre un termine al rapporto. Orbene, tale limite di dodici mesi è stato elevato a trentasei mesi, facendo, in tal modo, coincidere l’assenza di causale con la durata massima di tre anni del contratto di lavoro a tempo determinato prevista dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001.

È bene sottolineare che il  Governo ha ritenuto opportuno optare per tale scelta, in quanto è stato riscontrato che la causale costituisce il motivo principale della maggior parte dei contenziosi esistenti in materia di lavoro a tempo determinato.

Chiaramente, l’elevazione del tetto a trentasei mesi continua ad interessare esclusivamente il primo contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra il datore di lavoro ed il lavoratore interessato.

Di conseguenza, nel caso in cui il primo contratto abbia una durata inferiore a trentasei mesi, è sempre possibile prorogarlo fino a tale limite, ma, a questo punto, il datore di lavoro non è più agevolato dalla “acausalità” del rapporto di lavoro e deve necessariamente specificare le “ragioni oggettive” sottese all’estensione contrattuale.

Il numero massimo delle proroghe

Inoltre, il Governo ha, in un primo momento, privilegiato la possibilità di prorogare più volte il contratto di lavoro a tempo determinato entro il limite di tre anni, purché ne sussistano “ragioni oggettive” e faccia riferimento alla medesima attività lavorativa.

La decisione iniziale di non prevedere una durata minima ai contratti di lavoro a tempo determinato che si sarebbero succeduti nell’arco del triennio, avrebbe potuto comportare un frazionamento intollerabile per i lavoratori.

Infatti, qualche commentatore ha subito evidenziato che, per assurdo, se un datore di lavoro avesse voluto stipulare soltanto contratti di durata settimanale, il lavoratore interessato sarebbe stato oggetto di ben 156(!) assunzioni consecutive nell’arco di trentasei mesi.

A fronte di questi rilievi, è intervenuta una nota del Ministero del Lavoro, la quale ha chiarito che è prevista la possibilità di prorogare fino ad un massimo di otto volte il contratto a tempo determinato entro il limite dei tre anni. Inoltre, la nota ministeriale ha specificato che le proroghe in questione sono ammissibili a condizione che esse si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. In altri termini, i contratti di lavoro a tempo determinato intercorrenti tra un lavoratore ed un datore di lavoro nell’arco di trentasei mesi, non possono avere una durata inferiore a quattro mesi e mezzo ciascuno.

La correzione apportata permette di tutelare il lavoratore a tempo determinato che ha concluso il suo rapporto di lavoro, attraverso il ricorso al nuovo sussidio di disoccupazione universale (la c.d. NASPI). Infatti, tale nuova assicurazione, pur prevedendo un enorme ampliamento della platea dei suoi beneficiari rispetto agli attuali ammortizzatori sociali, dovrebbe essere comunque essere corrisposta a favore di coloro che hanno terminato un rapporto di lavoro durato almeno tre mesi. Pertanto, i lavoratori a tempo determinato, avendo il riconoscimento giuridico di almeno quattro mesi e mezzo di lavoro consecutivi, saranno tutelati con un sostegno al loro reddito.

L’eliminazione delle pause lavorative tra un contratto e l’altro.

In aggiunta a quanto finora esaminato, bisogna sottolineare il fatto che il decreto legge in questione ha abrogato anche la previsione normativa che prevedeva la pausa di dieci giorni o venti giorni tra un contratto di lavoro a tempo determinato e l’altro, a seconda del fatto che il contratto concluso avesse avuto una durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi (cfr., art. 5, comma 3 D.Lgs. n. 368/2001).

Pertanto, dato che la durata massima del contratto di lavoro a tempo determinato resta fissata in trentasei mesi (superati i quali, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo indeterminato) e che fra un contratto e l’altro non esiste più l’obbligo di una pausa di dieci o venti giorni, ne consegue che, nel rispetto del citato tetto massimo di otto proroghe (mentre, lo ricordiamo, la Legge n. 92/2012 ne prevedeva una sola), i rinnovi possono essere uno successivo all’altro, senza alcuna interruzione dell’attività lavorativa.

Il limite nell’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato.

Infine, il decreto legge in questione ha introdotto un limite massimo all’utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato presso ciascun datore di lavoro. Infatti, i lavoratori a tempo determinato non possono eccedere la quota del 20% dell’organico complessivo del datore di lavoro.

Con la nota ministeriale, si evidenzia che il decreto legge fa, comunque, salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, D.lgs. n. 368/2001, il quale, da un lato riconosce alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo e, dall’altro, tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità.

Sempre relativamente al tetto massimo in questione, la nota ministeriale ha volto la sua attenzione nei confronti delle realtà imprenditoriali più piccole ed ha previsto che le imprese che occupano fino a cinque dipendenti possono comunque stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato con un solo lavoratore.

La permanenza di varie criticità.

L’esame della novella dell’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato evidenzia un numero pari di luci ed ombre.

Infatti, da un lato, appare evidente la volontà di rendere appetibile una forma contrattuale che, pur costituendo una forma di precariato, è comunque in grado di garantire, sebbene per un limitato lasso temporale, le medesime tutele retributive e contributive dei lavoratori subordinati ex art. 2094 c.c.. Infatti, appare evidente il ragionamento svolto dal legislatore, basato sulla convinzione che, eliminando alcuni dei vincoli burocratici introdotti dalla Legge, n. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”), sarà possibile aumentare il numero delle assunzioni di lavoratori subordinati.

Dall’altro lato, si deve riscontrare l’introduzione di fatto di un periodo di prova della durata di tre anni, durante il quale è possibile il licenziamento del lavoratore senza preavviso, essendo i lavoratori a tempo determinato protetti dalla normativa in materia di licenziamento soltanto durante la vigenza del rapporto contrattuale. Si ricorda che tale limitazione era compensata dall’abrogata (con il presente decreto legge) previsione contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001 di poter stipulare al massimo due rinnovi dello medesimo contratto con lo stesso datore di lavoro nell’arco di un triennio. Invece, si potrebbe assumere un lavoratore con contratti della durata anche di soli quattro mesi e mezzo, comportando la possibilità di ben otto assunzioni consecutive nell’ambito dei tre anni di durata massima del rapporto di lavoro a tempo determinato.

In altri termini, si corre il rischio che una novella introdotta per favorire l’occupazione possa essere utilizzata in maniera distorta ed eversiva, comportando un’ulteriore accentuazione del dualismo esistente tra contratti di lavoro a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato.

Non resta che aspettare l’evoluzione che avrà la novella in questione in sede di conversione del decreto legge in legge, auspicando che il Parlamento intervenga nei punti maggiormente “critici”, garantendo un equo contemperamento tra le esigenze di tutela dei lavoratori e le necessità produttive dei datori di lavoro.

Una prima analisi del contenuto del Jobs Act.

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di Germano De Sanctis

Dopo tanta attesa, è stato finalmente reso noto il contenuto del Jobs Act. A sorpresa, il Governoha abbandonato l’idea di riformare il mercato del lavoro a colpi di decreto legge ed ha scelto una strada diversa. Infatti, il Consiglio dei Ministri del 12 marzo ha licenziato un disegno di legge delega al Governo, avente ad oggetto unaa riforma del mercato del lavoro, che demolisce l’intero impianto normativo delineato dalla c.d. legge Fornero.

In particolare ildisegno di legge delega prevede il conferimento in capo al Governo di specifiche deleghe finalizzate all’introduzione di misure aventi ad oggetto la riforma della disciplina degli ammortizzatori sociali, la riforma dei servizi per il lavoro e le politiche attive, la semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, il riordino delle forme contrattuali, il miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita.

Contestualmente, il Consiglio dei Ministri ha anche varato anche un decreto legge avente ad oggetto alcuni interventi di semplificazione sul contratto a tempo determinato e sul contratto di apprendistato, finalizzati a renderli più coerenti con le esigenze attuali del contesto occupazionale e produttivo.

Non bisogna dimenticare, che l’intero pacchetto varato dal Consiglio dei Ministri deve essere “messo a sistema”, con la c.d. “Garanzia Giovani”, che dovrebbe partire il 30 marzo p.v. e che interesserà i giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni, non occupati e non coinvolti in alcun percorso formativo o d’istruzione. Si tratta di un programma comunitario del valore di 1,5 miliardi di euro che durerà fino alla fine del 2015. Lo scopo di tale iniziativa comunitaria consiste nell’offrire ai giovani interessati un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, di apprendistato, di tirocinio o di altra misura di formazione, entro quattro mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione.

Appare evidente come la scelta di affidare gran parte delle riforme in questione ad un disegno di legge delega diluisca, nel tempo, l’impatto sul mercato del lavoro dell’attività riformatrice, in quanto bisognerà attendere, in primo luogo, l’approvazione del disegno di legge in questione da parte del Parlamento, e successivamente l’attuazione governativa della delega concessa attraverso l’emanazione di uno o più decreti legislativi

Fatta questa premessa, esaminiamo meglio, nel dettaglio, le novita contenute nei due citati provvedimenti, raggruppando gli argomenti per aree tematiche.

Il contratto di lavoro a tempo determinato.

Per il contratto a tempo determinato viene prevista l’elevazione da 12 a 36 mesi della durata del primo rapporto di lavoro a tempo determinato, per il quale non è richiesto il requisito della c.d. causalità.

Al fine di mantenere in equilibrio il sistema delle tutele, viene fissato un tetto massimo per i contratti di lavoro a tempo determinato, pari al 20% del totale dei dipendenti del datore di lavoro.

Inoltre, si prevede la possibilità di prorogare anche più volte il contratto di lavoro a tempo determinato, ovviamente entro il limite dei tre anni, sempre che sussistano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa.

Tale novella legislativa avrà un enorme impatto sul mercato del lavoro, in quanto il contratto di lavoro a tempo determinato interessa attualmente il 58% dei lavoratori italiani.

Il contratto di apprendistato.

Per il contratto di apprendistato, si prevede l’obbligo della forma scritta per il solo contratto e per il patto di prova, e non, come ora previsto, anche per il relativo piano formativo individuale.

Inoltre, sono state eliminate le vigenti previsioni, in virtù delle quali l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla trasformazione in lavoratori subordinati dei precedenti apprendisti al termine del percorso formativo.

Si è anche previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale dinquadramento.

Scompare l’obbligo in capo al datore di lavoro dintegrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.

In altri termini, il decreto legge in questione, prova a rendere più appetibile il contratto di apprendistato, il quale attualmente interessa soltanto il 10% dei rapporti di lavoro in essere.

La smaterializzazione del DURC.

Viene previsto uno specifico intervento di semplificazione amministrativo, avente ad oggeto la smaterializzazione del DURC.

L’intento è di superare l’attuale sistema che impone ripetuti adempimenti burocratici alle imprese.

Secondo le stime del Governo, il provvedimento in questione avrà un impatto di grande rilevanza, tenendo conto del fatto che, nel corso dell’anno 2013. sono stati presentati circa 5 milioni di DURC.

Le delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali.

Tale delega persegue lo scopo di assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, prevedendo, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale.

Questo nuovo sistema dovrebbe essere in grado di garantire il coinvolgimento attivo di tutti coloro che sono stati espulsi dal mercato del lavoro, o che risultino essere beneficiari di ammortizzatori sociali.

Inoltre, l’intero riformatore dovrà semplificare le procedure amministrative e dovrà ridurre gli oneri non salariali del lavoro.

Per raggiungere tutti questi obiettivi, la delegaha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali, escludendo i casi di cessazione aziendale;

  2. semplificare le procedure burocratiche anche con la introduzione di meccanismi automatici di concessione;

  3. prevedere che l’accesso alla cassa integrazione possa avvenire solo a seguito di esaurimento di altre possibilità di riduzione dell’orario di lavoro;

  4. rivedere i limiti di durata, da legare ai singoli lavoratori;

  5. prevedere una maggiore compartecipazione ai costi da parte delle imprese utilizzatrici;

  6. prevedere una riduzione degli oneri contributivi ordinari e la loro rimodulazione tra i diversi settori in funzione dell’effettivo utilizzo;

  7. rimodulare l’ASPI, omogeneizzando tra loro la disciplina ordinaria e quella breve;

  8. incrementare la durata massima dell’ASPI per i lavoratori con carriere contributive più significative;

  9. estendere l’applicazione dell’ASPI ai lavoratori con contratti di collaborazione a progetto, prevedendo, in una fase iniziale, un periodo biennale di sperimentazione a risorse definite;

  10. introdurre massimali correlati alla contribuzione figurativa;

  11. valutare la possibilità che, dopo l’ASPI, possa essere riconosciuta un’ulteriore prestazione in favore di soggetti con indicatore ISEE particolarmente ridotto;

  12. eliminare la previsione normativa che impone lo stato di disoccupazione come requisito per l’accesso alle prestazioni di carattere assistenziale.

Nell’esercizio di tale delega dovranno essere individuati i meccanismi necessari per assicurare il coinvolgimento attivo del soggetto beneficiario di prestazioni di integrazione salariale, ovvero di misure di sostegno in caso di disoccupazione, al fine di favorirne lo svolgimento di attività in favore della comunità locale di appartenenza.

La delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive.

La delega in questione intende garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché vuole assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione degli incentivi all’assunzione già esistenti, i quali dovranno essere collegati a specifiche caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione;

  2. razionalizzazione degli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità;

  3. istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un’Agenzia Nazionale per l’Impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province Autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tale Agenzia avrebbe l’attribuzione di compiti gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASPI e si connoterebbe anche per il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Sono, altresì, previsti meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’INPS, sia a livello centrale, che a livello territoriale, così come sono previsti ulteriori meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli Enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità. Il ruolo di tale Agenzia potrebbe essere molto interessante nell’ambito della poc’anzi citata “Garanzia Giovani”;

  4. razionalizzazione degli enti e delle strutture, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego, allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa;

  5. rafforzamento e valorizzazione dell’integrazione pubblico/privato, al fine di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;

  6. conferma del ruolo svolto dal Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale;

  7. conferma delle competenze delle Regioni e delle Province Autonome in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro;

  8. promozione di azioni volte al coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro;

  9. valorizzazione del sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e del monitoraggio delle prestazioni erogate.

La delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti.

Questa specifica delega intendeperseguire la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico ed amministrativo;

  2. eliminazione e semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, delle disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;

  3. unificazione delle comunicazioni alle Pubbliche Amministrazioni per i medesimi eventi (ad es., gli infortuni sul lavoro), ponendo a carico delle stesse Amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;

  4. promozione delle comunicazioni in via telematica ed abolizione dell‘obbligo di tenuta di documenti cartacei;

  5. revisione delsistema sanzionatorio, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e che favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo);

  6. individuazione delle modalità organizzative e gestionali capaci di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;

  7. revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino.

La delega al Governo in materia di riordino delle forme contrattuali.

Lo scopo di tale delega consiste nella volontà di rafforzare le opportunità dingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. individuazione ed analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, al fine di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali;

  2. redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che preveda anche l’introduzione, eventualmente in forma sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti;

  3. introduzione, eventualmente anche in forma sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali;

  4. abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando le eventuali duplicazioni normative e difficoltà interpretative ed applicative.

La delega al Governo in materia di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze genitoriali.

Tale delega vuole garante una effettiva conciliazione tra i tempi di vita ed i tempi di lavoro dei genitori. In particolare, il Governo vorrebbe raggiungere l’obiettivo di garantire alle donne un sistema di conciliazione tale da non costringerle a scegliere fra l’accudimento dei figli e la permanenza nel mondo del lavoro.

A tal fine, la delega ha individuato i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. introduzione di un’indennità di maternità a carattere universale, la quale, pertanto, interesserà anche le lavoratrici che versano i propri contributi alla gestione separata;

  2. garantire il diritto alla prestazione assistenziale a favore delle lavoratrici madri parasubordinate, anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;

  3. abolizione della detrazione per il coniuge a carico ed introduzione del c.d. tax credit, inteso quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare;

  4. incentivazione degli accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e l’impiego di premi di produttività, per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti;

  5. integrazione dell’offerta di servizi per la prima infanzia forniti dalle imprese nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione del loro utilizzo ottimale da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi.

E voi che ne pensate?

LA CONTROPROPOSTA DI CGIL

Italicum, parla il giurista Azzariti: “Troppa continuità col Porcellum, la costituzionalità è a rischio”

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Fonte: MicroMega

“Su premio e preferenze la sentenza della Corte non è stata rispettata. Manca equilibrio tra rappresentanza e governabilità, l’Italicum è tutto sbilanciato su quest’ultima”. Intervista al giurista Gaetano Azzariti.

di Liana Milella, da Repubblica, 12 marzo 2014

Una legge costituzionale? «La definirei ad alto rischio». Interverrà la Consulta? «Non mancherà l’occasione». Donne non garantite? «Chi ha scritto l’Italicum non ha studiato bene la Costituzione». Il Senato escluso? «L’irrazionalità al potere». Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, è critico sulla riforma e dice: «Sono molto preoccupato».

Voto sofferto alla Camera. Che ne pensa?

«Mi sembra che proseguano tutte le difficoltà che hanno caratterizzato l’ultimo biennio di travagliato dibattito sul sistema elettorale. Non mi stupisce, apparendomi l’Italicun in assoluta continuità con il Porcellum».

Beh…non è per niente un buon viatico.

«Se prendiamo in esame i tratti che caratterizzano la legge, non possiamo che constatare la continuità: un premio di maggioranza che pur avendo una soglia rimane abnorme; le liste pur sempre bloccate; la possibile pluricandidabilità nei collegi dei candidati; l’assenza di ogni norma riequilibratrice tra i sessi; la previsione di una quantità irrazionale di soglie di accesso ».

L’Italicum rischia, come il Porcellum, lo stop della Consulta?

«Mi limito a osservare che non mi sembrano rispettati i principi della sentenza della Corte pur fresca di due mesi».

Premio e preferenze, dove inciampadi più?

«Su entrambi. Quanto al premio, la Corte ha scritto che si deve evitare “l’alterazione profonda della rappresentanza democratica”, ossia del necessario equilibrio tra rappresentanza e governabilità. L’Italicum invece è tutto sbilanciato su quest’ultima. Quanto alle liste, la Corte impone il concorso dei cittadini alla scelta dei propri rappresentanti, che l’Italicum impedisce con il ricorso alle liste bloccate e con la ripartizione pluricircoscrizionale dei seggi».

Le preferenze non sono passate per 35 voti. Non è il segnale che molti avvertono questa grave lacuna?

«Tutta la discussione sulla riforma è segnata da un forte malessere, in particolare nel Pd, in cui la disciplina di partito non riesce ad arginare evidenti dissensi di fondo. Non credo che la colpa sia solo del voto segreto, ma viceversa che nel segreto del voto dilaghi un dissenso manifesto».

Una riforma solo per la Camera è una grave anomalia?

«È espressione di un’azione politica che giudico spericolata perché introduce un elemento di irrazionalità rispetto agli stessi scopidi chi sponsorizza la legge».

Prevede conseguenze negative?

«Andare alle elezioni con due sistemi così diversi tra Camera e Senato finirebbe per porre nel nulla le pretese di governabilità messe a fondamento dell’intera revisione della legge elettorale. Avremmo una sicura governabilità alla Camera e una certa assenza di possibile maggioranza al Senato. La “scommessa” della sua abolizione, a oggi, non può essere data per scontata. Ciò renderebbe difficile, se non impossibile, andare ad elezioni limitando in modo rilevante un potere del capo dello Stato».

Fino a spingerlo a non firmare la legge?

«È Napolitano che, dopo l’accordo, ha dichiarato che si sarebbe riservato di svolgere un attento esame in fase di promulgazione».

ITALICUM

La nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati è un sistema proporzionale con premio di governabilità che assicuri la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Per ottenere il premio di maggioranza sarà necessario superare la soglia del 37% dei voti. Il premio è fissato al massimo al 15%, in modo da permettere al vincitore di raggiungere (senza superare) il tetto dei 340 seggi, pari, cioè, al 55%.

MDS

Piano casa, da fondo affitti a cedolare al 10%

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Fonte: ANSA

Arriva il decreto da 1,6 miliardi. Stretta sulle occupazioni abusive

ROMA – Meno tasse sugli affitti a canone concordato, abitazioni a riscatto, forti stimoli all’edilizia sociale, finanziamenti per le ristrutturazioni, fondo affitti, agenzie per la casa: approda sul tavolo del Consiglio dei ministri il piano casa da 1,6 miliardi di interventi messo a punto dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, la cui ossatura era già definita ma che ha preso ora una forma compiuta nel decreto legge che dovrà essere varato in giornata. Ecco, in sintesi, i punti principali del provvedimento che si muove su alcuni cardini principali: agevolare gli affitti, facilitare l’acquisto e stimolare l’edilizia sociale.

– Fondo affitti e morosità incolpevole: lo stanziamento per il Fondo nazionale per l’accesso alle abitazioni passa da 100 a 200 milioni di euro (100 quest’anno e 100 per il 2015); il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli aumenta tra il 2014 e il 2020 di 241, 4 milioni di euro (19,6 mln quest’anno).

– Affitti agevolati: i comuni e le regioni potranno attivare agenzie che dovranno favorire il reperimento di alloggi da offrire a canone concordato e favorire l’incontro tra domanda e offerta anche fornendo garanzie ai proprietari che affitteranno; scende al 10%, ma limitatamente al quadriennio 2014-2017 la cedolare secca per chi vorrà affittare a canone concordato. Restano inoltre in vigore le procedure di sfratto per morosità. Saranno infine previste detrazioni per gli inquilini di alloggi sociali, pari a 900 euro per i redditi sotto i 15.500 euro che si dimezzano a 450 euro per quelli invece sotto i 31.000 euro l’anno.

– Case occupate abusivamente: stretta su questo punto con l’impossibilità per chi occupa abusivamente un immobile non possa chiedere né la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi.

– Acquisto di immobili: il piano prevede la conclusione di accordi con regioni ed enti locali per l’alienazione a favore degli inquilini degli immobili ex Iacp; il ricavato sarà destinato a realizzare nuovi alloggi e a conservare gli esistenti. Fino ad un massimo di 18,9 mln anno dal 2015 al 2020 la dotazione del fondo che dovrà agevolare i finanziamenti per gli acquisti. Nel decreto anche la norma che consente di utilizzare fino a 10 mila euro di detrazioni per l’acquisto di mobili anche se le spese per le ristrutturazioni agevolate sono state di importo inferiore.

– Case a riscatto: per agevolare l’accesso alla proprietà, si prevede che il conduttore possa imputare in tutto o in parte fino alla data del riscatto i canoni di locazione in conto del prezzo di futuro acquisto dell’alloggio sociale. Il riscatto è possibile dopo 7 anni di locazione.

– Stimoli all’edilizia sociale: si prevede di aumentare l’offerta attraverso interventi di ristrutturazione ma anche di sostituzione del patrimonio e cambi di destinazione d’uso anche senza opere.

Funzione ispettiva: una campagna mediatica ai danni dei cittadini

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Di fronte a quanto sta accadendo in seguito al tragico evento di Casalnuovo e alla campagna mediatica contro la funzione esercitata dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Napoli non si può restare indifferenti. Il caso, lo ricorderete perché anche noi abbiamo riportato la notizia, è quello del panettiere Eduardo de Falco, suicidatosi in provincia di Napoli dopo la notifica di una sanzione di duemila euro proveniente dagli Uffici della DTL partenopea.
L’attività degli ispettori del lavoro della Direzione Territoriale di Napoli è ad oggi sospesa per la grave situazione di tensione creatasi dopo il tragico episodio. I sindacati dei 90 ispettori, che coprono il territorio della provincia di Napoli, hanno, infatti, indetto lo stato di agitazione, che comporta lo stop alle ispezioni sui luoghi di lavoro. Non sappiamo come potremo operare in futuro – ha detto ai giornalisti il Segretario Generale del Ministero del Lavoro, Paolo Pennesi, inviato a Napoli dal Ministro Poletti – non ho risposte in tasca. Certo – ha aggiunto – non potremo continuare ad operare come abbiamo fatto finora, perché oggi non siamo in una situazione di normalità.

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Al Ministero, i dipendenti della DTL hanno chiesto sostegno, dopo le dure critiche rivolte agli Ispettori del lavoro. E sostegno giunge anche dai vertici dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. In un comunicato stampa, l’INPS denuncia la violenta campagna mediatica tesa a denigrare l’operato di alcuni Ispettori del Lavoro della DTL di Napoli, “colpevoli”, secondo talune dichiarazioni riportate a mezzo stampa e da manifesti cittadini, di aver adempiuto con zelo ai loro compiti istituzionali.
Non è solo la funzione ispettiva del Ministero del Lavoro ad essere nel mirino. Anche INPS e INAIL sono stati chiamati in causa. E anche per questo recentemente, in una lettera aperta, il Direttore Generale dell’INAIL si è associato alle espressioni di solidarietà che il Ministro Poletti ha indirizzato ai suoi Funzionari di Vigilanza, riconoscendo ad essi un grande senso di responsabilità e del dovere, pur in presenza di un disagio economico e sociale che rende ancor più difficile l’assolvimento della funzione.
Stiamo assistendo, in effetti, ad un vero e proprio tiro al bersaglio nei confronti del personale dei Ministeri e degli Enti Pubblici che assolvono alla funzione ispettiva di vigilanza sui luoghi di lavoro, tenuti ad applicare le leggi di questo Stato senza alcun potere discrezionale.

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Quanto accaduto a Casalnuovo rappresenta un drammatico segnale del disagio sociale vissuto nel nostro Paese, ma i mezzi di comunicazione e alcuni movimenti politici preferiscono alimentare il clima di tensione attraverso una grave confusione informativa anziché aiutare a fare chiarezza.
L’esigenza di avere una diversa legislazione in materia di lavoro, che tenga conto della grave situazione imprenditoriale ed economica che attraversa il nostro Paese, è condivisa anche dagli addetti ai lavori ma, purtroppo, si deve prendere atto che il Legislatore sembra avere difficoltà a trovare soluzioni normative concrete in grado di risolvere gli attuali problemi. È, però, indispensabile – come si legge nella richiamata nota dell’INPS – chiarire all’opinione pubblica, al fine di evitare le tante vergognose strumentalizzazioni in atto, che gli Ispettori hanno l’obbligo di applicare le leggi e non certo di interpretarle. Compito che svolgono quotidianamente in contesti territoriali difficili, in condizioni di grave disagio e di persistente impatto con una diffusa criminalità. La loro è una impari lotta (per l’assenza di mezzi e risorse economiche dovute ai tagli perpetrati in tutti questi anni dai Governi fin qui succedutisi) contro il lavoro nero, l’evasione e l’elusione contributiva, il fenomeno delle “morti bianche”.

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A prescindere da quanto abbiamo letto e sentito nelle ultime settimane e nel massimo rispetto per la famiglia dell’imprenditore defunto, anch’io, che sono un semplice cittadino come voi, ritengo necessario ribadire che se la funzione ispettiva assolve esclusivamente ad obblighi di legge, gli ispettori del lavoro e di vigilanza non intraprendono battaglie personali contro i datori di lavoro, ma, semplicemente, fanno il proprio dovere. Vi sentireste mai colpevoli di fare il vostro lavoro? Cosa dovrebbe fare un funzionario di vigilanza di fronte ad una violazione? Guardare dall’altra parte? Non vi lamentereste piuttosto del contrario se gli ispettori non facessero il loro lavoro, pur percependo uno stipendio pagato con soldi pubblici. Cosa devono fare allora: lavorare o essere fannulloni? Perché se devono lavorare ricordiamoci sempre che quel tipo di lavoro comporta ispezioni e sanzioni, della cui riscossione siamo noi cittadini i primi beneficiari. E siamo quindi noi le prime vittime di questa campagna mediatica contro la funzione ispettiva. Allora, fannulloni o efficienti? Come li vuoi i tuoi funzionari? Italia, deciditi!

LA RIPRESINA…

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RIFINANZIATI GLI INCENTIVI PER L’AUTOIMPIEGO E L’AUTOIMPRENDITORIALITA’ GESTITI DA INVITALIA

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La legge che agevola l’Autoimpiego (D.L. n. 185/2000 – Titolo II) costituisce il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all’avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione.

Avvisiamo chiunque fosse interessato che sono stati rifinanziati con 80 milioni di euro gli incentivi per l’Autoimpiego e l’Autoimprenditorialità gestiti ai sensi del D.L. 185/00 da Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione d’investimenti e lo sviluppo d’impresa SpA già Sviluppo Italia. E’ possibile, pertanto, presentare nuove domande di ammissione alle agevolazioni per iniziative da realizzarsi esclusivamente nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia: la sede legale, operativa ed amministrativa deve essere ubicata in una di queste regioni. La misura sostiene la realizzazione e l’avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione, mediante la concessione di agevolazioni finanziarie (contributo a fondo perduto e mutuo a tasso agevolato) e di servizi di assistenza tecnica per tre tipologie di iniziative:

Lavoro Autonomo (in forma di ditta individuale), con investimenti complessivi previsti fino a € 25.823

Microimpresa (in forma di società), con investimenti complessivi previsti fino € 129.114

Franchising (in forma di ditta individuale o di società), da realizzare con Franchisor accreditati con Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione d’investimenti e lo sviluppo d’impresa.

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Per accedere alle agevolazioni occorre presentare una domanda on line che contenga una illustrazione del piano d’impresa, ai fini di evidenziare la coerenza tra il profilo del soggetto promotore e l’iniziativa imprenditoriale, insieme alla sua validità tecnica economica. Per poter accedere alle agevolazioni, inoltre, è previsto un colloquio finalizzato alla verifica del possesso delle conoscenze e competenze necessarie alla realizzazione dell’iniziativa proposta.

Inoltre Invitalia, al fine di disincentivare comportamenti non corretti da parte dei beneficiari delle agevolazioni, ha avviato, in attuazione di un accordo sottoscritto con la Guardia di Finanza, un processo di monitoraggio dell’intero ciclo dei finanziamenti concessi.
I controlli verranno effettuati nelle diverse fasi di valutazione del progetto, dall’istruttoria all’erogazione delle agevolazioni.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha autorizzato l’Agenzia alla riscossione coattiva, tramite iscrizione a ruolo, dei crediti vantati nei confronti dei beneficiari delle agevolazioni per l’Autoimpiego. Invitalia per il recupero del credito si avvale dei servizi di Equitalia Spa.

È, infine, prevista una dotazione finanziaria specifica, a valere sul Programma Operativo Interregionale “Attrattori culturali, naturali e turismo” FESR 2007/2013, Asse 2, Ob. Op. II.1. per lo sviluppo delle imprese turistiche e/o connesse alla fruizione culturale e naturalistica degli attrattori ricadenti nei Poli di attrazione culturali, naturali e/o paesaggistici localizzati nei Comuni delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

Per ulteriori informazioni e documentazioni, vi invitiamo a visitare il sito ufficiale dell’iniziativa

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Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all’attacco del premier per paura di diventare irrilevanti

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Fonte: Huffington Post
di Giacomo Galanti

Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n’è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all’angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l’antica concertazione.

Allora viene quasi automatico chiamare “nuovo” Pd il partito guidato da Renzi come il new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.

Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l’unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. “Il perire della Cgil – ha detto – corrisponde al perire nostro”. Il segretario della Cisl attacca “i populisti della politica” e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono “essere diversi sì, ma non avere l’esigenza di staccarsi – ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato”.

E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: “Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri”. Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l’austero Mario Monti – che comunque li convocava anche se a cose già fatte – piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.

Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione ‘privilegiata’, è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.

Tanto che Camusso rispedisce al mittente l’accusa di “antichità”: “Devo dire – ha spiegato – che per chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria”. “Nella nostra memoria – ha aggiunto il segretario della Cgil – penso che di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse”. “Ma in realtà – ha continuato – con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni”. La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.