Tutti gli articoli di blognomos

Nel nome del plagio, colpevole di essere diverso. Il caso Braibanti.

20140409-190147.jpg

Si è spento lo scorso 6 aprile, a 91 anni, Aldo Braibanti, artista, poeta e scrittore piacentino. Negli anni ’60 divenne famoso per l’accusa di plagio rivoltagli dai familiari di Giovanni Sanfratello, compagno di Braibanti che da Piacenza lo aveva seguito, quando questi si era trasferito a Roma.
Secondo il padre del ragazzo, Braibanti aveva “sottomesso” alla sua volontà il giovane figlio, plagiandolo e imponendogli il suo stile di vita. Braibanti fu quindi condannato per plagio, reato previsto dal codice Rocco, rimasto in vigore fino al 1981 quando il Giudice delle Leggi ne dichiarò l’incostituzionalità. “Il giovane Sanfratello – dichiarò il P.M. durante il processo – era un malato, e la sua malattia aveva un nome. “Aldo Braibanti! Quando appare lui tutto è buio”. Il “caso Braibanti” è stato il primo e unico di condanna per plagio. Ma il reato che si voleva, in realtà, ascrivere a carico di Braibanti era la sua omosessualità. Il caso Braibanti costituisce, ancora oggi, una delle vicende giudiziarie più oscure ed infamanti della nostra storia.

20140409-165021.jpg

Braibanti era diverso. Intellettuale avanguardista, così diverso dagli artisti dell’epoca. Diverso politicamente, né a sinistra, né a centro né con la destra reazionaria. Dalla rubrica “Il Caos” di una copia del 1968 del quotidiano “Il Tempo”, Pasolini rilevava come quello di Braibanti fosse un caso di intellettuale che aveva rifiutato precocemente l’autorità che gli sarebbe provenuta dall’essere uno scrittore dell’egemonia culturale comunista, ma che poi aveva altresì rifiutato l’autorità di uno scrittore creato dall’industria culturale. Nel medesimo articolo, si legge che il suo delitto fu quello di assecondare la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l’era scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità: autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe venuta naturalmente, a patto che egli avesse accettato, anche in misura minima, una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria. E questa debolezza era conseguenza della sua solitudine. Una debolezza scontata che egli pagò con l’accusa, pretestuale, di plagio e la successiva condanna. Vero è che dalla sua debolezza gli derivava un’altra autorità: la sua. Autorità, dunque, più pericolosa di tutte, perché indipendente, autonoma, fuori dagli schemi e da qualunque categoria.

20140409-165137.jpg

Sì, Braibanti era diverso. Da tutti, anche come uomo. E quella che Pasolini chiamava “debolezza” al tempo in cui scriveva, era, invece, la sua forza. La stessa forza che apparteneva a Pasolini, in fondo. Quella diversità che ti spinge oltre il comune sentire, che ti consente di percepire la realtà e raccontarla con modulazioni tanto peculiari quanto estranee alla società di massa. Che ti rende inevitabilmente solo. Sempre. Comunque. E inevitabilmente diverso, per quanti sforzi tu possa fare.
La principale condanna di Braibanti, perciò, non è stata il carcere. Ma la solitudine cui è stato relegato dopo, l’isolamento intellettuale che l’ha accompagnato fino alla morte. L’emarginazione: la condanna che gli italiani piccolo-borghesi impongono alla diversità per sentirsi tranquilli, davanti a ogni forma di scandalo, se questo scandalo ha dietro una qualsiasi forma di opinione pubblica o di potere. Così avvertiva lo stesso Pasolini, perché essi riconoscono subito, in tale scandalo, una possibilità di istituzionalizzazione, e, con questa possibilità, essi fraternizzano. Del resto, quante volte sentiamo gente dichiarare la propria tolleranza verso i gay, purché non si facciano vedere?
E allora processo sia. E processo fu. All’omosessuale, nel nome del plagio. L’obiettivo era distruggere Braibanti per dimostrare al Paese quanto sbagliato fosse accettare la propria diversa identità sessuale.

20140409-165235.jpg

Anche il capo d’accusa rientrava nel tipico schema attraverso cui la cattolicissima società italiana condanna da anni una parte cospicua dei suoi cittadini. Veniva, infatti, invocato l’art. 603 c.p., il plagio, per censurare, invece, la condotta tenuta dalla coppia Braibanti-Sanfratello. Tant’è che mai, in nessun’occasione, l’Italia bigotta dell’epoca riuscì a rilevare che il processo fosse un’istruttoria contro l’omosessualità. I gay vanno condannati prima di tutto col silenzio. Ancora oggi. Nel nostro Paese, dove l’omosessualità non costituisce reato, il Legislatore continua a far finta che i gay non esistano, condannandoli all’isolamento, alla solitudine e a un silenzio rumoroso che, necessariamente, conduce alla negazione dei loro diritti positivi e naturali. In primis, quello di esistere come soggetti giuridici titolari degli stessi diritti civili degli altri cittadini. A Braibanti, infatti, non venne contestata la relazione con Sanfratello, non era giuridicamente possibile né socialmente accettabile. Gli venne, invece, contestato d’essere frustrato in quanto basso e ‘stortignaccolo’, d’essere un buono a nulla perché artista e, in quanto artista, corruttore d’anime. Tra i testimoni chiamati in aula ci furono i piacentini Piergiorgio e Marco Bellocchio, e il musicista Sylvano Bussotti. A quest’ultimo che la Corte ebbe a chiedere: “Lei è omosessuale?”. La domanda fece scalpore, poiché fu uno dei rari passaggi processuali in cui si accennò all’omosessualità. In un saggio intitolato “Il Processo Braibanti”, edito nel 2003 per i tipi dell’editore Silvio Zamorani, lo studioso Gabriele Ferluga rileva, appunto, come questo tema, all’epoca, fosse cassato con imbarazzo anche dall’intellettualità di sinistra che, pure, difendeva Braibanti. Uniche eccezioni, Pasolini, Moravia, Umberto Eco e Dacia Maraini, che del caso Braibanti fece un racconto, e i radicali.

20140409-165648.jpg

Cattolici nel DNA, noi italiani cresciamo tutti con lo spettro del peccato e della sua espiazione, perché ci insegnano da piccoli che è sbagliato assecondare le nostre pulsioni. Ma la realtà è che peccato sarebbe sprecare un’esistenza, non amare, vivere un inferno terreno per la promessa di un paradiso oltre la vita. Peccato è l’imposizione all’altro delle proprie ragioni e del proprio credo. Peccato è condannare un amore, bollandolo come diverso, innaturale, sporco. Criminale, perciò, non fu la relazione che Braibanti ebbe con Sanfratello, ma il processo che lo condannò. Ad essere sporche erano le anime di quelli che giudicarono la storia di Aldo e Giovanni.

20140409-165826.jpg

Allora mi chiedo: se la società moderna ha chiesto che la Chiesa dopo secoli di storia rivedesse le posizioni assunte ai tempi della Santa Inquisizione, non sarebbe etico pretendere dalla Repubblica Italiana un’ammissione di colpa, sia pur postuma, per questo processo farsa? Con Sent. n. 96/1981, la Corte Costituzionale ha ‘cancellato’ il plagio dall’ordinamento giuridico italiano. Braibanti non ottenne neppure la revisione del processo. A 33 anni da quella sentenza di incostituzionalità, malgrado il tentativo nel 2005 di alcuni esponenti di AN di reintrodurre questo delitto, unico nel quadro giuridico europeo, è necessaria una presa di coscienza collettiva. L’Italia non è diversa dalla Russia, solo più discreta. Ieri come oggi.
Bisogna, invece, restituire dignità alla memoria di Braibanti, per l’inferno subito a causa dell’imputazione di un reato che, nell’Italia democratica, è esistito solo per lui, che per quell’ingiustizia ha ottenuto solo un parziale riconoscimento, quando, nel 2006, il governo Prodi, viste le sue condizioni economiche, gli ha concesso il vitalizio della legge Bacchelli. Una revisione almeno morale di quel giudizio è un’azione necessaria per interrompere l’iniqua e vergognosa damnatio memoriae subita da lui e dalle sue opere. Nulla ripagherà ormai Aldo del carcere scontato e dell’onta subita, durante il dibattimento, dalla magistratura e dalla stampa. Ma il suo riscatto (dopo il suo sacrificio) servirebbe oggi alla società civile che lo ha condannato, a quella parte che ancora si ostina a non vedere, a non capire. L’educazione alla legalità di un popolo è innanzitutto una lezione di rispetto. Una lezione per orientare tutti gli italiani verso quella tolleranza che ispirò i Costituenti dello stesso Stato che distrusse la vita di Aldo Braibanti.

Andrea Serpieri per

BlogNomos

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK

Le riforme pericolose

20140409-125327.jpg

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 8 aprile 2014


Ho scoperto in questi giorni di detenere da anni un potere immenso. Faccio parte di un “manipolo di professoroni” (così veniamo graziosamente apostrofati) che è riuscito nell’impresa di sconfiggere le velleità riformatrici di Craxi e Cossiga, di D’Alema e Berlusconi, e oggi intralcia di nuovo ogni innovazione. Usiamo un’arma impropria – “la Costituzione più bella del mondo” – per terrorizzare politici pavidi e cittadini timorati.

So bene che al grottesco, alla mancanza di senso delle proporzioni, all’assenza di informazioni accurate è difficile porre ragionevoli limiti. Ma qualche chiarimento può essere utile, per evitare che venga inquinata una discussione che si vorrebbe seria. Comincio proprio da quel riferimento alla Costituzione più bella del mondo, che viene usato con toni di dileggio e per accusare di testardaggine conservatrice chi critica questa o quella proposta di riforma, o meglio i tentativi di stravolgimento del testo costituzionale. Ora, quelle parole vengono da una fantasiosa uscita di Roberto Benigni, ma non sono mai state la bandiera di chi ha riflettuto sulla Costituzione con la guida di Costantino Mortati e Carlo Esposito, di Massimo Severo Giannini e Leopoldo Elia. Ed è falso che vi sia stato un irragionevole arroccamento intorno all’intoccabilità della Costituzione. È notissimo, invece, che si è insistito sull’obbligo di rispettarne principi e diritti, mentre si avanzavano proposte per una “buona manutenzione” della sua seconda parte. Mi limito a ricordare solo quello che io stesso e molti altri suggerimmo quando il governo Letta si imbarcò nella rischiosa, e fallita, impresa di modificare l’articolo sulla revisione costituzionale. Si disse che sarebbe stato opportuno cominciare subito, senza forzare quell’articolo, dai punti sui quali già si era formato un largo consenso – dunque dalla riduzione del numero dei parlamentari e dal superamento del bicameralismo perfetto, per il quale esistevano proposte ragionevoli, ben lontane da quelle sgrammaticate che circolano in questi giorni. Se quel suggerimento fosse stato seguito, oggi molto probabilmente già avremmo portato a compimento questa significativa riforma.

Facendo una veloce ricerca in rete, non sarebbe stato difficile trovare le molte riforme proposte anche dal mondo di chi critica le riforme costituzionali della fase cominciata con il governo Letta. Invece, tutta l’acribia filologica è stata impiegata per cogliere in flagrante peccato di contraddizione il noto Rodotà, reo di aver firmato nel 1985 una proposta di riforma in senso monocamerale. Purtroppo il ricorso a questo argomento è, all’opposto, la prova evidente di quanto profonda sia ormai la regressione culturale nella quale sono caduti molti che intervengono nella discussione pubblica. Quella proposta veniva fatta in un tempo in cui il sistema elettorale era quello proporzionale, i deputati erano scelti con il voto di preferenza, i regolamenti parlamentari rispettavano i diritti delle minoranze, non prevedevano “ghigliottine”, costrittivi contingentamenti dei tempi, limiti alla presentazione degli emendamenti. Erano i tempi in cui l’ostruzionismo della sinistra fece cadere in prima battuta il decreto con il quale Craxi tagliava i punti di contingenza e il Parlamento svolgeva grandi inchieste come quella sulla loggia P2.

Quella proposta (n. 2452 della IX legislatura) era stata scritta da un costituzionalista di valore come Gianni Ferrara e andava nella direzione assolutamente opposta rispetto alla linea attuale. Voleva riaffermare nella sua pienezza la funzione rappresentativa del sistema parlamentare, assicurata da una forte Camera dei deputati che garantiva gli equilibri costituzionali e si opponeva alle emergenti derive autoritarie, alla concentrazione del potere nel governo. Nasceva dall’idea della centralità del Parlamento, rispondeva all’ineludibile diritto dei cittadini di essere rappresentati, che è alla base della sentenza con la quale quest’anno la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del Porcellum. Oggi, invece, l’Italicum deprime la rappresentanza, le proposte relative al Senato sono un pasticcio, e tutto confluisce in un sostanziale antiparlamentarismo, alimentato da artifici ipermaggioritari che fanno correre il rischio di una nuova dichiarazione di incostituzionalità.

Chi cerca proposte sulla riforma del Senato, com’è giusto che sia, può attingerne alla bella intervista su questo giornale di Gustavo Zagrebelsky o al disegno di legge presentato dai senatori Walter Tocci e Vannino Chiti, entrambi del Pd. La verità è che non sono le proposte ad essere mancate. Non si vuol riconoscere che da anni si fronteggiano due linee di riforma costituzionale, una neoautoritaria e una volta a mantenere ferma la logica democratica della Costituzione, senza ignorare i punti dove le modifiche sono necessarie. Ora il confronto è giunto ad un punto critico, ed è bene che tutti ne siano consapevoli.

Chi sinceramente vuole una Costituzione all’altezza dei tempi, e delle nuove domande dei cittadini, non deve cercare consensi con appelli populisti. Deve essere consapevole della necessità di ricostruire le garanzie e gli equilibri costituzionali alterati dal passaggio ad un sistema già sostanzialmente maggioritario. Deve riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, abbandonando la logica che riduce le elezioni a investitura di un governo che risponderà ai cittadini solo cinque anni dopo, alle successive elezioni. Ricordate la critica estrema di Rousseau? “Il popolo inglese ritiene di essere libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento. Appena quelli sono eletti, esso è schiavo, non è nulla”. Rousseau è lontano, è impossibile ridurre i cittadini al silenzio tra una elezione e l’altra, perché troppi sono ormai gli strumenti per prendere la parola. Se si vuole sfuggire alla suggestione che la Rete sia tutto, alle ingannevoli contrapposizioni tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, bisogna lavorare per creare le condizioni costituzionali perché queste due dimensioni possano essere integrate, come già cerca di fare il Trattato europeo di Lisbona. Le proposte non mancano, a partire da quelle sulle leggi d’iniziativa popolare (ne parlo dal 1997, e ora sono arrivate in Parlamento).

Le semplificazioni autoritarie sono ingannevoli, la concentrazioni del potere nelle mani del solo governo, o di una sola persona, produce l’illusione dell’efficienza e il rischio della riduzione della democrazia. Si sta creando una pericolosa congiunzione tra disincanto democratico e pulsioni populiste. Vogliamo parlarne, prima che sia troppo tardi, e agire di conseguenza?

Fonte: MicroMega

IL BIBLIOMOTOCARRO. UNA FAVOLA CONTEMPORANEA.

20140408-065305.jpg

di Michele De Sanctis

Sono anni che Antonio, maestro lucano, è andato in pensione. Ma non ha perso l’entusiasmo e l’energia di insegnare. Di trasmettere ai più giovani l’amore per la lettura. Questa è la storia del maestro La Cava che da oltre dieci anni gira la Basilicata e le regioni limitrofe con un’Ape azzurra carica di libri per ragazzi, il bibliomotocarro. Si tratta di una biblioteca mobile che Antonio porta quotidianamente nei vari paesi lucani, affrontando tantissimi chilometri al giorno. Il bibliomotocarro è attrezzato con scaffali pieni di libri e materiale per scrivere. I ragazzi che prendono in prestito i libri di Antonio, spesso raccolgono le proprie impressioni su questo materiale che restituiscono insieme al libro e che il maestro poi conserva con cura.
Dopo 42 anni di onorato servizio, Antonio La Cava, originario di Ferrandina, vicino Matera, girando la sua regione ha distribuito oltre 20.000 volumi, così contribuendo a diffondere la cultura del libro e della lettura anche nelle zone più isolate dell’aspro territorio lucano, fino ad arrivare nelle scuole, dov’è stata allestita una cassetta azzurra (come l’Ape 50 di Antonio) per la riconsegna dei libri.

20140408-065333.jpg

È una bella storia questa. Una favola moderna che sembra uscire dalle pagine di uno dei libri di Antonio, che, a sua volta, sembra il protagonista di un romanzo per ragazzi: uno di quei maestri illuminati narrati da Mario Lodi e coraggiosi come il maestro di Pietralata di Albino Bernardini. È una storia dal fascino dei racconti Gianni Rodari e la magia di Bianca Pitzorno. E che profuma di carta stampata e di speranza.
In un’epoca in cui il mondo viene osservato da un display, in cui l’immaginario è soltanto descrittivo, poiché la visione lascia ben poco spazio alla fantasia, il bibliomotocarro riaccende i sogni dei più giovani. E anche dei più grandi come me…

20140408-065414.jpg

E se Calvino insegnava che un classico è un libro che non smette mai di dire quel che ha da dire, mentre scrivo in questo treno grigio e freddo su cui adesso viaggio, provo anch’io a riaccendere la fantasia: chiudo gli occhi per un istante e mi immagino a bordo della freccia azzurra di Rodari, che, come il bibliomotocarro avanza verso i giovani lettori, così transitava sui binari della solidarietà, per correre verso un futuro migliore.

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK

METTI LO SCRITTORE IN VETRINA.

20140407-064519.jpg

di Michele De Sanctis

Salvo qualche eccezione, la crisi colpisce tutti i settori. In particolare, quelli che già soffrivano prima dell’anno fatale per l’economia, il 2008. L’editoria, ad esempio, tenta nuove strade per non sparire del tutto, in un Paese, come l’Italia, dove, peraltro s’è sempre speso poco in libreria. E se, da un lato, grazie alla diffusione degli ebook, l’autopubblicazione consente ad eccellenti (ma sconosciuti) scrittori di pubblicare le proprie opere, è, altresì, vero che i ricavi sono abbastanza miseri. In Italia, ovviamente. All’estero le cose vanno diversamente e fanno fortuna anche quelli che propongono un genere ‘commerciale’, ma di scarso interesse culturale. Le famose ’50 sfumature di grigio’, ad esempio, sono inizialmente state autopubblicate. A mio avviso, se ne poteva anche fare a meno. Ma, si sa, ciò che vende in libreria, non è esattamente ciò che vale.
Tuttavia, ci sono anche strade alternative alla rete. L’operazione di marketing di cui vi parlo è quella messa in atto da una libreria di Piacenza. Si tratta della Libreria Fahrenheit 451, che, col cambio di sede, ha avuto la disponibilità di un’ampia vetrina, sfruttata in maniera non convenzionale.
Infatti, lo scorso 29 marzo, Sonia Galli, titolare del negozio, ha invitato lo scrittore Gabriele Dadati per presentare il suo nuovo libro, intitolato ‘Per rivedere te’, Barney edizioni, ma la novità è stata che Dadati ha parlato della sua opera, passando il pomeriggio in “esposizione”. Dalle 16 alle 19.
È stato, così, ricostruito un vecchio studio da scrittore in vetrina, da cui l’autore ha coinvolto i passanti, che, incuriositi, entravano nel negozio. All’interno dello studio, è stato, poi, offerto a ognuno un bicchiere di vino bianco delle valli piacentine oppure una tisana con biscotti provenienti da un vicino negozio di commercio equosolidale e, spontaneamente, sono state poste domande sul libro.

20140407-064102.jpg

Per chi vuol fare lo scrittore, oggi è davvero difficile: concorsi, internet, autopromozione spesso non bastano. L’iniziativa di questa libreria piacentina è, quindi, davvero utile per i giovani scrittori e per tutti gli aspiranti romanzieri e saggisti, che, diversamente, non potrebbero così facilmente trovare una platea di estranei, con cui confrontarsi in maniera oggettiva e soprattutto faccia a faccia.

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK .

Ogni anno l’Italia spende 8 miliardi (lo 0,52% del Pil) per la gestione di banconote e monete

20140407-061013.jpg

di Enrico Marro, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 aprile 2014

L’Italia continua a essere uno dei Paesi occidentali più morbosamente legati al contante, come confermano diverse indagini dell’Abi. Ma quanto ci costa quest’atavico attaccamento al denaro “fisico” (senza toccare il tema evasione fiscale, che merita una trattazione a parte) rispetto all’uso della moneta elettronica o di plastica? Ci costa un sacco di soldi. A metterlo nero su bianco è uno studio della Banca d’Italia dedicato al costo sociale dei diversi strumenti di pagamento. Il risultato: nel nostro Paese all’utilizzo del denaro fisico sono riconducibili costi per circa 8 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del Pil.

«Questo significa che spendiamo circa 200 euro a testa l’anno per pagare il personale, le perdite, i furti, le apparecchiature, il trasporto, la sicurezza, i magazzini, la vigilanza, le assicurazioni legate ai contanti», commenta Alessandro Onano, responsabile marketing di MoneyFarm. E si tratta di una percentuale superiore a quella della media europea, continua Bankitalia, dove per il contante si “brucia” lo 0,4% del Pil (contro lo 0,52% del Pil italiano).

Confrontando i tipi di operazione, il costo sociale del contante (0,33 euro) secondo lo studio di via Nazionale è ancora minore di quello delle carte di debito (0,74 euro) e di credito (1,91 euro). Ma attenzione: questo è principalmente dovuto al minore importo medio dei pagamenti in contati rispetto agli altri metodi. Se rapportato al valore medio dell’operazione, il contante risulta al contrario lo strumento più costoso (2%). «A ciò si aggiunge che la Banca d’Italia riconosce ogni anno 72mila banconote false (moltissime, considerando che in tutta Europa sono 387mila) e che il 40% delle rapine che si registrano in Europa sono messe a segno in Italia», spiega ancora Onano.

C’è poi il tema del costo industriale di fabbricazione delle micromonete, quelle da 1 e 2 centesimi di euro che spesso e volentieri si perdono, se va bene in portafogli e borsellini, se va male per strada. Ebbene: coniare una monetina da 1 centesimo ne costa 4,5, mentre per fabbricarne una da 2 centesimi si spendono 5,2 cent. Lo scorso autunno Sel ha addirittura presentato una mozione alla Camera sulla questione, calcolando che questo scherzetto dei costi di fabbricazione è costato all’Italia 188 milioni di euro in dieci anni.

Ma un campanello d’allarme è suonato anche a Bruxelles: la Commissione europea a suo tempo ha commissionato un sondaggio scoprendo che il 60% dei cittadini dell’eurozona trova difficoltà a usare le monete da 1 cent (per il conio da 2 centesimi è anche peggio: gli scontenti salgono al 69% del totale, forse perché perdere una moneta da 2 cent “costa” il doppio che perderne una da 1 cent). Tanto che la Commissione ha prodotto un lungo paper, destinato al Consiglio d’Europa e al Parlamento Ue, in cui si ipotizza nei minimi dettagli anche l’opzione del ritiro delle micromonete. Ma per ora non se ne è fatto niente. E l’odissea delle micromonete continua.

Fonte: Il Sole 24 Ore

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK

Lavoro, il nuovo tempo determinato: Ichino, Tiraboschi, Cazzola, consulenti e agenzie danno i voti alla riforma del contratto

20140407-060139.jpg

di Cristiana Gamba, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 aprile 2014

Pietro Ichino, giuslavorista: voto 6
«Va salutato positivamente il fatto che con il decreto Poletti (n. 34/14) si superano alcuni limiti e vincoli in materia di contatto a termine, posti poco opportunamente dalla legge Fornero due fa», spiega il giuslavorista Pietro Ichino.
«Su questa nuova disciplina – continua – potrebbe sollevarsi un dubbio di compatibilità con le regole poste dalla direttiva europea n. 1999/70 per evitare che il contratto a termine diventi la forma normale di assunzione (la questione è dubbia)». Tuttavia, secondo l’esperto, «il vero difetto della nuova norma sta nel fatto che essa accentua l’apartheid normativo tra il mondo degli assunti a termine e quello degli assunti a tempo indeterminato. Questo difetto può essere superato con l’inserire nel decreto-legge la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti; e coll’inserire una disposizione che stabilisca una modesta indennità di cessazione proporzionata all’anzianità, sostitutiva del filtro giudiziale, identica per tempo indeterminato e determinato acausale». E conclude: «Solo in questo modo si otterrà di sdrammatizzare l’alternativa fra le due forme di contratto».

Michele Tiraboschi, giuslavorista: voto 5,5
Per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’efficacia del nuovo contratto così come è stato scritto è più nell’immediato che non a lungo termine. «La liberalizzazione del contratto a tempo determinato – spiega – può avere effetti positivi nel breve periodo in termini di maggiore occupazione; nel lungo periodo, la deregolamentazione del lavoro a termine è sintomatica di una mancanza di visione d’insieme sulle politiche del lavoro e sull’impianto sistematico del diritto del lavoro che, anche a guardare le sorti del contratto di apprendistato, sembra ora scardinato».
Anche Tiraboschi non nega poi il rischio di un potenziale aumento del contenzioso. «Sul piano tecnico – continua – l’intervento presenta diversi profili problematici che daranno luogo a un possibile contenzioso tanto è vero che la liberalizzazione del termine non intacca il principio legislativo della centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato con ciò aprendo la strada a interpretazioni restrittive dei giudici specie sulle proroghe che non solo adeguatamente regolate». Resta infine sullo sfondo il rischio di incompatibilità con la direttiva 99/70/CE derivante dalla rimozione di limiti alla reiterazione di contratti a termine.

Giuliano Cazzola, docente di diritto del lavoro Università ECampus: voto 7+
Sul contenzioso torna Giuliano Cazzola. E spiega: «La riforma del contratto a termine – ammesso che l’impianto innovativo non venga depotenziato – ridurrà certamente il contenzioso. Prima, nella sua genericità, il cosiddetto “causalone” sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali».
Cazzola aggiunge altri motivi, che qualificano il provvedimento. «Se ne rafforza la centralità al momento dell’assunzione sia rispetto al classico contratto standard a tempo indeterminato, sia nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo, adesso, è parecchio a rischio di sanzione dopo le modifiche a ‘’giro di vite” introdotte dalla legge n. 92 del 2012».
Secondo Cazzola «si rende marginale e meno interessante anche il ricorso ad un eventuale contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine ‘’liberalizzato” e molto meno complicato, all’atto della risoluzione».

Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro: voto 7
Piena promozione arriva anche da Luigi Brugnaro, presidente di Assololavoro, l’associazione che raccoglie le agenzie di somministrazione. «L’impianto complessivo della riforma è positivo – dice – perché mira a valorizzare la flessibilità buona di cui la somministrazione rappresenta la forma più avanzata.Spesso si sottovaluta la funzione che la flessibilità svolge a favore della competitività delle imprese». E aggiunge: «Ciò detto è utile sempre ribadire che i posti di lavoro non si creano per decreto, ma attraverso un rilancio complessivo dell’economia».

Marina Calderone, presidente Consiglio nazionale Ordine dei consulenti del lavoro: voto 7
« Il Contratto a termine con queste novità normative è più libero e va maggiormente incontro alle esigenze delle aziende – dice Marina Calderone -. Si tratta di disposizioni che vanno nella direzione della buona flessibilità, anche se per rilanciare l’occupazione è necessario far ripartire l’economia. Per decreto non si creano nuovi posti di lavoro. Anche l’apprendistato sembra avere meno vincoli; ma qualche dubbio sorge sulle disposizioni relative alla formazione pubblica, resa facoltativa ma di competenza delle Regioni. Per evitare potenziali conflitti di profilo costituzionale è necessario intervenire».

Fonte: Il Sole 24 Ore

SEGUICI ANCHE SU FACEBOOK

L’EREDITÀ CULTURALE DI JACQUES LE GOFF

Immagine

 

 

di Germano De Sanctis

Lo scorso 1° aprile, è morto a Parigi lo storico francese Jacques Le Goff, all’età di novant’anni. Si tratta di una perdita incommensurabile per gli studi storici. Se oggi, i cosiddetti secoli bui, ci appaiono ben illuminati e sappiamo che furono ricchi di personaggi ed avvenimenti significativi, lo dobbiamo sostanzialmente all’opera di Jacques Le Goff, che, con il suo lavoro scientifico, cui ha sempre affiancato quello divulgativo, ha reso il Medioevo, un periodo storico vivo e popolare, appassionando tanti lettori comuni.

Infatti, Jacques Le Goff è stato il promotore di una moltitudine di studi sui secoli XII e XIII, poiché egli, come nessun altro storico prima di lui, è stato capace di modificare la percezione collettiva del Medioevo, fino a qual momento percepito come un periodo storico connotato soltanto dalla arretratezza culturale ed economica. Invece, Jacques Le Goff aveva una visione dinamica della storia, in virtù della quale non esistono epoche buie nella storia dell’umanità. Ogni periodo storico si connota per le sue luci e per le sue ombre. Anche il Medioevo rientra in questa visione. Durante l’età “di mezzo”, vi sono state innovazioni, i cui effetti si sono positivamente riverberarti sulla vivacità culturale che universalmente viene riconosciuta al Rinascimento ed all’Illuminismo. Analogamente, i secoli successivi al Medioevo si sono caratterizzati per aspetti negativi e/o involutivi che vengono sovente minimizzati dalla storiografia più tradizionale.
Forte di queste convinzioni, Jacques Le Goff è riuscito ad affermare nella storiografia contemporanea la sua visione del Medioevo, attraverso opere di grande sintesi ed originalità, a partire dalla pubblicazione de “La civiltà dell’Occidente medievale” (1964), che è probabilmente il suo libro più rappresentativo. Il Medioevo descritto da Jacques Le Goff è un periodo affascinante, perché, in esso, la realtà e l’immaginario si fondono, seppur nelle loro contraddizioni. Il Medioevo dello storico francese è un’epoca costantemente connotata da legami profondi con il tempo lungo e da una forte attentanzione all’uomo, così come egli ha ben chiarito ne “L’uomo medievale” (2006). Appare evidente, quindi, l’esistenza, di una vicinanza culturale antropocentrica tra il Medioevo e l’età contemporanea, ben più forte di quanto si possa immaginare.

Fedele al metodo della scuola creata dalla rivista “Annales”, Jacques Le Goff è stato capace d’innovare la storiografia contemporanea, unitamente ad altri storici di grande rilievo come Marc Bloch, Fernand Braudel, Lucien Febvre, e Georges Duby, inserendosi come protagonista nella corrente culturale fiorita e sviluppatasi in Francia nel corso del XX Secolo, che ritiene necessario operare l’esame di un periodo storico, non soltanto ponendo l’attenzione sulla vita dei grandi personaggi, o sugli eventi più famosi, bensì concentrando l’attenzione anche sulla vita quotidiana e sociale, cioè sugli usi e costumi, delle persone comuni. Infatti, le opere di Jacques Le Goff si soffermano su aspetti che connotano più la società medievale intesa nel suo complesso, che sui singoli accadimenti. In estrema sintesi, si può dire che Jacques Le Goff ha reso l’analisi storica più attenta al contesto sociale, studiando il Medioevo nei suoi aspetti più trascurati.
A fronte di tale considerazione, appare chiara la motivazione sottesa alla sua attenzione nei confronti dello studio delle strutture fondamentali della società medievale, come, ad esempio, il monastero, la città, o la foresta. Così, come appare chiaro il suo interesse ad affrontare l’esame dei vari contesti sociali, attraverso l’analisi dei singoli gruppi sociali, descritti come figure tipologiche della società medievale. Pertanto, egli non scrisse la storia dei monaci, ma descrisse il monaco. Egli non raccontò la vita degli intellettuali, ma dell’intellettuale, inteso come rappresentante di quel gruppo sociale che ha svolto il compito di pensare e d’insegnare in un contesto culturale connotato da continue condanne e di censure.

Jacques Le Goff è stato un profondo innovatore nella metodologia con la quale affrontava il suo lavoro, analizzando temi storici non convenzionali e ponendosi sempre nuove domande. Tale opera innovativa era anche accompagnata da una straordinaria capacità divulgativa (sia scritta che parlata), anche nei confronti dei lettori meno preparati in materia di storia medievale. In altri termini, egli era un medievista che, seppur fortemente connotato dalla sua specializzazione, era capace di spaziare in epoche storiche e campi culturali molto diversi e variegati. In tale contesto, bisogna ricordare il suo “Seminario parigino” (1962-1992), durante il quale propose l’analisi di temi, come, ad esempio, la storia del riso, che raccolsero un enorme successo, in quanto erano capaci di recepire nell’analisi storiografica l’antropologia culturale, l’etnografia e la storia delle immagini.
Tali capacità di analisi dei temi storici e di divulgazione dei contenuti, lo hanno reso autore di libri fondamentali e innovativi, come “Mercanti e banchieri nel Medioevo” (1956), “L’intellettuale nel Medioevo” (1957).

Una particolare attenzione merita la sua attenzione alla religiosità del Medioevo. Infatti, Jacques Le Goff è stato un pioniere dello studio delle mentalità religiosa, scrivendo libri fondamentali come la biografia di “Francesco d’Assisi”, o “La nascita del Purgatorio” (1981). Proprio relativamente al Purgatorio, lo storico francese ha visto in esso una struttura positiva che accompagna l’uscita del Medioevo dal dualismo esistente tra l’Inferno ed il Paradiso e che permette all’uomo di impadronirsi del tempo dell’aldilà.
Sebbene il cristianesimo medievale condanni come errori le novità, Jacques Le Goff, scrivendo “L’Europa medievale e il mondo moderno” (1994), ha evidenziato come, verso la fine del Medioevo, una società europea creatrice che sia stata capace d’innovare e preparare quella modernità che si è successivamente sviluppata durante l’Umanesimo.
È interessante notare come egli abbia affrontato i temi religiosi, esprimendo costantemente la sua visione laica della vita e della ricerca scientifica, in totale contrapposizione alle interpretazioni storiografiche connotate ideologicamente, se non, addirittura, negazioniste.
Infatti, Jacques Le Goff, si definiva, né credente, né praticante, ma, al contempo, si dichiarava uno storico medievista consapevole del ruolo svolto dal Cristianesimo come forza spirituale e creatrice di valori nel determinare l’originalità dell’Europa.

Proprio rispetto all’Europa, bisogna sottolineare il convinto europeismo di Jacques Le Goff. Si tratta di un altro aspetto peculiare del suo pensiero e che lo portò a dirigere, nel 1993, la collana, “Fare l’Europa”. Jacques Le Goff era solito riscontrare l’origine dei caratteri distintivi dell’Europa già nel periodo neolitico, ma, al contempo, sottolineava come le fondamenta dell’attuale cultura europea furono poste durante l’alto Medioevo, a seguito della fertile contaminazione della cultura greco-latina con quella dei popoli barbari. Ad esempio, questa fusione di molteplici culture generò uno dei elementi più caratteristici dell’Europa, rappresentato dalla nascita delle diverse Nazioni europee e delle molteplici lingue. Egli ha sempre visto in questa molteplicità di lingue e Nazioni un’autentica ricchezza culturale da coltivare e preservare. Tuttavia, questa attenzione alle identità nazionali non sfociava mai in atteggiamenti sciovinisti, bensì, produceva la convinzione che soltanto la sintesi tra tante identità nazionali poteva generare una coesistenza armoniosa e pacifica tra i popoli europei, i quali, secondo Le Goff, sono tanti popoli simili, malgrado i conflitti incorsi tra loro.
Anzi, in uno dei suoi ultimi scritti, egli ha evidenziato come tale ricchezza culturale dell’Europa sia da insegnare nelle scuole. Infatti, secondo Jacques Le Goff la globalizzazione ha creato due grandi centri di potere, gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese, che si confrontano ormai da tempo. A fronte di questi due grandi “blocchi” contrapposti, egli ha sempre ravvisato la necessità di salvaguardare l’esistenza dell’Europa, intesa come un terzo spazio forte per i suoi valori, per la sua energia e per la sua ricchezza. Nel pensiero di Jacques Le Goff un elemento essenziale della potenza europea è rappresentato dalla sua cultura. Basti pensare, ad esempio alle Università, le quali sono una creazione della cultura europea e che sono state, per secoli, centri di produzione della conoscenza senza paragone.
Dal punto di vista politico, egli ha sovente evidenziato la necessità di perseguire l’unica Europa possibile che, da un punto di vista storico, è l’Europa delle Nazioni. Infatti, egli riteneva che l’Europa delle Nazioni sia l’unica dimensione capace di difendere la cultura, la politica e l’economia europee, mentre era scettico sull’idea di creare un’Europa federale. Anzi, egli era convinto della possibilità di conservare la sovranità degli Stati, attribuendo, al contempo, al Parlamento Europeo un ruolo più importante, attraverso il voto dei cittadini europei.
Nell’ambito di tale visione, risulta fondamentale lo sviluppo di una educazione europea comune, capace di far dialogare le diverse culture nazionali. Secondo Jacques Le Goff, tale risultato è perseguibile dando molto spazio alla storia europea in tutte le scuole europee. Una storia comune è capace di evidenziare ciò che rende simili i cittadini europei di diverse nazionalità, ma, contestualmente, permette di conoscere i mali dei conflitti europei del passato.
La storia d’Europa è stata segnata non soltanto da molte diversità, ma anche da fratture profonde. Ciò che oggigiorno consente di pensare ad una Europa unita è il dato obiettivo ed innegabile dell’impossibilità che gli europei possano nuovamente guerreggiare tra loro. Di conseguenza, vi è la possibilità di valorizzare ciò che accomuna gli europei, anche tornando molto indietro nel tempo e sottolineando, ad esempio, le comuni radici nella cultura latina. L’Europa è sempre stata uno straordinario centro d’attrazione di diversi popoli e culture. Tale coacervo di culture ha prodotto nell’Europa antica la nascita della democrazia, prima ancora della letteratura e della filosofia. Nell’Europa antica, la presenza costante della democrazia ha generato l’invenzione della piazza pubblica — l’Agorà dei Greci, il Foro dei Romani – intesa come luogo, ove i cittadini si incontrano per discutere e prendere decisioni. Perfino nei monasteri medievali è esistita una forma di democrazia, dato che gli abati erano eletti da tutti i monaci. In altri termini, secondo Jacques Le Goff, la storia d’Europa insegna che le ragioni della democrazia sono le uniche vere fondamenta per costruire un’Europa unita.

Adesso che Jacques Le Goff se ne è andato via, ci s’interroga sulla reale importanza del suo lascito culturale. In più occasioni, egli ha ribadito che la “storia è memoria” e spiegava che si tratta di “una memoria che gli storici si sforzano, attraverso lo studio dei documenti, di rendere oggettiva, la più veritiera possibile: ma è pur sempre memoria. Non proporre ai giovani una conoscenza della storia che risalga ai periodi essenziali e lontani del passato, significa fare di questi giovani degli orfani del passato, e privarli dei mezzi per pensare correttamente il nostro mondo e per potervi agire bene”.
Probabilmente, in queste parole di Jacques Le Goff, risiede l’essenza della eredità culturale dello storico francese che, grande intellettuale, ha voluto ed riuscito ad essere anche un grande divulgatore dei principi fondanti della cultura e della storia europee.

 

INAIL: CUD 2014. I modelli disponibili online

20140402-152540.jpg

I Cud 2014 relativi alle indennità erogate dall’Inail nell’anno 2013 per inabilità temporanea assoluta sono consultabili e scaricabili dalla sezione Servizi online del portale INAIL .

L’accesso è previsto per i lavoratori (che si dovranno registrare come “Utente generico”) e i loro intermediari (Caf aziende).

Dall’11 marzo è inoltre possibile per i CAF federati acquisire sul portale dell’Inps i Cud 2014 relativi alle indennità di inabilità temporanea assoluta.

Dal 17 marzo sono altresì disponibili sul “Portale del pensionato” i Cud 2014 per gli ex dipendenti Inail.

Dal 2013 gli Enti previdenziali sono tenuti a rendere disponibile in modalità telematica la certificazione unica (Cud) dei redditi di lavoro dipendente, pensione e assimilati (legge di stabilità 2013).

I dati riportati nel Cud. Per i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionale si tratta delle indennità di inabilità temporanea assoluta e dei redditi esenti liquidati nell’anno precedente, mentre per i lavoratori del settore navigazione si tratta anche delle indennità di malattia e di maternità. Per gli ex dipendenti Inail e i loro superstiti si tratta degli emolumenti del trattamento di pensione.

Come acquisire il Cud.

Lavoratori infortunati o affetti da malattia professionale: dalla sezione Servizi online del portale Inail
tramite i CAF convenzionati
chiamando il Contact center Inail da rete fissa al numero verde gratuito 803.164 e da cellulare al numero 06/164164 (a pagamento in base al piano tariffario del proprio gestore telefonico).

Lavoratori settore navigazione: specifico portale dedicato ai Servizi online
tramite i CAF convenzionati
chiamando il Contact center Inail da rete fissa al numero verde gratuito 803.164 e da cellulare al numero 06/164164 (a pagamento in base al piano tariffario del proprio gestore telefonico).

Ex dipendenti Inail e i loro superstiti, titolari di pensione a carico dei Fondi interni di previdenza: tramite il portale del pensionato, raggiungibile dalla sezione Servizi online del portale Inail
per posta, unitamente al cedolino del mese di riferimento, per i soli pensionati che hanno fatto richiesta del servizio di spedizione cartacea del cedolino, a fronte di un contributo al costo di spedizione nella misura di € 13,00 annui.

Soltanto nel caso in cui non sia possibile ottenere il Cud attraverso le modalità appena descritte, sarà possibile acquisirlo in forma cartacea presso una sede territoriale Inail.

Fonte INAIL .

INPS: modalità di rilascio del CUD 2014

20140402-143709.jpg

Con circolare numero 45 del 28 marzo 2014 l’INPS comunica le modalità di rilascio del CUD 2014, ovvero la certificazione unica dei redditi di lavoro dipendente, pensione e assimilati per l’anno 2014 relativa ai redditi 2013.

La legge 228/2012, ha previsto che a decorrere dal 2013, l’Istituto debba rilasciare il CUD, di norma, attraverso il canale telematico e non più con invio postale del modello cartaceo come avveniva fino al 2012. Questo ha provocato, come ricorderete, grosse confusioni lo scorso anno, in quanto le modalità di rilascio sono state comunicate con grosso ritardo da parte dell’ente e non tutti i cittadini hanno avuto modo di essere informati per tempo.
Il modello CUD 2014, è disponibile di norma, nella sezione Servizi al cittadino del sito istituzionale http://www.inps.it . Il certificato può essere visualizzato e stampato dall’utente, previa identificazione tramite PIN.

Per chi, in fase di registrazione del PIN, o successivamente, abbia comunicato all’ente un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) valido, il CUD viene comunque recapitato alla casella PEC corrispondente.

Ai cittadini che hanno comunicato il proprio recapito di telefono mobile verrà inviato un SMS di avviso della disponibilità del CUD sul sito dell’Istituto. Lo stesso avverrà per coloro che hanno comunicato all’INPS il proprio indirizzo email non certificato, in questo caso riceveranno una email di avviso della disponibilità del CUD sul sito dell’Istituto.

Modalità alternative per ottenere CUD

Il legislatore ha previsto che il contribuente può ricevere il proprio CUD stampato, oltre che prelevandolo personalmente dalla propria area riservata sul portale INPS. Vediamo di seguito in quale altro modo si può ottenere:

Servizio erogato dalle Strutture dell’Istituto: il cittadino può recarsi personalmente presso le sedi INPS con la propria tessera sanitaria e fare richiesta immediata del CUD;
Postazioni informatiche self service: come nel punto precedente in alcune sedi INPS sono previste delle postazioni informatiche, presso le quali gli utenti possono procedere alla stampa dei CUD, ricorrendo anche, ove necessario, all’assistenza da parte del personale dell’URP;
Posta elettronica: come già indicato in precedenza, i possessori di PEC riceveranno nella propria casella il CUD; nel caso in cui non lo abbiano ricevuto possono fare richiesta via email a questo indirizzo: richiestaCUD@postacert.inps.gov.it;
Patronati, Centri di assistenza fiscale, professionisti abilitati all’assistenza fiscale: Il cittadino, per l’acquisizione del CUD, può avvalersi di un ente di Patronato, di un CAF, di un professionista compreso tra quelli abilitati all’assistenza fiscale o alla presentazione delle dichiarazioni reddituali in via telematica, in possesso di PIN e di certificato Entratel personale in corso di validità.
Comuni ed altre PP.AA. abilitate: da quest’anno si potrà richiedere il CUD anche presso i Comuni e le altre PP.AA. che abbiano sottoscritto un protocollo con l’Istituto per l’attivazione di un punto cliente di servizio.
Uffici postali: E’ possibile ottenere il rilascio del CUD esclusivamente presso gli uffici postali appartenenti alla rete “Sportello Amico”. In questo caso è previsto il pagamento a carico dell’utente di 2,70 euro più IVA.
Sportello Mobile per utenti ultraottantacinquenni titolari di indennità di accompagnamento, speciale o di comunicazione: A favore di alcune categorie di utenti particolarmente disagiati, in considerazione dell’oggettiva difficoltà o impossibilità di avvalersi dei canali fisici e telematici messi a disposizione dall’Istituto, con messaggio n. 2451 del 7 febbraio 2013 è stato attivato un servizio dedicato, denominato “Sportello Mobile”, per l’erogazione con modalità agevolate di alcuni prodotti istituzionali, tra i quali il rilascio della certificazione in argomento;
Pensionati residenti all’estero: i pensionati residenti all’estero possono richiedere la certificazione, fornendo i propri dati anagrafici e il numero di codice fiscale, ai seguenti numeri telefonici dedicati 06.59054403 – 06.59053661 – 06.59055702, con orario 8.00 – 19,00 (ora italiana);
Spedizione del CUD al domicilio del titolare: il cittadino può richiedere la trasmissione del CUD in forma cartacea, solo in caso di effettiva necessità dell’interessato. Per fare richiesta sono attivi il numero verde 800.43.43.20 dedicato appositamente alla richiesta di spedizione del CUD 2014 al proprio domicilio; si può inoltre utilizzare il numero verde 803.164 per i telefoni fissi e 06/164164 per i telefoni cellulari.

Modalità di rilascio CUD a chi non è titolare

Il CUD 2014 può essere rilasciato anche a persona diversa dal titolare. In questo caso la richiesta può essere presentata sia da persona delegata che da parte degli eredi del soggetto titolare deceduto.

Fonte: LavoroeDiritti

LICENZIATO? MI VENDO SU EBAY!

20140402-073830.jpg

di Michele De Sanctis

A proposito di fuga di cervelli, stavolta a metterne alla porta circa 400 è l’americana Micron, operativa in Italia da tre anni dopo l’acquisto di Numonyx, azienda fondata nel 2008 da St Microelectronics e Intel, con circa 1100 dipendenti in tutto il Paese. E parliamo di manodopera qualificata, 419 eccellenze della microelettronica che dal 7 aprile verranno allontanate per esuberi dalle sedi di Agrate, Vimercate, Avezzano, Arzano e Catania. Tra meno di una settimana, quindi, anche queste persone saranno in mezzo a una strada. lI sito produttivo più colpito dai tagli è quello milanese di Agrate: 223 ‘eccedenze’ su 507 addetti. Ma sorte simile toccherà pure a quello di Vimercate, mentre sono 17 quelli che verranno fatti fuori dallo stabilimento abruzzese di Avezzano, che conta 92 dipendenti. A Catania saranno in 127, su 324 impiegati, a restare a casa, ad Arzano 52 su 131.
Ma stavolta i lavoratori non ci stanno. E hanno deciso di ingaggiare una battaglia mediatica, sfruttando al massimo le risorse della rete: tra hashtag su Twitter, post su Facebook e foto, la vicenda sta diventando un caso nazionale. Anche (e soprattutto) perché negli anni scorsi la Micron ha ricevuto 150 milioni di euro di contributi pubblici per creare 1.500 posti di lavoro. E se la Fiat fa scuola tra le aziende più spregiudicate, allora si spera che i dipendenti Micron la facciano tra tutti i lavoratori. E si auspica che anche l’Unione Europea intervenga in merito al comportamento di certe aziende che con una mano racimolano denari pubblici e con l’altra tagliano o chiudono. Anche perché quei soldi non vengono mica restituiti.

20140402-074005.jpg

Forse non è ancora chiaro a chi sta nelle cosiddette ‘stanze dei bottoni’, ma i lavoratori italiani non sono burattini che possono essere presi e riposti in una cassa, perché non servono più. Adesso anche basta…È il caso, allora, di alzare la voce per farsi sentire meglio, proprio come stanno facendo queste persone. Noi, pertanto, riportiamo la notizia per contribuire, nel nostro piccolo, a diffondere ulteriormente la notizia, affinché più gente possibile sappia cosa sta accadendo alla Micron, a circa 400 lavoratori, che dopo la protesta sui social hanno ora deciso di mettersi letteralmente in vendita su eBay. Da eccellenze St a eccedenze Micron, recita così l’annuncio che accompagna l’asta dei 419 ingegneri, fisici e tecnici specializzati.
L’annuncio ritwittato con l’hashtag #casomicron, oltreché eBay e sui social, è stato altresì pubblicato su cartelloni sei per tre esposti in tutta Italia. Peraltro, su questi poster i lavoratori hanno chiesto a “perditempo e delocalizzatori di astenersi”. Forse perché è a causa di questo genere di persone che sono finiti all’asta?

20140402-074055.jpg

Intanto, ad Arzano, per tenere alta l’attenzione sulla loro vertenza, i lavoratori adottano anche sistemi di protesta più tradizionali, come il picchettaggio di ieri al Consiglio Regionale. Mentre già all’indomani dell’annuncio di un taglio del 50% del personale da parte della multinazionale americana in Italia, i dipendenti avevano proclamato una serie di scioperi e da ultimo redatto una lettera a Renzi.
Proprio ieri il premier è intervenuto sul tema del lavoro, dopo che l’Istat ha reso noto il picco del 13% che la disoccupazione ha fatto registrare a febbraio scorso. Renzi ha inoltre definito questi dati “sconvolgenti”. Occorre più flessibilità per risanare il mercato del lavoro. Così si sarebbe espresso. Di diverso avviso pare essere, invece, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che ha parlato di flessibilità non utile e di un cambio necessario.
Nel frattempo il 7 aprile si avvicina. Facciamo girare questa notizia, condividiamola tutti sulle nostre bacheche. Noi stiamo con i lavoratori della Micron. E voi?

NEWS:
Il Fatto Quotidiano
RAI NEWS
Il Giorno
La Repubblica
Agrigento Notizie
Il Centro Quotidiano d’Abruzzo
Lettera43
Affari Italiani
ANSA ECONOMIA

20140402-074221.jpg

SEGUI BLOGNOMOS SU FACEBOOK