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Lavoro, il nuovo tempo determinato: Ichino, Tiraboschi, Cazzola, consulenti e agenzie danno i voti alla riforma del contratto

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di Cristiana Gamba, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 aprile 2014

Pietro Ichino, giuslavorista: voto 6
«Va salutato positivamente il fatto che con il decreto Poletti (n. 34/14) si superano alcuni limiti e vincoli in materia di contatto a termine, posti poco opportunamente dalla legge Fornero due fa», spiega il giuslavorista Pietro Ichino.
«Su questa nuova disciplina – continua – potrebbe sollevarsi un dubbio di compatibilità con le regole poste dalla direttiva europea n. 1999/70 per evitare che il contratto a termine diventi la forma normale di assunzione (la questione è dubbia)». Tuttavia, secondo l’esperto, «il vero difetto della nuova norma sta nel fatto che essa accentua l’apartheid normativo tra il mondo degli assunti a termine e quello degli assunti a tempo indeterminato. Questo difetto può essere superato con l’inserire nel decreto-legge la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti; e coll’inserire una disposizione che stabilisca una modesta indennità di cessazione proporzionata all’anzianità, sostitutiva del filtro giudiziale, identica per tempo indeterminato e determinato acausale». E conclude: «Solo in questo modo si otterrà di sdrammatizzare l’alternativa fra le due forme di contratto».

Michele Tiraboschi, giuslavorista: voto 5,5
Per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’efficacia del nuovo contratto così come è stato scritto è più nell’immediato che non a lungo termine. «La liberalizzazione del contratto a tempo determinato – spiega – può avere effetti positivi nel breve periodo in termini di maggiore occupazione; nel lungo periodo, la deregolamentazione del lavoro a termine è sintomatica di una mancanza di visione d’insieme sulle politiche del lavoro e sull’impianto sistematico del diritto del lavoro che, anche a guardare le sorti del contratto di apprendistato, sembra ora scardinato».
Anche Tiraboschi non nega poi il rischio di un potenziale aumento del contenzioso. «Sul piano tecnico – continua – l’intervento presenta diversi profili problematici che daranno luogo a un possibile contenzioso tanto è vero che la liberalizzazione del termine non intacca il principio legislativo della centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato con ciò aprendo la strada a interpretazioni restrittive dei giudici specie sulle proroghe che non solo adeguatamente regolate». Resta infine sullo sfondo il rischio di incompatibilità con la direttiva 99/70/CE derivante dalla rimozione di limiti alla reiterazione di contratti a termine.

Giuliano Cazzola, docente di diritto del lavoro Università ECampus: voto 7+
Sul contenzioso torna Giuliano Cazzola. E spiega: «La riforma del contratto a termine – ammesso che l’impianto innovativo non venga depotenziato – ridurrà certamente il contenzioso. Prima, nella sua genericità, il cosiddetto “causalone” sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali».
Cazzola aggiunge altri motivi, che qualificano il provvedimento. «Se ne rafforza la centralità al momento dell’assunzione sia rispetto al classico contratto standard a tempo indeterminato, sia nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo, adesso, è parecchio a rischio di sanzione dopo le modifiche a ‘’giro di vite” introdotte dalla legge n. 92 del 2012».
Secondo Cazzola «si rende marginale e meno interessante anche il ricorso ad un eventuale contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine ‘’liberalizzato” e molto meno complicato, all’atto della risoluzione».

Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro: voto 7
Piena promozione arriva anche da Luigi Brugnaro, presidente di Assololavoro, l’associazione che raccoglie le agenzie di somministrazione. «L’impianto complessivo della riforma è positivo – dice – perché mira a valorizzare la flessibilità buona di cui la somministrazione rappresenta la forma più avanzata.Spesso si sottovaluta la funzione che la flessibilità svolge a favore della competitività delle imprese». E aggiunge: «Ciò detto è utile sempre ribadire che i posti di lavoro non si creano per decreto, ma attraverso un rilancio complessivo dell’economia».

Marina Calderone, presidente Consiglio nazionale Ordine dei consulenti del lavoro: voto 7
« Il Contratto a termine con queste novità normative è più libero e va maggiormente incontro alle esigenze delle aziende – dice Marina Calderone -. Si tratta di disposizioni che vanno nella direzione della buona flessibilità, anche se per rilanciare l’occupazione è necessario far ripartire l’economia. Per decreto non si creano nuovi posti di lavoro. Anche l’apprendistato sembra avere meno vincoli; ma qualche dubbio sorge sulle disposizioni relative alla formazione pubblica, resa facoltativa ma di competenza delle Regioni. Per evitare potenziali conflitti di profilo costituzionale è necessario intervenire».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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LICENZIATO? MI VENDO SU EBAY!

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di Michele De Sanctis

A proposito di fuga di cervelli, stavolta a metterne alla porta circa 400 è l’americana Micron, operativa in Italia da tre anni dopo l’acquisto di Numonyx, azienda fondata nel 2008 da St Microelectronics e Intel, con circa 1100 dipendenti in tutto il Paese. E parliamo di manodopera qualificata, 419 eccellenze della microelettronica che dal 7 aprile verranno allontanate per esuberi dalle sedi di Agrate, Vimercate, Avezzano, Arzano e Catania. Tra meno di una settimana, quindi, anche queste persone saranno in mezzo a una strada. lI sito produttivo più colpito dai tagli è quello milanese di Agrate: 223 ‘eccedenze’ su 507 addetti. Ma sorte simile toccherà pure a quello di Vimercate, mentre sono 17 quelli che verranno fatti fuori dallo stabilimento abruzzese di Avezzano, che conta 92 dipendenti. A Catania saranno in 127, su 324 impiegati, a restare a casa, ad Arzano 52 su 131.
Ma stavolta i lavoratori non ci stanno. E hanno deciso di ingaggiare una battaglia mediatica, sfruttando al massimo le risorse della rete: tra hashtag su Twitter, post su Facebook e foto, la vicenda sta diventando un caso nazionale. Anche (e soprattutto) perché negli anni scorsi la Micron ha ricevuto 150 milioni di euro di contributi pubblici per creare 1.500 posti di lavoro. E se la Fiat fa scuola tra le aziende più spregiudicate, allora si spera che i dipendenti Micron la facciano tra tutti i lavoratori. E si auspica che anche l’Unione Europea intervenga in merito al comportamento di certe aziende che con una mano racimolano denari pubblici e con l’altra tagliano o chiudono. Anche perché quei soldi non vengono mica restituiti.

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Forse non è ancora chiaro a chi sta nelle cosiddette ‘stanze dei bottoni’, ma i lavoratori italiani non sono burattini che possono essere presi e riposti in una cassa, perché non servono più. Adesso anche basta…È il caso, allora, di alzare la voce per farsi sentire meglio, proprio come stanno facendo queste persone. Noi, pertanto, riportiamo la notizia per contribuire, nel nostro piccolo, a diffondere ulteriormente la notizia, affinché più gente possibile sappia cosa sta accadendo alla Micron, a circa 400 lavoratori, che dopo la protesta sui social hanno ora deciso di mettersi letteralmente in vendita su eBay. Da eccellenze St a eccedenze Micron, recita così l’annuncio che accompagna l’asta dei 419 ingegneri, fisici e tecnici specializzati.
L’annuncio ritwittato con l’hashtag #casomicron, oltreché eBay e sui social, è stato altresì pubblicato su cartelloni sei per tre esposti in tutta Italia. Peraltro, su questi poster i lavoratori hanno chiesto a “perditempo e delocalizzatori di astenersi”. Forse perché è a causa di questo genere di persone che sono finiti all’asta?

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Intanto, ad Arzano, per tenere alta l’attenzione sulla loro vertenza, i lavoratori adottano anche sistemi di protesta più tradizionali, come il picchettaggio di ieri al Consiglio Regionale. Mentre già all’indomani dell’annuncio di un taglio del 50% del personale da parte della multinazionale americana in Italia, i dipendenti avevano proclamato una serie di scioperi e da ultimo redatto una lettera a Renzi.
Proprio ieri il premier è intervenuto sul tema del lavoro, dopo che l’Istat ha reso noto il picco del 13% che la disoccupazione ha fatto registrare a febbraio scorso. Renzi ha inoltre definito questi dati “sconvolgenti”. Occorre più flessibilità per risanare il mercato del lavoro. Così si sarebbe espresso. Di diverso avviso pare essere, invece, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che ha parlato di flessibilità non utile e di un cambio necessario.
Nel frattempo il 7 aprile si avvicina. Facciamo girare questa notizia, condividiamola tutti sulle nostre bacheche. Noi stiamo con i lavoratori della Micron. E voi?

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Cottarelli: tagli alle invalidità civili

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di Michele De Sanctis

«Se sarà necessario non è da escludere una mobilitazione nazionale, tale da esprimere, con tutta la forza possibile, la disperazione che tali misure generano in una già grave situazione per le persone con disabilità e le loro famiglie». 
La società civile all’attacco del piano Cottarelli. Queste sono state, infatti, le prime dichiarazioni a caldo rilasciate da Pietro Barbieri e Giovanni Pagano, presidenti rispettivamente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), le due organizzazioni che rappresentano la quasi totalità delle Associazioni impegnate sul fronte della disabilità, dopo la diffusione delle Proposte di revisione della spesa pubblica, elaborate da Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la Spending Review, fra le cui ipotesi sono contemplati anche alcuni interventi sulla spesa per le invalidità civili «particolarmente preoccupanti».

Parliamo di 500 euro per 12 mensilità che l’INPS corrisponde, spesso dopo mesi di attesa, a famiglie sull’orlo della disperazione, che si trovano in casa una persona non più autosufficiente, gravemente malata e che necessita di un accudimento costante. Accudimento, rispetto al quale quel misero forfait è poco o nulla, tant’è che spesso non è neanche sufficiente a coprire quanto previsto dal contratto nazionale delle collaboratrici familiari e le famiglie si ritrovano costrette a ricorrere al lavoro nero o a dichiarare nel contratto con la badante un numero di ore di assistenza inferiori a quelle effettivamente prestate. Ad ogni buon conto, la stretta sulle pensioni di invalidità e accompagnamento si aggira intorno ai 30.000 euro individuali e ai 45.000 euro di reddito familiare: oltre questa soglia di reddito le stesse potrebbero essere negate.

«Le nostre Federazioni – dichiarano i Presidenti di FISH e FAND – rigettano ogni ipotesi di intervento sulle uniche provvidenze certe a favore delle gravi disabilità e intendono intervenire in tutte le sedi istituzionali, senza escludere il ricorso a una mobilitazione nazionale, per contrastare questa previsione».

La principale critica mossa ai rilievi di Cottarelli è quella circa la rilevata disomogeneità del territorio che non corrisponderebbe alla distribuzione demografica dei disabili; sul punto, le associazioni fanno notare che il «Commissario non ha incrociato i dati con la spesa per i non autosufficienti in quelle stesse Regioni». Diversamente, avrebbe scoperto che, «laddove le Regioni (esempio Calabria) spendono pochissimo per i disabili gravi, il numero delle indennità di accompagnamento lievita proporzionalmente. E soprattutto non ha presente i tagli massicci che la spesa sociale ha subito nell’ultimo decennio che spingono gli stessi Comuni a consigliare i propri cittadini ad avviare le procedure di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento».

E’ come dire che, dove ci sono più servizi a livello locale, meno si ricorre al parastato che, nelle realtà prive di assistenza alla persona a livello sanitario, quindi regionale, viene visto come l’ultima (e forse la sola) spiaggia, cui far ricorso per chiedere un aiuto.

Il cuore della questione è quindi il grafico, presentato da Cottarelli, che visualizza la distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, dimostrandone lo squilibrio interregionale: i numeri, riferiti solo alle persone con 65 e più anni, evidenziano che per 100 prestazioni di accompagnamento riconosciute in Piemonte (regione con il numero più basso) ce ne sono oltre 200 in Calabria (regione con il numero più alto) e picchi evidenti anche in Campania, Umbria e Sardegna, seguite da Puglia e Sicilia. All’estremo opposto, con il Piemonte, anche Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana. Le altre, chi più chi meno, nel mezzo. “Tale andamento – scrive la FISH – dimostra sicuramente una differente distribuzione territoriale delle prestazioni di indennità di accompagnamento, ma nulla ci dice rispetto alle motivazioni che potrebbero stare alla base degli squilibri evidenziati”.

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«Il documento del Commissario Straordinario – dichiarano Barbieri e Pagano – ripropone vetuste e discutibili proiezioni, evidenziando come in alcune Regioni vi siano percentuali maggiori di indennità di accompagnamento rispetto ad altre. Abusi, quindi, che sarebbero dimostrati appunto dai “picchi territoriali” e da un aumento della spesa non dimostrata da “flussi demografici”. Ma, come appena evidenziato, è “piuttosto semplicistico” affermare che il maggior numero di indennità di accompagnamento concesse in alcune regioni rispetto ad altre derivi da una serie di “abusi” che andrebbero contrastati. Lo si legge anche su una fonte autorevole in questo campo come Superabile, il portale che INAIL ha dedicato alle tematiche della disabilità. E’, perciò, diventata una guerra di numeri quella che in queste ore vede contrapposti da un lato chi spinge per una stretta sulle pensioni di invalidità e sulle indennità di accompagnamento e dall’altro chi invece quegli stessi interventi vorrebbe evitarli.

La FISH sul suo portale Condicio.it critica aspramente questi dati apparentemente incomprensibili e incontrovertibili rispondendo con altri numeri e tabelle, usando elaborazioni ISTAT che provano a dare una spiegazione al fenomeno, rilevato da supercommissario. Senza mancare di far notare che le indennità di accompagnamento sono concesse soprattutto agli ultra65enni (a loro va il 73% del totale, dati Istat al 1° gennaio 2012) e che la stessa presenza di “picchi territoriali” risulta alquanto strana sia in considerazione del ruolo che, nella validazione dei verbali di invalidità, hanno i medici INPS (che agiscono secondo criteri omogenei in tutta Italia), e sia considerando il fatto che fra il 2009 e il 2014 oltre un milione di posizioni è stato sottoposto a controllo. Evidente il riferimento alle azioni contro i cosiddetti “falsi invalidi”, da sempre criticate dalla Fish per gli scarsi risultati raggiunti. Lo stesso neo Presidente dell’Istituto di previdenza sociale, Vittorio Conti, ha, peraltro, ribadito che i controlli contro i falsi invalidi sono già stati fatti e che, comunque, se davvero si volessero ottenere tagli consistenti, occorrerebbe abbassare ancora di più la soglia degli aventi diritto all’indennità di accompagnamento. 

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Come dire che il programmato taglio non sarebbe, evidentemente, sufficiente. La sperequazione a livello regionale tra aree virtuose e meno, d’altro canto, ne risulterebbe incrementata, con il solo risultato che i disabili residenti in quelle zone prive di una sanità pubblica efficiente resterebbero di fatto senza una tutela garantita, peraltro, dalla Costituzione. Secondo chi scrive, c’è poi da considerare un ultimo aspetto: discriminare la concessione dell’accompagnamento con una simile soglia di reddito, non porterebbe questo beneficio a perdere la sua natura previdenziale, divenendo quasi un contributo assistenziale per disabili non abbienti? Previdenza e assistenza: sono concetti di legislazione sociale su cui si basa la differenza di taluni interventi che il nostro stato sociale ha previsto in situazioni diverse di bisogno. E mi viene anche un sospetto, a breve si tornerà a parlare di assoggettamento a IRPEF delle pensioni di invalidità civile? Questa spending che è stata presentata come la cura che ci salverà dalla lunga malattia che avvilisce la nostra economia, necesssaria per finanziare le promesse riforme del jobs act, millantato dal premier col fare di un teleimbonitore che illustra le caratteristiche del prodotto del giorno, mi sembra una specie di ‘fake’. E alla fine mi resta un dubbio: era così indispensabile colpire di nuovo questa categoria di soggetti, che è già stata nel mirino di tutti gli ultimi governi?

Italicum, parla il giurista Azzariti: “Troppa continuità col Porcellum, la costituzionalità è a rischio”

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Fonte: MicroMega

“Su premio e preferenze la sentenza della Corte non è stata rispettata. Manca equilibrio tra rappresentanza e governabilità, l’Italicum è tutto sbilanciato su quest’ultima”. Intervista al giurista Gaetano Azzariti.

di Liana Milella, da Repubblica, 12 marzo 2014

Una legge costituzionale? «La definirei ad alto rischio». Interverrà la Consulta? «Non mancherà l’occasione». Donne non garantite? «Chi ha scritto l’Italicum non ha studiato bene la Costituzione». Il Senato escluso? «L’irrazionalità al potere». Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, è critico sulla riforma e dice: «Sono molto preoccupato».

Voto sofferto alla Camera. Che ne pensa?

«Mi sembra che proseguano tutte le difficoltà che hanno caratterizzato l’ultimo biennio di travagliato dibattito sul sistema elettorale. Non mi stupisce, apparendomi l’Italicun in assoluta continuità con il Porcellum».

Beh…non è per niente un buon viatico.

«Se prendiamo in esame i tratti che caratterizzano la legge, non possiamo che constatare la continuità: un premio di maggioranza che pur avendo una soglia rimane abnorme; le liste pur sempre bloccate; la possibile pluricandidabilità nei collegi dei candidati; l’assenza di ogni norma riequilibratrice tra i sessi; la previsione di una quantità irrazionale di soglie di accesso ».

L’Italicum rischia, come il Porcellum, lo stop della Consulta?

«Mi limito a osservare che non mi sembrano rispettati i principi della sentenza della Corte pur fresca di due mesi».

Premio e preferenze, dove inciampadi più?

«Su entrambi. Quanto al premio, la Corte ha scritto che si deve evitare “l’alterazione profonda della rappresentanza democratica”, ossia del necessario equilibrio tra rappresentanza e governabilità. L’Italicum invece è tutto sbilanciato su quest’ultima. Quanto alle liste, la Corte impone il concorso dei cittadini alla scelta dei propri rappresentanti, che l’Italicum impedisce con il ricorso alle liste bloccate e con la ripartizione pluricircoscrizionale dei seggi».

Le preferenze non sono passate per 35 voti. Non è il segnale che molti avvertono questa grave lacuna?

«Tutta la discussione sulla riforma è segnata da un forte malessere, in particolare nel Pd, in cui la disciplina di partito non riesce ad arginare evidenti dissensi di fondo. Non credo che la colpa sia solo del voto segreto, ma viceversa che nel segreto del voto dilaghi un dissenso manifesto».

Una riforma solo per la Camera è una grave anomalia?

«È espressione di un’azione politica che giudico spericolata perché introduce un elemento di irrazionalità rispetto agli stessi scopidi chi sponsorizza la legge».

Prevede conseguenze negative?

«Andare alle elezioni con due sistemi così diversi tra Camera e Senato finirebbe per porre nel nulla le pretese di governabilità messe a fondamento dell’intera revisione della legge elettorale. Avremmo una sicura governabilità alla Camera e una certa assenza di possibile maggioranza al Senato. La “scommessa” della sua abolizione, a oggi, non può essere data per scontata. Ciò renderebbe difficile, se non impossibile, andare ad elezioni limitando in modo rilevante un potere del capo dello Stato».

Fino a spingerlo a non firmare la legge?

«È Napolitano che, dopo l’accordo, ha dichiarato che si sarebbe riservato di svolgere un attento esame in fase di promulgazione».

ITALICUM

La nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati è un sistema proporzionale con premio di governabilità che assicuri la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Per ottenere il premio di maggioranza sarà necessario superare la soglia del 37% dei voti. Il premio è fissato al massimo al 15%, in modo da permettere al vincitore di raggiungere (senza superare) il tetto dei 340 seggi, pari, cioè, al 55%.

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Piano casa, da fondo affitti a cedolare al 10%

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Fonte: ANSA

Arriva il decreto da 1,6 miliardi. Stretta sulle occupazioni abusive

ROMA – Meno tasse sugli affitti a canone concordato, abitazioni a riscatto, forti stimoli all’edilizia sociale, finanziamenti per le ristrutturazioni, fondo affitti, agenzie per la casa: approda sul tavolo del Consiglio dei ministri il piano casa da 1,6 miliardi di interventi messo a punto dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, la cui ossatura era già definita ma che ha preso ora una forma compiuta nel decreto legge che dovrà essere varato in giornata. Ecco, in sintesi, i punti principali del provvedimento che si muove su alcuni cardini principali: agevolare gli affitti, facilitare l’acquisto e stimolare l’edilizia sociale.

– Fondo affitti e morosità incolpevole: lo stanziamento per il Fondo nazionale per l’accesso alle abitazioni passa da 100 a 200 milioni di euro (100 quest’anno e 100 per il 2015); il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli aumenta tra il 2014 e il 2020 di 241, 4 milioni di euro (19,6 mln quest’anno).

– Affitti agevolati: i comuni e le regioni potranno attivare agenzie che dovranno favorire il reperimento di alloggi da offrire a canone concordato e favorire l’incontro tra domanda e offerta anche fornendo garanzie ai proprietari che affitteranno; scende al 10%, ma limitatamente al quadriennio 2014-2017 la cedolare secca per chi vorrà affittare a canone concordato. Restano inoltre in vigore le procedure di sfratto per morosità. Saranno infine previste detrazioni per gli inquilini di alloggi sociali, pari a 900 euro per i redditi sotto i 15.500 euro che si dimezzano a 450 euro per quelli invece sotto i 31.000 euro l’anno.

– Case occupate abusivamente: stretta su questo punto con l’impossibilità per chi occupa abusivamente un immobile non possa chiedere né la residenza né l’allacciamento ai pubblici servizi.

– Acquisto di immobili: il piano prevede la conclusione di accordi con regioni ed enti locali per l’alienazione a favore degli inquilini degli immobili ex Iacp; il ricavato sarà destinato a realizzare nuovi alloggi e a conservare gli esistenti. Fino ad un massimo di 18,9 mln anno dal 2015 al 2020 la dotazione del fondo che dovrà agevolare i finanziamenti per gli acquisti. Nel decreto anche la norma che consente di utilizzare fino a 10 mila euro di detrazioni per l’acquisto di mobili anche se le spese per le ristrutturazioni agevolate sono state di importo inferiore.

– Case a riscatto: per agevolare l’accesso alla proprietà, si prevede che il conduttore possa imputare in tutto o in parte fino alla data del riscatto i canoni di locazione in conto del prezzo di futuro acquisto dell’alloggio sociale. Il riscatto è possibile dopo 7 anni di locazione.

– Stimoli all’edilizia sociale: si prevede di aumentare l’offerta attraverso interventi di ristrutturazione ma anche di sostituzione del patrimonio e cambi di destinazione d’uso anche senza opere.

Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all’attacco del premier per paura di diventare irrilevanti

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Fonte: Huffington Post
di Giacomo Galanti

Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n’è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all’angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l’antica concertazione.

Allora viene quasi automatico chiamare “nuovo” Pd il partito guidato da Renzi come il new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.

Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l’unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. “Il perire della Cgil – ha detto – corrisponde al perire nostro”. Il segretario della Cisl attacca “i populisti della politica” e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono “essere diversi sì, ma non avere l’esigenza di staccarsi – ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato”.

E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: “Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri”. Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l’austero Mario Monti – che comunque li convocava anche se a cose già fatte – piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.

Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione ‘privilegiata’, è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.

Tanto che Camusso rispedisce al mittente l’accusa di “antichità”: “Devo dire – ha spiegato – che per chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria”. “Nella nostra memoria – ha aggiunto il segretario della Cgil – penso che di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse”. “Ma in realtà – ha continuato – con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni”. La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.

Governo-Sindacati: dialogo tra sordi?

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di Michele De Sanctis

Il braccio di ferro tra Renzi e Susanna Camusso, che negli ultimi giorni ha esacerbato le polemiche scaturite dalla divulgazione del Jobs Act, merita alcune brevi osservazioni, nell’imminenza della presentazione ufficiale del ddl lavoro.
Sebbene i rapporti tra sinistra e CGIL siano sempre stati ispirati da un tacito principio collaborazionista, negli ultimi anni, complice la crisi e le pressanti richieste della trojka, abbiamo assistito a un decisivo cambiamento di rotta fino ad arrivare all’attuale premier che non si fa scrupolo nel dichiarare le sue intenzioni di procedere nel cammino delle riforme promesse con o senza l’approvazione delle principali sigle sindacali. Anche perché è opinione di Renzi che i sindacati, così come storicamente si sono configurati nella società italiana, siano forze più conservative che progressiste. Posizione opinabile e facilmente confutabile, a mio avviso. Eppure si tratta di un Presidente del Consiglio espressione di un partito che, nella sua duplice natura, conserva non solo la matrice d’ispirazione socialdemocratica e, quindi, di cooperazione con i sindacati, ma che, pure nella sua matrice centrista, non è comunque avulso dallo spirito associazionista dei trait d’union.

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Del resto, la cd. concertazione, siglata dagli accordi del luglio ’93 tra sindacati e politica, ha dato frutti importanti e duraturi per l’economia italiana. E’ solo con il secondo governo Berlusconi e lo scellerato Patto per l’Italia del 2002 che si assiste a un progressivo deterioramento dei rapporti tra istituzioni e parti sociali. Il tentativo dei governi di centrodestra è stato, infatti, quello di mettere fuori gioco la CGIL, pur trattandosi del sindacato maggiormente rappresentativo del Paese, al fine di creare una frattura tra questa Confederazione e le altre sigle. Di tale situazione, radicatasi nel corso dell’ultimo decennio, Confindustria e i rappresentanti delle parti datoriali sono stati i principali beneficiari. L’esautoramento della forza rappresentativa della CGIL si è protratto fino al caso Pomigliano, quando nel 2010 FIAT riuscì a tagliarla fuori del tutto dagli accordi decentrati.

Lavoratori-sospesi

Ma l’esclusione della CGIL dai tavoli di trattativa ha portato ad accordi impopolari, quanto iniqui e, successivamente, all’indebolimento di tutto il movimento sindacale nel suo complesso. Tant’è vero che, nel governo Monti, il ministro Fornero, ignorando i suggerimenti delle parti sociali, ha varato la sua riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale seguendo le sole linee governative, le raccomandazioni di Bruxelles, quelle di Berlino e, soprattutto, quelle delle principali banche d’affari, creando più di 100.000 esodati, problema a tutt’oggi irrisolto. Considerando un tale precedente ed il danno sociale che ne è stato determinato, sarebbe buona regola riprendere la prassi degli accordi concertati, anche perché un uomo solo, per quanto si proclami risolutivo, non può, in un sistema democratico, mettere mano da solo a nessun tipo di riforma, tanto più a quelle che impattano sensibilmente la società civile. Ci auspichiamo, dunque, un’immediata ripresa del dialogo, lasciando da parte atteggiamenti di sufficienza nei confronti di quelle associazioni che rappresentano i diretti destinatari della riforma che il Governo si appresta a varare.

Annunciata per domani la presentazione del Piano Casa.

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di Michele De Sanctis

Rinviato alle 10.00 di domani mattina il pre-Consiglio, già in programma per oggi, cui seguirà la riunione del Governo durante la quale verrà ufficialmente presentato il Piano Casa del Governo Renzi.

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La relazione tecnica al decreto legge che sarà esaminato domani dall’esecutivo indica un recupero fino a 68.000 alloggi in quattro anni, vale a dire 12.000 alloggi all’anno. Ciò sarà possibile tramite «il ripristino di quelli di risulta», più altri 5.000 «attraverso il finanziamento della pregressa manutenzione straordinaria».

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Il d.l., peraltro, ridurrà dal 15% al 10% la misura della cedolare secca sugli immobili locati a canone concordato, determinando, secondo quanto stimato dal Governo, un aumento del 5% almeno di adesioni a questo regime. La valutazione è stata effettuata su una base imponibile interessata pari a 540.000.000 Euro (prendendo a riferimento la dichiarazione dei redditi anno 2012).
La copertura prevista sarà pari a 1,35 miliardi in 4 anni. Nella relazione tecnica leggiamo che tale finanziamento avrà «un notevole impatto occupazionale sul settore dell’edilizia attualmente in crisi».

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Verranno, inoltre, stanziati 568.000.000 per il recupero degli alloggi ex IACP. Ma il finanziamento riguarderà soltanto i conduttori con reddito annuo lordo familiare inferiore a € 27.000 e che abbiano nel proprio nucleo persone di oltre 65 anni, malati terminali ovvero portatori di handicap con invalidità superiore al 66%. La relazione stima che «il costo di intervento per ciascun alloggio da recuperare si può ragionevolmente stimare in 30-40 mila euro».

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Il Piano Casa del Governo Renzi prevede, inoltre, una detrazione media IRPEF di 530 euro per gli inquilini che prenderanno in locazione alloggi popolari a canone concordato. La detrazione sarà di un massimo di € 900 per redditi complessivi fino a 15.493,71 Euro e un minimo di € 450 per redditi tra i 15.493,71 e i 30.987,41 Euro. Il numero di alloggi interessati é calcolato nella misura di 40.000 unità. In termini di competenza la relazione tecnica stima una perdita di gettito di 21,2 milioni l’anno, mentre in termini di cassa, se quest’anno non ci sarà aggravio, dal 2015 la perdita di gettito passerà dai 37,1 milioni ai 21,2 dei prossimi anni, fino al 2018 quando il conto dovrebbe tornare positivo con +15,9 milioni.

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La riforma del settore in parola sarà presentata insieme al ddl lavoro.
BlogNomos, che ha già esaminato i punti del Jobs Act e con oggi la relazione tecnica al Piano Casa, vi terrà informati sulle novità ufficializzate dalla squadra di Governo non appena si renderanno disponibili.
Continuate a seguirci…

MDS

Lavoro: Renzi, ok assegno disoccupazione

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In attesa dell’imminente Jobs Act sottoponiamo alla vostra attenzione un’ANSA dello scorso 9 marzo. Cosa ne pensate delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio?

Ok assegno disoccupazione, ma con riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
(ANSA) – ROMA, 9 MAR – “L’assegno di disoccupazione arriverà con un ddl che impone la riorganizzazione degli strumenti di ammortizzazione sociale”. Lo dice il Matteo Renzi che chiede “un altro impegno. Al disoccupato do il contributo ma lui non sta a casa o al bar ma mi da una mano per le cose che servono. Ti do una mano e tu mi dai una mano ad aiutarti”.

ANSA