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L’incoerenza della Francia (nucleare) che vuol salvare il pianeta boicottando la Nutella. 

  

Con i suoi 58 reattori nucleari, la Francia possiede il secondo parco al mondo di impianti energetici di questo tipo (preceduta solo dagli USA), mentre la sua quota di energia nucleare sulla produzione totale di energia elettrica corrisponde a quasi il 79%, ponendola come leader indiscusso a livello mondiale. Come noto, a differenza dei nostri cugini francesi, noi italiani abbiamo scelto fonti di energia più sostenibil. Ma per il ministro dell’Ambiente francese Ségolène Royal, il principale problema della Terra non sono gli impianti nucleari del suo Paese. Per il ministro francese, piuttosto, bisogna smettere di mangiare la Nutella per salvare il pianeta. 

  
En passant, Greenpeace ha subito precisato che la Ferrero, azienda italiana produttrice della famosa Nutella, è una delle principali aziende al mondo a sostenere il progetto del Palm Oil Innovation Group, oltre ad essere uno dei primi gruppi che è riuscito a sostituire l’olio di palma utilizzato nella sua filiera con quello certificato dalla Roundtable on Sustainable Palm Oil. Cioè per fare la Nutella nessun albero viene abbattuto per creare spazio e piantare una coltivazione intensiva di palme.

  

Diversamente, Greenpeace da anni si batte per la chiusura delle centrali nucleari d’Oltralpe. Il 18 marzo 2014, per esempio, la stessa organizzazione ecologista riuscì ad esporre su uno dei reattori dell’impianto della centrale nucleare di Fessenheim situata nell’est della Francia un enorme striscione che recitava “Stop risking Europe” (Basta mettere a rischio l’Europa). L’iniziativa era tesa a denunciare le debolezze del sistema di sicurezza degli impianti atomici. Secondo quanto riportato da TMNews, l’impianto nucleare di Fessenheim, che sorge sulle rive del Reno, ai confini con Svizzera e Germania, è considerato uno dei più vulnerabili alle attività sismiche e alle inondazioni. Un anno prima, ben 29 attivisti erano stati arrestati dalla polizia francese dopo aver fatto irruzione nella centrale nucleare francese di Tricastin, per esporre due striscioni con la scritta: “Tricastin: incidente nucleare” e “Francois Hollande: presidente della catastrofe?”. In particolare, le proteste sono mirate soprattutto alla chiusura delle centrali più antiche, non solo in Francia, ma in tutta Europa, che, considerata l’usura e l’obsolescenza dei propri impianti, sono anche le più a rischio di disastro ambientale.

  
Nonostante le promesse del presidente Hollande sulla chiusura di alcuni impianti, il parco nucleare francese è ben lontano da una sua dismissione, sia pure parziale. E nonostante il rischio ambientale rappresentato dai reattori nucleari del proprio Paese, il ministro dell’Ambiente francese si occupa, invece, degli alberi che verrebbero abbattuti da una sola azienda italiana per produrre la sua nota crema gianduia, senza, peraltro, informarsi o meno se tale azienda sia effettivamente responsabile della deforestazione mondiale, di cui – in ogni caso – sarebbero responsabili molte altre industrie (non solo alimentari), visto l’uso intensivo che dell’olio di palma viene fatto nelle catene produttive di tutto il pianeta. E salvo, poi, chiedere scusa su Twitter. In ogni caso, notiamo con disappunto che ha chiesto solo scusa, il ministro, non ha detto che si è sbagliata. Insomma, non è che abbia anche ritrattato.

  
Questo brutto episodio di politica 2.0 della peggior specie, ci lascia però supporre che il tema dell’ecologia sia stato solo strumentale a sabotare una delle poche aziende italiane più competitive a livello globale. L’economia europea in questi anni di crisi ha dimostrato come la politica dei singoli Paesi si stia facendo via via più aggressiva nei confronti dei propri partner UE: questa specie di campagna diffamatoria stroncata sul nascere non è che un piccolo esempio. E oltretutto non è che un episodio marginale tra altri ben più macroscopici. 

  
Se, infatti, per salvare il mondo dobbiamo smettere di mangiare Nutella come suggerisce la ministra francese, dobbiamo allora pensare che lasciare i profughi del Nord Africa sugli scogli, o respingerli entro i confini italiani, come fa il governo a cui lei appartiene, contribuisce a migliorarlo? E se la Nutella contribuisse davvero a distruggere il pianeta, per chi dovremmo salvarlo? Per una manica di razzisti con la ‘spocchia’ di chi si sente migliore di chi non ha avuto la fortuna di nascere nella civile ed evoluta Europa? Così civile da aver prodotto due guerre mondiali in meno di cinquant’anni? Vale davvero la pena salvare il pianeta per chi lo sta rendendo un posto peggiore?

MDS – BlogNomos

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LE RECENSIONI DI BLOGNOMOS: “SOTTOMISSIONE” DI MICHEL HOUELLEBECQ.

Marchio: Bompiani
Collana: LETTERATURA STRANIERA
Prezzo: 17.50 €
Pagine: 256
EAN: 9788845278709
Formato libro: 21 x 15
Tipologia: BROSSURA

“Sottomissione” di Michel Houellebecq è un libro molto particolare e destinato a far discutere di sé. Uscito in Francia il 7 gennaio, cioè il giorno del massacro alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e nel supermercato casher da parte di estremistri islamici, il romanzo che prefigura un processo di islamizzazione della Francia ha destato un’enorme impressione. E l’autore per timore di rappresaglie si è sottratto alla presentazione della sua opera in un pubblico dibattito televisivo previsto per quello stesso giorno.

“Sottomissione”, complice una ben orchestrata campagna pubblicitaria, rischia, così, di essere giudicato, per motivi più attinenti alla cronaca recente, piuttosto che per il suo specifico letterario.

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Nel romanzo si ipotizza l’affermazione del partito della Fratellanza Musulmana nelle elezioni presidenziali del 2022 in Francia, dopo il secondo disastroso mandato di Hollande. Siamo in un Paese spaventato dalle spinte xenofobe del Fronte Nationale di Marine Le Pen e sfiduciato dalla pochezza dei partiti tradizionali. Il partito filo islamico è capeggiato da Mohammed Ben Allas, brillante e accorto uomo politico che ha avuto la capacità di convincere, con la sua proposta di islamizzazione della società francese, anche una sinistra sfiduciata che però non può riconoscersi nell’estremismo lepeniano e le forze moderate che non sanno come uscire da una crisi politica così devastante. Ma la crisi che attraversa tutti i vecchi partiti della Francia è anche la crisi della società francese e di tutta l’Europa che vede sbiadire i vecchi valori dell’Illuminismo e non si riconosce più in un cattolicesimo sempre più stanco.

Il racconto di questo mutamento epocale è affidato a protagonista del romanzo: François, un quarantenne in crisi fisica e morale, docente universitario, studioso del decadente Huysmans (e nel corso del romanzo avremo modo di apprezzare i suoi pensieri originali sull’autore tardo ottocentesco e soprattutto sul suo romanzo più noto “ Controcorrente”), che perderà la cattedra, ma a seguito della sua conversione all’Islam, tornerà ad insegnare.

Come appare evidente da queste note siamo in presenza di tre filoni nel romanzo: il processo di islamizzazione della società francese che assume l’aspetto di un pamphlet fantapolitico, la crisi di valori di François e la sua spietata analisi di una società senza amore e senza Dio in cui contano solo il denaro e il sesso sfrenato a cui pure il professore si abbandona ma sempre con più stanchezza e disagio, con la convinzione ormai che non ritroverà il proprio equilibrio attraverso il piacere del corpo. E, infine le acute analisi dedicate alla figura di Huysmans e che forse rappresentano la parte più viva ed originale del romanzo.

Il processo di islamizzazione della Francia serve a Houellebecq per descrivere alcuni aspetti della società contemporanea. La decadenza, l’amoralità, l’aridità e la spinta compulsiva a soddisfare i propri desideri. L’Occidente di Houellebecq è un mondo senza nessuna pietà in cui l’unica legge è quella del mercato. La crisi dei valori fondanti della società occidentale porta lo scrittore alla convinzione che solo l’Islam potrà salvare questa parte di mondo. Né la destra con la sua ideologia debole, né la sinistra con il suo lassismo, né il cristianesimo le cui idee gli appaiono troppo secolarizzate possono essere una valida risposta al bisogno di sicurezza e trascendenza dell’uomo contemporaneo. Se il percorso di Huysmans, deluso da tutto, sarà dal decadentismo al cristianesimo, quello di Houellebecq muove dal nichilismo per approdare a un Islam moderato i cui valori possono convivere con quelli fondanti della società occidentale. Un percorso che ci lascia perplessi perché in altre sue opere, e soprattutto in “Territorio” Houellebecq aveva sempre scritto parole non proprio benevoli contro il fondamentalismo islamico. Ma lo scrittore giustifica questo suo cambiamento di rotta dicendo che la lettura del Corano gli ha mostrato con grande evidenza come quei valori che prima gli sembravano così distanti da lui ora gli sembrano conciliabili con la nostra società e in grado di rivivificarla. Insomma l’Europa non ha più bisogno di un cattolicesimo troppo secolarizzato, né di un laicismo troppo relativista, ma di una religione come quella dell’Islam che offre ancora una dimensione politica di cui ha bisogno per sopravvivere. Una visione totalizzante e totalitaria della religione da cui l’Occidente si è emancipato attraverso l’affermazione della coscienza individuale di Lutero, “l’io penso” di Cartesio e tutte le acquisizioni della separazione fra religione e politica operate dall’Illuminismo e che, a fatica e dopo secoli di contrasti e resistenza, finalmente il cattolicesimo ha fatto suo. Quella che nell’opinione corrente rappresenta la svolta positiva della Chiesa cattolica cioè la sua pacifica convivenza col laicismo, per lo scrittore francese ne segna il limite e l’arretratezza culturale. E’ una posizione veramente difficile da comprendere. Allora ci appare più percorribile la proposta di Camus, un autore che Houellebecq tiene sempre presente nella sua opera e con cui interloquisce anche per contrasto, che di fronte all’assurdità dell’esistenza individua nella solidarietà tra gli uomini uno sbocco positivo. Ma questo punto potremmo citare tanti scrittori e intellettuali, da Thomas Mann a Marcuse ad Adorno, per fare solo qualche nome, che di fronte alla crisi della società contemporanea cercano soluzioni, seppure non sempre convincenti, ma comunque sempre dentro l’alveo di un pensiero come quello occidentale profondamente segnato dalla cultura greco-latina, dall’Illuminismo e dalla religione cattolica.

A conclusione di questa breve analisi di “Sottomissione” ci sentiamo di dire che il brillante e caustico scrittore francese ancora una volta attraverso una sapiente e ben orchestrata scrittura ha dato vita a un’opera che nel suo proposito è destinata fare scandalo, ma che in realtà appare non all’altezza delle sue precedenti prove migliori. Innanzi tutto le tre parti: quella fantapolitica, quella più propriamente esistenziale del protagonista e quella dedicata alla critica dell’opera di Huysmans non sempre sono ben amalgamate tra loro, sebbene l’autore è molto abile nel ricucire, con la ben nota sua capacità di scrittura fluida e urticante le cesure da un filone all’altro. Inoltre c’è da dire che il pamphet fantapolitico è francamente improbabile in una realtà così complessa e articolata come l”Europa. Invece, il resoconto esistenziale del protagonista, un intellettuale in crisi d’identità che trova nel sesso, praticato sempre più stancamente con le proprie allieve, il modo per sopravvivere, è un tema già ampiamente illustrato da Philip Roth nei suoi romanzi e quindi non è una novità e le acute osservazioni su “Controcorrente” sebbene ricco di spunti originali, poteva, come giustamente dice Baricco, nella sua recensione del 20 gennaio 2015 su Repubblica, dare vita a un saggio critico a sè stante. Ma da un po’ di tempo c’è questo vezzo tra gli scrittori contemporanei di mischiare saggio storico, saggio letterario, critica sociale e realtà romanzesca in opere che non rispettano più i confine del genere e che rendono anche difficile capire quanto è attribuibile direttamente al pensiero dell’autore e quanto invece è solo funzionale alla definizione del protagonista del romanzo e dell’ambiente rappresentato.

Stefano De Sanctis
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La Francia con le spalle al muro davanti a uno shock deflazionistico

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L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali…

Il presidente francese François Hollande deve ora pagare il prezzo per essersi piegato alle politiche recessive dell’eurozona. Il suo paese sta entrando in deflazione.

In gennaio i prezzi in Francia sono scesi dello 0,6% rispetto al mese precedente e sarebbero scesi anche di più se non ci fosse stato un aumento della tassazione una tantum.

I prezzi dei prodotti manifatturieri sono scesi del 3% e il vestiario è sceso del 15,4%, visto che i rivenditori hanno abbassato i prezzi per svuotare i magazzini.

In Francia i prezzi “core” (esclusi alimentari ed energia, ndt) sono in caduta da mesi, anche se l’indice core dei prezzi al Consumo calcolato su base annuale è ancora lievemente positivo, allo 0,1%.

Questa situazione è esattamente quella che un anno fa l’Observatoire Economique aveva previsto che si sarebbe verificata in seguito alle politiche restrittive dell’eurozona, ossia in presenza di una triplice stretta di austerità fiscale, politica monetaria passivamente restrittiva, e drastica contrazione dei prestiti bancari.

Sorpresa, sorpresa! L’aggregato monetario M3 dell’eurozona è in contrazione fin dallo scorso marzo.

Molti ridevano delle previsioni dell’Observatoire. Adesso nessuno ha più voglia di ridere. Come ha detto l’IMF la scorsa notte, manca solo uno shock esterno perché l’Europa sprofondi decisamente in deflazione.

“Un nuovo rischio per l’attività economica deriva da un’inflazione molto bassa nelle economie avanzate, soprattutto nell’eurozona che, se dovesse rimanere sotto il proprio obiettivo di inflazione per un periodo prolungato, potrebbe compromettere le aspettative di inflazione a lungo termine. Una bassa inflazione comporta il rischio di deflazione in caso di un grave shock negativo dell’economia. Nell’eurozona, la bassa inflazione complica anche il compito della periferia dove il peso reale del debito sia pubblico che privato aumenterebbe in seguito all’aumento dei tassi di interesse reali.”

Da dove lo shock potrebbe arrivare, non è un mistero. La Fed e la Banca centrale cinese stanno facendo politiche restrittive, provocando una tempesta nei mercati emergenti che si sta aggravando di giorno in giorno.

Una lunga lista di paesi sono obbligati ad alzare i tassi di interesse per difendere le loro valute, creando un ulteriore impulso alla contrazione. Alcuni di questi paesi stanno uscendo fuori dai binari tutti contemporaneamente.

Gli ottimisti hanno una fede commovente nella locomotiva tedesca, che secondo loro dovrebbe tirare l’eurozona fuori dalla palude, ma i dati più recenti dimostrano che i salari tedeschi sono scesi dello 0,2% nel 2013. Anche la Germania è in deflazione salariale.

Il che fa sorgere la domanda: come diavolo faranno la Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia a recuperare la competitività del lavoro perduta nei confronti della Germania tramite delle “svalutazioni interne”, se i salari tedeschi sono in calo?

Questo costringe tali paesi ad entrare in una deflazione salariale ancor più profonda per colmare il divario, cosa che a sua volta porta le dinamiche del debito fuori controllo, poiché l’effetto denominatore peggiora la situazione.

Esiste una soluzione tecnica per questo. Si chiama Quantitative Easing. La Banca Centrale Europea può allontanare dagli scogli l’intero sistema UEM lanciando un blitz monetario per centrare il proprio target di crescita M3 del 4,5%.

Purtroppo, la Corte costituzionale tedesca ha appena sollevato l’asticella della politica sul QE a un livello così alto che la BCE dovrà attendere l’urto sugli scogli prima di reagire, e allora sarà troppo tardi.

Contrariamente a quanto si crede comunemente, nei trattati non c’è nessun divieto contro il QE. Mario Draghi ha detto esplicitamente che “non è illegale” e rimane un’opzione in extremis.

Maastricht vieta la monetizzazione del deficit ma non le operazioni di mercato aperto (QE) necessarie per mantenere la stabilità monetaria.

Il presunto vincolo è interamente politico e ideologico, e spinto dal timore che gli euroscettici tedeschi possano contrastarlo nei tribunali.

Così abbiamo una situazione di stallo. Cosa succede ora, se le polveri bagnate della ripresa dell’eurozona ancora una volta non prendono fuoco? Il destino del Giappone è dietro l’angolo.

Fonte: Goofynomics

Traduzione: Voci dall’estero