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IL MESSAGGIO DI PASQUA DI ALEXIS TSIPRAS AI GRECI.

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La crisi, che ormai da anni coinvolge il vecchio continente, conduce a più di una riflessione. Anche in questo giorno di Pasqua. Per questo, vi proponiamo l’augurio che il leader della sinistra radicale greca Syriza, Alexis Tsipras, ha rivolto al suo popolo.
Il nostro blog ha scelto di riportare i fatti così come sono, senza fare propaganda per alcuna coalizione, pur mantenendo ogni autore ferma la propria ideologia. Ma vi proponiamo, tra tutti gli auguri che oggi abbiamo letto in rete, questi, perché più degli altri racchiudono la disperazione e la voglia di ricominciare di chi vive la crisi sulla propria pelle. Di chi, più di ogni altro in Europa, ne subisce ogni giorno i drammatici effetti.

AS

Il messaggio della resurrezione è un messaggio di redenzione, la vittoria di un messaggio di vita, un messaggio di libertà.
Soprattutto, però, è un messaggio di gioia.
Uomini e donne greche, abbiamo bisogno più che mai di condividere questo messaggio con i nostri simili in ogni angolo del paese, in ogni quartiere, in ogni casa.
Condividiamo con il nostro popolo, ma anche con coloro che non hanno potere e voce. E diamo loro attenzione e solidarietà.
I greci possono e devono fare in modo di trasformare questo messaggio in un nuovo messaggio di resurrezione della nostra gente.
Rallegriamoci nella resurrezione e teniamo a mente che si avvicina il tempo per la redenzione, da tutte e tutti coloro che per il nostro popolo hanno scelto la crocifissione e la miseria.
La campana della nuova risurrezione non tarderà. Arriverà presto .
Basta credere nelle nostre forze.
Buona Pasqua, compagno.

Fonte: ALBA

Voto di scambio: 416ter e gli opportunisti 5 stelle

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dal Blog di Giovanni Favia su Il Fatto Quotidiano – Blog. Post del 16 aprile 2014

Da qualche giorno l’M5s è sulle barricate (dorate) per bloccare un vergognoso regalo che la casta, come già con le banche (semi bufala) vuole fare alla mafia. Il tutto condito con Berlusconi che incontra Napolitano, l’ombra del massone Verdini e la loro solita epica del complotto e dell’indignazione. Lord Blog ha quindi mobilitato due milioni di utenti che capendo poco o niente della questione hanno fatto influencing e inondato le mail di alcuni parlamentari Pd, tra cui Lumia e Casson, due persone che si sono sempre battute contro criminalità e malaffare di cui la prima sotto scorta. Lo scandalo macroscopico pro mafia? Il reato votato prevede pene ridicole secondo i 5s, ridotte dai 4 ai 10 anni su preciso input esterno. Detta così come non reagire?
Ma la storia è diversa e seguendo la diretta del Senato ho avuto un conato di vomito dalla diarrea di retorica. Ma vediamo i fatti.

1. In Italia manca una norma seria per contrastare lo scambio politico mafioso. Quel po’ che si trova nell’ormai rottamato 416ter lo dobbiamo a Giovanni Falcone.

2. Per vent’anni nessun parlamento ha mai fatto nulla. Nel 2013 sotto elezioni Libera, Gruppo Abele, Avviso Pubblico, Mafia Nein Danke, Libera France e Anticor decidono di attivarsi e lanciano la campagna “riparte il futuro” raccogliendo 470.000 firme per riscrivere il 416ter. Molti parlamentari all’epoca candidati aderiscono all’iniziativa. Inciso: il M5s che oggi scopre l’importanza vitale della questione, nei venti punti del programma non gli aveva dedicato nemmeno una riga.

3. Le associazioni dopo le elezioni iniziano un lavoro assiduo con i parlamentari che avevano aderito alla campagna per riformulare il testo dell’articolo.

4. Il testo viene steso ed arriva in discussione (1) alla commissione della Camera. Il M5s ha tutto il tempo per dibattere, studiare e capire se è scritto bene o male. Lo licenzia per la discussione (2) in Aula. Il testo prevede pene dai 4 ai 10 anni (quelle che oggi sarebbero l’oggetto dello scandalo e di un accordo sottobanco). Viene votato all’unanimità e col sostegno convinto del M5s. E’ luglio 2013: 503 favorevoli su 503 presenti.

5. Il 20 dicembre il testo arriva in discussione (3) in commissione al Senato dove il Pd con l’appoggio di M5S e Sel si fa del male da solo (da qui infatti si origina tutto) presentando un emendamento che alza le pene a 7-12 anni invece di 4-12. L’errore di Casson e colleghi sta nel dimenticarsi ad esempio che la Commissione Garofoli, di cui faceva parte anche il procuratore antimafia Gratteri, nella sua relazione (cap 6 pag 120) spiegava chiaramente che la sanzione per un 416ter dovesse essere inferiore a quella del 416bis (il reato di associazione mafiosa che prevede appunto pene di 7-12 anni ma che però Pd-M5S-Sel non hanno modificato). Questa differenziazione risponde ad un giusto principio costituzionale che prevede pene diverse in relazione alla diversa gravità dei reati. Il testo arriva nell’Aula del Senato per un’altra (forza che siamo ancora all’inizio) discussione (4). Viene approvato emendato con pena 7-12 anni.

6. Il 12 febbraio 2014 il nuovo testo torna alla Commissione della Camera per un’altra discussione (5). La Commissione si accorge che l’innalzamento di pena voluto al Senato è sbagliato perché sproporzionato e non in armonia con il resto delle pene del Codice Penale in tema di mafia. E mettere mano al Codice è sempre cosa delicata, non da slogan di campagna elettorale. Nessun complotto, nessun Verdini piduista, nessun incontro Berlusconi Napolitano. Mi raccomando seguite sempre le date. Qui viene il bello.

In Commissione il deputato M5S Colletti come prova questo documento parlando a nome del M5S non si oppone alla riduzione delle pene, anzi comprende la fondatezza giuridica dei rilievi anche sulla scarsa tipizzazione del reato (altra cosa su cui oggi fanno polemica). Infatti sono gli esponenti dell’associazione nazionale magistrati a chiedere che la norma venga modificata specificando meglio il fatto del reato altrimenti, dando per buona la versione del Senato il rischio sarebbero tante inchieste e poche condanne. Fin qui siamo alla buona fede, il rappresentante 5s dei cittadini sta infatti votando secondo la propria coscienza e non fa sceneggiate. Poi succede che il testo viene licenziato dalla Commissione e che qualche sito online inizia a rilanciare il tema della riduzione della pena come una porcheria. Infatti si presta benissimo ad essere strumentalizzato. Perdere un’occasione del genere per fare populismo? Non scherziamo. Qui l’M5s si trova servita una torta già fatta. Piatto ricco mi ci ficco. Ne intravede tutto il potenziale per stimolare il marketing dell’indignazione popolare.

7. Il 3 aprile il testo arriva in aula alla Camera per l’ennesima discussione (6). Parliamo di un articolo di 3 righe, non di una legge strutturata. l’M5S intanto ha già imbracciato i mitra, urlando che la legge (stanno parlando di ciò che loro stessi qualche mese prima avevano con entusiasmo sostenuto e votato tal quale e non gli può essere sfuggito nulla, sono tre righe) è in realtà un vergognoso ed indecente regalo alla mafia. Che la modifica in commissione, prima ritenuta fondata da loro stessi, è originata dal “governo delle larghe intese sulla mafia” e dal disegno criminale di Verdini-Renzi. Keep calm. Siamo alla terza lettura e alla sesta discussione ma non è finita. Comincia lo show. Prima Nuti (M5S) poi non ci crederete proprio lui, Colletti “Giano-bifronte” fa un carpiato di 360 gradi e interviene dichiarando senza pudore “…dovremmo cambiare il titolo del ddl e chiamarlo ‘Voto di scambio politico elettorale tra Renzi, Verdini e Berlusconi’” E vi risparmio il resto. E’ un classico. In Commissione dove si lavora veramente, restano cheti o fanno spesso per impreparazione, scena muta (mi viene detto da degli ex). In Aula al Senato o a Montecitorio partono invece col teatro a favore di Youtube, perché la loro folla li possa adorare condividere e retwittare. E’ uno sport ormai. Come mai non fanno una battaglia per la diretta dei lavori della Commissioni? Ma questo è un’altro articolo.

Poi si arriva ai giorni recenti con la mediocre pagliacciata al Senato, e poi la bagarre alla Camera alla votazione che approva il testo. L’allarmismo diffuso attraverso tutte le trasmissioni Tv in cui urlano paonazzi che con quelle pene i politici condannati non prenderebbero l’interdizione dai pubblici uffici (idiota esiste comunque la legge Severino che sospende i condannati dalle cariche pubbliche) che gli anni di carcere sarebbero pochi (furbetto non racconti che la pena del 416ter si può cumulare con il 416bis quindi anche ventidueanni) che Falcone si starà rivoltando nella tomba perché nella sua norma la pena era più alta e che è diminuita del 40% (sveglia! era un reato diverso, qui si colpisce anche solo la promessa non l’avvenuto scambio di favori) oppure: “Anche Emiliano del Pd ha confessato a La7 l’inciucio!!” (si ma Emiliano quando vi fa comodo è l’oracolo di Delfi? Non è parlamentare e mi pare facesse un ragionamento di apertura al dialogo evidenziando la difficoltà generale di trovare accordi con la destra).

Diciamo anche che Roberti (procuratore nazionale antimafia da sempre in prima linea e per nulla tenero con Renzi), Cantone (anticorruzione), Don Ciotti, Libera e la stragrande maggioranza delle personalità e delle associazioni operanti nel settore sono entusiasti di questa norma che finalmente arriva come un duro colpo agli intrecci tra politica e mafia, fino ad oggi non sanzionabili. E parliamo di persone che la mafia la combattono non a parole o per prendere voti (giocando sull’ignoranza dei cittadini), ma ogni giorno e con i fatti. I 5 stelle spesso citano Gratteri come un esponente autorevole schierato dalla loro parte contro questo 416ter. Sono in malafede, è falso.

Gratteri non ha parlato negativamente della norma, anzi ha detto che è un importante passo davanti. Ha solo evidenziato una criticità che condivido pienamente anch’io: rimodulare ed alzare tutte le sanzioni per i reati di mafia, a cominciare dal 416 bis perché i mafiosi non sono spaventati da pene di breve durata. Questo però, per il principio costituzionale della proporzionalità è sbagliato farlo intervenendo solo sul 416ter, senza un’armonizzazione generale e ponderata delle pene per mafia. “Ma hai letto cosa ha scritto Ingroia!” Aggiungono. Si l’ho letto, ma Antonio con cui avevo già parlato è il primo a ribadire come questa del M5s sia una pagliacciata per fare “campagnetta elettorale” (ormai è permanente). Un conto poi è avere un’opinione personale che può essere giusta o sbagliata, un altro manipolare i fatti e far credere che si sia gli unici difensori dell’antimafia o che con questa legge si facciano regali ai politici collusi, quando la stessa legge in prima lettura la si è votata. Quanto meno moderate i toni altrimenti fate come il Pdl quando se la prende con il Fiscal Compact.

Ho scritto tutto questo per quei due milioni di cittadini che in buona fede hanno fatto mailbombing ai parlamentari. Capite cosa può provocare una suggestione di massa ben instradata? Avete il diritto di sapere come in realtà sono andata le cose. Libera ha dichiarato testualmente “Il vero regalo che si farebbe oggi a mafiosi e politici collusi sarebbe la mancata approvazione della riforma prima della prossima campagna elettorale”. Urlare al golpe della ghigliottina quando si fa dolosamente ostruzionismo mentre c’è l’urgenza di votare e quando un articolo di tre righe è stato discusso tra commissione ed aula otto volte e nel corso di ben 400 giorni, è ridicolo e strumentale.

E’ legittimo politicamente sostenere una pena più alta uguale a quella di un capomafia. Come è altrettanto legittimo e di buon senso, avere la convinzione che pur essendo gravissima, la condotta del politico che promette favori al mafioso sia una condotta differente da quella di chi la mafia la fa e la comanda. Basta non prendere in giro i cittadini gettando fango con accuse pesanti su una legge importante e nata dal basso, come se la stessa fosse un regalo alle cosche.

Ieri al Tg ho sentito Grillo dire in conferenza “Chi gli ha telefonato, Totò Riina?” Parlando dei parlamentari che hanno votato la legge. Siamo a quel livello. C’è chi per un voto in più venderebbe anche sua madre. Come partitocrazia insegna, vecchia e nuova, la menzogna è diventata garanzia di successo per il politico e la manipolazione dei fatti la sua prima occupazione. Informatevi in rete possibilmente andando oltre le prime due pagine di ricerca di Google. Non prendete per oro colato quello che leggete sul Sacro Blog. Non credete nemmeno a me ma verificate di persona. Vogliono la vostra obbedienza, la vostra fedeltà, il vostro voto. Non la vostra libertà.

Fonte: I blog de Il FattoQuotidiano.it

La probabile Caporetto della Lista Tsipras

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di Pierpaolo Farina, da Qualcosa di Sinistra, 8 aprile 2014

Forse le aspettative erano troppo grandi, perché già si pensava, un paio di mesi fa, al primo passo per qualcosa di decente da votare a Sinistra. Ma rimane il fatto che l’Altra Europa, la lista che riunisce le varie anime a sinistra del PD per cercare di superare il 4% alle Europee, rischia di trasformarsi nell’ennesimo fallimento.
C’è chi è più ottimista e fa bene ad esserlo, perché a questo mondo un po’ di sano ottimismo ci vuole, ma davvero nutro poche speranze circa la sopravvivenza della lista non solo nell’urna, ma anche dopo, qualora dovesse strappare qualche europarlamentare nella ripartizione dei seggi. Nei primi sondaggi, “la sinistra unita per Tsipras” si aggirava attorno al 7%: un risultato apprezzabile, un mezzo trionfo visti i risultati passati.
Ora invece la lista è data da tutti sotto la soglia di sbarramento. Perché? Anzitutto, per il solito snobismo radical chic di chi ha preso in mano la lista, che ha imposto quattro nomi e un simbolo da far votare a chi aveva aderito all’appello, togliendo la parola “SINISTRA” dal nome: un mezzo suicidio annunciato, visto che non si tratta di un partito con solide radici e ben rappresentato sulla scena mediatica.
Se a questo poi aggiungiamo che non c’è nessun leader carismatico forte da contrapporre ai due che si stanno fronteggiando in questa tornata (Renzi e Grillo), il gioco è fatto: infatti, Tsipras è un leader greco, per giunta comunista, che non parla italiano e che ha una copertura mediatica ridotta. E infatti questo spiega perché sia qui molto spesso: la Sinistra in Italia è il tallone d’Achille della sua candidatura.
Negli altri paesi europei ci sono partiti con una tradizione consolidata (e anche in crescita, come Melenchon in Francia, al 10%), qui siamo al casino, perché i vari azionisti della lista non solo si guardano in cagnesco, ma dopo il 25 maggio torneranno a cantarsele come e più di prima. Senza contare che molte delle candidature forti che potevano esserci (la Spinelli, Ovadia, Curzio Maltese) si son già bruciate da sole, annunciando che, in caso d’elezione, lasceranno il posto a quello dopo in lista. Una genialata che ha alienato migliaia di voti e dimostra anche una profonda ignoranza delle più basilari regole di comunicazione politica.
Deve averlo ben fiutato Sonia Alfano, a cui venne chiesto di candidarsi tramite Ingroia (a volte ritornano), ma rifiutò perché “c’erano persone incompatibili con la mia storia” (e ci credo, andava ai convegni di Forza Nuova, a suo agio con gente di sinistra non ci si poteva trovare).
Mi auguro di avere torto marcio e, per quel che mi riguarda, voterò la lista. Quel che è certo è che così, a Sinistra del PD, non si può continuare.

Fonte: Qualcosa di Sinistra

Le riforme pericolose

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di Stefano Rodotà, da Repubblica, 8 aprile 2014


Ho scoperto in questi giorni di detenere da anni un potere immenso. Faccio parte di un “manipolo di professoroni” (così veniamo graziosamente apostrofati) che è riuscito nell’impresa di sconfiggere le velleità riformatrici di Craxi e Cossiga, di D’Alema e Berlusconi, e oggi intralcia di nuovo ogni innovazione. Usiamo un’arma impropria – “la Costituzione più bella del mondo” – per terrorizzare politici pavidi e cittadini timorati.

So bene che al grottesco, alla mancanza di senso delle proporzioni, all’assenza di informazioni accurate è difficile porre ragionevoli limiti. Ma qualche chiarimento può essere utile, per evitare che venga inquinata una discussione che si vorrebbe seria. Comincio proprio da quel riferimento alla Costituzione più bella del mondo, che viene usato con toni di dileggio e per accusare di testardaggine conservatrice chi critica questa o quella proposta di riforma, o meglio i tentativi di stravolgimento del testo costituzionale. Ora, quelle parole vengono da una fantasiosa uscita di Roberto Benigni, ma non sono mai state la bandiera di chi ha riflettuto sulla Costituzione con la guida di Costantino Mortati e Carlo Esposito, di Massimo Severo Giannini e Leopoldo Elia. Ed è falso che vi sia stato un irragionevole arroccamento intorno all’intoccabilità della Costituzione. È notissimo, invece, che si è insistito sull’obbligo di rispettarne principi e diritti, mentre si avanzavano proposte per una “buona manutenzione” della sua seconda parte. Mi limito a ricordare solo quello che io stesso e molti altri suggerimmo quando il governo Letta si imbarcò nella rischiosa, e fallita, impresa di modificare l’articolo sulla revisione costituzionale. Si disse che sarebbe stato opportuno cominciare subito, senza forzare quell’articolo, dai punti sui quali già si era formato un largo consenso – dunque dalla riduzione del numero dei parlamentari e dal superamento del bicameralismo perfetto, per il quale esistevano proposte ragionevoli, ben lontane da quelle sgrammaticate che circolano in questi giorni. Se quel suggerimento fosse stato seguito, oggi molto probabilmente già avremmo portato a compimento questa significativa riforma.

Facendo una veloce ricerca in rete, non sarebbe stato difficile trovare le molte riforme proposte anche dal mondo di chi critica le riforme costituzionali della fase cominciata con il governo Letta. Invece, tutta l’acribia filologica è stata impiegata per cogliere in flagrante peccato di contraddizione il noto Rodotà, reo di aver firmato nel 1985 una proposta di riforma in senso monocamerale. Purtroppo il ricorso a questo argomento è, all’opposto, la prova evidente di quanto profonda sia ormai la regressione culturale nella quale sono caduti molti che intervengono nella discussione pubblica. Quella proposta veniva fatta in un tempo in cui il sistema elettorale era quello proporzionale, i deputati erano scelti con il voto di preferenza, i regolamenti parlamentari rispettavano i diritti delle minoranze, non prevedevano “ghigliottine”, costrittivi contingentamenti dei tempi, limiti alla presentazione degli emendamenti. Erano i tempi in cui l’ostruzionismo della sinistra fece cadere in prima battuta il decreto con il quale Craxi tagliava i punti di contingenza e il Parlamento svolgeva grandi inchieste come quella sulla loggia P2.

Quella proposta (n. 2452 della IX legislatura) era stata scritta da un costituzionalista di valore come Gianni Ferrara e andava nella direzione assolutamente opposta rispetto alla linea attuale. Voleva riaffermare nella sua pienezza la funzione rappresentativa del sistema parlamentare, assicurata da una forte Camera dei deputati che garantiva gli equilibri costituzionali e si opponeva alle emergenti derive autoritarie, alla concentrazione del potere nel governo. Nasceva dall’idea della centralità del Parlamento, rispondeva all’ineludibile diritto dei cittadini di essere rappresentati, che è alla base della sentenza con la quale quest’anno la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del Porcellum. Oggi, invece, l’Italicum deprime la rappresentanza, le proposte relative al Senato sono un pasticcio, e tutto confluisce in un sostanziale antiparlamentarismo, alimentato da artifici ipermaggioritari che fanno correre il rischio di una nuova dichiarazione di incostituzionalità.

Chi cerca proposte sulla riforma del Senato, com’è giusto che sia, può attingerne alla bella intervista su questo giornale di Gustavo Zagrebelsky o al disegno di legge presentato dai senatori Walter Tocci e Vannino Chiti, entrambi del Pd. La verità è che non sono le proposte ad essere mancate. Non si vuol riconoscere che da anni si fronteggiano due linee di riforma costituzionale, una neoautoritaria e una volta a mantenere ferma la logica democratica della Costituzione, senza ignorare i punti dove le modifiche sono necessarie. Ora il confronto è giunto ad un punto critico, ed è bene che tutti ne siano consapevoli.

Chi sinceramente vuole una Costituzione all’altezza dei tempi, e delle nuove domande dei cittadini, non deve cercare consensi con appelli populisti. Deve essere consapevole della necessità di ricostruire le garanzie e gli equilibri costituzionali alterati dal passaggio ad un sistema già sostanzialmente maggioritario. Deve riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, abbandonando la logica che riduce le elezioni a investitura di un governo che risponderà ai cittadini solo cinque anni dopo, alle successive elezioni. Ricordate la critica estrema di Rousseau? “Il popolo inglese ritiene di essere libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento. Appena quelli sono eletti, esso è schiavo, non è nulla”. Rousseau è lontano, è impossibile ridurre i cittadini al silenzio tra una elezione e l’altra, perché troppi sono ormai gli strumenti per prendere la parola. Se si vuole sfuggire alla suggestione che la Rete sia tutto, alle ingannevoli contrapposizioni tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, bisogna lavorare per creare le condizioni costituzionali perché queste due dimensioni possano essere integrate, come già cerca di fare il Trattato europeo di Lisbona. Le proposte non mancano, a partire da quelle sulle leggi d’iniziativa popolare (ne parlo dal 1997, e ora sono arrivate in Parlamento).

Le semplificazioni autoritarie sono ingannevoli, la concentrazioni del potere nelle mani del solo governo, o di una sola persona, produce l’illusione dell’efficienza e il rischio della riduzione della democrazia. Si sta creando una pericolosa congiunzione tra disincanto democratico e pulsioni populiste. Vogliamo parlarne, prima che sia troppo tardi, e agire di conseguenza?

Fonte: MicroMega

Lavoro, il nuovo tempo determinato: Ichino, Tiraboschi, Cazzola, consulenti e agenzie danno i voti alla riforma del contratto

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di Cristiana Gamba, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 2 aprile 2014

Pietro Ichino, giuslavorista: voto 6
«Va salutato positivamente il fatto che con il decreto Poletti (n. 34/14) si superano alcuni limiti e vincoli in materia di contatto a termine, posti poco opportunamente dalla legge Fornero due fa», spiega il giuslavorista Pietro Ichino.
«Su questa nuova disciplina – continua – potrebbe sollevarsi un dubbio di compatibilità con le regole poste dalla direttiva europea n. 1999/70 per evitare che il contratto a termine diventi la forma normale di assunzione (la questione è dubbia)». Tuttavia, secondo l’esperto, «il vero difetto della nuova norma sta nel fatto che essa accentua l’apartheid normativo tra il mondo degli assunti a termine e quello degli assunti a tempo indeterminato. Questo difetto può essere superato con l’inserire nel decreto-legge la norma sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezioni crescenti; e coll’inserire una disposizione che stabilisca una modesta indennità di cessazione proporzionata all’anzianità, sostitutiva del filtro giudiziale, identica per tempo indeterminato e determinato acausale». E conclude: «Solo in questo modo si otterrà di sdrammatizzare l’alternativa fra le due forme di contratto».

Michele Tiraboschi, giuslavorista: voto 5,5
Per il giuslavorista Michele Tiraboschi l’efficacia del nuovo contratto così come è stato scritto è più nell’immediato che non a lungo termine. «La liberalizzazione del contratto a tempo determinato – spiega – può avere effetti positivi nel breve periodo in termini di maggiore occupazione; nel lungo periodo, la deregolamentazione del lavoro a termine è sintomatica di una mancanza di visione d’insieme sulle politiche del lavoro e sull’impianto sistematico del diritto del lavoro che, anche a guardare le sorti del contratto di apprendistato, sembra ora scardinato».
Anche Tiraboschi non nega poi il rischio di un potenziale aumento del contenzioso. «Sul piano tecnico – continua – l’intervento presenta diversi profili problematici che daranno luogo a un possibile contenzioso tanto è vero che la liberalizzazione del termine non intacca il principio legislativo della centralità del lavoro subordinato a tempo indeterminato con ciò aprendo la strada a interpretazioni restrittive dei giudici specie sulle proroghe che non solo adeguatamente regolate». Resta infine sullo sfondo il rischio di incompatibilità con la direttiva 99/70/CE derivante dalla rimozione di limiti alla reiterazione di contratti a termine.

Giuliano Cazzola, docente di diritto del lavoro Università ECampus: voto 7+
Sul contenzioso torna Giuliano Cazzola. E spiega: «La riforma del contratto a termine – ammesso che l’impianto innovativo non venga depotenziato – ridurrà certamente il contenzioso. Prima, nella sua genericità, il cosiddetto “causalone” sottoponeva le imprese alla roulette russa dei tribunali».
Cazzola aggiunge altri motivi, che qualificano il provvedimento. «Se ne rafforza la centralità al momento dell’assunzione sia rispetto al classico contratto standard a tempo indeterminato, sia nei confronti delle forme atipiche, il cui utilizzo, adesso, è parecchio a rischio di sanzione dopo le modifiche a ‘’giro di vite” introdotte dalla legge n. 92 del 2012».
Secondo Cazzola «si rende marginale e meno interessante anche il ricorso ad un eventuale contratto unico a tempo indeterminato e a tutela crescente perché ben pochi datori di lavoro ne faranno uso potendo avvalersi per un triennio di un contratto a termine ‘’liberalizzato” e molto meno complicato, all’atto della risoluzione».

Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro: voto 7
Piena promozione arriva anche da Luigi Brugnaro, presidente di Assololavoro, l’associazione che raccoglie le agenzie di somministrazione. «L’impianto complessivo della riforma è positivo – dice – perché mira a valorizzare la flessibilità buona di cui la somministrazione rappresenta la forma più avanzata.Spesso si sottovaluta la funzione che la flessibilità svolge a favore della competitività delle imprese». E aggiunge: «Ciò detto è utile sempre ribadire che i posti di lavoro non si creano per decreto, ma attraverso un rilancio complessivo dell’economia».

Marina Calderone, presidente Consiglio nazionale Ordine dei consulenti del lavoro: voto 7
« Il Contratto a termine con queste novità normative è più libero e va maggiormente incontro alle esigenze delle aziende – dice Marina Calderone -. Si tratta di disposizioni che vanno nella direzione della buona flessibilità, anche se per rilanciare l’occupazione è necessario far ripartire l’economia. Per decreto non si creano nuovi posti di lavoro. Anche l’apprendistato sembra avere meno vincoli; ma qualche dubbio sorge sulle disposizioni relative alla formazione pubblica, resa facoltativa ma di competenza delle Regioni. Per evitare potenziali conflitti di profilo costituzionale è necessario intervenire».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Sull’istruzione.

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Italicum, parla il giurista Azzariti: “Troppa continuità col Porcellum, la costituzionalità è a rischio”

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Fonte: MicroMega

“Su premio e preferenze la sentenza della Corte non è stata rispettata. Manca equilibrio tra rappresentanza e governabilità, l’Italicum è tutto sbilanciato su quest’ultima”. Intervista al giurista Gaetano Azzariti.

di Liana Milella, da Repubblica, 12 marzo 2014

Una legge costituzionale? «La definirei ad alto rischio». Interverrà la Consulta? «Non mancherà l’occasione». Donne non garantite? «Chi ha scritto l’Italicum non ha studiato bene la Costituzione». Il Senato escluso? «L’irrazionalità al potere». Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, è critico sulla riforma e dice: «Sono molto preoccupato».

Voto sofferto alla Camera. Che ne pensa?

«Mi sembra che proseguano tutte le difficoltà che hanno caratterizzato l’ultimo biennio di travagliato dibattito sul sistema elettorale. Non mi stupisce, apparendomi l’Italicun in assoluta continuità con il Porcellum».

Beh…non è per niente un buon viatico.

«Se prendiamo in esame i tratti che caratterizzano la legge, non possiamo che constatare la continuità: un premio di maggioranza che pur avendo una soglia rimane abnorme; le liste pur sempre bloccate; la possibile pluricandidabilità nei collegi dei candidati; l’assenza di ogni norma riequilibratrice tra i sessi; la previsione di una quantità irrazionale di soglie di accesso ».

L’Italicum rischia, come il Porcellum, lo stop della Consulta?

«Mi limito a osservare che non mi sembrano rispettati i principi della sentenza della Corte pur fresca di due mesi».

Premio e preferenze, dove inciampadi più?

«Su entrambi. Quanto al premio, la Corte ha scritto che si deve evitare “l’alterazione profonda della rappresentanza democratica”, ossia del necessario equilibrio tra rappresentanza e governabilità. L’Italicum invece è tutto sbilanciato su quest’ultima. Quanto alle liste, la Corte impone il concorso dei cittadini alla scelta dei propri rappresentanti, che l’Italicum impedisce con il ricorso alle liste bloccate e con la ripartizione pluricircoscrizionale dei seggi».

Le preferenze non sono passate per 35 voti. Non è il segnale che molti avvertono questa grave lacuna?

«Tutta la discussione sulla riforma è segnata da un forte malessere, in particolare nel Pd, in cui la disciplina di partito non riesce ad arginare evidenti dissensi di fondo. Non credo che la colpa sia solo del voto segreto, ma viceversa che nel segreto del voto dilaghi un dissenso manifesto».

Una riforma solo per la Camera è una grave anomalia?

«È espressione di un’azione politica che giudico spericolata perché introduce un elemento di irrazionalità rispetto agli stessi scopidi chi sponsorizza la legge».

Prevede conseguenze negative?

«Andare alle elezioni con due sistemi così diversi tra Camera e Senato finirebbe per porre nel nulla le pretese di governabilità messe a fondamento dell’intera revisione della legge elettorale. Avremmo una sicura governabilità alla Camera e una certa assenza di possibile maggioranza al Senato. La “scommessa” della sua abolizione, a oggi, non può essere data per scontata. Ciò renderebbe difficile, se non impossibile, andare ad elezioni limitando in modo rilevante un potere del capo dello Stato».

Fino a spingerlo a non firmare la legge?

«È Napolitano che, dopo l’accordo, ha dichiarato che si sarebbe riservato di svolgere un attento esame in fase di promulgazione».

ITALICUM

La nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati è un sistema proporzionale con premio di governabilità che assicuri la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente. Per ottenere il premio di maggioranza sarà necessario superare la soglia del 37% dei voti. Il premio è fissato al massimo al 15%, in modo da permettere al vincitore di raggiungere (senza superare) il tetto dei 340 seggi, pari, cioè, al 55%.

MDS

Funzione ispettiva: una campagna mediatica ai danni dei cittadini

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Di fronte a quanto sta accadendo in seguito al tragico evento di Casalnuovo e alla campagna mediatica contro la funzione esercitata dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Napoli non si può restare indifferenti. Il caso, lo ricorderete perché anche noi abbiamo riportato la notizia, è quello del panettiere Eduardo de Falco, suicidatosi in provincia di Napoli dopo la notifica di una sanzione di duemila euro proveniente dagli Uffici della DTL partenopea.
L’attività degli ispettori del lavoro della Direzione Territoriale di Napoli è ad oggi sospesa per la grave situazione di tensione creatasi dopo il tragico episodio. I sindacati dei 90 ispettori, che coprono il territorio della provincia di Napoli, hanno, infatti, indetto lo stato di agitazione, che comporta lo stop alle ispezioni sui luoghi di lavoro. Non sappiamo come potremo operare in futuro – ha detto ai giornalisti il Segretario Generale del Ministero del Lavoro, Paolo Pennesi, inviato a Napoli dal Ministro Poletti – non ho risposte in tasca. Certo – ha aggiunto – non potremo continuare ad operare come abbiamo fatto finora, perché oggi non siamo in una situazione di normalità.

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Al Ministero, i dipendenti della DTL hanno chiesto sostegno, dopo le dure critiche rivolte agli Ispettori del lavoro. E sostegno giunge anche dai vertici dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. In un comunicato stampa, l’INPS denuncia la violenta campagna mediatica tesa a denigrare l’operato di alcuni Ispettori del Lavoro della DTL di Napoli, “colpevoli”, secondo talune dichiarazioni riportate a mezzo stampa e da manifesti cittadini, di aver adempiuto con zelo ai loro compiti istituzionali.
Non è solo la funzione ispettiva del Ministero del Lavoro ad essere nel mirino. Anche INPS e INAIL sono stati chiamati in causa. E anche per questo recentemente, in una lettera aperta, il Direttore Generale dell’INAIL si è associato alle espressioni di solidarietà che il Ministro Poletti ha indirizzato ai suoi Funzionari di Vigilanza, riconoscendo ad essi un grande senso di responsabilità e del dovere, pur in presenza di un disagio economico e sociale che rende ancor più difficile l’assolvimento della funzione.
Stiamo assistendo, in effetti, ad un vero e proprio tiro al bersaglio nei confronti del personale dei Ministeri e degli Enti Pubblici che assolvono alla funzione ispettiva di vigilanza sui luoghi di lavoro, tenuti ad applicare le leggi di questo Stato senza alcun potere discrezionale.

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Quanto accaduto a Casalnuovo rappresenta un drammatico segnale del disagio sociale vissuto nel nostro Paese, ma i mezzi di comunicazione e alcuni movimenti politici preferiscono alimentare il clima di tensione attraverso una grave confusione informativa anziché aiutare a fare chiarezza.
L’esigenza di avere una diversa legislazione in materia di lavoro, che tenga conto della grave situazione imprenditoriale ed economica che attraversa il nostro Paese, è condivisa anche dagli addetti ai lavori ma, purtroppo, si deve prendere atto che il Legislatore sembra avere difficoltà a trovare soluzioni normative concrete in grado di risolvere gli attuali problemi. È, però, indispensabile – come si legge nella richiamata nota dell’INPS – chiarire all’opinione pubblica, al fine di evitare le tante vergognose strumentalizzazioni in atto, che gli Ispettori hanno l’obbligo di applicare le leggi e non certo di interpretarle. Compito che svolgono quotidianamente in contesti territoriali difficili, in condizioni di grave disagio e di persistente impatto con una diffusa criminalità. La loro è una impari lotta (per l’assenza di mezzi e risorse economiche dovute ai tagli perpetrati in tutti questi anni dai Governi fin qui succedutisi) contro il lavoro nero, l’evasione e l’elusione contributiva, il fenomeno delle “morti bianche”.

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A prescindere da quanto abbiamo letto e sentito nelle ultime settimane e nel massimo rispetto per la famiglia dell’imprenditore defunto, anch’io, che sono un semplice cittadino come voi, ritengo necessario ribadire che se la funzione ispettiva assolve esclusivamente ad obblighi di legge, gli ispettori del lavoro e di vigilanza non intraprendono battaglie personali contro i datori di lavoro, ma, semplicemente, fanno il proprio dovere. Vi sentireste mai colpevoli di fare il vostro lavoro? Cosa dovrebbe fare un funzionario di vigilanza di fronte ad una violazione? Guardare dall’altra parte? Non vi lamentereste piuttosto del contrario se gli ispettori non facessero il loro lavoro, pur percependo uno stipendio pagato con soldi pubblici. Cosa devono fare allora: lavorare o essere fannulloni? Perché se devono lavorare ricordiamoci sempre che quel tipo di lavoro comporta ispezioni e sanzioni, della cui riscossione siamo noi cittadini i primi beneficiari. E siamo quindi noi le prime vittime di questa campagna mediatica contro la funzione ispettiva. Allora, fannulloni o efficienti? Come li vuoi i tuoi funzionari? Italia, deciditi!

Matteo Renzi: Cgil, Cisl e Uil all’attacco del premier per paura di diventare irrilevanti

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Fonte: Huffington Post
di Giacomo Galanti

Ormai è quasi una lotta senza quartiere. Il rapporto, se mai ce n’è stato uno, tra i grandi sindacati confederali e il presidente del Consiglio Matteo Renzi è sempre più logoro. È evidente il timore delle associazioni di categoria di essere messe all’angolo e non contare più nulla. Questo proprio nel momento in cui il premier si appresta a tagliare le tasse dei lavoratori, senza convocare i loro rappresentanti. Mettendo di fatto in soffitta l’antica concertazione.

Allora viene quasi automatico chiamare “nuovo” Pd il partito guidato da Renzi come il new labour di Tony Blair. Il primo ministro progressista che conquistò il suo partito e poi governò il Regno Unito per 10 anni andando contro i veti dei sindacati. Con cui Blair si scontrò appena arrivato al vertice del partito, facendo riformare la clausola IV dello statuto laburista, che proponeva la proprietà comune dei mezzi di produzione, ed eliminando così ogni elemento di comunismo e socialismo reale dal Renzi, come il suo esempio inglese, non ha peli sulla lingua. E domenica scorsa, nel salotto di Fabio Fazio, è tornato a infierire sui sindacati con parole che possono essere parafrasate maliziosamente con un verso del suo illustre concittadino Dante Alighieri: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. La leader della Cgil Susanna Camusso e quello della Cisl Raffaele Bonanni lo hanno capito bene. Tanto che i due non lasciano passare un giorno senza lanciare un attacco contro il primo ministro.

Ma davanti alla forza e al decisionismo di Renzi, proprio Bonanni ha capito che l’unico modo per farsi sentire è unirsi nella lotta. “Il perire della Cgil – ha detto – corrisponde al perire nostro”. Il segretario della Cisl attacca “i populisti della politica” e lancia un appello alla coesione: i sindacati possono “essere diversi sì, ma non avere l’esigenza di staccarsi – ha spiegato -. Bisogna tenere in piedi una relazione comune per non dare il fianco ai nemici del sindacato”.

E contro il modus operandi scelto dal premier sul jobs act, Bonanni ha attaccato: “Renzi ha detto stamattina che sul Jobs act presenta un disegno di legge. Il disegno di legge significa che deve essere costruito il disegno, che poi passa per le commissioni, poi, se va bene, arriva in Parlamento e in tutto questo non si discute con nessuno. Auguri”. Insomma, agli occhi dei sindacati era quasi meglio l’austero Mario Monti – che comunque li convocava anche se a cose già fatte – piuttosto che lo strafottente presidente del Consiglio democratico.

Non va giù nemmeno il legame che si sta instaurando tra Renzi e Maurizio Landini della Fiom. Dietro a questa relazione ‘privilegiata’, è facile vedere come il premier voglia evidenziare la sua preferenza per un leader movimentista in contrapposizione con la conservazione rappresentata dalla triplice e dai suoi segretari.

Tanto che Camusso rispedisce al mittente l’accusa di “antichità”: “Devo dire – ha spiegato – che per chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso, avrebbe introdotto il nuovo e cambiato tutto, usa degli argomenti di una antichità straordinaria”. “Nella nostra memoria – ha aggiunto il segretario della Cgil – penso che di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza, anche se si è trattato di attacchi fatti con modalità diverse”. “Ma in realtà – ha continuato – con una idea in fondo antica, quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione del Paese. Questa è la cosa che colpisce di più in questi giorni”. La sfida, appunto, non accenna a fermarsi.