di Germano De Sanctis

- La novella legislativa.
L’art. 19, Legge n. 203/2024 (meglio nota come “Collegato Lavoro”) ha novellato l’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015 (c.d. “Jobs Act”), introducendo un comma 7-bis, il quale recita che “in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato
nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.
- Le fattispecie che configurano la sussistenza della nuova previsione normativa.
Inserendo tale nuovo comma, il legislatore ha voluto prevedere la risoluzione del rapporto di lavoro a seguito della volontà del lavoratore che si assenta ingiustificatamente, senza imporre in capo al datore di lavoro alcun obbligo di applicazione delle procedure telematiche, ovvero di sottoscrizione dei relativi atti presso una sede protetta, come è, invece, previsto per le dimissioni e/o la risoluzione consensuale.
In altri termini, la nuova previsione normativa è ricollegabile all’ipotesi in cui sussistano, per un termine superiore ai 15 giorni, assenze ingiustificate da parte del lavoratore.
È bene precisare che tale ipotesi ricorre in presenza di due distinte casistiche:
– la sussistenza di assenze ingiustificate individuate dalla contrattazione collettiva nazionale (con espressa esclusione delle ipotesi previste dai contratti aziendali o territoriali);
– un’assenza ingiustificata non prevista da alcuna specifica disposizione contrattuale.
In presenza di siffatte circostanze, il datore di lavoro ha la facoltà di comunicare all’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente l’assenza reiterata del lavoratore. A fronte di tale comunicazione, l’Ispettorato del Lavoro può (ma non deve) procedere alla verifica della reale sussistenza dei predetti presupposti dichiarati dal datore di lavoro.
Si ricorda che il legislatore non ha espressamente annoverato l’abbandono del posto di lavoro tra le fattispecie che devono essere accertate con comunicazioni telematiche effettuate dal lavoratore o mediante sottoscrizione di accordo in sede protetta, le quali, a loro volta, sono, altresì, procedure espressamente escluse dall’art. 26, comma 7-bis, D.Lgs. n. 151/2015.
Pertanto, il lavoratore può contestare siffatta circostanza, qualora la sua assenza sia imputabile a cause di forza maggiore, oppure ad un fatto imputabile al datore di lavoro. Tuttavia, la procedura con cui esplicare tale contestazione da parte del lavoratore non è stata normata, con la conseguenza che quest’ultimo non ha l’onere di impedire la maturazione di un termine di decadenza, come, ad esempio, avviene in caso di licenziamento, ma deve soltanto interrompere il termine quinquennale di prescrizione degli atti recettizi, da calcolarsi ai sensi dell’art. 1442 c.c..
- La ratio della norma introdotta.
A seguito di una attenta lettura, sembrerebbe rinvenirsi una duplice ratio della novella legislativa.
In primo luogo, appare evidente l’intento del legislatore del 2024 di voler colmare un vuoto normativo presente nella stesura originaria dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2015.
Tale lacuna legislativa consisteva nel fatto che il legislatore del 2015 non aveva disciplinato la fattispecie dell’inerzia del lavoratore, sia qualora egli si fosse assentato dal luogo di lavoro, sia qualora egli non avesse adempiuto all’onere di comunicare in via telematica il suo disinteresse a proseguire il rapporto di lavoro.
Infatti, nel 2015, la previsione della necessità di una formalizzazione (anche telematicamente) in sede protetta di dimissioni ha voluto tenere conto dell’esigenza di contrastare il triste fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco”, le quali si possono potenzialmente configurare ogni qual volta si prende atto della cessazione del rapporto di lavoro, senza procedere ad una efficace verifica dell’effettiva volontà del lavoratore di risolvere il proprio rapporto di lavoro.
Tale esigenza era evidente anche in sede giurisprudenziale. Infatti, la Cass. Sez. Lav. 26.09.2023 n. 27331 aveva sottolineato che – alla luce del testo originario dell’art. 26 del D.lgs. n. 151/2015 – appariva urgente la necessità della forma scritta delle dimissioni, pena l’inefficacia dell’atto di dimissioni. Nello specifico, tale sentenza aveva evidenziato come la previsione di un vincolo formale “ …non altera la natura dell’atto di dimissioni come negozio unilaterale recettizio, ma richiede – ai fini dell’efficacia dell’atto – il rispetto di determinate forme (di natura telematica), salvo che le dimissioni (e la risoluzione consensuale) intervengano in sede assistita o avanti alla Commissione di certificazione. Tali procedure mirano a soddisfare, contestualmente, un duplice obiettivo: da un lato, conferire data certa alle dimissioni al fine di rendere impossibile il fenomeno delle dimissioni in bianco; dall’altro, fornire la garanzia che la volontà del lavoratore di risolvere il contratto di lavoro (espressa tramite le dimissioni o l’accordo di risoluzione consensuale) si sia formata e sia stata espressa liberamente e genuinamente dal lavoratore medesimo, in assenza di qualunque costrizione esercitata dal datore di lavoro”.
Detto ciò, appare, però evidente, che la novella legislativa intende perseguire una seconda finalità di interesse pubblico.
L’art. 26, comma 7-bis, D.Lgs. n. 151/2015 intende anche porre un limite al fenomeno distorsivo caratterizzato dalla casistica che il lavoratore volto a “forzare” la volontà del datore di lavoro a favore di un suo licenziamento, allo scopo di ottenere l’erogazione della NASpI. Infatti, la nuova norma prevede espressamente una deroga al meccanismo dell’efficacia e della ratifica telematica della risoluzione del rapporto di lavoro, per effetto di dimissioni o di risoluzione consensuale, previsto dall’art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015.
- La comunicazione di recesso da parte del datore di lavoro.
Abbiamo appena visto che il nuovo art. 26, comma 7-bis, D.Lgs. n. 151/2015 introduce nell’ordinamento giuslavoristico una ipotesi particolare, legata ad assenza dal lavoro oltre il termine previsto dal CCNL oppure, in mancanza, dalla legge.
Di conseguenza, d’ora in poi, le dimissioni non saranno soggette soltanto alla forma vincolata, ma, anzi, la forma scritta sarà espressamente richiesta in caso di reiterate assenze.
Nello specifico, affinché un rapporto di lavoro possa dichiararsi validamente risolto in caso di “assenza ingiustificata” a opera del lavoratore il datore di lavoro dovrà inviare una “comunicazione” all’ITL competente , contenente la dichiarazione che l’avvenuto recesso è riconducibile ad una o più condotte unilaterali del lavoratore, quali, ad esempio, il non presentarsi più in servizio, il manifestare il proprio disinteresse verso la prosecuzione del rapporto, etc.
Siffatta comunicazione che deve essere redatta attraverso un documento distinto dai moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito “www.lavoro.gov.it”, cioè i c.d. “Modelli UNILAV”, i quali, a loro volta, sono già oggetto di trasmissione sempre alla sede territorialmente competente dell’ITL, ai sensi dell’art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015.
A livello formale, sarebbe auspicabile che la comunicazione in questione venga effettuata a mezzo PEC dovrà contenere la contestazione disciplinare dell’assenza ingiustificata, la quale, lo si ricorda, costituisce una condotta colpevole del prestatore di lavoro e, quindi, inquadrabile nell’ambito del procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 Legge n. 300/1970.
Tuttavia, stante l’assenza di specifiche previsioni nel testo della norma, non vi alcun elemento ostativo all’effettuazione di siffatta comunicazione da parte del datore di lavoro, mediante la mera trasmissione tramite i canali ufficiali ministeriali del modello UNILAV di cessazione del rapporto di lavoro, con il quale si comunica che il predetto rapporto si considera cessato per “dimissioni” del lavoratore (stante l’assenza di diciture telematiche perfettamente aderenti all’ipotesi dell’assenza ingiustificata). Così, ragionando la comunicazione diverrebbe a una semplice comunicazione accompagnatoria di un atto già formalmente adottato in precedenza dal datore di lavoro.
Qualora si optasse per la libertà formale della comunicazione in questione, il controllo della ITL territorialmente competente sulla “veridicità” della comunicazione stessa non dovrebbe essere solo formale, bensì si dovrà verificare che l’assenza sia stata ritualmente contestata al lavoratore e che quest’ultimo non abbia fornito alcun tipo di giustificazione.
In estrema sintesi, appare evidente che la norma in esame genererà molti dubbi operativi e fornirà poche indicazioni risolutive.
- Il controllo di “veridicità” da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
In particolare, il dubbio operativo più rilevante consisterà nel qualificare l’efficacia del controllo di “veridicità” da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente.
Abbiamo appena visto che il nuovo art. 26, comma 7-bis, D.Lgs. n. 151/2015 sembrerebbe offrire una ipotesi alternativa alla risoluzione del rapporto di lavoro, che, sinora, era di fatto soggetta esclusivamente alla disciplina dei licenziamenti disciplinari. Infatti, in assenza, assenza di una fattispecie di dimissioni, il datore di lavoro poteva solo contestare l’assenza ingiustificata mediante una procedura disciplinare, finalizzata ad un licenziamento, qualora previsto dal CCNL applicato.
Tuttavia, la novella legislativa può potenzialmente diventare un limite all’efficacia della nuova norma. Infatti, oggigiorno, le ipotesi di assenza ingiustificata sono disciplinate dalla contrattazione collettiva come un inadempimento disciplinarmente rilevante e non come una volontà tipizzata di cessazione del rapporto di lavoro.
Di conseguenza, il rinvio operato dalla legge alla contrattazione collettiva (e soltanto in subordine al termine di legge di 15 giorni) potrebbe porre sul medesimo piano fattispecie diverse.
Nel caso in cui l’assenza ingiustificata sia disciplinata dal contratto collettivo, essa è usualmente ricompresa nel breve arco temporale di 3-5 giorni, i quali non possono ovviamente essere dirimenti per accertare una volontà risolutoria del lavoratore, ma possono solo attestare un grave inadempimento del prestatore di lavoro, che può condurre al licenziamento soltanto nell’ipotesi in cui esso sia espressamente previsto dal CCNL.
Dobbiamo ricordare che la contrattazione collettiva non mira a qualificare l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, come la volontà definitiva di cessare il rapporto di lavoro, bensì tende solo a stabilire il grado di colpevolezza del lavoratore, che, a sua volta, può essere talmente elevato da essere posto a fondamento del diverso e successivo atto di licenziamento.
D’altronde, anche l’accertamento da parte dell’ITL avviene in forme generiche. Infatti, la norma accenna ad un possibile intervento, che, si presume, possa essere un accesso ispettivo presso la sede del datore di lavoro, chiedendo informazioni e documenti attinenti al lavoratore interessato. Sicuramente, non siamo di fronte ad un ispettivo preliminare alla dichiarazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Inoltre, in attesa di futuri chiarimenti in sede di prassi ministeriale, la data di cessazione per dimissioni per fatti concludenti deve ricollegata alla comunicazione del datore di lavoro all’ITL competente, al quale ultimo spetta un accertamento postumo, non obbligatorio e non preliminarmente condizionante la data di efficacia.
Ad ogni buon conto, anche in caso di conferma di quanto comunicato dal datore di lavoro, l’accertamento dell’ITL non impedisce al lavoratore di contestare che la sua assenza non poteva ritenersi manifestazione di dimissioni.
In assenza di un auspicabile chiarimento da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, sembrerebbe che il controllo di “veridicità” da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente possa ridursi ad una mera “valutazione” compiuta dall’Ispettore designato, sulla scorta di un dato fattuale (cioè, la supposta assenza ingiustificata) riferito da un soggetto terzo (il datore di lavoro).
Sulla base di tali presupposti siffatta valutazione sarebbe non vincolante e liberamente valutabile in sede giudiziale (a tal proposito, cfr., Cass. Civ., Sez. Lav., Ord., 03.02.2022, n. 3413) in caso di impugnazione da parte del lavoratore del provvedimento risolutivo del rapporto di lavoro.
Adottando siffatta interpretazione, il lavoratore potrebbe contestare nel merito la legittimità dell’operato del proprio datore di lavoro, equiparando l’atto risolutivo del rapporto di lavoro ad un licenziamento ingiustificato e rivendicando, in tal modo, l’applicazione di ogni normativa di legge in termini di reintegrazione in servizio e risarcimento del danno. Inoltre, qualora siano decorsi i termini per impugnare tale atto risolutivo, il lavoratore potrebbe addebitare in capo al datore di lavoro le conseguenze (ad esempio, il pagamento della NASpI) inerenti all’indebita risoluzione del rapporto di lavoro erroneamente attribuita ad una libera volontà del lavoratore medesimo.
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