Una nuova classe dirigente per l’era digitale

L’impetuoso avvento dell’era digitale comporta una profonda revisione delle politiche industriali e macroeconomiche, ma, ancor di più, rende necessaria l’introduzione di una nuova generazione della classe dirigente nazionale.

Infatti, per affrontare in maniera efficace le difficoltà di questo nuovo mondo, occorrono persone nuove capaci d’interpretarlo. L’attuale classe dirigente, per questioni anagrafiche, oltre che per linguaggio, contenuti e scarsa velocità di analisi, ha dimostrato i limiti della propria comprensione di questa nuova era.

 In Italia, manca una vera consapevolezza dell’inadeguatezza del sistema nazionale. Il mondo sta vivendo una delle più grandi rivoluzioni nella storia umana, in quanto l’era digitale rappresenta un nuovo Rinascimento, capace di stravolgere tutti gli schemi cognitivi finora utilizzati per prevedere le direttrici di sviluppo dei grandi paesi industrializzati e non. Purtroppo, la gran parte della nostra classe dirigente politica, industriale e burocratica non ha ben chiari i termini economici e culturali di questa rivoluzione copernicana. Si continua ad interpretare il mondo con gli stessi parametri dell’era analogica, senza rendersi conto che si è nel vivo dell’era digitale.

Questa situazione di stallo impedisce che l’Italia, intesa come comunità, sia capace di elaborare un nuovo modello condiviso di sviluppo culturale, economico e sociale.

 La diretta conseguenza di questa inadeguatezza è la probabile incapacità di approfittare dei primi segnali di nuova crescita che s’intravvedono anche in Europa continentale.

Servirebbero riforme profonde e strutturali, basate su una politica industriale di breve, medio e lungo periodo, totalmente orientata alla definitiva digitalizzazione dell’economia.

Un risultato del generale è perseguibile soltanto attraverso misure capaci di sfruttare il nuovo trend di crescita, che, se necessario, risultino anche traumatiche per il sistema produttivo, ma non per i lavoratori, i quali hanno finora pagato gran parte delle conseguenze di tale incapacità di reazione. Anzi, bisognerebbe prevedere una serie di massicci interventi sul capitale umano, al fine di renderlo adeguato nella gestione delle nuove tecnologie da utilizzare nei cicli produttivi.

L’obiettivo finale da perseguire deve consistere nella capacità di produrre prodotti competitivi, non per il loro basso prezzo di acquisto, ma per il loro elevato valore tecnologico intrinseco, al punto da rendere non strategica la quantificazione del costo della manodopera necessaria per la loro produzione.

 Ovviamente, l’avvio di un nuovo ciclo di crescita comporterebbe sicuramente un mero benessere effimero, che non sarebbe risolutivo, qualora non si sarà capaci di governare bene la cosa pubblica, tenendola al passo della presente rivoluzione digitale. Se la nuova classe dirigente burocratica perdesse questa ulteriore sfida nella sfida, basterebbe un primo segnale di crisi, per disperdere in un attimo tutte le conquiste fino a quel punto ottenuto.

La capacità delle istituzioni pubbliche e della sua dirigenza nel gestire i nuovi temi di questa nuova era digitale risulta essere fondamentale, specialmente se si tiene conto del ruolo dirimente svolto dall’impatto prodotto sulle società e sulle economie dalla velocità del progresso tecnologico, nonché dal contestuale tasso d’introduzione delle innovazioni nella vita quotidiana.

Infatti, negli ultimi anni, lo sviluppo tecnologico ha abbandonato lo schema dello sviluppo lineare, per abbracciare quello dello sviluppo esponenziale generato dalla information technology, rendendo possibile ciò che fino a poco tempo prima sembrava impossibile.

In altri termini, la soglia del concetto di impossibile si sta spostando continuamente in avanti, lasciando inevitabilmente indietro il sistema cognitivo delle passate generazioni, formate e cresciute durante tutta la loro vita lavorativa, in un’epoca nella quale non esistevano la connessione internet, gli smartphones, i tablets ed i social networks.

Tuttavia, sono proprio queste generazioni che mantengono ancora in larga misura la guida del nostro Paese. Ovviamente, non si trascura affatto l’importanza che assume la capacità di aggiornarsi, ma, nell’era digitale, la manutenzione delle proprie competenze da parte di un “nativo analogico” non potrà mai garantire le medesime freschezza ed originalità delle decisioni assunte da persone “native digitali”.

Infatti, l’era digitale si distingue per la finora sconosciuta capacità di avere relazioni, acquisire informazioni e di entrare in contatto con chiunque, in qualunque parte del mondo, sempre e rigorosamente, in tempo reale. Si tratta di un dato cognitivo che, pur essendo stato colto, non è stato ancora ben appreso.

L’era digitale ha moltiplicato all’infinito la capacita cognitiva dei singoli individui. Tuttavia, si tratta di una capacità cognitiva diversa ed, al contempo, inarrivabile per chi, invece, ha dovuto acquisirla nel corso dell’era analogica.

 Queste considerazioni comportano la necessità di realizzare, senza creare alcun conflitto generazionale, una decisa accelerazione del cambio complessivo della classe dirigente, a favore dei nativi digitali. Infatti, solo questi ultimi possono gestire efficacemente lo sviluppo esponenziale del progresso tecnologico, in quanto essi, a differenza dell’attuale classe dirigente “analogica”, non sono condizionati da una visione cognitiva della realtà di tipo esclusivamente lineare.

Questa soluzione comporterebbe un indubbio beneficio per l’intero “Sistema Paese”, ma, inoltre, libererebbe le molteplici energie inespresse di una intera generazione che, dopo aver trascorso anni di studio nel preparare il proprio avvento nella società del lavoro, è attualmente costretta ad invecchiare, restandone ai margini e senza svolgere alcun ruolo strategico.

 

Germano De Sanctis

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